Ormai si passa dall’ateo puro al credente integralista attraverso un’infinità di sfumature

In considerazione del ruolo delle convinzioni non religiose nel sistema di istruzione italiano il tema dell’ateismo assume una reale e particolare rilevanza. I docenti della scuola secondaria sono testimoni di numerose esternazioni da parte degli studenti, che potrebbero essere riassunte con questa asserzione: “prof, non mi parli di religione, io sono ateo”.
Si rendono necessarie a riguardo alcune precisazioni di carattere teorico a partire da alcuni quesiti comuni a molte persone. Qual’è, attualmente, in questo processo di trasformazione del religioso, il ruolo interpretato dall’ateismo? Ma primariamente, che cosa significa oggi questo termine?
A tal proposito ci è di aiuto ancora una volta l’approfondimento di Filoramo in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica n. 1, aprile 2001.
Egli ci ricorda infatti che, la profonda e complessa trasformazione della società poc’anzi citata, ha avuto anche l’effetto di mettere in questione il suo tradizionale ambito di interpretazione. A riguardo, Georges Minois, al termine della sua “Storia dell’ateismo”, pubblicata nel 1998, osservava: “i compartimenti stagni fra credenti e atei sono scomparsi. Validi forse fino al secolo scorso, sono venuti meno sotto l’effetto di un crescente relativismo, di un’ascesa dell’individualismo e dell’autonomia della persona, del progressivo venir meno degli atti di fede e delle ideologie. Ormai si passa dall’ateo puro al credente integralista attraverso un’infinità di sfumature, che rendono abbastanza inutili queste classificazioni” <174.
Le convinzioni non religiose, nella complessità del fenomeno che rappresentano, hanno smesso pertanto di rappresentare ciò che andava sotto l’appellativo di “incredulità diretta”, che faceva riferimento agli atteggiamenti di chi si dichiarava ateo, con il preciso obiettivo di confermare le proprie tesi, e l’esplicita consapevole intenzionalità di negazione della fede.
Chi frequenta abitualmente le aule scolastiche avverte che la prima impressione che offre l’incredulità contemporanea non è tanto quella di un sistema diretto contro la fede o la religione, quanto quella, come afferma Filoramo, di una possibilità positiva di esistenza, di essere del tutto integralmente uomo, facendo a meno della fede.
Tale realtà è bene individuata nella difficoltà, che gli stessi sociologi della religione incontrano nel momento in cui tentano di rappresentare con precisione e con i mezzi a loro disposizione, i mutamenti dei fenomeni delle credenze non religiose.
Una prima difficoltà la si può evincere nel fatto che gli atei in genere, a differenza delle religioni istituzionali, non li troviamo raggruppati in istituzioni e quindi si è in difficoltà rispetto al fatto di identificarli in base alla loro affiliazione: e quando questo è possibile, come per certe organizzazioni ateistiche, le cifre in gioco sono socialmente irrilevanti <175. E comunque, spesso, in queste inchieste, gli atei dichiarati tali, sono distinti in gruppi più inconsistenti che comprendono specie diverse del genere “non credente”: secolare, non religioso, agnostico, e così via.
Ciò, secondo Filoramo, riflette la frantumazione dell’attuale concetto di ateismo che, a fianco di una forma tradizionale consapevole e militante, prevede un ateismo agnostico, che dichiara l’impossibilità di risolvere il problema; semantico, che individua la mancanza di senso del problema stesso; pratico, nel senso che si vive come se Dio non esistesse e da ultimo speculativo-pratico, in cui si dichiara che l’eventuale esistenza di un Dio non debba avere effetti sul comportamento.
Questa minuziosa divisione evidenzia in tal senso, una realtà storica significativa. L’ateismo da noi conosciuto, tipico dell’occidente, nonostante sia un fenomeno presente nelle più svariate tradizioni religiose, è sorto e si è affermato in contrapposizione col Dio tipico della tradizione cristiana.
Non dovremmo dunque stupirci che l’ateismo attivo segua oggi lo stesso percorso e di conseguenza la stessa evoluzione, della religione e del suo Dio, che fino ad oggi è stata la sua ragione d’essere. Con la frantumazione del cristianesimo a causa dei processi secolarizzanti, gli atei sentono meno il bisogno di definirsi tali, e lo scetticismo tende così a sciogliersi in un insieme umanista e laico più vasto.
