20 settembre 1943: si forma la “banda del monte Cucco”

Annibale Giachetti “Danda” – Fonte: DocBi Centro Studi Biellesi

L’annuncio delle dimissioni di Mussolini e dell’incarico di formare un nuovo governo affidato dal re al Maresciallo Pietro Badoglio viene trasmesso alla radio alle ore 22 e 45 del 25 luglio 1943.
A Biella non sono molti quelli che lo captano: in quella calda domenica di fine luglio il termometro ha raggiunto (e superato) i 32 gradi, inducendo la gran parte dei residenti in città a rifugiarsi sulle zone collinari e montuose circostanti, o lungo le rive del lago di Viverone, per trovare un po’ di sollievo all’afa opprimente.
Il rientro alle proprie case avviene solo in tarda serata e così «la più parte dei cittadini – scriverà nel 1966 su “Eco di Biella” Rodolfo De Bernardi – se ne era andata a letto senza ancor nulla conoscere di quanto era avvenuto a Roma, dopo la riunione del Grande Consiglio, e di quanto in proposito la radio aveva diffuso nel suo comunicato straordinario».
La notizia, «inattesa e sorprendente», non sfugge però all’attenzione dei fascisti locali: «[…] un redattore de “il Popolo Biellese” Luigi Pralavorio – prosegue la testimonianza del giornalista biellese – aveva chiamato al telefono il redattore capo del giornale [lo stesso De Bernardi] per metterlo al corrente dell’accaduto. Seguirono subito alcune telefonate a Torino […] e, verso le 22 [l’ora indicata è chiaramente errata, dal momento che il comunicato radio fu diramato alle 22 e 45: è probabile che si trattasse delle ore 23], un convegno alla caserma dei Carabinieri, nell’ufficio del Capitano Crimi, presenti il Segretario del Fascio, dr. Lino Bubani, il vice segretario Carlo Borsano, il Commissario di P. S. dr. Marocco».
I dirigenti fascisti vengono informati dell’esistenza di un piano di emergenza per la tutela dell’ordine pubblico, che sarebbe entrato in vigore durante la notte e della cui esecuzione è stato incaricato il colonnello Guido Maffei, comandante del presidio militare cittadino.
Durante la riunione interviene telefonicamente il prefetto di Vercelli Giuseppe Murino, il quale invita il segretario del fascio Bubani «a continuare nelle mansioni di tutti i giorni, senza, tuttavia, adottare iniziative personali per ciò che si riferiva all’annunciato cambio della guardia nel Governo d’Italia»; a proposito del giornale fascista “Il Popolo Biellese”, la cui uscita è prevista per il giorno dopo, lunedì 26 luglio, il funzionario governativo consiglia di limitarsi alla pubblicazione dei comunicati ufficiali, astenendosi dall’aggiungere commenti («[…] non erano invece poste limitazioni di sorta alle cronache di sempre, a quelle sportive, di vita cittadina e delle vallate») […] Più specificamente dedicato alle reazioni verificatesi nel Biellese alla notizia dell’armistizio è invece un breve resoconto della rubrica “Cronaca cittadina”, nelle pagine interne del giornale: «La notizia che il Maresciallo Badoglio aveva chiesto l’armistizio e che questo era stato firmato è corsa rapidissima mercoledì sera in tutta la città e in tutto il Biellese. Sebbene la fine della guerra sia in cima ad ogni pensiero per tutta la popolazione che l’ha subita senza sentirla, tuttavia la grave notizia fu accolta con un sentimento complesso di sollievo nel pensiero dei combattenti, ma di accoramento per la sventura che nella Patria obbligata a cedere perché ormai senz’armi colpisce tutti noi. E in tutti era l’ansioso pensiero del domani, delle prove che ci attendono prima di raggiungere la pace e oltre la pace. Nonostante tutto ciò il popolo biellese ha accolto la notizia con fortezza e con serenità, unita alla più alta speranza di riabbracciare presto i congiunti, i fratelli combattenti, e riprendere con loro le vie del pacifico lavoro e della ricostruzione. Né mercoledì sera né ieri non si ebbero dimostrazioni pubbliche di alcun rilievo, anche se ieri le vie della città sono state più affollate del solito perché la massa degli operai non si è presentata al lavoro. La gran parte dei negozi però erano aperti e nelle aziende minori si è lavorato. Nessun incidente di rilievo ha turbato l’ordine, a cui hanno sorvegliato le truppe del Presidio, Carabinieri e Fanti, fatti spesso oggetto alle dimostrazioni cordiali della popolazione. Stamane si va riprendendo dappertutto la solita attività».
Frammenti di Storia Biellese

