Quando il museo può essere considerato un’infosfera

A partire dalla Seconda Guerra Mondiale e dal lavoro di Alan Touring, la gestione e il trattamento automatizzato dei dati e delle informazioni, attuato attraverso le ICT, Information Communication Technology, hanno assunto un ruolo sempre più importante nella vita di cittadini, organizzazioni ed enti pubblici.
Luciano Floridi, uno dei massimi esperti mondiali di ICT e professore di filosofia a Oxford, nel suo libro “La quarta rivoluzione” analizza gli effetti delle ICT sulla società contemporanea (2017).
Per Floridi, uno dei principali cambiamenti apportati dalle ICT è il modo con il quali l’individuo si approccia al mondo, che diventa informazionale, rendendo inoltre informazionale il modo in cui se ne fa esperienza. A questo proposito, Floridi sostiene che le ICT stanno mutando la natura della realtà trasformandola in un’infosfera (un neologismo coniato negli anni ’70 da biosfera, che fa riferimento alla porzione del nostro pianeta abitata dalla vita).
L’infosfera può essere intesa in due modi: a livello minimo, l’infosfera risulta l’intero ambiente informazionale costituito da tutti gli agenti informazionali, mentre a un livello massimo è un concetto che può essere utilizzato anche come sinonimo di realtà, laddove interpretiamo quest’ultima in termini informazionali. L’idea è che ciò che è reale è informazionale e viceversa. Da questa relazione, Floridi approfondisce la sua ricerca analizzando come questo approccio porti ad affrontare le più grandi sfide del prossimo futuro, una riflessione che però interessa solo in parte il percorso della tesi.
Piuttosto è interessante notare l’applicazione del concetto di infosfera all’ambito museale illustri le strade che i vari enti museali stanno cercando di percorrere, attraverso l’applicazione delle ICT all’allestimento museale.
A questo proposito, è importante sottolineare la grande varietà di applicazione delle ICT all’istituzione museale. Oltre all’utilizzo standard per scopi amministrativi (come l’elaborazione di testi, metodi contabili computerizzati e così via), infatti, le ICT possono essere utilizzate per la diagnostica, la conservazione e il restauro dei beni, per migliorare la comunicazione in situ ed esterna del museo e per facilitare l’esperienza e la fruizione dell’allestimento museale.
Soffermandoci su queste ultime due funzioni, occorre sottolineare i due ruoli distinti delle ICT all’interno di un’istituzione museale, ossia le funzioni “in situ” e le funzioni online (Guccio et al., 2020). Come anticipato precedentemente, le funzioni online riguardano la creazione di siti web, servizi di biglietteria online, informazioni sui servizi, possibilità di accedere digitalmente a collezioni e banche dati, mostre online, e altre iniziative effettuate attraverso le reti dei social media. Le funzioni “in situ” invece puntano a rendere un allestimento museale più interattivo e/o ad aumentare l’engagement dell’allestimento attraverso una molteplicità di tecnologie: Augmented Reality, Virtual Reality, Mixed Reality, beacons, Internet of Things e tante altre che si definiranno e approfondiranno nel secondo capitolo della tesi.
L’applicazione dell’ICT all’istituzione museale è talmente ampia che le ICT sono state un vero motore di innovazione per l’istituzione museale (Borowiecki e Navarrete, 2017). La conseguente digitalizzazione, inoltre, è talmente invasiva che spesso influiscono sulla mission e la vision degli stessi musei, modificando le pratiche di conservazione ed espositive, ampliando la partecipazione e l’apprezzamento culturale (Fernandez-Blanco e Prieto-Rodriguez, 2020), e rimodellando il loro ruolo di produttori e distributori di cultura.
Grazie alle ICT, emergono dunque nuove fonti di valore economico e culturale e nuovi modelli di business, mentre l’apprendimento e l’engagement risultano migliorati (Bakhshi e Throsby, 2012), un aspetto che è risultato evidente già dai primissimi studi empirici condotti dal gruppo ICOM “Multimedia Working Group” nel 1997, che mostravano come i visitatori fruitori delle ICT all’interno dei musei risultassero maggiormente coinvolti nella fruizione, tanto da allungare la permanenza nelle sale e da far nascere più frequentemente occasioni di confronto e di scambio sull’esperienza di visita (Manzone et al., 2004), e che è confermato dagli studi più recenti (Guccio, 2020).
Le ICT rendono, infatti, disponibile un’enorme quantità di informazioni e tutti questi dati, per loro natura, si prestano più ad essere “scoperti” che “insegnati”. È, dunque per queste sue caratteristiche, che, come si diceva, il museo può essere considerato un’infosfera.
Dunque, il museo 3.0 punta a supportare da un lato approcci di apprendimento attivi ed esperienziali e, dall’altro, a permettere la personalizzazione dei percorsi di apprendimento. I visitatori, dunque, possono accedere alle informazioni in modi differenti, giocando così un ruolo attivo nel reperimento delle informazioni e nella costruzione del proprio percorso di apprendimento e di visita, strutturato secondo i propri interessi, desideri e bisogni, ecc… Questa modalità di visita migliora, inoltre, la capacità dei visitatori di reperire informazioni e del loro approccio all’apprendimento (Ott e Pozzi, 2010).
Il modo per raggiungere questi risultati, tuttavia, non è per nulla scontato e segue regole precise, ossia i principi del Digital and Interactive Storytelling, i quali saranno esposti nel secondo capitolo della tesi. Nel prossimo paragrafo invece si vuole illustrare il panorama museologico genovese, mostrando come esso possa essere un ottimo ambiente nel quale osservare ed esperire nuovi temi riguardanti i progetti di comunicazione museale in situ.
Luca Ciotoli, “Sail with Columbus”: un progetto di tangible narrative applicato al patrimonio nautico ligure, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2022