Tra i soci fondatori figuravano Umberto Terracini, Renato Guttuso, Corrado Alvaro, Salvatore Quasimodo e Luigi Russo

Al «distacco tra vita nazionale e vita del popolo» denunciato dal segretario comunista, e alla comparsa sul mercato italiano dei nuovi prodotti editoriali legati a un primo consumo culturale di massa come settimanali illustrati, fotoromanzi e fumetti <1518, voleva rispondere una nuova e ambiziosa iniziativa editoriale patrocinata e finanziata dal Pci, la Cooperativa del Libro Popolare – d’ora in poi Colip -, il cui simbolo era un canguro con dei libri nel marsupio <1519. La Colip fu costituita a Milano all’inizio di marzo 1949, ospitata negli uffici di «Milano-Sera» in via del Senato, come società a responsabilità limitata, iscritta al registro delle ditte della locale Camera di Commercio <1520. In effetti, come si evince dalla corrispondenza tra De Vita e Donini, la Cooperativa era stata improntata «con la fretta alle calcagna, ed a farci fretta non ultimi eravate voi compagni di Roma» <1521. Seppur il
progetto di dotare il Pci di un’editoria popolare giacesse in Segreteria da molto tempo, oltre al mancato accordo con la casa editrice Campitelli (con cui il partito aveva discusso in prima battuta il lancio dell’iniziativa <1522) fu il varo di collane simili ad accelerare i tempi <1523.

[…] All’avvio della Colip contribuirono in particolare Sereni, Donini, Pajetta, Togliatti e Platone per gli aspetti legati alla politica editoriale, mentre Cerreti, rappresentante del Pci alla Lega delle Cooperative, e Quaglierini, del CDS, si occuparono della raccolta dei finanziamenti. Tra i soci fondatori figuravano Umberto Terracini, Renato Guttuso, Corrado Alvaro, Salvatore Quasimodo e Luigi Russo <1540, mentre nel primo Consiglio di Amministrazione entrarono De Vita, Marzola, Dagnino, Malagugini, Gian Carlo Pajetta, Sante Massarenti, Invernizzi e Busetto. La Direzione amministrativa fu affidata inizialmente a Frangipane, mentre la presidenza restò a Corrado De Vita, artefice dell’iniziativa <1541 e, insieme al “crudele realista” <1542 Donini, guardiano della volontà di Togliatti che gli aveva affidato l’impresa <1543. Per divergenze culturali e politiche, nel 1950 la direzione della collana passò da Giovanni Titta Rosa a Luigi Diemoz. La scelta iniziale dei collaboratori rispecchiava la volontà del Pci di instaurare un rapporto anche con gli intellettuali <1544 non comunisti. Ai collaboratori che facevano parte del circuito editoriale del Pci o degli intellettuali di “area”, come Franco Calamandrei, Mario Alicata, Corrado Alvaro Massimo Bontempelli e Giuseppe Berti, si affiancarono Giacomo Cantoni (parente di Remo che stava lasciando il Pci) Francesco Flora, Emilio Cecchi e Gabriele Pepe.
Ambrogio Donini era l’eminenza grigia del partito, presenza a volte scomoda per la sua autorità informale all’interno dell’organico della Colip, che spesso si sostituiva a quella del direttore editoriale, soprattutto per la collana scientifica di cui era curatore <1545

[…] L’iniziativa era nata in tutta fretta, e le prime pubblicazioni furono oggetto di numerose critiche e lamentale da parte del partito. Dopo i Gioielli indiscreti di Diderot <1553, anche il Tartufo di Molière fu giudicato malfatto – «incomprensibile trascuratezza, veri e propri errori , francesismi ecc.» – e la responsabilità fu attribuita a Titta Rosa, che diventò presto il capro espiatorio dei disguidi editoriali cui fu soggetta l’“Universale Economica <1554. Donini propose di affiancagli «un elemento di nostra assoluta fiducia […] per tutte queste questioni di carattere tecnico-redazionale» <1555.
