Preferisco morire impiccato che rinnegare i partigiani

Felice Cordero di Pamparato. Fonte: isacem.it

Con il morale rinfrancato, a metà giugno [1944] la Brigata autonoma Val Sangone allaccia rapporti con i partigiani delle valli vicine, in particolare quella di Susa. L’obbiettivo è pianificare, per la fine dello stesso mese, un attacco coordinato in grande stile al nemico, anche con il sostegno dei combattenti della val di Lanzo e della val Chisone. <68
Giulio Nicoletta sceglie, per i suoi, due obiettivi da colpire il 26 giugno: la polveriera di Sangano e le fabbriche di esplosivo di Avigliana. La prima operazione è assegnata alla formazione guidata da Sergio De Vitis, che da tempo ha in mente questo proposito. L’attacco ad Avigliana è affidato a Eugenio Fassino, per la sua profonda conoscenza della zona (di cui è originario), con la prospettiva di catturare gli uomini del presidio. La banda di Campana, invece, deve rimanere nella zona di Trana, per chiudere il fronte. I partigiani della val Susa hanno il compito di impegnare i fascisti a Rivoli, mentre quelli della val Chisone devono fare lo stesso con i tedeschi presenti a Pinerolo. L’idea è quella di cogliere di sorpresa il nemico, attaccando di mattina presto. Uno dei militi di presidio alla polveriera, che proprio quella mattina deve tornare da una licenza, viene tuttavia a sapere dei piani partigiani e avvisa subito i suoi superiori della notizia intercettata. <69 Il 26, come previsto, parte l’attacco e Sergio De Vitis prima conquista la polveriera di Sangano, poi è costretto a difendersi dall’arrivo dei carri armati e delle autoblindo germaniche, ripiegando inevitabilmente verso Piossasco. In un atto decisamente ardito, insieme a otto volontari, De Vitis ad un certo punto decide di dirigersi verso Trana per avvisare i compagni dell’attacco tedesco: sulla strada è circondato dai nemici e, nonostante il tentativo di difesa, è raggiunto da una scarica di mitraglia. Di questi uomini solamente Luciano Vettore riesce a salvarsi: insieme a De Vitis muoiono Stefano Maria Nicoletti, Giovanni Impiombato, Mario Bertucci,
Massimo De Petris, Giuseppe Vottero, Bruno Bottino e Pantaleone Mongelli. <70 Contemporaneamente Campana occupa Trana, mentre la “Lillo Moncada” e il gruppo “Nino e Carlo” sono rimaste a Giaveno di riserva.
Anche Avigliana si arrende sotto l’azione di Eugenio Fassino, ma il mancato attacco a Rivoli permette ad una pattuglia fascista proveniente da Torino di recarsi in loco e sparare da una autoblindo. Questa azione ribalta la situazione e Fassino è costretto prima ad arrendersi al comandante della stazione di Avigliana; poi, in un tentativo di fuga, a subire una grave ferita.
Il mancato attacco dei partigiani della val Susa, oltre a facilitare l’azione difensiva dei nazifascisti, crea malcontento fra i combattenti della val Sangone. Giulio Nicoletta è costretto a ordinare la ritirata.
Il combattimento si conclude nella serata del 26 giugno. I tedeschi occupano Trana e catturano 40 civili, trattenuti come ostaggi, da scambiare con i prigionieri fatti da Sergio De Vitis a Sangano.
L’esito infelice dell’attacco fa sprofondare nuovamente i partigiani in un periodo di sbandamento: Sergio De Vitis, uno dei più valorosi e amati comandanti, verrà non a caso insignito della medaglia d’oro alla memoria. Eugenio Fassino, altro carismatico capo, è stato ferito e trasferito dal nemico a Torino, per essere interrogato e poi rinchiuso nelle carceri Nuove. A rappresentare bene l’esasperazione tra i valligiani è l’ordine di Giulio Nicoletta di fucilare, in caso di cattura, il delegato garibaldino della val di Susa – un tal Maiorca – per tradimento. <71
Il 27 giugno, giorno seguente dell’attacco a Sangano, il podestà di Giaveno, Zanolli è incaricato dai tedeschi, insieme al parroco don Mattone, di mettersi in contatto con Giulio Nicoletta per organizzare lo scambio di prigionieri presso San Bernardino di Trana. La sera stessa i prigionieri tedeschi sono restituiti in cambio dei civili e dei partigiani catturati, fra cui, ovviamente, Eugenio Fassino, che è immediatamente ricoverato all’ospedale di Giaveno.