Arrivai a casa, a Tollegno [in provincia di Biella], l’11 settembre 1943 dopo una rocambolesca fuga
da una caserma situata alla periferia di Bologna, dove ero stato condotto dai tedeschi che avevano sorpreso e catturato il reparto militare di cui facevo parte. L’indomani incontrai nella via principale del paese Franco Moranino, che era stato liberato dalle carceri fasciste di Castelfranco Emilia il mese prima. Ci abbracciammo, lieti di ritrovarci dopo quasi tre anni […] Chissà perché mi venne in mente la più stupida, la più incosciente, la più assurda delle risposte: “E già! Come al Pian del Versc!” Dopo qualche attimo Moranino mi strabiliò, dicendo trionfante: “Proprio così: hai capito bene”. […] Rimasto solo, riprese in me il tremore e la vista parve di nuovo annebbiarsi. Cercai quale nesso poteva avere la mia sortita del Pian del Versc (Piano dello storto) col fatto di aver capito cosa intendesse dire Franco. Infatti quel riferimento non poteva avere senso, giacché quella località, un piccolo piano boschivo poco lontano dal paese, era per noi, negli anni dell’adolescenza, il luogo frequentato per la raccolta dei mirtilli, oppure per giocare a guardie e ladri e qualche volta alla guerra con bastoni a mo’ di spada e fucili; allora emergevano nascoste doti nel predisporre fantasiosi schieramenti, trucchi e sorprese. Franco era in gamba ad organizzare questi giochi ed amava dirigerli […] All’indomani arrivai a casa sua con Vittorio Moranino, della classe 1922, e
quasi contemporaneamente, non senza stupore, vidi arrivare i comuni amici tollegnesi: Isidoro Zanchi, della classe 1920, Mario Cafasso, della classe 1920, Filippo Miscioscia, della classe 1921 e Giacomo Canepa, della classe 1922. Tutti ex militari sbandati […] Piano piano comprendiamo cosa Franco intende spiegare e ci sentiamo entusiasti. Veniamo a sapere che da ogni vallata delle Alpi, saliranno in montagna giovani ex militari e si formeranno “bande partigiane”, con lo scopo, prima di tutto, di adottare l’unica alternativa per evitare la cattura e dunque salvare la pelle per opporsi con le armi (ma quali e come?) ai tedeschi ed alla milizia fascista che rialzerà la testa. Saremo volontari, niente affatto inquadrati militarmente. Perciò più nulla a che fare con ufficiali traditori e niente disciplina da “naia”, ma autocoscienza di comportamento e libertà di discutere su tutte le scelte da fare, compresa quella dei comandanti, che verranno eletti in base al riconoscimento di meriti e sostituiti ogni qual volta non dovessero corrispondere alla fiducia concessa […] Facendo apparire alcuni foglietti, passò a dire: “Ora si tratta di avvisare altri giovani ex militari di Tollegno, vostri amici che si trovano nella vostra stessa condizione di sbandamento: ognuno di voi scelga chi può avvicinare, a ciascuno spieghi cosa si intende fare e limitatevi, per ora, a riceverne consenso o meno, evitando di far conoscere i nominativi di chi sarà disponibile.
Nessuno deve conoscere il nome di altri” […] Sapevo solo, con certezza, che avrei dovuto lasciare
la mia casa, senza spiegazioni a papà, trasferitosi da tempo a Venaria Reale per lavorare, cosa che mi avrebbe impedito di essere d’aiuto ed assistenza alla mamma, tra l’altro già affetta da una grave forma di artrosi, che la limitava non poco nelle faccende di casa. Nemmeno con mia sorella Licia avrei potuto confidarmi, pur sapendo che non avrebbe tardato a scoprire ogni cosa, visto che lavorava alla Filatura […] Franco mi aveva ammaliato? No di certo, ma convinto sì. Aveva parlato di “bande partigiane”, di cacciata dei tedeschi dall’Italia, di lotta per la libertà degli italiani ed io ero invitato a fare la parte di un protagonista. Il mio pensiero andò ai giorni del 25 luglio, alla caduta di Mussolini. Allora ero di leva nei bersaglieri. Eravamo scesi da Castel del Rio (paesino dell’Appennino tosco-emiliano) sino a Faenza e nostro compito era stato quello di presidiare edifici pubblici e palazzi privati che si pensava dovessero avere protezione. Da chi proprio non lo sapevo. Fu comunque in quella cittadina che prese forma in me la sensazione che tutto avrebbe dovuto cambiare: per noi, per la gente, per l’Italia […] Alle 5 del mattino del 9, arrivarono i tedeschi: erano pochissimi, con un piccolo carro armato, ma bastarono. Ci fecero uscire ed unire ad una colonna di prigionieri. Marciammo sino a raggiungere una grossa caserma di artiglieria situata appena fuori centro città. Eravamo migliaia ed occupavamo i grossi cortili e le stalle. C’era di tutto: bersaglieri, artiglieri, fanti, genieri, a dimostrare che Bologna era caduta in mano ai “tuder”, da alleati del “patto d’acciaio” diventati nemici. Dunque, catturati dai tedeschi e sorvegliati a vista, con le armi puntate. Noi tanti disarmati e prigionieri, loro duri e truci, nostri padroni […] I due torinesi erano spaventatissimi, ma come me determinati a scappare. Attraverso le stalle arrivammo di corsa sotto ad un muraglione di cinta. La sentinella tedesca posta in una delle torrette ci avrebbe sicuramente visto se non fossimo stati bloccati dalla voce imperiosa di un allievo ufficiale d’artiglieria. Capì le nostre intenzioni e ci fece comprendere che dovevamo chetarci, star fermi e dargli retta. Ci guidò verso una botola situata proprio sotto le mura, al riparo dalla vista dei guardiani, e ci invitò ad entrarvi e a scendere. Scendemmo, lui per ultimo […] Dopo ore di cammino per le campagne ed un provvidenziale passaggio a bordo di un camioncino, arrivammo nella mattinata del 10, in vista di Modena. L’allievo ufficiale conosceva naturalmente ormai ogni luogo e ne fummo avvantaggiati.
Ci diede ancora alcune raccomandazioni e ci dividemmo […] Cosa non fecero i ferrovieri in quei giorni per aiutare e porre in salvo gli ex militari sbandati! Quelli del nostro treno si preoccuparono di attuare fermate fuori stazione o di proseguire lentissimamente per permettere la discesa dai vagoni. Arrivati nelle vicinanze di Torino fecero correre la voce d’allarme che a “Porta Nuova” c’erano militari fascisti. Ormai si avanzava a passo d’uomo e fu possibile scendere e dileguarsi nei campi […] In pochi giorni prendemmo contatti con diversi amici e alla sera del 20, in un prato incolto della frazione Bazzera, ci potemmo trovare all’appuntamento […] In testa, davanti a tutti, Franco Moranino e ad intervalli nella fila altri che conoscevamo poco ma che sapevamo antifascisti reduci dalle prigioni mussoliniane e che sarebbero diventati i grandi organizzatori della Resistenza biellese: Quinto Antonietti, Anello Poma, Mario Mancini, Alberto Livorno e Luciano Sereno. Annibale GiachettiDanda” in

