Fossoli, un crocevia fondamentale per la deportazione dall’Italia per opera dei nazisti

Il campo di Fossoli è noto per essere stato il Polizei- und Durchgangslager controllato dalle SS della Sicherheitspolizei und SD in Italia facenti capo a Wilhelm Harster: come tale fu un campo di transito per ebrei e politici in attesa di essere deportati nel Reich e fu attivo dal marzo del 1944 sino ai primi di agosto dello stesso anno, quando la struttura principale di raccolta dei prigionieri destinati alla deportazione divenne il campo di Bolzano <1. La maggior parte dei testi in cui si trovano riferimenti a Fossoli fa terminare ad agosto del 1944 la storia del campo nel periodo bellico <2, una storia peraltro centrale, essendo Fossoli un crocevia fondamentale per la deportazione dall’Italia da cui transitarono numerosi politici e circa un terzo degli ebrei trasferiti nel Reich dalla Penisola <3.
[…] Fossoli, come campo di transito per civili da impiegare come manodopera, funzionò sino alla fine di novembre dello stesso anno <4.
Manca del tutto una ricostruzione delle vicende di Fossoli in questo periodo di tempo che è quanto ci proponiamo di presentare in queste pagine <5.
Le analisi storiografiche condotte sul campo di Fossoli riflettono infatti lo stato degli studi italiani sul tema del trasferimento e dell’impiego nel Reich di manodopera straniera, un tema rimasto a lungo ai margini della ricerca italiana sul periodo dell’occupazione tedesca nella Penisola, a differenza di quanto è avvenuto all’estero <6.
Gli storici che si sono dedicati a studiare le deportazioni dall’Italia hanno concentrato maggiormente l’attenzione sulle vicende dei deportati politici e razziali e in misura minore su quelle degli internati militari <7 e il trasferimento di forza lavoro civile dall’Italia alla Germania fra il 1943 e il 1945 è stato per lo più trascurato <8.
Certo è necessario distinguere fra le diverse esperienze di deportazione, considerando i differenti obiettivi perseguiti dai nazisti, le strutture di internamento, gli apparati responsabili della deportazione, il livello di sofferenze e gli indici di mortalità, ma, tenendo conto dell’importanza che lo sfruttamento della manodopera straniera rivestì per la Germania nazista, per la sua economia di guerra e per i suoi disegni di dominio sul continente europeo, appare opportuna una riflessione sui civili italiani che furono forzatamente trasferiti in Germania come lavoratori in condizioni che corrispondevano «di fatto a una deportazione» <9.
Tale riflessione consente anche di indagare il sistema occupante nazista in Italia, le modalità repressive e di controllo del territorio adottate da tedeschi e fascisti della Rsi fra il 1943 e il 1945 e le violenze perpetrate a danno dei civili e dei partigiani italiani in quel biennio.
Nel corso del lavoro sono emerse, infatti, numerose connessioni fra la cattura di forza lavoro per il Terzo Reich, i rastrellamenti e le operazioni militari condotte contro la Resistenza e le stragi di civili dell’estate-autunno 1944, connessioni che invitano a considerare il reclutamento di manodopera da parte nazista all’interno del contesto più generale in cui fu portato avanti.
In questo senso la ricerca sul centro di raccolta per lavoratori di Fossoli, oltre a costituire un passo in avanti per completare la storia del campo, si inserisce in un quadro più ampio di quello strettamente locale. […]
[NOTE]
1 Prima di passare sotto il controllo del BdS Fossoli fu utilizzato dalla Rsi da dicembre 1943 a febbraio del 1944 come campo di concentramento per ebrei. Enea Biondi – Caterina Liotti – Paola Romagnoli, Il Campo di Fossoli: evoluzione d’uso e trasformazioni, in Giovanni Leoni (a cura di), Trentacinque progetti per Fossoli, Milano, Electa, 1990; Anna Maria Ori, Il Campo di Fossoli. Da campo di prigionia e deportazione a luogo di memoria 1942-2004, Fondazione Ex Campo Fossoli, 2004; Liliana Picciotto, L’alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Milano, Mondadori, 2010; relativamente alle vicende del campo di prigionia per soldati del Commonwealth in funzione prima dell’8 settembre 1943 si veda infra il saggio di Marco Minardi; per il cosiddetto “campo vecchio” gestito dalla Repubblica sociale da marzo a luglio del 1944 cfr. infra il lavoro di Rossella Ropa.
