3 stellette su fondo rosso il comandante di Brigata

Fonte: Unione Monregalese art. cit. infra
Fonte: Istituto Nazionale Ferruccio Parri

Nella provincia di Cuneo, tra la fine del ’43 e l’inizio del ’44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l’eroe di Boves, Piero Cosa e Francesco Ravinale, ufficiali dell’ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell’area alpina […] Situazione ancora peggiore si presenta in val Casotto, che “Mauri” stesso si accorge fin da subito essere indifendibile, in quanto i nemici possono giungere da ogni dove. Ed è proprio qui che si consuma la tragedia più grande del gruppo di militari, che con più di 1000 uomini da armare e coordinare (giunti dopo la scadenza del bando di leva nel febbraio) non riescono a respingere l’attacco tedesco. Inoltre, non avendo predisposto un ripiegamento generale, organizzato su piccoli gruppi, la maggior parte dei partigiani viene chiusa in una morsa dai tedeschi senza avere via di scampo. Si conteranno più di 100 morti e lo sfaldamento completo delle bande. Circa un mese dopo, anche i partigiani della val Pesio subiscono un rastrellamento della Wehrmacht, che li costringerà a passare in val Tanaro.
Giampaolo De Luca,
Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

[…] 10 Settembre [1943]   L’alta valle del torrente Casotto, situata a ponente della città di Garessio, oltre il colle omonimo, accoglie con grande generosità i soldati delle disciolte armate italiane del Piemonte, del Veneto, della Lombardia e della Francia. Sono uomini stanchi da lunghe giornate di cammino, stremati di forze per privazione di nutrimento, scalzi, laceri, e sopratutto demoralizzati per l’abbandono in cui furono lasciati. Miseranda fine del già vittorioso e potente esercito di Vittorio Veneto! tutti ricevono la più confortevole ospitalità presso ogni famiglia; si fermano un giorno, una notte per ristorarsi, poi si sciolgono, sfuggendo all’esercito tedesco, per raggiungere le loro case. Pochi si fermano nel]a Valle. Costituiranno l’avanguardia del primo gruppo di patrioti che, sorretto dalla generosità e dalla fiducia della popolazione, darà principio ad un’epopea ricca di fede, di eroismi e di sangue. 13 Settembre   La sera del 13 settembre arrivano in Valle da Torino i primi tre partigiani che si uniscono ai suddetti sbandati. Sono Lulli, Robioli e Marco. Il giorno dopo arriva Carlo Andriano da Mondovì col carabiniere Rinaldi Giovanni da Cherasco; il giorno venti giungono parecchi altri ancora e prendono stanza al cascinale Biula della tenuta Baldracco. Sono sprovvisti di tutto: cibarie e indumenti sono offerti dalla popolazione, e fin dai primi giorni trovano validissimo appoggio nel proprietario dell’ex Castello Reale. In quei giorni i tedeschi fanno una puntata in Val Tanaro, ma tosto si ritirano.
23 Settembre   Arriva il Colonnello Rossi (Ceschi), seguito il giorno dopo da Gaglietto, Italo Cordero, Colantuoni, i quali con Lulli, Piero Manzo, Ghigliano Renzo, Cornazzani Ugo ed altri, sosterranno una lunga e durissima lotta intrecciata di vittorie e di sconfitte, di gioie e dolori fino al giorno della liberazione. Il Comando del gruppo dei partigiani è assunto da Rossi, colonnello di Stato Maggiore, uomo di vasta coltura e consumato nella perizia dell’arte militare. E’ coadiuvato nel disimpegno del suo non facile lavoro di inquadramento dal carabiniere Gaglietto. Arriva il tenente Siri: incomincia a delinearsi il principio dell’organizzazione. Gaglietto che risiederà sempre alla trattoria «Cantina Nuova», alloga nella frazione Borgne la caserma dei Carabinieri, di cui assume il comando Franco (Cesare Baricalla), carabiniere. La squadra che era al cascinale «Biula» passa al Rifugio della Navonera al comando di Lulli; due squadre numericamente minori, prendono stanza al «Baraccone»e l’altra nella casa parrocchiale di nuova costruzione. La Cappella di S. Rocco e adibita a deposito di armi e munizioni. Il servizio sanitario e assunto dal partigiano Dott. Brosio di Pamparato.
10 Ottobre   In tutto il mese e continuo l’arrivo di armi, munizioni, viveri e materiale di casermaggio, di cui i più audaci riescono a impossessarsi facendo irruzione nei magazzini di Mondovì, Ceva e Fossano. Gli addetti alla pericolosa impresa sono: Taranti, Vittorio Tedeschi, Bo Emilio ed altri. Da Garessio, l’industriale Roberto Lepetit, nobilissima figura di patriota, manda alcuni autocarri di derrate alimentari con medicinali. L’arrivo di partigiani cresce di giorno in giorno: sono uomini di ogni idea politica, operai, contadini, professionisti, marinai.
23 Ottobre   Si danno convegno a Valcasotto le maggiori personalità intellettuali del Piemonte e della Liguria aderenti al movimento partigiano di resistenza. Nella storica adunanza, tenutasi il giorno 24 alla «Trattoria Croce Rossa», i rappresentanti dei C.L.N. regionali, persone dotate di coraggio, di elevato ingegno e di soda penetrazione politica, unanimi deliberano di favorire e sostenere con ogni mezzo morale e materiale il Gruppo partigiano della Valle. A quella riunione prende parte il Comando partigiano, che vede confermata e potenziata col più entusiastico plauso la sua opera, e ne prende incitamento- per continuare a svolgerla con costante tenacia. Uno solo era il fine: cacciare il tedesco e conseguire la libertà da tanti anni compressa. Tra i partecipanti al convegno, che tutti per ingegno e indipendenza di carattere ancora onorano la nostra generazione, ricordiamo: Gener. Gius. Perotti, presidente, fucilato a Torino il 6-4-1944; Colonn. Rossi (Ceschi), relatore militare; Avv. Guido Verzone, relatore agli effetti civili; Dott. Prof. Cesare Rotta, relatore agli effetti logisti; Geometra Giuseppe Galliano, indicatore tattico; Avv. Cristoforo Astengo, fucilato a Savona il 27-12-1943;  Avv. Tancredi Galimberti, trucidato a Cuneo il 2-12-1944; Dottor Antonino Rèpaci, attualmente Pubblico Ministero alla Corte d’ Assise Straordinaria a Cuneo; Sig. Gerolamo Damilano, da Cuneo. Di molti altri ci sfugge il nome. Tra coloro che accompagnavano il colonn. Rossi, notiamo i carabinieri Gaglietto e Franco, come rappresentanti il Comando partigiano. Il nome di Valcasotto diventa simbolo di un vasto movimento »pro aris et focis»e penetra in ogni famiglia dalle alpi alle più lontane regioni liguri. I primi elementi delle forze che si chiameranno poi «1° Gruppo Divisioni Alpine» e che hanno dato un apporto risolutivo alla guerra di liberazione nazionale, ebbero la loro culla a Valcasotto e il loro riconoscimento ufficiale il 24 ottobre 1943.