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 15 dicembre 1943 cit. infra – Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

VERCELLI – Il 2 corrente circa 40 ribelli armati hanno inutilizzato il telefono e sparato raffiche di mitraglia e lanciato bombe… Risulta ucciso il Cps. della Milizia Linda Leandro. Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 15 dicembre 1943, p. 4,  Fondazione Luigi Micheletti   

[ Enrico Pagano, direttore del menzionato Istituto, afferma nella citata pubblicazione nel 2010:
Annibale Giachetti “Danda” fu uno dei più importanti protagonisti della Resistenza locale, al comando della 50a brigata Garibaldi “Edis Valle”, inquadrata nella XII divisione “Nedo”, che operò nel Biellese orientale e nella baraggia. Un ruolo, quello di comandante, scaturito da un percorso di formazione sul campo che lo vide tra i primi organizzatori delle bande partigiane, al seguito di Francesco Moranino “Gemisto”, da Tollegno al monte Cucco e poi all’alpe Piana di Postua, dove insieme fondarono il distaccamento “Pisacane”, primo nucleo della divisione partigiana che sarebbe stata intitolata a Piero Pajetta “Nedo”, combattente per la libertà in Spagna e poi nel Biellese, dove divenne comandante della 2a brigata d’assalto Garibaldi “Biella”, comprendente i sei distaccamenti della Resistenza biellese e il distaccamento valsesiano “Gramsci”. ]

Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 dicembre 1943 cit. infra – Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Vercelli – La sera del 6 corrente un gruppo di circa 20 ribelli si è presentato allo Stabilimento Fratelli Garlanda in Frazione Falcero, ottenendo il rifornimento di farina, coperte, ecc. – Successivamente, presso la stazione di Vallemosso, incontrati due militi della Finanza ne uccidevano uno e ne ferivano gravemente un altro. – Poi si davano alla campagna. – Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 dicembre 1943, p. 2Fondazione Luigi Micheletti   

Il capo della provincia Morsero, di fronte al preoccupante aggravamento della situazione nella provincia e in particolare nel Biellese e in Valsesia (dove operano le formazioni guidate da Vincenzo “Cino” Moscatelli) invia con sempre maggior insistenza al Ministero dell’Interno, al Comando Generale dei Carabinieri e a quello della Milizia (la Guardia nazionale repubblicana di Renato Ricci) richieste di nuovi contingenti di militari e di carabinieri.
Il 13 dicembre [1943] il capo della provincia si rivolge anche al comando militare tedesco di Vercelli, che però si mostra evasivo in merito ad un possibile intervento delle sue truppe, come lo stesso Morsero lamenterà qualche giorno dopo in un fonogramma inviato al ministro dell’interno della Rsi Guido Buffarini Guidi.
Rinfrancati dalle azioni compiute e dalla trascurabile reazione dell’autorità, affidata per la gran parte a questurini e carabinieri (questi ultimi sospettati dagli stessi fascisti di essere troppo poco legati alla causa della Repubblica Sociale) e decisi ad appoggiare le rivendicazioni che gli operai delle fabbriche biellesi stanno portando avanti in campo salariale, i distaccamenti partigiani decidono di sostenere gli scioperi che già sono scoppiati negli stabilimenti di Crevacuore, Pray e Coggiola e di organizzarne altri in tutto il Biellese per il 21 dicembre 1943.
Frammenti di Storia Biellese

Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 30 dicembre 1943 cit. infra – Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

[…] Alagna Sesia – Il 17 dicembre una trentina di ribelli si recavano nella caserma dei carabinieri ed asportavano armi e munizioni. Trivero – Il 18 corr. un centinaio di ribelli hanno assalito la caserma dei carabinieri e li ha disarmati. I carabinieri non hanno reagito […] Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 30 dicembre 1943, p. 5Fondazione Luigi Micheletti   

Dicembre 1943: iniziano le azioni contro i “ribelli”
Le azioni partigiane, gli scioperi, le rappresaglie
La documentazione conservata nel fascicolo “Dicembre 1943: inizio azioni contro i ribelli”, del Gabinetto riservato della Prefettura repubblicana di Vercelli, integrata con alcuni documenti dei fascicoli “Richiesta di rinforzi e novità al Ministero” e “Rapporti col Comando Tedesco”, della stessa serie, ci fornisce un quadro assai significativo della situazione degli organismi periferici della Repubblica sociale italiana nella sua fase iniziale e dei primi, feroci e infruttuosi, tentativi di stroncare il “ribellismo”.
Il capo della provincia Michele Morsero, inviato dal governo mussoliniano, era giunto a Vercelli il 25 ottobre e si era subito impegnato energicamente per ricostituire il “fascio” e, man mano che gli giungevano segnalazioni di azioni partigiane, per prendere le necessarie misure contro un fenomeno che lo preoccupava […]
21 dicembre […]
Notizie ed avvertimenti
I ribelli sono riuniti in diverse bande. La Banda che opera nella zona di Borgosesia è al Comando del comunista Moscatelli. Non tutti i gruppi sono collegati. Ad oggi, secondo le informazioni più o meno attendibili, i gruppi operanti avevano quasi sempre una forza oscillante tra i 10 ed i 70 uomini. Solo a Crevacuore si è detto essere circa 250.
Alcuni gruppi di ribelli si dice avrebbero il Comando e si raccoglierebbero nelle seguenti località: Zona Cima Cucco (circa 300) – Zona di Oropa (Monte Mucrone) – Moncerchio (vi dovrebbe essere la banda di Moscatelli di Borgosesia) – Zona Cellio, Breja (dorsale Sesia, Lago d’Orta) – nella cascina Campanile nei pressi di Monte S. Maria (sic) si riunirebbero dei ribelli, così in una villa di un industriale biellese, nei pressi di S. Paolo Cervo vi era o vi è ancora un comando di ribelli.
In generale essi si rifugiano nella zona montana del Biellese e della Valsesia, zone che si prestano molto ad imboscate e ad occultamenti.
Sono discretamente riforniti di viveri, molto bene di denaro.
Sono per lo più bene armati. Qualche reparto pare abbia anche dei cannoni.
Le bande sono composte di elementi eterogenei (ex militari, comunisti, prigionieri angloamericani tra i quali qualche ufficiale inglese, giovani del 24-25) […]
Francesco Moranino (Gemisto). Nato il 6 febbraio 1920 a Tollegno, ivi residente, impiegato della Gioventù italiana del littorio. Il 18 gennaio 1941 fu arrestato in seguito alla scoperta del gruppo antifascista “Gomirc” (Gruppo operai movimento italiano rivoluzionario comunista) che aveva costituito. Deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, l’8 aprile fu condannato a dodici anni di reclusione, a sei mesi di arresto, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla libertà vigilata. Fu detenuto a Civitavecchia (Rm) e a Castelfranco Emilia (Mo). Scarcerato il 26 agosto 1943, dopo l’8 settembre fu uno dei primi organizzatori del movimento di liberazione nel Biellese. Comandante del distaccamento “Pisacane”, poi della 50a brigata d’assalto Garibaldi “Nedo” e successivamente commissario politico della XII divisione, fu una delle figure più note della Resistenza. Dopo la Liberazione ricoprì incarichi nel Partito comunista […]
(a cura di) Piero Ambrosio, I “meravigliosi” legionari. Storie di fascismo e Resistenza in provincia di Vercelli, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, 2015

