Scorci di una Bordighera vista da Monet

© Studio fotografico Moreschi

Sull’Italia Geografica Illustrata, opera enciclopedica in due volumi del 1881, la descrizione di Bordighera (IM), citata essenzialmente per la magnificenza dei suoi giardini, si conclude testualmente: «e perciò il Giardino Moreno è non solo il punto più bello e più delizioso del Mediterraneo ma anche uno dei più splendidi, celebri giardini d’Europa ».  L’epistolario, nonché i quadri di Claude Monet costituiscono forse la più importante testimonianza, fornendo precisi riferimenti a questo giardino, la cui storia è rimasta fino ad oggi misconosciuta ai più.

Nell’intento di rispondere a questi interrogativi, sulla base della documentazione scoperta e soprattutto, cosa che considero straordinaria, delle testimonianze botaniche sopravvissute, ho tentato di ricostruirne la storia. C’è sempre un motivo, una ragione, un avvenimento alla base del comportamento degli uomini. Questa volta, anche se può apparire bizzarro, sono convinto che all’origine di questa storia ci siano i limoni.

Siamo intorno al primo quarto dell’800, quando il limone era, dopo l’olivo, la pianta più intensamente coltivata nella Riviera Ligure di Ponente, che per ragioni essenzialmente climatiche ne deteneva una sorta di monopolio. L’importanza di questa coltivazione era direttamente legata all’approvvigionamento delle scorte anti scorbuto per la navigazione. È facile immaginare come queste piante, cariche di frutti dal colore luminoso che ne accentuavano l’esotismo in un paesaggio invernale pur sempre verde, esercitassero grande suggestione e suscitassero, in coloro che erano in grado di intraprendere viaggi in paesi lontani, il desiderio di portare a casa nuove meraviglie. Le navi erano a vela (il vapore sarà introdotto nella navigazione commerciale dopo il 1860) e proprio su velieri veniva caricato l’olio d’oliva, il prodotto agricolo con più alto valore specifico di queste terre, ancor oggi apprezzato ovunque. Grazie a qualche conoscenza francese, Francesco (1827-1885) è console di Francia a Bordighera e prima ancora suo padre Vincenzo (1800-1875), avevano trovato per l’olio, prodotto dalle loro grandi tenute sparse qua e là in tutta la Liguria, un mercato nuovo nell’Estremo Oriente e si erano imbarcati in questa avventura.  È difficile giudicare oggi quanto fossero motivati dalla curiosità e quanto, invece, da fini speculativi.  L’operazione era peraltro giustificata economicamente dal fatto che in quei paesi l’olio d’oliva veniva, come viene ancor oggi, considerato un prodotto medicinale-dietetico, piuttosto che alimentare in senso stretto. Cosi, le olive provenienti da Andora (SV) – Tenuta di Stampino -, Bordighera, Bevera di Ventimiglia producevano olio, che veniva immagazzinato nei «fondeghi» del palazzo di Via Romana e dei frantoi a mare in Bordighera, in attesa dell’imbarco sulle «scune» (corruzione di «schooner») e sulle feluche, che trovavano adeguati «tiraggi» sulla spiaggia della Bordighera di allora.

© Studio fotografico Moreschi

Ciò appare per altro confermato da una mappa in cui i «tiraggi» delle imbarcazioni appaiono situati in quel tratto di costa che va dall’Hotel Parigi a Piazza Bengasi, a ulteriore conferma di come i trasporti via mare fossero normali, viste anche le  forti difficoltà dei trasporti di merci lungo la strada litoranea. Tanto per avere un’ idea della viabilità dell’epoca, la strada «carrettabile» che unisce la Porta Sottana di Bordighera Alta al Borgo marina viene costruita solo intorno al 1867.

Negli anni 1860 i Giardini Moreno sono già noti a livello internazionale per la ricchezza della flora; la loro bellezza attira le visite di diversi pittori, scrittori e viaggiatori famosi (H. Alford, Fogazzaro ), ma anche visite poco gradite.