27 Ottobre   Il colonnello Rossi, coadiuvato da Gaglietto e dal maresciallo dei Carabinieri Branca, con abilità e tatto compone un dissidio di natura politica scoppiato tra la squadra della Navonera e il Comando. Provenienti da Peveragno, accompagnati da quel parroco Don Giuseppe Ravera, arrivano quattro ebrei di origine polacca, due uomini già avanzati negli anni, e due giovani sposi Aronne Gottlich e Ruth. La popolazione è larga di ospitalità con tutti.
4 Novembre   Vengono ad aggregarsi a questo Gruppo di partigiani alcuni ufficiali serbi, già prigionieri all’Hotel Miramonti di Garessio, e lasciati liberi dopo il 25 luglio; sono gentiluomini e godono, come i partigiani, la simpatia della popolazione. Ne riportiamo i nomi: Elia U. Radonik, capitano di 1a classe, comandante; Petko Mari Janovic; Demitrizr Ceratlic; Mihailo Rovacevic, Cvetkovnic Deginür, capitano di 2a classe; Bozo Kenjic, tenente; Bozo Vakicevic, tenente; Branislav Milanovic, s. tenente; Movac Viceliic, tenente; Dragutin J. Lasic, capit. 1a classe, aiutante maggiore. Tra di.essi è un medico, Dottor Constantinovic Nicolaiev, che adibì la casa canonica, ove abitava a prima infermeria del Gruppo partigiano. Arrivano Bruno Madella e Antonio Sciolla (Reno): Madella reduce dalla campagna di Grecia, e sergente dei bersaglieri, un ottimo elemento, retto, attivo. Sciolla ha subito il comando di una squadra col grado di tenente; e di una volontà ferrea, non cede dinanzi ad alcun ostacolo, e audacissimo. Vi e anche il buon Ritano Ferdinando di Mondovì, il soldato ideale, di una vita intemerata, ispirata e vissuta con-forme ai sublimi ideali di religione e patria.
10 Novembre   Le azioni di disturbo al nemico, già frequentissime dai primi di ottobre, continuano ininterrottamente; i posti di blocco nemici sono sempre in allarme, il transito delle truppe tedesche per la nazionale Ceva-S. Michele-Mondovì e pericoloso. Il 1° novembre Italo Cordero con un altro partigiano fermano presso Lesegno un autocarro con rimorchio carico di sessanta fusti di benzina, destinati all’aeroporto nemico di Savona. Disarmano i due conducenti e li obbligano a dirigersi a Valcasotto, ove arrivano tutti in serata. Gaglietto, in assenza di Rossi, fa accompagnare i due tedeschi alla Navonera in custodia a quella squadra; la benzina è portata quasi tutta a Roburent «cascina Turris », pochi fusti restano nella Cappella di S. Rocco. Autocarro e rimorchio vengono condotti presso Niella Tanaro e colà abbandonati, dopo averli resi inservibili.
Nella notte del 14 novembre, in seguito ad incidente automobilistico, rimane ucciso il carabiniere Rinaldi Giovanni di Cherasco.
18 Novembre   La staffetta Andriano, che dall’opera di recupero di materiale era passato al servizio segreto di informazioni, con recapito in Mondovì presso Denina «Casa del Caffè», comunica al Comando che si prevede prossimo un attacco tedesco. L’informazione era esatta. Tutte le squadre sono in allarme. Incomincia oggi a nevicare e continuerà ininterrottamente fino al 21. Il 20 sera i tedeschi sono a Roburent in numero rilevante; prendono come ostaggi le sorelle Gabriella e Gemma Galliano di Vittorio in luogo dello zio geometra Giuseppe Galliano, partigiano notissimo e segnalato dall’Ovra; e le figlie del tenente colonn. Andrea Magliano, Maria Teresa professoressa in lettere e Carmen in luogo del padre. Tutte vengono condotte a Cuneo, ma rilasciate fortunatamente in libertà dopo tre giorni. Il giorno dopo i tedeschi arrivano a Pamparato con grande apparato di forze e prendono ostaggi Paolo Rubino e il maresciallo dei carabinieri Branca, che portano a Roburent; l’abbondantissima nevicata aveva impedito agli invasori di inoltrarsi nella stretta gola della Valle, ma il momento è quanto mai grave. Nel frattempo un proclama tedesco, affisso ovunque, minaccia la distruzione, con bombardamento aereo, di tutti i centri abitati, da S. Michele fino al Castello di Casotto, se i partigiani non accettano le dure condizioni imposte da quel Comando Le popolazioni minacciate vivono ore di terrore e di angoscia per il timore di trovarsi da un momento all’altro senza casa, senza viveri, con morti e feriti nel cuore dell’inverno. I partigiani non potevano assolutamente resistere alla strapotenza delle armi e degli armati tedeschi, ed occorreva pure evitare la distruzione di tanti fiorenti paesi. Il tenente Taranti, come comandante responsabile del Gruppo dei partigiani della Valle, si presenta al colonnello tedesco in Pamparato e accetta le dure condizioni. L’attuazione pratica di queste non era però cosa facile, e particolarmente laboriosa fu la restituzione dei due prigionieri, che si poté finalmente effettuare nelle primissime ore del giorno 22: notte insonne quella e di angoscia per tante famiglie che vegliavano temendo della loro sorte. Il bombardamento fu così evitato e gli ostaggi Rubino e Branca sono rilasciati. Certamente l’atto del tenente Taranti, senza pretesa di indagare le sue intenzioni, fu coraggioso ed audace. Il Gruppo di patrioti si sciolse solo apparentemente; la maggior parte di essi porta con sé armi,munizioni e coperte; molti passano in Val Vaudagna, ove erano altri partigiani. Restano a Valcasotto Gaglietto e una ventina di uomini. Naturalmente non tutti gli uomini che si accoglievano nel Gruppo erano buoni, ma non era possibile impedire ciò.
23 Novembre  In seguito alla distruzione del Rifugio della Navonera. avvenuta oggi, giusta le condizioni imposte, i tedeschi si ritirano da Pamparato e da Roburent. Ritornano il colonnello Rossi e Siri; da questa data fino al nuovo anno essi compariranno a Valcasotto solo saltuariamente. Una quindicina di patrioti si impegnano di scendere a Mondovì e Fossano per assumere la mansione di tutela dell’ordine pubblico. Loro compito apparente era quello di collaborare con l’esercito invasore; compito vero, effettivo era quello di organizzare, in stretta cooperazione con i rimasti in Valle, colpi di mano, trafugando armi, munizioni e viveri. Questo compito verrà pienamente effettuato, poiché spedizioni di armi e viveri furono fatte con i più ingegnosi stratagemmi, e, non solo per i patrioti di Valcasotto, ma anche per quelli di Valle Ellero. Tra gli altri si distinsero in questa non facile opera i patrioti Gonella, Bottoli, Moletti, Rossi, Ghigliano, Bimbo, Gerbino. Chi sarà l’anima del Gruppo rimasto a Valcasotto che a poco a poco si riorganizza e cresce di numero, è il carabiniere Gaglietto. Dopo il 15 dicembre Taranti non fu più visto a Valcasotto e non si ebbero più notizie di lui.  Parroco Don Emidio Ferraris, Appunti (Alla memoria dei miei diletti parrocchiani), in Comune di Pamparato (CN)

