Permane una pressoché totale ignoranza nel più vasto pubblico per ciò che riguarda i crimini compiuti dagli italiani durante la Seconda guerra mondiale

L’immagine autoassolutoria e autorassicurante del “bravo italiano”, scaturita dal convergere di queste spinte diverse, rispondeva nondimeno alle esigenze psicologiche del paese che poteva guardare avanti e iniziare la difficile opera di ricostruzione senza il peso di alcuna vergogna per il proprio passato, segnato dalle molte “pagine oscure” e da molte lacerazioni affidate alla cura lenitiva dell’oblio <61.
Nel paragrafo precedente abbiamo avuto modo di vedere come la narrazione egemonica che si è sviluppata nei primi anni del dopoguerra abbia permesso agli italiani di compiere una quasi totale assoluzione rispetto alle proprie colpe nella guerra. Il fascismo ha subito una svalutazione e un ridimensionamento a posteriori, che lo hanno reso ai posteri una minaccia innocua e talvolta pure inesistente.
Questo processo fu favorito, soprattutto, dal trattamento riservato ai criminali di guerra italiani e tedeschi. Il processo di epurazione, che aveva conosciuto un periodo di fervente attività fra il 1944 e il 1946, cominciò a rallentare negli anni subito successivi, fino a subire una brusca frenata e si concluse con un indegno insabbiamento da parte delle autorità italiane <62.
Si parla simbolicamente di “mancata Norimberga italiana”, poiché effettivamente non ci fu mai un vero e proprio processo organico contro i gerarchi ascisti e i responsabili italiani di crimini di guerra, compiuti in particolare nelle colonie del regime fascista <63.
Sin da subito, concluso il conflitto, da tutti i Paesi colpiti dalla guerra di aggressione fascista, arrivarono richieste di estradizione per i criminali di guerra: Etiopia, Libia, Grecia, Albania, Jugoslavia, Unione Sovietica. L’Italia, però, rivendicava il proprio diritto a giudicare gli imputati coinvolti nei propri tribunali, in nome della sovranità riconquistata dopo aver partecipato alla lotta di liberazione; allo stesso tempo, avocava a sé il diritto di giudicare i criminali di guerra tedeschi per le stragi compiute in Italia, dato che la Germania non aveva ancora riconquistato la suddetta sovranità <64. Non si era certi però se le forze alleate avrebbero concesso questo diritto; come ci spiega Filippo Focardi nel saggio “La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005)”:
“Nel caso dei crimini commessi in Italia, restava incerto chi avrebbe processato i criminali tedeschi. Non si sapeva infatti se le autorità alleate ne avrebbero concesso la facoltà al governo italiano o se avrebbero mantenuto tale prerogativa nelle proprie mani. Pesava l’ambiguità dello status internazionale in cui si trovava il Regno d’Italia: dal 13 ottobre 1943 “cobelligerante” a fianco delle Nazione Unite, ma allo stesso tempo firmatario di un armistizio che riconosceva il paese come potenza sconfitta e lo obbligava secondo l’art. 29 a consegnare agli alleati i criminali di guerra italiani, con Mussolini in testa. La questione dei criminali di guerra tedeschi si intrecciava dunque strettamente con quella dei criminali di guerra italiani” <65.
Inizialmente, l’azione di epurazione del governo italiano fu particolarmente energica, poiché in tutta la nazione erano preponderanti i sentimenti antifascisti.