[…] La diffusione fu organizzata da De Vita attraverso accordi di esclusiva per la diffusione nelle edicole e nelle librerie con le Messaggerie Italiane. Per la distribuzione presso le federazioni socialiste e nelle cooperative fu utilizzata la rete regionale e provinciale della Cooperativa del Libro Popolare, mentre il Pci avrebbe sostenuto «l’acquisto in massa dei volumetti nelle prossime settimane per incoraggiare i rivenditori» 1560 , e diffuso l’“Universale Economica” nelle manifestazioni a sostegno della diffusione del materiale a stampa del Pci, come le Feste dell’Unità, i Mesi della stampa e del Libro <1561, anche se, come si era verificato per la distribuzione interna, le federazioni e le sezioni accumularono subito un debito di «oltre un milione di libri venduti» con la Cooperativa, tanto da indurre De Vita a lamentarsi con Donini: «Come si fa allora ad accettare lavori per ragioni più politiche che editoriali?» <1562.

[…] La serie scientifica ebbe un ritmo molto più dilatato rispetto alle collane di letteratura e di storia e filosofia. In un anno e mezzo uscirono 12 titoli e alcuni volumetti di divulgazione scientifica sovietici <1576 curati da Franco Rossi, Franco Paparo, Massimo Aloisi, Luca Pavolini e Cesare Musatti. Vi comparve anche l’Autobiografia di Darwin, L’origine dei mondi di Labérenne, e il Capitale di Carlo Marx di Cafiero a cura di Giulio Trevisani.
Alla fine del 1949 la Colip aveva lanciato la serie grandi avventure, dedicata alla narrativa per ragazzi, con il Pinocchio di Collodi, con un lancio pubblicitario da “strenna” e una tiratura di 100.000 copie <1577. La serie si esaurì nel 1952 con un bilancio di 10 volumi. L’anno successivo la serie vide nove uscite, arricchite questa volta dalle illustrazioni di Gustave Doré, Brunt, Alex Keli e Dutriac. Uscirono tre volumi del Tartarino di Tarascona di Daudet, Le avventure del Barone di Muchausen di Raspe, La repubblica pinguinina di Gentile, Le fiabe di Perrault e Alice nel paese delle meraviglie di Caroll, con le illustrazioni dell’autore. Ai nomi di Lombardo Radice e Dina Jovine si aggiunsero quelli di Alfondo Gatto, Adelaide Pintor, Antonio Baldini e Tommaso Giglio. Nel 1951 uscirono solo Vita e avventure di Robinson Crusoe di Defoe, in due volumi prefatti da Eugenio Montale e illustrazioni di Guttuso. La serie fu chiusa nel 1952 con Alice nel mondo dello specchio di Carroll, a cura di Tommaso Giglio.
Il bilancio dei primi 22 mesi di attività tracciato da Bertoni Jovine era “lusinghiero” e sorprendente”: l’“Universale Economica” aveva raggiunto una diffusione di 3 milioni di copie «tra le più svariate categorie» <1578.
Se alla fine del 1950 il ritmo di produzione della Colip era stato costante, nonostante i cambi di programma e i problemi legati alla distribuzione <1579, toccando quota 91 volumi per oltre un milione di copie, i problemi finanziari e i dissidi editoriali e amministrativi minarono la stabilità della Cooperativa.
In un’informativa riservata della Divisione affari generali del Ministero dell’Interno si segnalava che «intellettuali di estrema sinistra curano le pubblicazioni delle opere e lo stesso on.le Palmiro Togliatti ha curato l’edizione del Trattato della Tolleranza di Voltaire, mentre il senatore comunista Antonio Banfi si è interessato, facendone la prefazione, al saggio filosofico su L’essenza del cristianesimo di L. Feuerbach».
«In linea generale, le opere finora pubblicate e quelle in corso di pubblicazione – ad eccezione di poche – se non hanno uno spiccato carattere anticlericale, sono però a sfondo nettamente laico e talune costituiscono i trattati classici e basilari delle ideologie materialistiche. Non consta che sia intenzione della “Colip” di costituire una specie di biblioteca marxista, né che sia prevista, per il momento, la pubblicazione da parte della “Universale Economica” delle opere di Stalin “Il materialismo dialettico e storico”. Attraverso gli accertamenti in proposito condotti non sono stati raccolti, poi, elementi che confermino la notizia secondo la quale la direzione centrale del P.C.I. avrebbe dato ordine al direttore della “Universale Economica”, di intensificare le pubblicazioni di opere a carattere anticlericale. Risulta invece – da notizia proveniente da buona fonte fiduciaria – che gli organi centrali del P.C.I. E del P.S.I. avrebbero sollecitato le rispettive federazioni provinciali di dare un più fattivo contributo alla diffusione delle pubblicazioni della ripetuta collana. É ovvio soggiungere che tale particolare interessamento delle direzioni dei due partiti, oltre a tendere alla diffusione della cultura laica e materialistica fra le masse popolari, è diretta anche ad assicurare lo sviluppo dell’attività della “Colip” la quale, come si apprende in ambienti bene informati, sovente non manca di sovvenzionare i due partiti suddetti» <1580.
