Per una storia del sindacalismo italiano d’azione diretta

Il sindacalismo rivoluzionario, o dell’azione diretta, è senza alcun dubbio un movimento che, nato alla fine del XIX secolo, esaurì la sua “funzione storica” già alla fine degli anni Trenta. Da soggetto sindacale, spesso minoritario, esso rispose – se non si intendono le teorie e le pratiche sociali come elementi atemporali – alle necessità di un ben determinato momento della storia del movimento operaio e, di conseguenza, di una fase del capitalismo europeo. Dunque, al di là di ogni tentativo di attualizzazione, non può dimostrarsi inutile ripensare storiograficamente ad una tappa della storia del movimento dei lavoratori nazionale ed internazionale quasi del tutto rimossa, atta a rilanciare, da un lato, i termini di un dibattito sui nuovi modi di “fare sindacato” e, dall’altro, a includere l’analisi di categorie di lavoratori più instabili: i disoccupati, i lavoratori dequalificati, i precari e, nella sua accezione più ampia, il mondo del lavoro migrante <6.
Al netto di un bilancio sindacalmente negativo, dettato da un’intrinseca e strutturale instabilità organizzativa, l’aspetto fondamentale dell’esperimento sindacalista rivoluzionario rimane la sua capacità di lettura delle trasformazioni in atto nella società del periodo; la sua pretesa di immaginare – spesso con derive escatologiche – una società radicalmente diversa da quella che alla fine del secolo ci si era lasciata alle spalle (con il declino di figure professionali, di paradigmi politici ecc.), ma anche di quella che andava delineandosi con la maturazione capitalistica. Infine, accompagnando le trasformazioni in atto nel mondo della produzione, in un modo o nell’altro, esso riuscì ad interpretare l’esigenza di un graduale abbandono della gestione individuale dei conflitti a favore di una dimensione collettiva.
[…] Nell’attuale congiuntura storica, come non pensare quindi alle masse di disorganizzati, immigrati e disoccupati che il sindacalismo rivoluzionario cercò di organizzare nelle proprie strutture? Il sogno di un’unità dei lavoratori costruita – usando un termine ormai mainstream – “dal basso”, a partire dall’osservazione delle condizioni oggettive del mondo della produzione e, nel rifiuto di formule ideologiche aprioristiche, orientata all’azione diretta di classe valutata come capace di assicurare un giusto contrappeso tra ottenimento di vantaggi immediati e prospettive di cambiamento generale, strutturale della società.
Scrivere una storia del sindacalismo d’azione diretta rappresenta un modo di ripensare alla capacità di incidere sulla realtà in condizioni estremamente avverse; di riaffidare capacità politiche ai singoli, ai gruppi e alle reti militanti che interpretino nell’azione quotidiana l’aspirazione comune a sottrarsi dalle logiche trasnazionali del capitalismo.
Consapevoli di essersi lasciati andare a dichiarazioni strettamente personali ad onta di ogni presunta “imparzialità” <7 cui dovrebbe essere orientata l’attività dello storico, è opinione di chi scrive che, riprendendo Droysen, il contenuto del nostro Io sia determinante nel processo di comprensione storica degli eventi. Se, con Marc Bloch, «l’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato» <8, si potrebbe forse assurgere l’analogia storica a surrogato dell’osservazione e dell’esperimento applicato in campo scientifico, così da rappresentare per lo storico un grande ausilio, allorché capace di illuminare «il meno noto con il più noto, dopo che se ne sia riconosciuta la somiglianza» <9.
Quanto all’analogia, è bene intendersi, si dovrà certamente distinguere tra un suo impiego quale strumento di riflessione del ricercatore ed un altro, volto a stabilire dei legami di continuità con un’esperienza che può senza dubbio definirsi storicamente conclusa e non ripetibile. È chiaro che la seconda modalità d’impiego del modello analogico è del tutto estranea al lavoro che di seguito si andrà ad introdurre.