In sintesi, la difficoltà di riconoscere gli atei in una società in cui pare che “le credenze vanno in vacanza”, come è proprio in particolare delle società moderne europee secolarizzate a prescindere dall’appartenenza confessionale, è, tuttavia, soltanto un aspetto. L’altro, come anche segnala Filoramo, è più legato alla riapparizione delle religioni sulla scena pubblica di questi ultimi decenni, di cui i fondamentalismi e i successi del pentecostalismo rappresentano le dimensioni più vistose <176.
6.2.3 Ateismo: le cifre del fenomeno
Il sociologo Phil Zuckerman del Pitzer College, in questi ultimi anni ha voluto affrontare la problematica relativa al numero di atei, facendo in tal senso un calcolo statistico. Numerose indagini sociologiche, sono state da lui utilizzate al fine di tracciare una mappa il più possibile precisa e attendibile relativa al campo, che si è visto, non facilmente circoscrivibile e variamente definito, delle credenze non religiose <177.
Nonostante Zuckerman sia un ateo dichiarato e nelle sue ricerche sia mosso dal tentativo chiaramente apologetico, tentativo comprensibile per chi è costretto a vivere in un paese, come lui stesso rileva ironicamente, dove “ha più probabilità di essere eletto presidente un membro di Al-Qaeda che un ateo” <178 – le sue ricerche nel loro insieme hanno facilitato l’accostamento al problema della diffusione dell’ateismo nel mondo da un punto di vista statistico con qualche grado di attendibilità.
Ci aiuta ancora una volta in tal senso Filoramo, e per un approfondimento compiuto sulla tematica rimando ancora ai Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica n. 1, aprile 2001, in cui ci fa notare che nonostante il mutare di queste cifre anche in funzione delle metodologie differenti in gioco, un primo elemento emerge in modo abbastanza chiaro dall’insieme di questi dati, tanto sconvolgente quanto problematico: nella maggior parte dei paesi, infatti, anche quelli a prima vista più laicizzati, di fronte a una domanda impostata sulle scelte religiose, soltanto una piccola percentuale (1%) di coloro che decidono di rispondere, si definisce apertamente “ateo”. Se richiesto esplicitamente se la persona è atea, non sono molti di più i soggetti che decidono di rispondere apertamente in modo affermativo. Se viene invece richiesto agli intervistati, se credono in una qualche forma di Dio o divinità, il numero di coloro che rispondono negativamente tende a crescere, in modo però non particolarmente significativo. Si rileva invece che maggiore è il numero di coloro che rispondono “no” alla domanda se credono in Dio (in questo caso è sottinteso il riferimento della tradizione cristiana). Da ultimo, molti di più sono coloro che, dinnanzi a una domanda aperta sulle loro preferenze religiose, dichiarano di non averne nessuna. Non essendo però Filoramo uno specialista in statistiche e demografia religiosa, non ha proseguito oltre su questi aspetti, ma ha suggerito anch’egli di rifarsi alla lettura diretta del rapporto di ricerca di Zuckerman.
Evidenzia, nonostante tutto, che, a prescindere dalla variabilità geografica, ciò che colpisce è la constatazione di come, statisticamente, molti di coloro che dichiarano di essere “non religiosi” rispondono affermativamente alla richiesta se credono in Dio o in un Potere supremo: una conferma implicita di quanto si è detto poc’anzi, e cioè che la problematicità delle tradizionali credenze religiose (che nel cattolicesimo spesso coincidono con un dogma inalterabile: ma quanti sono, in questo tipo di inchieste, i cattolici dichiarati che confessano di credere nella reincarnazione?) rende difficile prendere il “vero” ateo (una credenza, a sua volta, diventata, nonostante lodevoli e ripetuti tentativi di renderla più salda da parte di intellettuali impegnati, liquida e volatile al pari delle altre).
Un’altra considerazione dimostra anche quanto queste statistiche siano problematiche.
Secondo infatti alcuni sociologi della religione, l’ateismo engagé, nelle sue varie declinazioni, non è altro che una forma secolarizzata di religione: e la propaganda da parte di certi filosofi e scienziati contro la religione e per “convertire” i lettori alla propria visione scientifica parrebbe finalizzata a dar prova della veridicità di questa tesi.