La VI divisione Garibaldi Langhe, con il suo organico, il suo territorio di competenza, la sua prassi, ecc ne ha fatta di strada prima di giungere alla sua definitiva definizione. E in mezzo a questo processo ci sono i fatti della guerra, le morti dei compagni, i cambi di comandante, i cambi di settore. Ci sono i rapporti con le altre formazioni. Queste, in quanto insieme organizzato di uomini conuno scopo ultimo comune, si possono considerare a tutti gli effetti «organizzazioni politiche». In quanto tali, possiedono un ordinamento e fanno parte di una struttura gerarchica di potere che dal CLN giunge fino alle bande. Seguono regole comuni di azione e di condotta. Esercitano la loro funzione in un determinato territorio e agiscono seguendo direttive generali, ma sono dotate anche di una certa autonomia di azione. Le direttive generali provengono dagli organi centrali, mentre il raggio della loro autonomia è determinato dalle circostanze particolari nelle quali si trovano ad operare. […] Tra il 13 e il 14 novembre [1944] vengono sbaragliate le formazioni maurine, che per sopravvivere si dividono e da Murazzano raggiungono Feisoglio, zona della VI divisione Garibaldi. Qui vengono riorganizzati gli sbandati, ma pochi giorni dopo i partigiani sono costretti a lasciare le posizioni, perché un nuovo rastrellamento lungo il Belbo e la Bormida chiude in un cerchio i partigiani. La 16ª brigata, che ha perso temporaneamente il suo comandante perché ferito, subisce lo sbandamento più grave, mentre la zona occupata da “Mauri” è stata saccheggiata dai nazifascisti di «grano, vino, bestiame ecc.» è…] Qualche tempo prima di quel cambiamento il comandante della 78ª, “Primo”, era stato richiamato dall’ispettore della VI divisione, “Andreis”, per aver fortemente “politicizzato” la sua brigata, estremizzandone alcuni aspetti esteriori. “Andreis”, dopo un primo incontro,sembrava riportarlo a un atteggiamento più moderato <Ha compreso il carattere della nostra lotta e dopo aver cambiato il nome della Brigata da “Stella Rossa” in “Devic” […] è già riuscito a modificare esteriormente ed internamente il carattere della sua Brigata> Probabilmente è proprio per tali ragioni che la brigata cambia denominazione. Ragioni politiche, dunque, motivano la scelta del nome, ma ad esse sono da aggiungere motivi dicarattere pratico. Il nome di una brigata, riferendosi a un universo culturale ben definito,è anche un marchio che richiama l’attenzione di determinati gruppi o singoli piuttostoche di altri. La 78ª, ad esempio, nominandosi “Stella Rossa”, aveva come scopo quello di distinguersi politicamente dal resto delle formazioni e, all’interno delle Garibaldi, quello di sottolineare un carattere più intransigente. Rinominando la brigata – e soprattutto depurandola da segni esteriori di chiara marca comunista – “Andreis” era riuscito nell’intento di rendere più “appetibile” l’ingresso nella brigata da parte di elementi non politicizzati.[…] Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013

