Le province della Romagna liberata furono attraversate fin da subito da tensioni politico-sociali, che coinvolsero i soggetti presenti sul territorio a più livelli. In primo luogo, emerse una conflittualità “macroscopica” tra le forze attive nella liberazione – Alleati, Governo del Sud e partigiani – e nelle relazioni tra queste e la popolazione civile.
In linea con quanto si era verificato nell’Italia progressivamente liberata, anche in Romagna il Governo del Sud aveva faticato a ripristinare la propria autorità e autorevolezza, soprattutto a causa dell’incapacità politica dimostrata dal sovrano – fuggito dopo l’8 settembre – e delle conseguenze della “svolta di Salerno”, in vista della futura – ma ormai prossima – ridefinizione dell’ordinamento istituzionale. A questi elementi si erano sommate poi varie problematiche di natura tecnica, dalle imposizioni del Comando Alleato alla penuria di mezzi fino alla conclamata mancanza di personale nelle Prefetture, nelle Questure, nelle Procure o nei Comandi dei Regi Carabinieri; una conseguenza sia di politiche amministrative di vecchia data sia delle violenze belliche e poi dei primi tentativi di epurazione.
La Questura di Ravenna, ad esempio, fino alla prima metà di settembre aveva contato una decina di impiegati e un reparto composto da 8 marescialli, un brigadiere, 7 vice brigadieri, 10 guardie scelte, 34 guardie e 135 tra vice brigadieri, guardie e guardie scelte ausiliarie; stando al resoconto prodotto dal reggente Vincenzo Barile in data 2 febbraio 1945, inoltrato al prefetto e al seg. maggiore Baldwin, dopo la liberazione della provincia comparivano in servizio solo 17 agenti, di cui 6 sottoufficiali, meno di una decina di impiegati, di cui alcuni, per altro, rinviati alla commissione di epurazione. Oltre ad essere ridotto, il personale era anche privo di mezzi.
Vista «la delicatezza della situazione bellica e politica» della Provincia, il reggente la Questura aveva dunque sollecitato non solo un incremento di organico, indispensabile per fronteggiare «qualsiasi eventuale situazione anormale», ma anche il riarmo del personale e la fornitura di uniformi, macchine da scrivere, biciclette e automezzi, nonché l’impianto di un gabinetto segnaletico e fotografico <8.
Inoltre, all’indomani della Liberazione, il rapporto tra le forze armate italiane – specialmente Carabinieri e poliziotti, precedentemente agli ordini del governo nazifascista – e i partigiani era caratterizzato da una diffidenza di fondo. Questa tensione si era manifestata nella difficile collaborazione tra l’esercito regolare e le brigate partigiane e successivamente tra le forze dell’ordine e i Reparti Ausiliari di Polizia Partigiana (RAPP), lamentata dai singoli reparti così come dai rappresentanti delle sezioni locali dell’ANPI. <9
Le reazioni provocate dalla presenza alleata, invece, oscillavano tra poli opposti. La documentazione prodotta dalle Questure e dalle Prefetture di Ravenna e Forlì mette in luce come le istituzioni italiane non potessero prescindere dal rapporto con il Comando Alleato, con cui si interfacciavano, talvolta, per obbligo formale e, in altre occasioni, con la speranza di ottenere un trattamento di favore, quale ad esempio un rifornimento straordinario di carburante o di beni alimentari.
Eppure, agli occhi della popolazione il ruolo degli angloamericani risultava piuttosto ambivalente. Come era accaduto nelle regioni meridionali, anche in Romagna gli Alleati erano stati accolti dalla popolazione come liberatori e allo stesso tempo come stranieri. Il cibo e gli impieghi offerti si affiancavano, ad esempio, ai danni causati dalle loro scorrerie. Avevano contribuito a salvare Sant’Apollinare in Classe e i monumenti ravennati <10, ma le 388 incursioni della «barbarie aerea anglo-americana» <11 avevano raso al suolo il 90% degli edifici di Rimini e lasciato 30.000 dei 50.000 abitanti senza un tetto. I militari erano stati accolti a Forlì con il lancio dei crisantemi <12 e, secondo la Questura, erano i clienti favoriti dei barbieri ravennati, che «anche se liberi dal lavoro [si rifiutavano] di servire i civili» poiché questi «si attenevano alla tariffa stabilita», mentre il militare alleato «pagava profumatamente» <13. Tuttavia, i liberatori comprendevano anche i reparti ciprioti e polacchi segnalati all’AMG e al prefetto dall’Arma dei Carabinieri Regi di Brisighella per aver commesso dal 3 dicembre ’44 – data della liberazione – al 21 gennaio 1945 «59 furti, 8 estorsioni, una rapina a mano armata, due violenze carnali e cinque tentate, cinque casi di lesioni personali e molti di vandalismo ad animali e cose». Gli Alleati erano quindi sia le autorità che esercitavano il potere giudiziario, sequestrando armi, punendo i sabotatori e arginando il mercato nero, sia i responsabili di decine di «fatti e avvenimenti che [avevano inciso] notevolmente sullo spirito pubblico [della] popolazione» <14 romagnola, nonché i bersagli privilegiati di quanti commettevano reati per procacciarsi cibo, macchinari, denaro o indumenti. <15
