Subito mi sono trovato come a casa mia nella più malfamata delle compagnie

Una regina di Francia in collera ricordava un giorno al più sedizioso dei suoi sudditi: «C’è della ribellione a immaginare che ci si possa ribellare». (Guy Debord, Panegirico)
Sono nato nel 1931, a Parigi. La fortuna della mia famiglia era a quell’epoca già fortemente compromessa dalle conseguenze della crisi economica mondiale che era inizialmente apparsa in America, poco tempo prima […]. Così dunque, sono nato virtualmente rovinato <1.
E, in effetti, le risorse economiche della famiglia di Debord si erano del tutto prosciugate, a quanto riporta lui stesso, entro la sua maggiore età. Così, quando, all’età di diciotto anni, Debord torna nella sua città di nascita (la famiglia si era infatti trasferita a Cannes dove lui aveva frequentato le scuole) non ha un impiego, non ha un percorso di studi universitari all’orizzonte e non ha un patrimonio familiare alle spalle: vivrà per lo più di espedienti ed entrerà ben presto in contatto con la comunità degli artisti, dei reietti, dei poveri, degli arrabbiati e dei sognatori, il cui comune denominatore saranno innanzitutto i tavolini dei bar più malfamati di Parigi. Ed è una Parigi che sta cambiando volto molto velocemente quella che Debord scopre ma in cui lui avverte ancora il sapore e la vivacità fremente delle passate avanguardie artistiche e letterarie che tanto lo affascinano nei primi anni della sua giovinezza.
Debord legge e si appassiona agli scritti – ma sopratutto alle vicende – di Isidore Ducasse, meglio conosciuto come conte di Lautréamont, e di Arthur Cravan, entrambi elevati a modelli di stile letterario e di vita da dadaisti e surrealisti.
Ed è così che, ben presto, decide di perseguire una vita picaresca: “per tutta la mia adolescenza, sono andato lentamente ma inevitabilmente verso una vita d’avventure” <2.
Una svolta determinante nella sua esistenza si dà nel 1951, quando, al Festival del cinema di Cannes, assiste alla proiezione di un film che suscita tra il pubblico accese polemiche e rimostranze: si tratta di Traité de Bave et d’Eternité, del tutto privo di immagini e con poesie e monologhi come colonna sonora (Debord si rifarà a questo modello nei suoi lavori cinematografici successivi).
È così che il giovane Debord entra in contatto con i lettristi di Isidore Isou, ed è per lui un incontro folgorante.
Debord aderisce immediatamente al movimento – in seguito ebbe a dire: “subito mi sono trovato come a casa mia nella più malfamata delle compagnie” – di cui condivide il progetto di autodistruzione di ogni forma artistica e la convinzione che il mondo sia prima di tutto da smontare, per poter essere ricostruito poi a partire dalla creatività generalizzata, e non più dai precetti dell’economia.
È una scelta di vita radicale, di cui Debord parla in questi termini: “Vidi finire, prima di avere vent’anni, questa parte tranquilla della mia giovinezza. E non ebbi più altro obbligo che quello di seguire senza freni tutti i miei gusti, ma in condizioni difficili. Andai anzitutto verso l’ambiente, molto attraente, dove un estremo nichilismo non voleva più saperne, né sopratutto continuare niente di ciò che era stato fino ad allora ammesso come uso della vita o delle arti <3. Posso dire che la povertà mi ha dato un gran lusso di tempo, non avendo da amministrare dei beni perduti, e non curandomi di reintegrarli partecipando al governo dello Stato […]. Devo altresì notare […] l’evidenza di avere avuto allora l’occasione di leggere molti buoni libri <4.
È ancora Anselm Jappe a raccontare come il gruppo di Isou si dedicasse all’organizzazione di piccoli scandali (incursioni alle inaugurazioni di gallerie d’arte, interruzione di rappresentazioni teatrali o di proiezioni cinematografiche) che avevano però, a quei tempi, un notevole impatto. Ad esempio l’episodio della Pasqua del 1950, quando un giovane lettrista travestito da domenicano salì sul pulpito di Notre-Dame annunciando ai fedeli che “Dio è morto!”: un’azione che finì, com’è facile immaginare, in una grande bagarre, nel tentativo di linciaggio del giovane, nel suo arresto e in una profusione di foto e commenti scandalizzati sui giornali <5.
“Questo ambiente di imprenditori di demolizioni, più nettamente di quanto non avessero fatto i loro predecessori delle ultime due o tre generazioni, si era allora mischiato assai strettamente alle classi pericolose. Vivendo con loro, si fa in larga misura la loro vita. […] Più della metà di coloro che, nel corso degli anni, ho ben conosciuto aveva soggiornato, una o varie volte, nelle prigioni di diversi Paesi: molti certo per ragioni politiche, la maggior parte tuttavia per reati o crimini di diritto comune. Ho quindi conosciuto sopratutto i ribelli e i poveri” <6.
Debord, insieme ai suoi amici lettristi, passa infatti, come si diceva, molte delle sue giornate nelle bettole parigine non distanti da quella École Normale Superieure dove “la futura “élite” si preparava alla sua carriera” <7. Ed è lì, ai tavoli di quei bar, che vengono elaborate buona parte delle teorie e delle pratiche dei lettristi prima e dei situazionisti dopo.
“Nel quartiere di perdizione dove giunse la mia giovinezza, come per completare la sua istruzione, si sarebbe detto che si erano dati convegno i segni precursori di un prossimo crollo dell’intero edificio della civiltà. Vi si incontrava in permanenza della gente che non poteva essere definita se non negativamente, per la buona ragione che non aveva alcun mestiere, non attendeva ad alcuno studio, e non esercitava alcuna arte. Erano in molti ad aver partecipato alle guerre recenti, in diversi degli Eserciti che si erano disputati il continente. […] «Sono stato allevato anch’io sulla pubblica via!»” <8.
Nel 1952 Debord presenta il suo primo lavoro cinematografico, Hurlements en faveur de Sade, si tratta di un film senza immagini, lo schermo è del tutto bianco o del tutto nero, e l’audio è costituito da citazioni dei lettristi, teorie sulla vita e varie affermazioni teoriche, il tutto intramezzato da lunghi silenzi; il massimo dell’indignazione del pubblico, che interrompe la proiezione dopo meno di mezz’ora, si raggiunge all’inizio dell’ultima parte del film: ventiquattro minuti di silenzio e buio totale. È una provocazione, evidentemente riuscita, che ha lo scopo di porre fine alla passività del pubblico, che infatti interviene esacerbato.
[NOTE]
1 Guy Debord, Panegirico, Tomo I, Roma, Castelvecchi, 2005, p. 14
2 Guy Debord, Panegirico, Tomo I, Roma, Castelvecchi, 2005, p. 14
3 Ibidem, pp. 15 e 16
4 Ibidem, p. 15
5 Si veda Anselm Jappe, Debord, Pescara, Edizioni Tracce, 1992, p. 74
6 Guy Debord, Panegirico, Tomo I, Roma, Castelvecchi, 2005, p. 16
7 Anselm Jappe, Debord, Pescara, Edizioni Tracce, 1992, p. 69
8 Guy Debord, Panegirico, Tomo I, Roma, Castelvecchi, 2005, p. 19
Serena Becherucci, Guy Debord e l’Internazionale Situazionista: pensieri e “derive” nella società dello spettacolo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2013-2014