Nei giorni successivi all’8 settembre 1943 si sviluppò in tutta la provincia di Vercelli una vasta opera di solidarietà verso gli ex prigionieri di guerra alleati e verso i militari dell’esercito italiano sbandati (alcuni avviati ai valichi alpini verso la Svizzera, altri nascosti da famiglie contadine). Da treni in sosta alle stazioni di Santhià e di Vercelli vennero fatti fuggire soldati prigionieri dei tedeschi che stavano per essere deportati in Germania e furono costituiti in varie località comitati per l’assistenza agli sbandati. Alcuni di questi soldati decisero di prendere parte alla lotta contro i nazifascisti nelle formazioni partigiane.
Intanto si gettavano le basi degli organismi che sarebbero diventati i Comitati di Liberazione: a Biella era operante da alcuni mesi il Fronte Nazionale Antifascista, a Varallo si costituì il Comitato Valsesiano di Resistenza.
I primi Distaccamenti partigiani dedicarono i mesi autunnali all’organizzazione, all’approvvigionamento delle armi, delle munizioni e dei viveri e all’apprestamento di alcune basi in montagna. All’inizio si dovette, soprattutto nel Biellese, fare i conti con le posizioni attendiste di alcuni ufficiali dell’Esercito, ma ben presto la situazione mutò radicalmente e i Distaccamenti partigiani iniziarono le prime azioni contro le caserme dei Carabinieri e contro i presidi fascisti.
La prima vera azione di guerra ebbe luogo a Varallo dove, il 2 dicembre 1943, i garibaldini del Distaccamento Gramsci, comandato da Vincenzo Moscatelli (nome di battaglia Cino), attaccarono un contingente di camicie nere accasermato nel Municipio; i fascisti ebbero un morto, i partigiani alcuni feriti. Pochi giorni dopo, il 10 dicembre, i garibaldini biellesi attaccarono i fascisti che stavano deportando alcuni operai colpevoli di avere organizzato uno sciopero alla Filatura di Tollegno. Queste azioni furono la premessa di un deciso intervento dei partigiani in appoggio agli scioperi che si svilupparono in Valsessera a partire dal 15 dicembre, e che sfociarono nello sciopero generale delle maestranze del Biellese e della Valsesia.
Le azioni partigiane e gli scioperi richiamarono l’attenzione delle autorità della Repubblica di Salò su quanto stava avvenendo in queste zone. I ripetuti appelli del capo della provincia, Michele Morsero, tendenti a ottenere contingenti di Carabinieri, dell’Esercito o della costituenda Guardia Nazionale Repubblicana ebbero risposta; infatti venne inviato a Vercelli, e successivamente in Valsesia e nel Biellese, il 63° Battaglione Tagliamento che si rese responsabile di efferati massacri, incendi, saccheggi fin dai primi giorni della sua attività nella provincia.
Il 22 dicembre a Borgosesia furono trucidati, dopo una notte di torture, dieci collaboratori del movimento partigiano (tra essi l’ex podestà di Varallo, l’industriale Giuseppe Osella e un quindicenne, Mario Canova). Altri fucilati, per rappresaglia o semplicemente per intimidire la popolazione, si ebbero a Crevacuore, Cossato e Valle Mosso. A Biella, sempre il 22 dicembre, i tedeschi fucilarono cinque civili e due partigiani (uno riuscì a salvarsi).
Il 15 gennaio 1944 si costituì la Brigata Garibaldi Biella, la seconda d’Italia, formata dai sei Distaccamenti biellesi e dal distaccamento valsesiano. Il 18 febbraio, quest’ultimo, notevolmente ingrossatosi, costituì la 6^ Brigata garibaldina.
I primi mesi del 1944 furono contrassegnati da continui attacchi e rastrellamenti di tedeschi e fascisti per distruggere le unità partigiane, che erano riuscite perfino a occupare paesi, come nel caso di Postua.
Il 19 gennaio iniziò il primo grande rastrellamento contro le formazioni valsesiane, dislocate nella zona del Monte Briasco, che riuscirono a filtrare attraverso le maglie dell’accerchiamento e a ricongiungersi, stabilendo la nuova sede nell’alta Val Mastallone e il comando a Rimella. I fascisti sfogarono l’ira incendiando baite e razziando bestiame.
Il 20 febbraio, dopo alcuni rapidi attacchi nelle valli dell’Elvo, del Cervo e in Valsessera, i nazifascisti svilupparono un attacco in forze contro i distaccamenti biellesi, che ebbero undici morti, per lo più fucilati dopo la cattura, e diversi feriti. Pochi giorni dopo, il 24, cadde il comandante della Brigata, Piero Pajetta (nome di battaglia Nedo).
I Distaccamenti uscirono assai provati dai combattimenti ma mantennero la loro coesione. Venne deciso lo spostamento a Rassa in Valsesia per riorganizzare le forze. Qui però il 12 marzo le formazioni biellesi furono investite da un nuovo rastrellamento che costò la vita a diciotto partigiani. Le pietre raccontano