Inoltre, pur nell’ambito di una cooperazione necessaria, il rapporto tra Alleati e partigiani era generalmente caratterizzato da una diffidenza reciproca. Le forze angloamericane guardavano con sospetto il movimento resistenziale, composto da irregolari avvezzi alla guerriglia, nonché da sbandati, renitenti, disertori, donne e da un vasto numero di comunisti. E anche se riconobbero come legittime le formazioni resistenti con gli Accordi di Roma del 9 dicembre 1944, comunque piuttosto tardivi, in definitiva aggregarono alle proprie armate pochissimi gruppi combattenti, come ad esempio la Brigata “Maiella”. Allo stesso modo, i CLN diffidavano delle forze angloamericane, che imponevano regolarmente la smobilitazione dei resistenti al passaggio del fronte e che sostenevano apertamente le politiche reazionare e conservatrici – spesso filomonarchiche – al fine di disinnescare le spinte scaturite dalle istanze resistenziali più vicine alla lotta di classe, spesso di matrice comunista e socialista. <16
Per quanto concerne il partigianato armato, Ravenna fu un caso eccezionale: dopo la liberazione del capoluogo, gli Alleati non imposero lo scioglimento della 28° Brigata GAP “Mario Gordini”, guidata dal comandante Falco, ma anzi favorirono la costruzione della 28° Brigata Garibaldi “Mario Gordini”. Questa, composta da quasi 7000 uomini, venne affidata ad Arrigo Boldrini (Bulow), equiparata alle forze regolari e annessa a pieno titolo all’VIII armata. Le ragioni di questa scelta si possono individuare nel rapporto di amicizia e stima reciproca instauratosi tra Bulow, Popski e i comandanti dell’VIII Armata britannica, che successivamente ne tramandarono il ricordo. In particolare, i reparti canadesi riconobbero gli irregolari italiani come loro pari, nell’ambito di una «fratellanza in armi» <17 derivata dalle comuni difficoltà e dalle esperienze traumatiche condivise durante la liberazione della provincia ravennate. <18
[NOTE]
8 ASRA, Prefettura, Gabinetto, 1945, b. 95, f. Segnalazioni, Situazione della Questura di Ravenna, 02.02.45.
9 Cfr. Archivi del Novecento, Archivio PCI, Settore IV, Reparto polizia partigiana; Biblioteca Saffi, fondo CLN, b. VII, f.6, I Congresso Nazionale ANPI, 1946; ASRA, Prefettura, Gabinetto, b. 45, f. Segnalazioni Arma CCRR, Contegno verso i carabinieri Reali e gli altri Corpi Armati dello Stato, 15.02.45.
10 Pietro Albonetti, Dentro la Resistenza, in Pietro Albonetti et al., L’eredità della guerra: Fonti e interpretazioni per una storia della provincia di Ravenna negli anni 1940-1948, Ravenna, Longo Editore, 2015, pp. 132-135.
11 Angelo Moretti, Documenti fotografici della barbarie aerea anglo-americana sulla città di Rimini: 1943-1944, Rimini, Moretti Film, 1944.
12 Antonio Mambelli, op. cit., p. 1012.
13 ASRA, Prefettura, Gabinetto, b. 95, f. Segnalazioni.
14 Ibidem.
15 Le citazioni sono tratte da: ASRA, Prefettura, Gabinetto, b. 95, f. Segnalazioni Arma CCRR. Sul rapporto tra popolazione civile e soldati polacchi si rinvia anche a: Gianpietro Paniera, I dissensi in Romagna e a Bologna tra soldati polacchi e popolazione italiana 1945-1946, «Resistenza oggi: Quaderni bolognesi di storia contemporanea», 2001, 2, pp. 7-18. Per un quadro nazionale sull’ambivalente percezione della presenza alleata si vedano: Michela Ponzani, op. cit., 2015, pp. 133-154; Maria Porzio, op. cit.
16 In riferimento al caso forlivese: B. Saffi, fondo CLN, b. VII, f. 6, I Congresso ANPI. Cfr. Tommaso Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana, Bologna, il Mulino, 2010, pp. 164-171; Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza: Storia e geografia della Liberazione, vol. I, Torino, Einaudi, 2000, pp. 242-253.
17 Luigi Bruti Liberati, I canadesi sulla Linea Gotica e la liberazione di Ravenna, in Giuseppe Masetti, Antonio Panaino (a cura di), Parola d’ordine Teodora, Ravenna, Longo Editore, 2004, p. 43.
18 Cfr. Arrigo Boldrini, Prefazione, in Guido Nozzoli, Quelli di Bulow: Cronache della 28° Brigata Garibaldi, Roma, Editori Riuniti, 2005³, pp.7-9 (edizione originale: 1957); Peter Tompkins, The OSS and Italian Partisans in World War II, «American Intelligence Journal», 1999, 19, n. ½, pp. 71-78; Vladimir Peniakoff, Popski’s Private Army, London, Jonathan Cape, 1950 (trad. it. Id., Corsari in jeep, Milano, Garzanti, 1951).
Lidia Celli, Giudicare, punire, normalizzare: collaborazioniste e partigiane tra Bologna, Forlì e Ravenna (1944-1955), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno Accademico 2021-2022