La “concorrenza partigiana” era invece determinata dalle voci, veridiche ma gonfiatesi a dismisura passando di bocca in bocca, dell’esistenza di un solido nucleo di resistenza militare attestato in Val Casotto, non lontano da Mondovì. Non furono pochi i savonesi che, fino al marzo del ’44, accorsero lassù lasciando i pochi ribelli della provincia ligure, tanto più che si vociferava di migliaia di militari italiani del Regio Esercito con armi pesanti e regolari rifornimenti aerei, comandati da ufficiali alleati. La realtà era meno rosea, e più d’uno ne fece le spese, come i vadesi fratelli Valvassura, Domenico, fucilato a Mellea di Fossano il 29 dicembre 1943, ed Enrico, ucciso a Ceva il 27 marzo 1944 <61.
61 cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, p. 84. Vedi ad esempio la testimonianza di Mario Savoini “Benzolo” in id., Cosa è rimasto. Memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, pp. 39-66
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 1999/2000

A partire dai primi di marzo [1944] iniziò infatti una generale offensiva tedesca che investì tutte le aree partigiane dell’Italia settentrionale e centrale. I reparti che nell’Alessandrino ed in Liguria avevano  fino ad allora provveduto al mantenimento della sicurezza nelle retrovie – Feldgendarmerie, polizia, GNR – si rivelarono inadeguati ad eseguire i rastrellamenti necessari. Il problema delle forze poteva facilmente essere risolto nel settore d’operazione lungo la Riviera sottraendo per brevi periodi di tempo i reparti necessari alla difesa costiera […] All’interno della zona di operazione era stata costituita una fascia della profondità di circa 30 chilometri nella quale erano le divisioni stesse a farsi carico – su ordine dei comandi superiori d’armata o di corpo d’armata ed in collaborazione con le truppe territoriali e con le forze di polizia – della repressione antipartigiana. Nel suo settore nord-occidentale la linea seguiva, grossomodo, il confine amministrativo tra le province del Piemonte e della Liguria e comprendeva la valle del Tanaro da Case di Nava a Ceva […] Fu qui dove si svolsero i principali rastrellamenti messi in atto in quest’area da reparti della 356^ divisione in collaborazione con le forze della RSI: a marzo in val Casotto nel Cuneese […] Carlo Gentile, La Wermacht tra il Mar Ligure e il Po. Difesa costiera e repressione antipartigiana, in Quaderni di Storia Contemporanea, 17/18, 1995