Presto però ci fu un cambio di rotta: lo spirito di giustizia antifascista venne sostituito da una crescente volontà di pacificazione ed oblio del passato. Questo poi rispondeva anche a necessità politiche di continuità, soprattutto a livello di gerarchie militari, dove molti responsabili di alto grado avevano ricoperto ruoli di responsabilità durante il fascismo. Anche dell’esterno arrivarono spinte in questa direzione, di una maggiore benevolenza verso i criminali italiani, in particolare dagli Stati Uniti, che vedevano in questi individui negli ambienti militari un valido sostegno nella lotta contro il comunismo e contro l’espansione della Jugoslavia di Tito, che rientrava nella sfera di influenza dell’Unione Sovietica. <66 Inoltre, l’idea di fondo che giustificava questa condotta era la convinzione che gli italiani non potessero essere responsabili degli stessi crimini che venivano imputati ai perfidi comandanti nazisti e soldati tedeschi. Le categorie di “crimini di guerra”, “crimini contro la pace” e in particolare “crimini contro l’umanità” non potevano addirsi al bonario soldato italiano che aveva portato conforto, sostegno e aiuto umanitario nelle proprie colonie. Ovviamente, questa visione era enormemente distante dalle realtà, poiché noi oggi sappiamo che la condotta italiana nella guerra d’aggressione non è stata tanto meno riprovevole di quella dei propri alleati: rappresaglie, fucilazioni, saccheggi ma anche l’utilizzo di armi improprie vietate dal diritto internazionale in terra africana <67.
Sempre Focardi, nel saggio sopra citato, spiega chiaramente l’interconnessione molto stretta fra la benevolenza dimostrata verso gli indagati fascisti e i criminali di guerra tedeschi; l’impunità garantita ai responsabili rispondeva principalmente ad esigenze di natura politica. In particolare, a partire dal 1949, con la nascita della Repubblica federale tedesca e del governo Adenauer, si rafforzò nuovamente l’amicizia fra i due Stati e questo portò ad un accordo comune ad una maggioranza tolleranza e riservatezza rispetto a questo tema. Il Ministero italiano degli Esteri era consapevole che se si fosse insistito troppo sulla consegna dei criminali tedeschi all’Italia, questo avrebbe poi legittimato le richieste di estradizione dei presunti criminali di guerra italiani <68.
Il processo di epurazione venne essenzialmente frenato già a partire dal giugno 1946, quando: “(…) Palmiro Togliatti, Ministro della Giustizia e leader del Partito comunista, promulgò un’amnistia generale che, in nome della “riconciliazione nazionale”, portò rapidamente alla liberazione della maggior parte dei fascisti allora in carcere sotto condanna o in attesa di giudizio. (…) Una nuova amnistia concessa il 19 novembre 1953 estese i benefici della legge anche a quei fascisti che si erano dati alla latitanza e liberò praticamente tutti i detenuti. Tale inversione di tendenza nella politica di punizione contro i fascisti ebbe un’accelerazione dopo la sconfitta elettorale delle sinistre dell’aprile 1948” <69.
Emblematico è l’esempio di Junio Valerio Borghese, comandante della divisione Decima Mas, imputato di responsabilità dirette in 43 omicidi, che dopo aver ricevuto una condanna, ottenne immediatamente la libertà grazie all’amnistia.
Direttamente coinvolto nella Repubblica sociale italiana, con strette collaborazioni anche con le forze di occupazione nazista, poté rimanere impunito e rimase invischiato nella politica italiana per decenni. Ricoprì ruoli di rilievo nel Movimento sociale italiano e fu protagonista di tentativi di sovversione dell’ordine democratico negli anni Settanta <70.
Questo sta a dimostrare come la mancata epurazione dei responsabili del regime fascista, e in particolare di chi fu coinvolto nella Repubblica sociale italiana, non venne senza conseguenze, ma permise che nella rinata Repubblica italiana permanesse sempre una non troppo velata minaccia alla democrazia, che riemerse in superficie nei momenti di crisi più acuta.
Oltre a questo, possiamo constatare che per molti anni, e tuttora, permane una pressoché totale ignoranza nel più vasto pubblico per ciò che riguarda i crimini compiuti dagli italiani durante la Seconda guerra mondiale; anzi, vengono legittimati anche tentativi di riabilitazione di determinate figure di quel periodo, come le iniziative sulla toponomastica incentivate dalle amministrazioni del centro destra negli anni Duemila fra cui un mausoleo dedicato al maresciallo Graziani, responsabile delle guerre coloniali in Africa, in un comune della provincia di Roma <71.