L’inizio di agosto dona una ventata di ottimismo ai partigiani piemontesi. La liberazione di Firenze da un lato e lo sbarco alleato in Provenza dall’altro rappresentano un ricostituente per il morale loro e della popolazione. A ciò si aggiungono le parole di Churchill, secondo cui la campagna d’Italia terminerà entro Natale. Considerata la rapidità dell’avanzata alleata da Roma a Firenze, questa previsione appare, tanto ai civili quanto ai partigiani, realistica. La nuova situazione, però, finisce per convincere i tedeschi a intensificare l’urto bellico sull’arco alpino piemontese, con l’intento di spezzare la resistenza partigiana e rinforzare le linee verso la Francia, da cui si teme un attacco angloamericano.
Il 16 agosto reparti scelti delle brigate nere “Ettore Muti” e “Ather Capelli” scendono dal Col del Bes per rastrellare la valle. Una trentina di fascisti, però, vengono tenuti in scacco da 3 partigiani presso la Maddalena (Guido e Giorgio Quazza e Ezio Veneziani). Il rastrellamento, sebbene venga eseguito con tantissime truppe, non ottiene alcun successo dal punto di vista militare, ma infligge alla val Sangone una gravissima perdita: la cattura e l’uccisione del marchese Felice Cordero di Pamparato, detto “Campana”. Egli è fatto prigioniero il 16 agosto, di fronte all’osteria del Mollar dei Franchi, da una pattuglia di fascisti travestiti da partigiani. Questi avanzano verso di lui e, sfruttando la miopia del comandante partigiano, lo fanno cadere nel tranello: quando Campana si rende conto della situazione, scaglia una bomba a mano contro i falsi partigiani, ma l’ordigno non esplode. <72 Catturato, è condotto a Giaveno presso il comando posto alla Villa Garrone, dove è interrogato per due giorni e messo a confronto con un ex compagno di Accademia, Giorgio Giorgi, che cerca invano di convincerlo ad abbandonare i partigiani. Campana risponde ad ogni tentativo di intimidazione o di lusinga ripetendo queste parole: «A nobile si confanno azioni nobili… Preferisco morire impiccato che rinnegare i partigiani». La sera del 17 agosto i fascisti decidono l’esecuzione. Filo di ferro per legare le mani dietro la schiena, Pamparato è impiccato nella piazza della stazione, al balcone di casa Giaia, presso l’Albergo Centrale. Con lui muoiono Giorgio Baraldi, Vitale Cordin e Giovanni Vigna. I corpi rimangono appesi per tutto il giorno seguente e possono essere degnamente sepolti presso il cimitero di Giaveno solamente quando i fascisti lasciano il paese. Alla memoria del marchese Felice Cordero di Pamparato verrà attribuita il 30 ottobre 1945 la medaglia d’oro, nel corso di una cerimonia tenutasi proprio a Giaveno.
Durante il rastrellamento del 16 agosto i fascisti perquisiscono anche l’ospedale di Giaveno, ma Eugenio Fassino, ancora lì ricoverato, riesce a mettersi in salvo con l’aiuto di suor Delfina Pettiti.
[NOTE]
68 Bruno Ferreri, La Resistenza partigiana in val Sangone, tesi di laurea, anno accademico 1984-1985, relatore Giorgio Rochat, p. 65.
69 M. Fornello, La Resistenza in val Sangone, tesi di laurea, anno accademico 1961-1962, relatore Guido Quazza, p. 86.
70 Ibidem, p. 86.
71 Bruno Ferreri, La Resistenza partigiana in val Sangone, tesi di laurea, anno accademico 1984-1985, relatore Giorgio Rochat, p. 78.
72 Bruno Ferreri, La Resistenza partigiana in val Sangone, tesi di laurea, anno accademico 1984-1985, relatore Giorgio Rochat, p. 98.
Francesco Rende, Mario Greco e la Resistenza in val Sangone, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2016-2017