2 Si vedano la rassegna bibliografica di Simone Duranti in Simone Duranti – Letizia Ferri Caselli (a cura di), Leggere Fossoli. Una bibliografia, introduzione di Luciano Casali ed Enzo Collotti, La Spezia, Edizioni Giacché, 2000 e dello stesso Duranti, Il campo di concentramento di Fossoli di Carpi: percezione, ricordo e significato attraverso la sistemazione degli scritti raccolti nella bibliografia, in Giovanna Procacci – Lorenzo Bertucelli (a cura di), Deportazione e internamento militare in Germania. La provincia di Modena, Milano, Edizioni Unicopli, 2001.
3 Cfr. Luciano Casali, La deportazione dall’Italia. Fossoli di Carpi, in Spostamenti di popolazione e deportazioni in Europa. 1939-1945, Bologna, Cappelli, 1987; Enzo Collotti, Introduzione, in Giovanni Leoni (a cura di), Trentacinque progetti per Fossoli, cit., p. 13; Giuseppe Mayda, Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich, introduzione di Nicola Tranfaglia, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 161-165 e 232-233. Brunello Mantelli, Deportazione dall’Italia (aspetti generali), in Enzo Collotti – Renato Sandri – Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, Storia e geografia della Liberazione, Torino, Einaudi, 2000, pp.
134-136, evidenzia come dei 25 trasporti di deportati politici e razziali partiti dall’Italia fra il dicembre 1943 e l’agosto 1944 ben 7 ebbero origine a Fossoli. Si veda anche Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai Lager nazisti. I «trasporti» dei deportati 1943-1945, prefazione di Daniele Jalla, Consiglio Regionale del Piemonte – ANED, Milano, Franco Angeli, 1994. Sugli ebrei il lavoro più completo e aggiornato è Liliana Picciotto, L’alba ci colse come un tradimento, cit.
4 Luciano Casali, La deportazione dall’Italia, cit., pp. 390-391; Enea Biondi – Caterina Liotti – Paola Romagnoli, Il Campo di Fossoli, cit., p. 45; Roberta Gibertoni – Annalisa Melodi, Il Campo di Fossoli e il Museo Monumento al deportato di Carpi, in Tristano Matta (a cura di), Un percorso della memoria. Guida ai luoghi della violenza nazista e fascista in Italia, Milano, Electa, 1996, pp. 103-104; Anna Maria Ori, Il Campo di Fossoli, cit., pp. 45-46.
5 Il lavoro di cui qui si dà conto fa parte di un più ampio progetto sui rastrellamenti di manodopera nell’estate-autunno 1944 nelle regioni attraversate dal passaggio del fronte condotto da chi scrive presso l’Università di Bologna.
6 Rinviamo a Roberta Mira, Razzie di uomini per il lavoro nella Germania nazista. Una messa a punto sul caso italiano, in «Italia contemporanea», n. 266, 2012.