Uno scorcio della zona di Bordighera (IM), dove un tempo sorgeva il Giardino Moreno

Per questo motivo Claude Monet, venuto a conoscenza di questo straordinario paradiso la cui fama corre nei salotti d’Europa, fatica non poco ad ottenere le lettere di presentazione che gli consentiranno di lavorare nei primi mesi del 1884 nel giardino situato sulla Via Romana di Bordighera (l’attuale Villa Palmizi), per dipingere una dozzina di tele; alcune di esse sono oggi esposte al Metropolitan Museum di New York, dove, in un assortimento unico di capolavori provenienti da tutto il mondo, non ci si aspetterebbe proprio di incontrare lo sfondo di Cima Longoira e del Granmondo innevati e incorniciati da palme dattilifere.

Claude Monet, Il Giardino Moreno a Bordighera, 1884
Fonte: WikiArt

In effetti il giardino di Bordighera non è l’unica proprietà del Moreno a ricevere queste piante venute da lontano; egli, definito da Monet in una lettera ad Alice Hoschedè «un vrai marquis de Carabas», possiede sulla Riviera diverse grandi proprietà, tutte in posizione notevole. Tra queste, ancor oggi perfettamente conservata ed integra, bisogna ricordare quella di Stampino, in Andora (SV), attualmente proprietà Isnardi.

Claude Monet, Ville a Bordighera, 1884
[con scorcio dei monti citati nell’articolo]
Fonte: WikiArt
Quasi due secoli sono passati e per questo tipo di imprese, come spesso accade nelle vicende umane, non esistono diari e rare, sebbene autorevoli, sono le documentazioni scritte. Lungo queste rotte commerciali, il primo scalo importante erano le Isole Canarie, famose per l’imponenza dei loro pini. Dopo le Canarie riesce difficile identificare la rotta precisa,  tuttavia è facile prospettare una digressione dalle coste australiane occidentali a quelle dell‘Est dove, abbandonate le coste del Giappone, il viaggio di ritorno è favorito dai monsoni. Restava quindi da doppiare Capo Horn, per il quale era necessario bordeggiare le coste del Cile fino all’estremo Sud, prima di toccare nuovamente le Isole Canarie: ultima tappa importante al di fuori del Mediterraneo prima del rientro. Con questi avvenimenti ci troviamo intorno al 1840, quando gli Hanbury erano ancora ragazzi (partiranno per Shangay nel 1853 e scopriranno La Mortola nel 1867) e Sir Banks, Direttore di Kew Gardens, aveva cominciato da poco ad organizzare quelle spedizioni botaniche che per anni in seguito daranno all’Inghilterra il monopolio mondiale sui prodotti coloniali.

Moreno è un uomo riservato, non ama la pubblicità e considera il suo giardino di piante esotiche, per quei tempi assolutamente eccezionali, come bene personale, da custodire gelosamente.  La prima in ordine cronologico è la citazione nei Viaggi nella Liguria di Ponente del Gallesio, il più famoso Agronomo Ligure del secolo scorso, di una visita per vedere le palme del Giardino Moreno nel 1838. Seguono la cronaca ufficiale della visita delle LL AA RR, i giovani Principi Umberto ed Amedeo d’ Aosta, che durante il Viaggio di Istruzione nel 1857 furono ospiti del Moreno; l’elegante descrizione fattane dall’Avvocato Molinari nel libro su Bordighera del 1861 che, con dovizia di particolari, presenta alcune delle meraviglie di questo giardino. Importantissima ancora risulta la Guide des Station Hivernales del Prof. Jules Cappy, stampata a Parigi nel 1879 che, unica tra i documenti consultati, trascrive le denominazioni scientifiche delle specie botaniche più significative: il Pinus canariensis, la Salisburia adiantifolia (Gingko biloba), l’Araucaria excelsa, la Latania borbonica, la Sabal palmetto, e quindi agavi, aloe, yucca ed una Coripha australis, sinonimo di Livingstona chinensis. Da ricordare infine la corrispondenza di Monet alla sua amica M.me Alice Hoschedè, la citazione predetta sull’Italia Geografica del 1881, e quella sulla Cote d’Azur di Stéphan Liègeard del 1887, il quale però non riesce a visitare il giardino, ormai chiuso e abbandonato. Le documentazioni fotografiche più antiche risalgono al 1880 (Jean Scotto) e mostrano il Pinus canariensis come un esemplare di tutto rispetto; il Calvino nel 1936, tre anni dopo la designazione del medesimo a monumento nazionale, gli dedica una pagina con fotografia sulla rivista Costa Azzurra Agricolo Floreale, stimandone un’età di almeno 80 anni. Così appaiono in altre immagini (Benigni) anteriori al 1900 il Gingko biloba e la Jubaea spectabilis, palma quest’ultima di lentissima crescita, le cui dimensioni oggi sono da primato in Italia. Tuttavia le testimonianze più significative e straordinarie sono proprio le piante che ancora sopravvivono; esse derivano ovviamente da seme, giacché solo con questo mezzo era possibile portare a buon fine, attraverso un viaggio lungo mesi, I’introduzione di piante.

