Perché è importante studiare il Novecento

Incontro con Giovanni Sabbatucci
Ordinario della cattedra di Storia contemporanea all’Università “Sapienza” e coautore di fortunati manuali di storia per il triennio delle scuole superiori, Giovanni Sabbatucci è stato il consulente di riferimento nella stesura della versione definitiva del test sulla storia del Novecento, visionato in tutte le fasi del suo allestimento al fine di garantire la necessaria validità di contenuto.
L’incontro per la discussione dei risultati della ricerca si è svolto nella abitazione romana del professore nel pomeriggio del 18 novembre 2011.
Prima di entrare nel merito degli esiti dell’indagine empirica, il professore ha espresso particolare apprezzamento per l’indagine di sfondo, che ha trovato di notevole interesse per «la ricca messe di informazioni con cui è stato ricostruito il quadro dell’insegnamento della storia contemporanea in Italia e in altre nazioni europee».
Riflettendo sulle circostanze che nel novembre del 1996 hanno portato all’emanazione del decreto Berlinguer, Sabbatucci ha voluto ricordare come esso sia derivato dal convergere di due fattori: da una parte «l’esigenza didattica largamente avvertita di lasciare spazio adeguato allo studio del Novecento, troppo spesso sacrificato per il solo fatto di trovarsi al termine di un percorso di studi organizzato cronologicamente» e dall’altra «la nuova proposta di periodizzazione storiografica lanciata dal libro di Hobsbawm “Il secolo breve”, che ha contribuito a diffondere un’immagine del Novecento come una fase storica in sé conchiusa e perciò studiabile al pari di quelle che l’hanno preceduta».
Quanto poi al fatto che – a quindici anni di distanza dalla riforma dei programmi di storia – i risultati della ricerca empirica evidenzino il permanere di ampi vuoti di conoscenza sulla storia più recente in studenti da poco usciti dal sistema scolastico, il professore ha inteso sottolineare la complessità delle cause sottese a questo riscontro e perciò la necessità di ricercarle in più direzioni.
Una di esse è senz’altro costituita dalla «tendenza dei docenti a insegnare quello che hanno imparato», osservazione che chiama in causa la “vexata quaestio” della formazione degli insegnanti di storia: sarebbe interessante – al riguardo – conoscere se gli studenti che hanno avuto insegnanti più giovani mostrino di avere una conoscenza più estesa del Novecento, perchè ciò deporrebbe in direzione di un miglioramento della loro formazione e aprirebbe alla ragionevole speranza di uno studio progressivamente più esteso della storia contemporanea sui banchi di scuola.
Un’altra ragione ostativa all’insegnamento della storia più recente è per Sabbatucci da individuarsi nella riluttanza «a mettere i piedi nella contemporaneità più recente a ragione del persistente pregiudizio che sostiene non potersi fare storia se non con una distanza adeguata», osservazione che, a suo giudizio, è solo in parte veritiera se si considera che «a partire dalla “Guerra del Peloponneso” di Tucidide sino alla “Storia d’Italia” di Benedetto Croce e anche oltre, si è in realtà sempre fatta “storia contemporanea”». Se però si propone come materia di studio la storia dell’ultimo quindicennio «sarebbe saggio limitarsi alla scabra cronaca. Mentre infatti per quanto riguarda il passato è possibile fornire chiavi interpretative e approfondire tematiche storiografiche, per quanto concerne la considerazione delle vicende a noi più vicine sarebbe opportuno presentare solo il quadro cronologico degli eventi senza pretendere di trarre conclusioni storiografiche non lecite a ragione della mancanza della necessaria distanza temporale».
Lo storico si è dichiarato in profondo disaccordo sulla possibilità di attribuire all’impianto idealistico della scuola italiana la responsabilità di aver disincentivato lo studio della storia recente; è invece vero che proprio a tale tradizione va riconosciuto il merito di aver «salvato la presenza della storia nella scuola italiana, a differenza di quanto avviene in altri Paesi». Ha di conseguenza osservato che se ancora in Italia «è stata conservata un’impostazione didattica della storia che dall’antichità giunge ai giorni nostri» lo si deve proprio all’impianto storicistico della tradizione crociano-gentiliana. E questa è una nota di merito, non certo di demerito.
A rischio di cadere nell’ovvietà, Sabbatucci ha voluto ribadire il suo credo “tradizionalista” per quanto concerne il metodo di insegnamento della storia: ha infatti definito «falsamente innovative» le trovate didattiche di “cominciare dalla fine” o “ procedere per temi e problemi” o ancora “scegliere solo i periodi che più ci interessano”, sottolineando come la storia sia «l’unica materia in cui è impossibile prescindere dall’impianto storicistico tipico della nostra scuola (ciò che è invece possibile, almeno in teoria, per la letteratura, la filosofia, la storia dell’arte), poiché partire da un testo o da un singolo problema non ha alcun senso se non sulla base di una preesistente conoscenza cronologicamente ordinata».
Entrando nel merito dei problemi della nuova periodizzazione contenuta nelle più recenti “Indicazioni nazionali”, Sabbatucci ha convenuto sul rischio che la dilatazione temporale dei programmi da svolgere nel secondo biennio delle superiori (classi III e IV) possa pregiudicare la possibilità di riservare alla classe terminale la trattazione esclusiva del Novecento; nondimeno – in qualità di storico – ha ritenuto che le nuove scansioni adottate siano preferibili alle «poco convincenti» soluzioni contenute nel decreto Berlinguer, discutibili sia «per quanto riguarda l’espulsione quasi totale del Medioevo dalle superiori», sia «per ciò che attiene alle scansioni scelte, avendo formule come “crisi del Trecento” o “crisi del Seicento” scarsa efficacia periodizzante».
Riflettendo sul problema della distribuzione della materia nei singoli anni scolastici, Sabbatucci ha ammesso che è reso complesso dalla presenza di un dato di fatto dal quale non si può prescindere: «il monte-ore a disposizione dell’insegnante di storia è un sistema a somma zero, ovvero non può essere esteso a piacimento. Se si aggiunge qualcosa da una parte – e il procedere degli eventi e della stessa ricerca storica aggiunge materiale in continuazione, anche a non voler inseguire la mera attualità – bisogna togliere da un’altra. Togliere non significa ovviamente cancellare interi pezzi di storia: significa però rivedere in continuazione le gerarchie di rilevanza e adottare, ove necessario, tagli più svelti e più sintetici».
Questo discorso chiama fortemente in causa «la preparazione e il buon senso degli insegnanti»: è ad essi, più che «a qualche circolare ministeriale che promuova una sorta di controriforma delle scansioni precedentemente in vigore» che bisogna guardare per trovare una soluzione ai tanti problemi legati all’insegnamento della storia, specie di quella contemporanea, la più difficile da mediare didatticamente ma nondimeno la più importante «per garantire un quadro essenziale, e il più possibile problematico, di conoscenze sul XX secolo a studenti da poco entrati nella maggiore età e perciò esercitanti il loro diritto di voto».
L’apprendimento della storia contemporanea si giustifica dunque anche per il ruolo che svolge come strumento di educazione civile.
Milena Rombi, La conoscenza della storia del Novecento in uscita dalla scuola secondaria di II grado. Un’indagine empirica su livelli di conoscenza, rappresentazioni ed esperienze didattiche degli studenti neo-diplomati dell’Università “Sapienza” di Roma, Tesi di dottorato, “Sapienza” Università degli Studi di Roma, Anno Accademico 2010-2011