Nei decenni, in Italia, è sempre stata molto più sentita la questione dei crimini compiuti dai tedeschi in Italia. Questo deriva sia da sentimenti sinceri di individui direttamente coinvolti nelle stragi, che sono state numerose e sanguinarie, sia dall’autorappresentazione vittimistica che l’Italia ha tenacemente mantenuto nel tempo. Ciò non vuol dire che questi italiani, uccisi perché ebrei, partigiani, o semplici civili, non meritassero giustizia e la dovuta ricompensa per le proprie sofferenze: per questo, quando nel 1994, si scoprì il cosiddetto “armadio della vergogna”, in cui nel 1960 furono illegalmente archiviate ed insabbiate migliaia di imputazioni contro i criminali tedeschi e nascoste in questo armadio appositamente sigillato e nascosto ad occhi indiscreti, si levò un’ondata di indignazione pubblica, che obbligò il governo ad indagare sulle dinamiche che permisero questo indegno comportamento della Procura Generale Militare <72.
Focardi ci illustra che: “Dei circa duemila fascicoli raccolti, solo 20 erano stati regolarmente inviati nell’immediato dopoguerra alle competenti procure militari territoriali perché procedessero contro i responsabili dei crimini di guerra. Tutti gli altri fascicoli erano stati viceversa indebitamente trattenuti presso la Procura generale militare, fino a che il 14 gennaio 1960 l’allora Procuratore generale militare Enrico Santacroce aveva disposto la loro “provvisoria archiviazione”, ricorrendo ad un procedimento inesistente nell’ordinamento italiano e dunque illegale” <73.
Questa scoperta permise però di rimettere in moto la giustizia italiana e vennero attuati una serie di processi, sia contro militari tedeschi che contro fascisti italiani e uomini della Repubblica sociale italiana. Il processo più seguito dall’opinione pubblica fu quello contro l’ex-ufficiale delle SS Erich Priebke, membro dello stato maggiore di Kappler e co-responsabile della strage delle Fosse Ardeatine; Priebke aveva infatti compilato le liste delle vittime e ucciso personalmente alcuni dei condannati. Dopo diversi gradi di processo, Priebke venne condannato all’ergastolo (poi tramutato in arresto domiciliare) <74.
Concludiamo citando nuovamente le parole sempre puntuali di Filippo Focardi, che afferma che: “Se ripristinare una giustizia per tanti anni negata va senz’altro considerata un’azione meritoria ancorché tardiva, rianimare la memoria della Resistenza e dell’antifascismo unicamente facendo perno sul ricordo delle stragi naziste e sulle reazioni emotive che da lì scaturiscono risulta certamente un’azione efficace ma non priva di alcuni limiti. Sarebbe auspicabile, infatti, che nella coscienza storica del paese trovasse posto non solo la memoria dei crimini nazifascisti subiti, ma anche il ricordo dei crimini di guerra commessi da militari e civili italiani contro popolazioni straniere aggredite, etiopiche,
libiche, greche, albanesi, jugoslave e russe, non meno colpevoli dei civili trucidati dai tedeschi alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto o a Sant’Anna di Stazzema” <75.
[NOTE]
61 Focardi F., 2013, Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della Seconda Guerra Mondiale, Roma Bari, GLF Editori Laterza.
62 Focardi F., 2006, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005), in Storicamente, 2.
63 Focardi F., 2013, Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della Seconda Guerra Mondiale, Roma Bari, GLF Editori Laterza.
64 Focardi F., 2006, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005), in Storicamente, 2.
65 Id.
66 Focardi F., 2013, Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della Seconda Guerra Mondiale, Roma Bari, GLF Editori Laterza.
67 Id.
68 Focardi F., 2006, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005), in Storicamente, 2.
69 Focardi F., 2006, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005), in Storicamente, 2.
70 Id.
71 Focardi F., 2020, Nel cantiere della Memoria: Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe, Viella.
72 Focardi F., 2020, Nel cantiere della Memoria: Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe, Viella.
73 Focardi F., 2006, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005), in Storicamente, 2.
74 Id.
75 Focardi F., 2006, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943-2005), in Storicamente, 2
Laura Azzalin, «La cura lenitiva dell’oblio». La risposta italiana alle colpe della Seconda Guerra Mondiale e il confronto con l’ex-alleato tedesco, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023

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