Chi allora può essere considerato veramente “ateo” da un punto di vista statistico e per quel che ci riguarda nel mondo della pubblica istruzione? Se si limita il discorso all’area della non credenza e cioè a quanti si dichiarano “non religiosi”, si raggiungono comunque cifre importanti. Zuckerman, nel suo lavoro del 2007, dopo aver ripreso il numero dei non credenti presente nelle inchieste e surveys relative ai 50 paesi con la maggior percentuale in questo settore e dopo aver annesso a questi altri non credenti, dei paesi più popolosi come l’India, conclude che “il numero totale degli atei, agnostici e non credenti in tutto il mondo è stimabile tra i 504.962.830 e i 749.247.571. Questi numeri minimi e massimi rappresentano delle stime prudenti. Se si dovessero prendere in considerazione anche paesi altamente popolati come l’Egitto, Brasile, Indonesia, Nigeria, Birmania, Tanzania, e l’Iran, le stime dei non credenti, aumenterebbero notevolmente. Inoltre, i numeri presi in considerazione riguardano solo i non credenti in Dio. Se si dovessero includere tutti i non-religiosi i numeri raddoppierebbero” <179.
Come egli osserva, se si dovesse sommare a questa cifra il numero dei “non religiosi” (circa 750 milioni), si arriverebbe a concludere paradossalmente che il partito dei non credenti in Dio costituirebbe la seconda “religione” mondiale. Mi rendo conto che si tratta, evidentemente, di una tesi insostenibile. Molte delle persone infatti che vanno ad incrementare il numero in queste statistiche appartengono a paesi, come la Cina, dove l’essere ateo deriva dal fatto che il paese continua a praticare un ateismo di stato: ma una delle conseguenze del tumultuoso cambiamento che la Cina ha conosciuto in questi ultimi anni sta proprio nel far emergere come si tratti sovente di una facciata priva di reale consistenza <180. Inoltre, molti dei non credenti fanno parte di quell’area del sud est asiatico contraddistinta dalla presenza vitale di tradizioni religiose, come ad esempio l’induismo, il buddhismo e le tante diramazioni che li caratterizzano, che non credono in un Dio personale e creatore e pertanto in questi paesi, ci si può definire atei, essendo allo stesso tempo profondamente religiosi.
Un’ultima considerazione viene portata da un’importante ricerca di alcuni anni fa di Norris e Inglehart, all’interno della quale emergono una serie di dati interessanti sulla situazione religiosa globale <181.
La tesi di fondo, che riecheggia tesi marxiane ben più antiche, ma con una documentazione contemporanea impressionante, è che le società non ancora industrializzate o in via di industrializzazione, ad alto tasso demografico in cui la vita quotidiana degli individui è continuamente esposta alla povertà, alla malattia e alla morte prematura, oggi restano religiose come secoli fa. Pertanto, il risultato congiunto di queste tendenze è che le società ricche stanno diventando più secolari ma il mondo in compenso sta diventando più religioso <182.
Tutto ciò in prospettiva, significa, che se si vorranno cercare nuovi atei, non sarà possibile trovarli in queste società <183. Di fatto, essi si nascondono nelle insenature delle società più secolarizzate o costituiscono una interessante reazione intellettuale.
[NOTE]
172 Cfr. P. CLARKE, 2006.
173 S.M. COHEN – A.M. EISEN, 2000.
174 G. MINOIS, 2000.
175 Anche se le cifre, in questi casi, hanno un valore puramente indicativo, se confrontati con il numero di persone che dichiarano di non avere preferenze religiose e/o di non credere in Dio gli atei dichiarati costituiscono una percentuale minima di questa più vasta e amorfa massa di non credenti. Cfr. G. FILORAMO, 2011, pp. 3-14.
176 Va altresì segnalato che Giovanni Filoramo mette bene in evidenza come le argomentazioni circa le società secolarizzate e il disincanto del mondo, che nella seconda metà del Novecento erano dominanti in Occidente, siano state superate e contraddette in pochi anni per l’emergere di nuove forme di religiosità e la rinascita del sacro, per le trasformazioni complesse della fenomenologia religiosa e ateistica. Cfr. G. FILORAMO, 2011, pp. 3-14.
177 P. ZUCKERMAN, 2007, pp. 47-65
178 P. ZUCKERMAN, 2008, p. 12.
179 P. ZUCKERMAN, 2007, p. 59. Zuckerman è consapevole dei limiti di questi dati: vedi. P. ZUCKERMAN, 2008, pp. 23-24.
180 Vedi ad esempio D.L. OVERMEYER, 2003.
181 P. NORRIS – R. INGLEHART, 2007.
182 P. NORRIS – R. INGLEHART, 2007.
183 G. FILORAMO, 2011, pp. 8-10.
Stefano Falappi, Educazione, diversità religiosa e convinzioni non religiose, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2011/2012