In realtà i rapporti economici tra il partito e la Colip erano rovesciati. I mezzi messi a disposizione dal Pci e dai finanziatori della Colip per avviare l’iniziativa editoriale erano però limitati, e le preoccupazioni di De Vita erano tutt’altro che infondate. Scrivendo a Donini alla fine di luglio, a un mese dal lancio della collana, il Consigliere delegato Massarenti informava che in cassa erano rimaste solo 565.626 lire, e che la realizzazione del programma editoriale ad agosto era già “straordinariamente in ritardo” <1581.

[…] Alla fine del 1950 il nuovo amministratore Vivanti scriveva a De Vita: «Si è sempre più reso conto di quanto si brancoli nel buio e si spinga l’azienda verso la catastrofe, se non ci comincia a fare sul serio un piano finanziario, affrontando quelli che sono i vari problemi vitali di una casa editrice come la nostra» <1589. Mancavano soldi anche per pagare i collaboratori, scrisse Donini, la questione investiva la nostra stessa politica di alleanze culturali per il futuro» <1590, mentre De Vita definiva la situazione generale della Colip “terremotata” e “allo sbaraglio” <1591.
[…] La direzione editoriale dell’“Universale Economica” fu assunta da Luigi Diemoz, mentre all’assemblea straordinaria della Cooperativa del 26 agosto 1950, dopo i dissidi sorti all’interno del Consiglio d’amministrazione e la trattativa tra la Lega nazionale delle cooperative e la Segreteria, furono nominati nel comitato esecutivo Corrado De Vita, Ambrogio Donini, Sante Massarenti, Felice Platone, Fidia Mengaroni, Giangiacomo Feltrinelli, Vincenzo Franceschelli, Milano Cislaghi, Leonello Raffaelli, Enrico Fantozzi, Giulia Bruschi, Giorgio Mazzola, Massimo Bontempelli e Luigi Russo <1602. L’amministrazione e la redazione della Cooperativa potevano vantare alla fine dell’anno una ventina di collaboratori. Feltrinelli, al principio solo finanziatore “militante” del nuovo progetto culturale del Pci, dal 1950 divenne prima consigliere amministrativo, poi, l’anno successivo, consigliere delegato, affiancato prima da Fiammenghi e poi da Adolfo Occhetto come direttore amministrativo. L’anno successivo fu aperto «un ufficio di rappresentanza editoriale e culturale» a Roma diretto da Dina Bertoni Jovine, su proposta di De Vita <1603.
[…] Alla fine del 1950 De Vita scrisse: «La mia impressione purtroppo è che Feltrinelli tenda a fare della Colip un’azienda personale». Per il presidente si trattava invece di una “nostra creatura” <1608. Alla metà del 1951, terrorizzato all’idea che si aprisse un “caso De Vita” in Segreteria, il presidente era pronto a lasciare, ma non lo fece perché la Colip stava morendo. Feltrinelli aveva già ventilato al partito la disponibilità a rilevare la Cooperativa se il Pci avesse voluto smarcarsi da un’impresa finanziariamente gravosa <1609.
[…] Tra il 1952 e il 1954 le uscite dell’“Universale Economica” raggiunsero i duecento volumi. A beneficiare degli ultimi programmi editoriali della Colip fu la serie letteraria, su cui puntava Togliatti, che in questo triennio si arricchì di una trentina di uscite.
[…] La durata della Colip era fissata in cinquant’anni, ma nel corso di una seduta del consiglio d’amministrazione, il 22 giugno 1954, Feltrinelli rassegnò le dimissioni da consigliere delegato per l’onerosità dell’impresa, fondando la sua personale casa editrice.
[…] Il 21 marzo 1956 la cooperativa fu sciolta e messa in liquidazione. Al 31 dicembre 1955, infatti, la perdita dell’esercizio appena trascorso ammontava all’incirca a nove milioni di lire per un totale di diciotto milioni, superando addirittura il capitale sociale di diciassette milioni e settecentocinquantamila lire <1624. L’appello alla difesa della “sua creatura” lanciato da De Vita del 1951, quando la Colip aveva iniziato a veleggiare in cattive acque, non sortì effetto. Anche secondo Emilio Cecchi si sarebbero potute fare “cose meravigliose” <1625, ma fu una scommessa persa.