Fonte: Unione Monregalese art. cit. infra

Fu un’estate movimentata e violenta, quella del ‘44, con un susseguirsi d’azioni clamorose e di rappresaglie, di paure e di crescenti difficoltà negli approvvigionamenti.
A Mondovì il commissario prefettizio Annibale Monferino insistette con un probo cittadino, Michelangelo Pellegrino, scultore ed esperto di problemi amministrativi, per averlo come suo vice. Pellegrino accettò infine per tentare d’alleviare qualcuno dei problemi contingenti insieme ad un comitato di volenterosi e ad un altro comitato nato su impulso del geometra Silvio Manfredi, per offrire una mensa ad anziani e operai. Pure l’Eca, la “San Vincenzo”, le Dame di Carità si adoperarono fra mille ristrettezze ad aiutare i più bisognosi a sopravvivere. Intanto, dopo lo choc degli arresti e delle deportazioni, piccoli nuclei di partiti democratici si radunavano nella clandestinità fra cautele e pericoli.
Paesi in fiamme
La notte del 4 luglio saltarono i ponti di Farigliano e Clavesana, e l’audace Lulù, con un pugno d’Autonomi e di Garibaldini, liberò dal carcere di Fossano un centinaio di detenuti. Immediata si scatenò la spedizione punitiva con una colonna che tentò di salire a Murazzano, ma a Belvedere incappò in un fuoco di sbarramento e fu costretta a ripiegare. Allora la rabbia dei tedeschi si sfogò su Piozzo e Farigliano con incendi di case, l’uccisione di due civili e la cattura di 224 ostaggi. Poi toccò a Carrù, dove gli ostaggi furono una trentina, e i partigiani morti in un agguato addirittura sette: tre dei Carleveri e quattro di Breolungi. Il 6 luglio, nuovo attacco in Langa sia da Carrù sia dalla Pedaggera, con tiro concentrato su Roccaciglié, di dove Italo Cordero e i suoi dovettero fuggire prima verso il Tanaro poi in val Casotto e, di lì, in Liguria (Cordero non aveva mai nascosto le sue perplessità sulla scelta delle colline langhesi come teatro della guerriglia). Via Cordero, il Distaccamento passò agli ordini di Lello Monaco.
[…] Nell’estate 1944 le bande partigiane, rimpolpate di nuovi venuti, sembravano controllare le valli e tenere sotto tiro la città e la pianura; sicché i nazifascisti erano decisi a tutto pur di “debellare il banditismo”, ristabilire i presidii nei paesi, l’ordine pubblico, la sicurezza sulle strade. A tale scopo, in appoggio alla Guardia Repubblicana, furono costituite le Brigate Nere; ma lo sparuto squadrismo cuneese riuscì a mettere insieme, per la Brigata Lidònnici, solo 146 uomini sui 250 previsti. Per la lotta anti-partigiana in provincia dovettero giungere di fuori le Divisioni San Marco e Monte Rosa, oltre a reparti dei Cacciatori degli Appennini. Nel timore ricorrente di uno sbarco alleato in Liguria, giunse poi anche nell’entroterra la 34ª Divisione tedesca del gen. Lieb, reduce dalla Russia. Attaccata da partigiani di vari gruppi mentre risaliva la val Tanaro, la 34ª di Lieb si vendicò specie su Pievetta (18 civili e 55 case bruciate) e su Garessio (200 ostaggi, di cui 5 fucilati e 50 avviati in Germania con altri 43 di Bagnasco, Priola e Nucetto, che in parte riuscirono a fuggire).
[…] La breve cattura di Mauri aveva, tra l’altro, evidenziato l’opportunità di disporre di prigionieri di spicco per eventuali scambi, e le Volanti si scatenarono per procurarsene. Così la III Divisione Alpi mise gli occhi su due toscani esponenti del Fascio repubblicano a Mondovì: l’ing. Andrea Nicoli, direttore della PCE, e Osvaldo Pollastri, direttore della Richard Ginori di Carassone. Ma quest’ultimo restò ucciso nel tentativo maldestro dei catturatori, e l’altro, avvisato in tempo, reagì e li mise in fuga. Di qui la vendetta del Comando tedesco con la fucilazione, la domenica mattina 6 agosto in piazza Maggiore, del capitano genovese Cesare Jemini e del manovale trinitese Giuseppe Curti, catturati due settimane prima a Fontane. Orrore e pietà sulla piazza tra la gente che usciva da Messa grande. Ma la lotta non poteva concedersi soste: nei suoi ritmi impietosi, comportò anzi un’intensificazione di imboscate, sabotaggi e ritorsioni un po’ ovunque. Il 18 agosto a Carrù Gildo Milano fece fuori tre ufficiali tedeschi, e il paese fu minacciato d’incendio, ma fu salvato in extremis dall’intervento del piozzese Arduino. Pochi giorni dopo, Castellino fu di nuovo assalito in due riprese, e la Brigata di Cesale dovette arretrare fino a Ciglié, mentre da Castellino, Igliano, Torresina salivano bagliori di incendi e spari sui civili.
Anche quelli della III Divisione Alpi furono attaccati, ma non cessarono le azioni e le puntate delle Volanti: a Beinette, Pianfei, Peveragno, ai Gandolfi di Monastero Vasco, alla galleria del Santuario. E in una val Casotto ancora spaurita e diffidente dopo la cruenta battaglia di marzo, si fece sentire la IV Divisione di Aceto, Vanni e Gaglietto; e così in val Mongia e in val Tanaro, su a Viozene.
Redazione, Mondovì e il Monregalese in lotta per la libertà, Unione Monregalese, 21 aprile 2015