7 Per la deportazione politica e razziale cfr. Federico Cereja – Brunello Mantelli (a cura di), La deportazione nei campi di sterminio nazisti. Studi e testimonianze, Milano, FrancoAngeli, 1986; Anna Bravo – Daniele Jalla (a cura di), La vita offesa. Storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti, Milano, FrancoAngeli, 1986; Anna Bravo – Daniele Jalla (a cura di), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall’Italia 1944-1993, Milano, FrancoAngeli, 1994; Brunello Mantelli, Deportazione dall’Italia, cit. e Liliana Picciotto, Deportazione razziale: la persecuzione antiebraica in Italia, 1943-45, in Enzo Collotti – Renato Sandri – Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, cit.; Giuseppe Mayda, Storia della deportazione dall’Italia; Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia 1943-1945, Milano, Mursia, 2002 (nuova ed. rivista e accresciuta); Giovanna D’Amico – Brunello Mantelli (a cura di), I campi di sterminio nazisti. Storia, memoria, storiografia, Milano, FrancoAngeli, 2003; Bruno Maida – Brunello Mantelli (a cura di), Otto lezioni sulla deportazione. Dall’Italia ai Lager, Milano, Aned, 2007; Il libro dei deportati, Ricerca del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino diretta da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia promossa da Aned-Associazione nazionale ex deportati, 3 voll., Milano, Mursia, 2009-2010. Sono a disposizione degli studiosi anche diversi lavori su singole aree. Sugli internati militari, Istituto storico della Resistenza in Piemonte (a cura di), Una storia di tutti. Prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale, Milano, FrancoAngeli, 1989, Nicola Labanca (a cura di), Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945), Firenze, Le Lettere, 1992, Gerhard Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich (1943-1945). Traditi disprezzati dimenticati, Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, 1992, Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2004.
8 Fanno eccezione Enzo Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945. Studio e documenti, Milano, Lerici, 1963; Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1993 (ed. or. 1993); Id., Il trasferimento coatto di civili al lavoro forzato in Germania: alcune considerazioni, in «Storia e problemi contemporanei», 32, 2003; dello stesso Klinkhammer alcuni interventi su singole zone. Fra i contributi di Brunello Mantelli ricordiamo: L’arruolamento di civili italiani come manodopera per il Terzo Reich dopo l’8 settembre 1943, in Nicola Labanca (a cura di), Fra sterminio e sfruttamento, cit.; I lavoratori italiani trasferiti in Germania dal 1938 al 1945: un tema dimenticato, in Anna Lisa Carlotti (a cura di), Italia 1939-1945. Storia e memoria, prefazione di Franco Della Peruta, Milano, Vita e Pensiero, 1996; Gli italiani in Germania 1938-1945. Un universo complesso e ricco di sfumature, in Giovanna Procacci – Lorenzo Bertucelli (a cura di), Deportazione e internamento militare, cit. Cfr. anche Falk Wiesemann, Italienische Arbeitskräfte im nationalsozialistischen Deutschland, in «Annali della facoltà di lettere dell’Università di Napoli», n. 25, 1984. In precedenza si era occupato della questione anche Antonio Gibelli, Les travailleurs italiens et l’économie de guerre allemande dans le programme du «Nouvel ordre européen» de Hitler (1939-1945), in «Studia historiae oeconomicæ», VIII, 1973; Id., Il reclutamento di manodopera nella provincia di Genova per il lavoro in Germania (1940-1945), in «Il Movimento di Liberazione in Italia», nn. 99-100, 1970.
9 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 387.