[NOTE]
1518 Un editoriale di «Letture per Tutti» si scagliava contro la narrativa d’avventura. Si voleva «arrestare l’epidemia di giornaletti a fumetti, storie false e punto istruttive», per riscoprire le opere di “grandi narratori” come Dickens, Andersen e Melville, libri “sani e sereni”, pieni della «lotta dura e sofferta per la giustizia, per un avvenire migliore», capaci di infondere «fiducia nelle forze dell’uomo, senso ottimistico della vita, solidarietà umana». («Letture per Tutti», n. 2, febbario 1950, p. 10). Cfr. G. Corsini, La questione dei fumetti, in «Rinascita», n. 12, 1951. Contro i settimanali femminili, «che mantiene quella dannata mentalità media, fatta di luoghi comuni reazionari […] che riesce a tenere incatenate ancora milioni di donne», cfr. A.M. Macciocchi, Cinque milioni e mezzo di menzogne a fumetti, in «l’Unità», ed. piemontese, 11 marzo 1950.
1519 A. Cadioli, L’industria del romanzo, cit., p. 131. L’“Universale Economica” fu ricalcata sull’iniziativa del fondatore della Pocket Book della Penguin, Allen Lane, che rilanciò il tascabile economico per rendere accessibile la cultura anche agli strati più indigenti della popolazione non solo attraverso un prezzo di copertina popolare, ma anche nel luogo di acquisto, ossia doveva essere venduto non solo in libreria, ma anche presso esercizi commerciali ed edicole. L’iniziativa comunista si ispirò al progetto di Lane non solo per l’idea di libri a basso prezzo, ma anche per il marchio della collana, un canguro, così come il pinguino era il “brand” della casa editrice inglese, tanto che Donini, preoccupato, chiese a De Vita di brevettare il simbolo dell’“Universale Economica” «per evitare eventuali noie» con l’editrice inglese. (FIG, APC, Fondo Donini, Case editrici, b. 2, Universale economica-De Vita, lettera di Donini a De Vita, 15 giugno 1949). Quando non esplicitamente menzionato, la documentazione citata in questo paragrafo fa riferimento a questo fondo.
1520 ACS, MI, Dip. pubblica sicurezza, Div. Affari Generali, Servizio ordine pubblico 1944-1986, f. 175, Cooperativa Libro Popolare, 21 maggio 1951.
1521 Lettera di De Vita a Donini, 20 luglio 1949.
1522 Edizioni Rinascita. Piano di lavoro, redatto da Manacorda, 28 ottobre 1948, in A. Vittoria, Togliatti e gli intellettuali (1991), cit., Appendice I, pp. 264-266.
1523 Lettera di Donini a De Vita, 22 agosto 1949. Anche Einaudi, in questo periodo stava progettando di entrare nel mercato dell’editoria popolare con la “Piccola Biblioteca scientifico-letteraria che fu lanciata di lì a breve. L’11 gennaio 1949, Sereni scriveva a Pajetta: «ho ricevuto da Einaudi una lettera nella quale m’informa della sua intenzione di iniziare una collana storica popolare, di cui m’invia alcuni titoli. É una cosa che si svolge su di un piano un po’ diverso da quello delle nostre iniziative, ma che va comunque coordinata». (FIG, APC, Fondo Sereni, Corrispondenza scientifica, lettera di Sereni a Pajetta, 11 gennaio 1949).
1540 A. Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, Baldini&Castoldi, Milano 2000, p. 172.
1541 Donini scriveva a De Vita: «C’è molta attesa, qualche dubbio, qualche riserva, ma in complesso grande soddisfazione perché senza la tua attività l’Universale Economica sarebbe ancora oggi allo stato di progetto». (Lettera di Donini a De Vita, 6 giugno 1949).
1542 Lettera di Donini a De Vita, 2 settembre 1949.
1543 FIG, APC, Fondo Mosca, Segreteria, mf. 265, verbale 26 giugno 1950, allegato n. 7: lettera di De Vita alla Segreteria, s.d.