Introduzione:
All’inizio di questo lavoro, dopo una ricognizione sulla principale letteratura sul tema, risultava molto più chiaro cosa questa ricerca non dovesse essere che il contrario: non una ricostruzione storiografica dedicata alle sigle sindacaliste nazionali e alla loro specifica evoluzione da mettere poi a confronto tra loro né tantomeno un’agiografia dei suoi leader <10.
Da qui la necessità di chiarire come tra gli obiettivi della ricerca non vi sia quello di chiudere un cerchio quanto di aprirne uno capace di contenerne tanti altri, più piccoli o di egual misura, tenuti insieme da un filo logico comune.
Dei tentativi di scrivere storie complessive, in particolar modo dedicate a movimenti e organizzazioni politiche e sindacali, si può a ragione diffidare. Da anni l’ambiente storiografico italiano lamenta, spesso in maniera retorica, l’assenza di studi dedicati alle vicende delle specifiche realtà nazionali del sindacalismo d’azione diretta e capaci di racchiudere, sintetizzandole, le principali tappe della loro complessa quanto relativamente breve vita. In qualche caso si è persino annunciato l’imminente avvento di un tale studio, senza che poi esso sia riuscito a soddisfare realmente le aspettative <11.
In un tale contesto, se l’obiettivo di questa ricerca fosse stato quello di fornire una ricostruzione esaustiva, complessiva dello sviluppo in senso transnazionale del sindacalismo d’azione diretta l’impresa sarebbe andata incontro ad un pressoché certo fallimento. Essa avrebbe richiesto uno sforzo di sintesi che avrebbe impoverito eccessivamente i termini di analisi. Sul terreno della storia comparata in materia sindacale persiste del resto un senso di generale
insoddisfazione per i risultati ottenuti. Se paragonati a quelli conseguiti nell’ambito delle scienze sociali, una delle cause di questa difficoltà epistemologica è stata spesso individuata nell’approccio metodologico al problema. In estrema sintesi, è stato notato come la modellistica cui si impronta la scienza sociale, «sotto il profilo della ricerca storica […] richieda il sacrificio di troppe componenti» <12 per essere esaurientemente incorporata negli studi. Un problema cui corrisponde la nota – ed emblaticamente datata – denuncia di Jurgen Kocha, per il quale «only very few historical studies could be called comparative» <13.
Partendo da queste generiche considerazioni, alcune delle domande che sottendono alla ricerca sono state: è possibile apportare un contributo originale alla ricostruzione storica delle vicende del sindacalismo d’azione diretta internazionale, estendendo la cronologia fino ad includere in un unico studio, e in maniera sufficientemente coerente, quante più fasi possibili del suo sviluppo?
È possibile farlo ponendo come focus il caso del sindacalismo italiano, estendendo gradualmente il campo, e ripercorrendo, in prospettiva comparata, gli itinerari biografici di alcuni dei suoi militanti durante la loro “diaspora” tra Francia e Spagna negli anni Venti e Trenta?
Ed infine, qualora si rispondesse affermativamente alle due precedenti domande: è possibile accostarsi allo studio del sindacalismo d’azione diretta come se si trattasse di un movimento sindacale tradizionale, che conobbe in un dato momento una diffusione internazionale, o sarebbe più corretto valutarlo preliminarmente come un movimento le cui dinamiche di origine e sviluppo rendono necessario un suo studio in senso transnazionale <14?
Troppe sembrano, a chi si avvicina al tema, le ragioni per le quali risulterebbe impossibile valutare questo movimento al pari di una qualunque altra organizzazione sindacale: la prima ragione è da scorgere nel fatto che per le sue caratteristiche esso non può essere validamente studiato ricorrendo ad un classico approccio di storia istituzionale; ad una storia fatta di successioni di sigle e scissioni, di congressi e leader alle cui vicende biografiche riconnettere in maniera efficace anche quelle del movimento stesso.