Fonte: Istituto Nazionale Ferruccio Parri

STELLA TRICOLORE, Giornale dei Garibaldini della VI^ Divisione “Langhe”, giornale che esce ad Alba nel periodo della libera repubblica partigiana (10 ottobre – 2 novembre 1944) come organo della 6. divisione Garibaldi “Langhe”. Il primo numero, costituito da quattro pagine, è datato 29 ottobre 1944. Seguono altri quattro numeri tra il 15 novembre 1944 e il 6 maggio 1945. A partire dal numero 3 (31 gennaio 1945), stampato presso la tipografia Casarico di Dogliani, la testata assume come sottotitolo la dicitura “Periodico delle Brigate Garibaldi nelle Langhe”. Gli ultimi due numeri, di sei pagine ciascuno, figurano a cura del Commissariato del Raggruppamento divisioni d’assalto Garibaldi delle Langhe. Numerosi sono i collaboratori del giornale, appartenenti perlopiù ai comandi della 6ª e della 14ª divisione. Tra gli autori degli articoli figurano infatti Marco Fiorina (Kin), Massimo Tani (Max), Giovanni Latilla (Nanni), Domenico Ballarino (Nico), Giuseppe Guerra (Remo), Celestino Ombra (Tino), Arturo Besson (Trentin), Giuseppe Berra (Andrea), Piero Maria Zoccola (Martin), Mario De’ Cavero (Pablo), che firma alcuni componimenti poetici, e Giordano Bruno Sclavo (Jim). Una parte degli scritti di quest’ultimo risulta pubblicata in anticipo su “Il Compagno”, giornale del distaccamento “Giovanni” della 16ª brigata Garibaldi “Generale Perotti”. La testata, il cui titolo allude simbolicamente all’unità nazionale di matrice risorgimentale, si propone di presentare un’immagine ideale delle formazioni garibaldine all’interno di un contesto resistenziale unitario. Trovano inoltre spazio riferimenti alla quotidianità della vita partigiana, tratti dai giornali murali di alcuni distaccamenti, interventi di formazione politica, ricordi di caduti e contributi sulla Francia redatti da Bernard Spiegelmann (Metz) ed Eugène Bazin (Bazin).
Bibliografia:
Pablo (Mario De’ Cavero), …e brillarono fuochi sui monti… (Poesie partigiane, quadri e favole satiriche), Roggero & Tortia, Torino s.d. [post 1945].
Renzo Amedeo, Giornali, partigiani e non, durante e intorno all’occupazione di Alba, in Alba libera, Atti del convegno di studi «La libera repubblica di Alba, 10 ottobre – 2 novembre 1944», Città di Alba, Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia, Alba, 1985, pp. 87-88.
Mario Giovana, Guerriglia e mondo contadino. I Garibaldini nelle Langhe 1943-1945, Cappelli, Bologna, pp. 221-222.
Tommaso Salzotti, Francesco Vissio, un tipografo-editore: dalla stampa locale alla stampa clandestina, “Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia”, dicembre 1990, n. 38, p. 46.
Marta Bonzanini (a cura di), Con le armi e con la penna. Poesia clandestina della Resistenza, Interlinea edizioni, Novara 2009, pp. 85-86.

Sottotitoli del periodico: giornale dei garibaldini della 6. Divisione; periodico delle brigate Garibaldi nelle Langhe