A destra, uno scorcio di Villa Palmizi

Nella tenuta di Stampino la centenaria Banksia grandis (proveniente dall’Australia  occidentale) morì a causa del freddo eccezionale nell’inverno del 1985 (resiste ancora il tronco enorme con i frutti), mentre rimane un Pinus canariensis centenario, segno inconfondibile dei Moreno.

La Banksia grandis © Studio fotografico Moreschi

Una secolare Araucaria excelsa (Norfolk Island Pine: Australia est) si trova a Villa Mirasole e prospera ancora sebbene spezzata da un fulmine: le dimensioni del tronco, confrontate con quelle delle Araucarie piantate all’inizio del secolo sulla passeggiata a mare dai Molinari, rendono palese la vetustà.

Sempre la zona dell’ex Giardino Moreno, con una visione parziale del qui citato Pinus canariensis

Sempre sulla Via Romana un Pinus canariensis di oltre 40 metri (un record anche per le Isole Canarie) è diventato monumento nazionale grazie alI’iniziativa del Podestà Comm. Mario Aprosio nel 1933; una Jubaea spectabilis, la palma più resistente al freddo dell’emisfero australe ed endemica sulle coste meridionali del Cile (un’ipotesi suggestiva la vuole originaria delle Isole di Pasqua!), troneggia su un angolo del giardino ed il Gingko biloba sacro ai Giapponesi, attrae in autunno fotografi ed erboristi di passaggio. Poco lontano, una Casuarina equisetifolia ed una Livingstona chinensis della medesima età concludono il repertorio sopravvissuto.

I documenti dimostrano che due Moreno si susseguono cronologicamente in questa vicenda: Vincenzo, nato nel 1800, l’ospite di Gallesio nella visita del 1838, ed il figlio Francesco, nato il 1827, che morirà nel 1885, l’ anno dopo aver ricevuto Monet; dopo questa data la vedova si trasferisce in Francia ed il palazzo col giardino viene abbandonato ed inseguito alienato. Fu il padre, Vincenzo, ad intraprendere l’ introduzione di nuove specie tramite i suoi avventurosi viaggi commerciali, che coniugavano mirabilmente interessi speculativi a vere e proprie missioni di esplorazione botanica, per quei tempi straordinarie come concezione e realizzazione. L’inizio e le date di queste imprese non sono documentabili, tuttavia da una stima effettuata sulla base dello sviluppo degli esemplari rimasti, si potrebbe ipotizzare una data di poco posteriore al 1830. Una corrispondenza indirizzata a Nantes, il porto di partenza per i grandi viaggi in Estremo Oriente, porta la data del 1854 (Archivio G.E. Bessone) , mentre altre lettere provenienti dall’Australia si datano intorno al 1840. Se si tiene conto che il primo viaggio di Darwin imbarcato sul Beagle in missione per la Corona Inglese si compie dal 1831 al 1836, l’impresa dei Moreno assume un’importanza e soprattutto un significato che va ben oltre le testimonianze storiche locali rimaste.

Vincenzo e Francesco Moreno possono quindi essere considerati dei precursori nel senso più nobile del termine; al pari di altri illustri personaggi di questa terra, hanno lasciato nella cultura un segno ancor oggi vivo, riconoscibile ed apprezzato, sebbene inspiegabilmente (come spesso accade) trascurato dalla storia locale.