1544 A. Cadioli, Esame di una collana universale, in «Belfagor», n. 6, aprile 1990, pp. 2-20.
1545 «Abbiamo fatto qualche piccolo spostamento – scriveva De Vita a Donini – che mi sono permesso di fare perché non altera affatto, a mio parere, le ragioni che ti hanno indotto a modificare il programma editoriale che avevi trovato deciso. […] Qualora tu fossi di opinione contraria, non hai che a farmelo sapere immediatamente». (Lettera di De Vita a Donini, 2 giugno 1949). «Ogni volta che egli [Titta Rosa] mi prospetta un nuovo autore, un nuovo libro, un cambiamento di programma, lo spingo sempre a mettersi in contatto con te. Ritengo che tu lo debba ascoltare senza però fare dei sostanziali mutamenti al nostro programma editoriale, altrimenti verrebbero meno la mia e la tua autorità, e si correrebbe nuovamente il rischio di alterare il carattere della nostra Universale Economica». (Lettera di De Vita a Donini, 11 luglio 1949).
1553 Il volume, secondo Donini, aveva subito «un vero e proprio rimaneggiamento, che assolutamente non è ammissibile. Dillo a Titta Rosa e a Del Buono. Nella ristampa, che certo non mancherà sarà necessario ristabilire il testo e correggere la traduzione; altrimenti screditiamo la collana di fronte a chi ci guarda già con malevola diffidenza. Se un’opera non va così com’è in generale è meglio lasciarla fuori della collana». (Lettera di Donini a De Vita, 17 giugno 1949). «I gioielli indiscreti – commentò Donini – sono stati veramente una spina per tutti noi, di fronte all’insurrezione dei competenti. Bisognerà rivedere seriamente la distribuzione dei compiti e delle responsabilità per il futuro, se è vero che la colpa è di Del Buono». (Lettera di Donini a De Vita, 22 giugno 1949). «Io penso che convenga far cadere un po’ in oblio il Diderot. Non possiamo, a 15 giorni di distanza, mettere in circolazione un Diderot nuovo. Diecimila lettori avrebbero il diritto di linciarci, sentirsi veramente truffati. D’altra parte mi giungono centinaia di proteste di compagni che deplorano un simile libro, giudicato pornografico, da non potersi portare in famiglia. Lasciamolo cadere. Facciamolo esaurire, e la ristampa fra 4-6 mesi, anche 8 mesi». (Lettera di De Vita a Donini, 11 luglio 1949).
1554 «Titta Rosa tende sempre alla letteratura, ma soprattutto tende a varare libri spesso bell’e fatti di suoi amici e amici autori che hanno bisogno di alleggerire il loro cassetto o di guadagnare qualche ventimila lire. Ritengo quindi che si debbano difendere le posizioni di autorità che abbiamo raggiunto, perché la Biblioteca sia quella che Togliatti giustamente vuole». (Lettera di De Vita a Donini, 11 luglio 1949).
1555 «Io ritengo indispensabile avere qui a Roma una lunga chiacchierata con Titta Rosa al più presto possibile. E’ vero che molti compagni esagerano nelle critiche […]; ma su molte cose io non posso dar loro torto e non ritengo giusto […] che i rapporti con Titta Rosa continuino ad essere condotti su questo terreno di scarsa responsabilità». (Lettera di Donini a De Vita, 16 luglio 1949).
1561 «Domenica mattina sarò a Roma per la Festa dell’Unità. Il carro del Canguro, che ha ottenuto un grande successo alla Festa di Bologna domenica scorsa, dovrebbe trovarsi a Roma nella giornata di venerdì. Ti prego di tenerti al corrente presso Terenzi, poiché mi è sembrato opportuno appoggiare il Canguro al garage dell’Unità, per trovare ospitalità e cure di cui certamente avrà bisogno dopo un così lungo viaggio attraverso l’Italia. Ti prego di cercare anche tu qualche bella ragazza per quelle 5 o 6 di cui il Canguro pretende disponibilità, altrimenti si rifiuta di uscire, e poi se si arrabbia è pur sempre un animale pericoloso». (Lettera di Donini a De Vita, 12 settembre 1949).
1562 Lettera di De Vita a Donini, 6 ottobre 1949.
1576 Ilin, Le montagne e gli uomini; Bogolomec, Come prolungare la vita, Dembowsky, Psicologia delle scimmie, 2 voll., Neciaev, Storia degli elementi chimici.
1577 Lettera di De Vita a Donini, 25 novembre 1949.
1578 D. Bertoni Jovine, Due anni del Canguro, in «l’Unità», 21 aprile 1951.
1579 «Sono seccato da alcune voci catastrofiche sull’andamento finanziario del Canguro, che si sono diffuse a Roma durante la mia malattia, senza che nessuno reagisse; è vero che vi sono delle difficoltà, più gravi all’inizio dell’anno, ma il nostro bilancio sarebbe tutt’altro che in perdita se la diffusione fosse curata meglio e se il Partito pagasse le copie che prende (con i soli debiti che abbiamo con le Federazioni potremmo rimborsare tutti i debiti che noi abbiamo verso terzi). La cosa più grave resta però la diffusione nelle librerie borghesi: c’è una massa di gente che cerca i nostri volumetti e non riesce a trovarli». (Lettera di De Vita a Donini, 21 gennaio 1951).