Andrea D’Arrigo, Stella Tricolore, Istituto Nazionale Ferruccio Parri

Il primo ottobre ‘44 i Cacciatori si scontrarono con partigiani a Breolungi, e il col. Languasco fece prelevare ostaggi minacciando di distruggere la frazione. Lo fermarono il vescovo e il prevosto di Breo, don Roatta, che favorirono una trattativa e a sera ottennero il rilascio di tutti. Il 6 di quel mese, due camion di uomini della val Ellero partiti da Prea scesero in pieno giorno a Mondovì per rifornirsi di sale e di nafta: un’avventura spavalda che destò sorpresa e applausi dalle finestre, e fruttò anche un ostaggio, un tenente in divisa del Regio Esercito. Inseguiti da colpi di mitraglia e di mortaio, i partigiani se ne tornarono in valle, ma gli abitanti di via Beccaria che li avevano applauditi passarono ore d’angoscia. Fatti scendere tutti in strada, interrogati, catalogati e minacciati di fucilazione, furono infine lasciati liberi sotto condizione: nulla doveva accadere all’ufficiale catturato, se no… kaputt. Una beffa e uno spavento che si meritarono una citazione da Radio Londra.
23 giorni di libertà per Alba
Quell’autunno, mentre gli Alleati risalivano faticosamente la penisola, i partigiani di Mauri facevano di Alba una libera Repubblica, sia pure per soli 23 giorni, dal 10 ottobre al 3 novembre. Una libertà esaltante ma fragile, perché i fascisti tornarono in forze il giorno dei Morti, sotto la pioggia battente e a difendere Alba, conquistata in duemila, restarono in duecento, come racconta, senza retorica, Beppe Fenoglio. Sei i caduti partigiani, tra cui il monregalese Giovanni Daziano, sei quelli della Repubblica, in quel confronto impari che comunque confermò una presenza e una volontà di riscatto che alla fine sarebbero state vincenti.
[…] Nel tardo autunno 1944, mentre gli Alleati ancora non riuscivano a valicare la linea Gotica, nel nord Italia, e anche nel sud Piemonte, i nazifascisti muovevano in forze contro i partigiani.
Il 27 ottobre il colonnello Languasco, dei “Cacciatori degli Appennini”, annunciò un capillare rastrellamento in Langa, da Alba a Sale Langhe; e in novembre affluirono molte forze per un attacco concentrico. Il comando dell’operazione era a villa Nasi, sull’Altipiano di Mondovì, affidato al generale Lieb, capo della 34.a Divisione tedesca. Una colonna della “34.a” aveva già effettuato rastrellamenti in val Vermenagna, a Boves e Peveragno, ed al suo avvicinarsi a Mondovì era stata contrastata al Morté, fra Lurisia e Chiusa, da uomini della Val Pesio guidati dal ten. Gianni Raineri. Ma la colonna era riuscita a scendere a Roccaforte e poi a ripartire verso Mondovì e la Langa. Altri tedeschi e Cacciatori degli Appennini, Brigate Nere, X Mas si venivano intanto ammassando fra Ceva e Carrù. I partigiani della Langa si apprestarono allora freneticamente alla difesa, con l’aiuto di civili e di materiali aviolanciati. Mauri era allo Sbaranzo, Bogliolo a Marsaglia; sui colli e nei fondovalle tutte le Brigate erano all’erta, mentre i civili tenevano il fiato. Contro i carri armati e le artiglierie pesanti, cos’avrebbero potuto i fucili, le mitraglie, i mortai d’accatto?
Il fuoco nazifascista cominciò nella notte del 12 novembre da Ceva e Lesegno, seguìto il mattino dopo da attacchi durissimi alle postazioni di Torresina e della Pedaggera. Castellino fu cannoneggiata e poi presa da mezzi pesanti e da fanterie. Dalla Pedaggera gli attacchi furono respinti, ma i nazifascisti si assestarono a Niella, Bastia e Stazione di Carrù. Di lì bombardarono Clavesana e i Ghigliani e tentarono più volte, vanamente, di passare il Tanaro.
Gli assalti si ripeterono nei giorni successivi verso Torresina, Castellino, Roccaciglié, mentre dalla zona di Carrù pattuglie protette da carri armati riuscivano a infiltrarsi oltre il fiume per attaccare poi tutto il fronte sfondandolo a Clavesana (e proprio a Marsaglia, il maggiore Temple avrebbe perso la vita ai primi di novembre).
Per evitare l’accerchiamento dei panzer, Mauri e Bogliolo ordinarono allora di ripiegare su Murazzano e Bossolasco, chiedendo a quelli della Pedaggera una strenua copertura. Ma, la sera del 15, Murazzano fu raggiunta dai tedeschi che catturarono 22 ostaggi civili e irruppero anche in quell’ospedale. I feriti – partigiani e prigionieri tedeschi – l’avevano lasciato appena in tempo. Fino alla Pedaggera e a Bossolasco la Langa passò in mani nazifasciste, e Castellino, Marsaglia, Murazzano pagarono duramente l’ospitalità e l’appoggio dato ai partigiani. A Castellino dieci ostaggi furono passati per le armi; il parroco fu arrestato e varie case incendiate. Poi toccò alle valli Belbo e Bormida e al basso Monferrato. Solo allora il grosso degli occupanti tornò a valle lasciando a Belvedere, Murazzano, Marsaglia, Castellino dei presidi che attuarono nuovi rastrellamenti e arresti, spingendo più volte il vescovo Briacca ad accorrere affannato per chiedere più umanità e il rilascio di vari preti fermati, tra cui don Vittorio Corrado.
Il lungo e duro ciclo di rastrellamenti e scontri causò perdite rilevanti in uomini e mezzi e un momentaneo sbandamento delle Brigate Autonome e Garibaldine. Un dramma condiviso con angoscia ma con sostanziale solidarietà dalla gente dei posti, a prezzo di lutti, danni, spaventi. Poi le bande si riformarono e la guerriglia riprese nella Langa innevata.
…poi, in dicembre, tocca alle valli
Dopo le Langhe l’attacco si concentrò sulle valli monregalesi; e ci furono scontri a Casotto, Pamparato, Corsaglia e nelle valli Ellero e Pesio. L’11 dicembre la pressione di tedeschi e repubblicani si fece fortissima dalla val Corsaglia alla Bisalta. Da parte dei “ribelli” si ebbero tentativi di contrastarne l’avanza, ma anche inevitabili ripiegamenti all’insù, verso le cime dei monti. Si cercava di far perdere le tracce sulla neve, tenendo però in qualche modo i collegamenti con le altre bande.
Fu allora che, per dolorosa decisione di quelli della Tura, fu fatto saltare il rifugio Mettolo Castellino, stipato di materiali aviolanciati che non dovevano cadere in mano tedesca. Il 14 dicembre una ventina d’uomini di Mario Bassignana furono circondati alla Balma dai “Cacciatori degli Appennini” e riuscirono a fuggire in pochi, mentre la cappella era in fiamme. Il giorno dopo, gli uomini delle valli Ellero e Corsaglia, premuti da colonne tedesche salite da Fontane e Rastello, ripiegarono verso il Morté occultandosi poi in pianura. Altri del gruppo Comando, sfuggiti ad un’imboscata sotto il Cars, calarono in val Pesio, di dove anche i capi Cosa e Giacosa dovettero fuggire trovando rifugio nel Santuario di S. Lucia a Villanova.
[…] Con i primi sentori di primavera e con gli annunci di una decisa offensiva alleata sulla Linea Gotica, ci fu un intensificarsi di azioni partigiane nelle varie zone. Tra queste, ripetuti sabotaggi di uomini della brigata Castellino a convogli carichi di materiali bellici, e attacchi nel settore Langhe Ovest ad una colonna tedesca che aveva fatto razzie a Trinità (e fu la volta che il sedicenne carrucese Gimmy Curreno fu catturato con due compagni, e poi fucilato a Cuneo in riva al Gesso).
I partigiani volevano preparare e magari precedere la spinta decisiva per la liberazione, e si facevano più incalzanti; ma la loro aggressività costava pesanti contrattacchi e rappresaglie: tre partigiani fucilati a Ceva il 31 marzo; due prigionieri di Farina (Renzo Caviglia e Michele La Salvia) giustiziati il 2 aprile a Mondovì; rastrellamenti l’8 e il 9 aprile tra Castellino e la Pedaggera. Intanto era atterrato sull’improvvisato aeroporto di Vesime il colonnello inglese Stevens con vari ufficiali e con un commando dotato di mortai e di pezzi d’artiglieria. Si avvicinava la fase finale del conflitto, e gli Alleati intendevano svolgervi un ruolo di protagonisti e, insieme, di controllori.
“Fra pochi dì si cala al pian”, si cantava sulla Tura, e gli altri monti facevano eco. Gli occupanti cominciavano a temere la disfatta, ma reagivano accentuando la ferocia.
Redazione, Mondovì e il Monregalese in lotta per la libertà, Unione Monregalese, 21 aprile 2015