Villa Schiva

A dispetto di questa illustre origine, la parte pubblica dell’ex Giardino Moreno, immortalato in almeno una dozzina di quadri di Monet disseminati nei più prestigiosi musei di tutto il mondo, fu da allora lasciata incolta.  Resiste qui solo un gigantesco esemplare di Cocculus laurifolius, specie originaria delle pendici dell’Himalaya, a quanto mi risulta unico per la sua mole in Europa, recentemente assurto agli onori di pianta coltivata per scopi economici (fronda recisa).  Questa strada che risolve i problemi della comunicazione con il levante di Bordighera in alternativa alla via Aurelia, oltre a smembrare il giardino nella sua unità ne amputa letteralmente la porzione più bella, la parte retrostante il palazzo Moreno. Quest’area, fino al limite occidentale del giardino, era un naturale anfiteatro dominato dalla cosiddetta Torretta Moreno, dalla sommità della quale lo sguardo poteva cogliere con più ampia prospettiva la straordinaria scenografia del luogo. Vecchie immagini della via Romana appena costruita evidenziano questa nuova realtà. Sulla rivista locale La via Aurelia (1876- 77) è riportato tutto il faticoso iter burocratico-amministrativo legato alla costruzione della via e, soprattutto, per quanto riguarda il tratto in questione, l’ultimo ad essere stato realizzato tra il 1878 e il 1880, il movimento di terra richiesto risulta anche il più impegnativo e distruttivo.
Non solo, il nuovo tracciato che rende possibile il collegamento dal Paese Vecchio verso Ponente distrugge anche il «beodo», l’antico canale che, al di fuori delle vecchie mura sotto la Porta Sottana (attuale casa ECA), si bipartiva in due rami, dopo aver alimentato un frantoio. Quello a levante andava ad alimentare altri tre frantoi comunali, di cui l‘ultimo era nei pressi dell‘Hotel Parigi, mentre quello a ponente, scorrendo dietro il Palazzo Moreno, raggiungeva le fontane del Giardino, descritte dal Molinari, nonché le diverse vasche esistenti nei pressi della Torretta Moreno. Queste vasche, le cui pareti avevano oltre un metro di spessore, erano poste in cascata e la più alta di esse era attraversata da un ponticello in pietra, come ancora si può vedere in una vecchia fotografia. Esse avevano il compito essenziale di riserva idrica, fondamentale nei mesi estivi per il giardino.

L’apertura della Via Romana in definitiva stravolge l’assetto topografico del Giardino Moreno, privandolo della parte scenograficamente più bella e delle strutture di irrigazione.

Dopo la morte di Vincenzo Moreno, suo fondatore, nel 1875 e del figlio Francesco nel 1885, l’anno dopo il soggiorno di Monet, il giardino venne chiuso da un alto muro costruito in seguito al frazionamento per la costruzione della Via Romana.

Il tratto appena costruito di Via Romana davanti all’antica Villa Moreno

Con il trasferimento della vedova Moreno a Marsiglia (nota del Liegeard del 1888), il giardino venne abbandonato e successivamente lottizzato e venduto nel 1913 a Monsignor Giuseppe Casalegno di Torino, cofondatore dell’Istituto Religioso di Maria SS. Consolatrice, che ristruttura la Villa Moreno nella attuale condizione di «Villa Palmizi».  Aver risparmiato, ripristinato e conservato il giardino, magari con la creazione di una Fondazione, cosa avvenuta per esempio a Mentone, basti ricordare il giardino della Collezione degli Agrumi e la Fète du Citron, avrebbe offerto meritatamente un’immagine di Bordighera precorritrice addirittura degli Hanbury nell’introduzione di piante esotiche e nella valorizzazione botanica del paesaggio, capace di attirare un turismo qualificato e colto e quindi anche qualificante. Invece per miopia ed imperdonabile incuria è stato trascurato un patrimonio vegetale, storico e culturale unico, originalissimo ed insostituibile.

di Tito Schiva in Archivio Moreschi