1580 ACS, MI, Dip. pubblica sicurezza, Div. Affari Generali, Servizio ordine pubblico 1944-1986, f. 175, Cooperativa Libro Popolare, 21 maggio 1951.
1581 «Finiremo, invece, con l’avere i libri di agosto sulla fine di agosto, in considerazione anche che in agosto ci sono le ferie e per di più sono sopravvenute […] restrizioni di energia elettrica. Come, dunque, caro Donini non tenerti sotto pressione? […] Bisogna necessariamente galoppare con l’acqua alla gola. […] Di chi è la colpa? Né mia, né tua, e diciamo neppure di Platone. Ad ogni modo, per l’avvenire bisogna assolutamente migliorare tutta l’organizzazione e soprattutto bisogna riuscire a stabilire un programma redazionale che non subisca continui mutamenti di programma. […] Ti prego però di metterti nei miei panni e di far comprendere a tutti i compagni, che si interessano dell’impresa, quanto complesso sia il nostro lavoro, in quale situazione lavoriamo, senza locali, e senza personale, in quale ristrettezza finanziarie siamo, come non ci è stata una sufficiente preparazione, né poteva esserci, essendo tutti partiti col programma di realizzare subito qualcosa di concreto, per lavorare quindi sopra una realtà da sviluppare e perfezionare, e non sullo sviluppo e sul perfezionamento di progetti chiusi nei cassetti. […] I compagni che sanno ciò devono far opera di persuasione presso i compagni che, comodamente in poltrona dovrebbero oggi sentire esclusivamente tutta la gioia di potersi leggere uno dei nostri volumetti senza neanche aver pagato le 100 lire, perché o compagni che si lamentano sono quelli cui noi li abbiamo inviati in omaggio».
1589 Lettera di De Vita a Donini, 20 dicembre 1950.
1590 Lettera di Donini a De Vita, 12 dicembre 1950.
1591 Lettera di De Vita a Donini, 5 giugno 1951.
1602 A. Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, cit., p. 173.
1603 Lettera di De Vita a Pajetta, 30 maggio 1950; lettera di Donini a De Vita, 3 giugno 1950; lettera di De Vita a Donini, 12 giugno 1950.
1608 Lettera di De Vita a Donini, 2 gennaio 1951. «C’è un uomo da allontanare o da mettere con la testa a posto. E si farà. Feltrinelli mi ha detto ieri che “chi mette i soldi ha diritto di fare a suo modo”. […] Aggiunge: “Sempre poi rispondendo al Partito”. Mio silenzio. […] Egli è un ragazzo, incoerente, irruente, pettegolo, presuntuoso e donnicciola che fa cadere le braccia. Io sorrido, lo consiglio, lui le combina più grosse. […] Pasticci li crea lui dietro a Fiammenghi, pasticci che sono oltre tutto vergognose ingiustizie, ingiustizie che a un Rizzoli rinfacceremmo dieci volte sui nostri giornali. Ed io, il direttore di un giornale democratico, non posso che arrossire e cercare di riparare perché si deve evitare ogni scandalo sotto le elezioni». (Lettera di De Vita a Donini, 19 maggio 1951).
1609 «Sarei più soddisfatto se, dopo la nostra riunione, […] il Feltrinelli […] non avesse ancora una volta ripetuto lo slogan da lui tanto preferito, che se le cose non dovessero andare il Partito potrebbe lasciare a lui come vuole, anche se questo dovesse significare che il partito si disinteresserebbe della Colip. Queste sue parole sono cadute nel silenzio di tutti, e te le ripeto solo perché tu sia al corrente di tutto e sappia quali sono state sempre le intime aspirazioni di Feltrinelli, e quali sono in parte tuttora». (Lettera di De Vita a Donini, 6 luglio 1951).
1624 A. Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, cit., p. 174.
1625 Lettera di Diemoz a Donini, 22 aprile 1950.
Elisa Rogante, «Un libro per ogni compagno». Case editrici e politiche per la lettura del partito comunista italiano (1944-1956), Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2015