1 marzo 1945 – Dal comando della VI^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Langhe”, prot. n° 13, al comando generale – Comunicava che ogni squadra, divisa in due nuclei, era formata da 10-15 uomini; che ogni Distaccamento era formato da 3-5 squadre e la Brigata da 300-400 uomini, e che il valore dei distintivi era il seguente: 3 stellette su fondo rosso indicavano il comandante di Brigata; 3 stellette su fondo verde il commissario di Brigata; 2 stellette su fondo rosso il vice comandante ed il capo di Stato maggiore di Brigata; 2 stellette su fondo verde il vice commissario di Brigata o il commissario di Distaccamento; 1 stelletta su fondo rosso indicava un addetto al comando di Brigata ed 1 stelletta su fondo verde il vice commissario di Distaccamento.

19 marzo 1945 – Dal CLNAI, prot. n° 229, al Comando unificato regionale ligure – Veniva chiesto di attivarsi per la liberazione della signora Lucia Giletta in Marziano, ostaggio dei tedesci a Villa Ober di Sanremo fin dal 9 novembre 1944. La signora era la moglie del patriota colonnello Giuseppe Marziano, capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione “Langhe”.

documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945)” – Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 – 1999

 

Propriamente incentrato sulle culture partigiane è invece un altro lavoro di Borioli, scritto a quattro mani con Botta, in cui si indagano i processi e i caratteri specifici delle bande liguri alessandrine al confine tra la VI zona ligure e la VII piemontese. <21 Un maggiore interesse sul tema sorgerà infine in seguito alla pubblicazione e, soprattutto, alla diffusione degli studi di Santo Peli sulla «Resistenza difficile». <22 Tutti questi lavori, oltre a segnare una ripresa di quegli studi iniziati negli anni Sessanta, tentano di mettere in luce, partendo da una dimensione locale e utilizzando quelle nuove categorie offerte dalla recente storiografia, quegli aspetti che, adottando una prospettiva più ampia, non emergerebbero.
[…] Altri esempi di ricerca ci dimostrano come, partendo da, e alla luce di, un singolo caso si possono analizzare contesti e dinamiche del movimento partigiano, riuscendo a far emergere non solo i rapporti politici ma le complesse, e a volte più significative, relazioni personali tra i singoli protagonisti di quelle vicende. <26
Allo stato attuale della storiografia, uno dei lavori più recenti compiuto nel basso Piemonte è quello di Renosio, Colline partigiane, <27 che concentra la propria attenzione sui rapporti tra mondo contadino e universo partigiano nell’Astigiano, offrendo di quest’ultimo un lucido ritratto, in cui non sono secondari gli aspetti legati alla cultura delle bande e al carattere dei comandanti. Per la zona delle Langhe, dopo il citato lavoro di Giovana, sono mancati negli ultimi anni studi scientifici che abbiano potuto riconsiderare l’intera vicenda della Resistenza alla luce dei progressi compiuti dalla storiografia.
[…] Gli studi compiuti fino ad oggi, seppur notevoli sotto il profilo metodologico e documentario, mancano di una prospettiva complessiva della guerra partigiana nella VI zona operativa. Per esigenze che potremmo definire di ordine storiografico, rimanendo cioè la necessità di creare un quadro generale degli eventi prima di poter sviluppare interpretazioni e analisi sulle vicende particolari, si sono trascurati alcuni aspetti che, una volta definita la traccia, restituiscono ciò che di più caratteristico offre l’intera storia della Resistenza nelle Langhe.
[…] Per le formazioni di nostro interesse l’archivio più completo e fornito è quello dell’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte di Torino. In esso è infatti presente la documentazione prodotta dai gruppi di Enrico Martini “Mauri” nel periodo aprile-giugno ’44 e quella delle formazioni autonome del 1° Gruppo Divisioni Alpine (GDA), quella della VI divisione Garibaldi “Langhe” e parte di quella delle divisioni GL langarole. Pur rappresentando una parte consistente della documentazione di nostro interesse, il materiale acquisito presso l’archivio di Torino non corrisponde a tutto il corpus documentario prodotto dalle singole formazioni oggetto di questo studio.
[NOTE]
21 D. Borioli, R. Botta, I giorni della montagna: otto saggi su partigiani della Pinan-Cichero, Alessandria, 1990
22 Vedi supra
26 M. Storchi, Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La storia di Azor, Aliberti, 2005; C. S. Capogreco, Il piombo e l’argento. La vera storia del partigiano Facio, Donzelli, 2007; P. Pezzino, “Un termine di paragone”, in Piffer T. (a cura di), Porzus. Violenza e resistenza sul confine orientale, Il Mulino, Bologna, 2012
27 M. Renosio, Colline partigiane – Resistenza e comunità contadina nell’Astigiano, Franco Angeli, Milano, 1994
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013