Dopo l’8 settembre Vincenzo Moscatelli, detto Cino, è tra i promotori del Comitato valsesiano di Resistenza (il futuro Cln) e svolge subito, impegnando tutti i suoi risparmi, un’intensa attività per l’organizzazione degli sbandati e della guerriglia. Si rifugia con i primi “fuorilegge” sul monte Briasco, organizzando azioni con Eraldo Gastone (Ciro). La sua formazione diventa nel corso dei mesi la 6^ brigata garibaldina in Italia. Grazie all’afflusso di nuovi combattenti, nell’estate del 1944 Moscatelli e Gastone arrivano a costituire una divisione. Nei mesi successivi, con la creazione di una divisione anche nell’Ossola, viene istituito il raggruppamento delle divisioni garibaldine della Valsesia-Ossola-Cusio-Verbano, di cui Moscatelli è commissario politico fino alla Liberazione e Gastone il comandante militare. Nell’aprile 1945 le brigate garibaldine di Cino e Ciro sono 12, inquadrate in 4 divisioni composte complessivamente da circa 3.000 uomini.
La figura di Moscatelli diventa leggendaria. Egli cerca di stabilire rapporti proficui di collaborazione con tutte le componenti sociali: nelle sue formazioni combattono fianco a fianco uomini di ogni corrente politica e di ogni fede religiosa, ex militari sbandati, ufficiali del dissolto regio esercito, monarchici, giovani di leva, vecchi antifascisti, e ottiene larghi appoggi del clero locale. Nell’ottobre del 1944 fonda e dirige il periodico «La Stella Alpina», organo del raggruppamento garibaldino, che raggiunge una tiratura di migliaia di copie.
Nell’aprile 1945 le formazioni di Moscatelli partecipano alla liberazione di Novara e Milano. Per i meriti acquisiti nella lotta partigiana, Moscatelli viene congedato con il grado di tenente colonnello e gli sono conferite la Medaglia d’argento al valor militare e due croci al merito di guerra. Dopo la Liberazione è designato sindaco di Novara dal Cln. È eletto deputato alla Costituente nelle liste del Pci e ricopre durante il terzo governo De Gasperi (2 maggio/31-5 1947) la carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l’assistenza ai reduci e ai partigiani. Nel 1948, quarantenne, entra al Senato come membro di diritto, e successivamente fa parte della Commissione difesa. Nel 1953 è eletto deputato per la circoscrizione di Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì, nel 1958 per quella di Torino-Novara-Vercelli.
Chiara Lusuardi, Leggere la Resistenza con la stampa clandestina. Alcuni esempi in Redazione, Stampa clandestina, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, 2017