La seconda ragione è di natura cronologica. Il sindacalismo d’azione diretta fu precario e discontinuo non solo nelle sue strutture ufficiali e nei suoi modelli organizzativi, ma anche nel suo procedere cronologico all’interno delle vicende della storia d’Europa del primo Novecento.
[NOTE]
6 Cfr. Raimondi, F., Ricciardi, M., (a cura di), Lavoro migrante. Esperienza e prospettiva, DeriveApprodi, Roma 2004.
7 Come ha affermato Julian Casanova «el caràcter cientìfico de la historia residen en definitva, nel la imparcial immersiòn en las fuentes, en la reconstruccion de las intenciones de los actores y del curso de los acontecimientos, y en la percepcion intuitiva de un contexto historico mas amplio», in La historia social y los historiadores. ¿Cenicienta o princesa?, Critica, Barcelona 1991, p.12.
8 Bloch, M., Apologia della storia (o mestiere di storico), Einaudi, Torino 1950, p. 54.
9 Canfora, L., L’uso politico dei paradigmi storici, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 34.
10 Per il contesto storiografico spagnolo sul tema, che presenta notevoli affinità con quello italiano in particolare su ciò che attiene alla riscoperta del metodo biografico, si veda anche la sintesi di Isaac Martìn Nieto, De la classe obrera a la accion collectiva. La historiografia sobre el movimiento libertario durante la Segunda Republica y la Guerra Civil, in “Historia social”, n. 73, 2012, pp. 145-171. Per un paragone con il contesto italiano si rimanda invece alla sintesi fornita da Emanuela Minuto in Riflessioni sul seminario “Metodi e temi della storiografia sull’anarchismo”, in “Italia contemporanea”, n. 275, 2014, pp. 372-379. In particolare, interessa notare come dagli anni Ottanta in poi sia la storiografia spagnola che quella italiana abbiano spostato la propria attenzione dall’analisi biografica dei leader a quella dedicata ai militanti “minori”. In Francia, questo processo era iniziato già qualche anno prima ed il suo esempio più eloquente fu la pubblicazione del Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier français (DBMOF), un progetto monumentale diretto già dagli anni Sessanta da Jean Maitron e poi costantemente aggiornato fino agli anni Novanta. Esso servì da modello per l’italiano Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (DBAI) che, venuto alle stampe nei primi anni Duemila, si è rivelato uno strumento di ricerca fondamentale anche per la conduzione di questo lavoro.
11 Cfr. D’Alterio, D., “Disillusione socialista” e delusione storiografica: a proposito d’un libro sulla storia del sindacalismo rivoluzionario in Italia, in “Storia e Politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa”, XXXI (2016), pp. 361-370.
12 Antonioli, M., Ganapini, L., (a cura di), I sindacati occidentali dall’800 ad oggi in una prospettiva storica comparata, Bfs, Pisa 1995, p. 9.
13 Kocka, J., Comparative Historical Research: German Examples, in “International Review of Social History”, n. 38, 1993, p. 370.
14 Come si vedrà più avanti da questo punto di vista l’interpretazione storiografica del sindacalismo d’azione diretta presenta delle evidenti affinità con lo studio del movimento libertario italiano. Come ha notato Davide Turcato nel suo Italian Anarchism as a Transnational Movement (1885-1915), in “International Review of Social History”, n. 52, 2007, p. 411: «one problem of studying the history of anarchism is that continuity can seldom be traced through formal institutions. Anarchist organizations shaped up more often as networks of militants than as formal organizations. In a formal organization, such as political parties, an impersonal structure exists, with roles in which actors are mutually substitutable. Actors may change while the structure persists. Continuity can be most naturally followed through an organization’s unchanging structure».
Marco Masulli, L’oeuvre des travailleurs eux-mêmes. Il sindacalismo d’azione diretta italiano tra esilio, clandestinità e diaspora dei militanti, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova – Universitat de Girona, 2019