Roberta Mira, Il campo di Fossoli e il reclutamento di forza lavoro per la Germania nazista, Fondazione Fossoli, 2019

Dopo la Liberazione di Roma l’occupazione nazista si inasprisce anche nei territori lontani dal fronte. Nel giugno del 1944 i detenuti del Campo di Fossoli percepiscono il peggioramento del loro scenario bellico: il 21 giugno 1944 sono deportati in Germania due gruppi di prigionieri politici, mentre ventiquattro ore dopo Leopoldo Gasparotto viene portato fuori dal Campo e ucciso con armi da fuoco. Il 25 giugno 1944 un attentato partigiano alla ferrovia provoca la fucilazione per rappresaglia di sei antifascisti e convince i tedeschi che Fossoli non sia più un luogo di concentramento sicuro. La sera dell’11 luglio 1944 il Comandante del Campo Karl Titho fa leggere un elenco di 71 uomini che devono partire per la Germania, ma le dinamiche dell’appello, le misure di sicurezza e la scomparsa di un gruppo di ebrei inducono i politici più accorti a temere il peggio. Durante la notte le SS comunicano a uno dei selezionati di non partire: gli ostaggi diventano 70 e, ben prima dell’alba del 12 luglio, vengono radunati per la partenza. Teresio Olivelli riesce a nascondersi, ma i 69 rimanenti sono divisi in tre gruppi e lasciano il campo a bordo di un camion che prende la via del Poligono di tiro di Cibeno. Una fossa scavata dai prigionieri ebrei attende le vittime del plotone d’esecuzione. Il primo gruppo di ostaggi non crea problemi ai tedeschi, ma nel secondo accade la sorpresa: Mario Fasoli ed Eugenio Jemina riescono a fuggire mentre i militari uccidono sommariamente gli altri prigionieri per evitare il caos. Per evitare problemi, gli uomini del terzo gruppo sono condotti al Poligono in manette. All’appello mattutino del 12 luglio 1944 tutto è già compiuto: la fossa comune viene nascosta e neppure l’intervento del vescovo di Carpi consente ai parenti degli uccisi di recuperare le salme. I comandi tedeschi di Modena e Carpi tacciono: a Genova la fucilazione è annunciata come rappresaglia per un attentato partigiano, ma appare probabile che i nazisti volessero liberarsi dei prigionieri scomodi in vista dell’imminente liquidazione del Campo di Fossoli, che dal 4-5 agosto 1944 diventa solo un luogo di passaggio per lavoratori da internare in Germania.
Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

All’alba del 12 luglio 1944, 69 internati nel campo di concentramento per politici di Fossoli sono portati in tre gruppi al Poligono di tiro di Cibeno e lì 67 saranno fucilati mentre due riusciranno a fuggire. La barbara azione è fatta per rappresaglia verso l’uccisione a Genova di 7 militari tedeschi, così si dice nella sentenza letta poco prima dell’uccisione. Una motivazione che mostra però troppe incongruenze rispetto l’ usuale strategia messa in campo dai nazifascisti in circostanze simili: di tempo, perché l’attentato ai militari tedeschi avviene molti giorni prima; di luogo, perché gli episodi coinvolgono due comunità molto distanti tra loro; di scopo, perché si fa di tutto per occultare la strage, la violenza e i corpi dei giustiziati non sono esibiti, ma caparbiamente occultati.
Perché loro? Per quale motivo la scelta è ricaduta proprio su quei nomi? Pochi giorni prima, il 22 di giugno, Leopoldo Gasparotto era stato ucciso poco fuori il campo. Dopo questo fatto, diranno gli stessi internati nelle loro testimonianze, il clima cambiò radicalmente in un crescendo di intimidazioni e violenze, fino a giungere alla strage del 12 luglio del 1944.
Gasparotto era un rappresentante di spicco dell’antifascismo, tra i 67 uccisi al Poligono molti erano esponenti importanti della resistenza, diversi per formazione, ideologie, orientamento politico ma accomunati nella lotta al nazifascismo. Tutto questo deve farci dubitare che la strage sia stata solo un’azione di rappresaglia. Erano i migliori, dicono di loro i compagni di prigionia: anche rinchiusi, dopo aver subito la durezza del carcere, la difficile prova della tortura, pur vivendo nella incertezza continua della loro sorte, non avevano ceduto sostenuti dalla fiducia nel cambiamento possibile della realtà.
Difficile credere che la scelta omicida sia caduta su di loro in modo casuale. Se sulla dinamica della strage, le carte di archivio e le testimonianze ci offrono una ricostruzione ormai soddisfacente, molto ancora resta da indagare circa le motivazioni profonde di quella azione, le connessioni possibili tra quel singolo episodio e la complessiva strategia della violenza perpetrata dai nazifascisti nell’Italia occupata. Resta, cioè da dare risposta circostanziata alla domanda più difficile: perché?
E forse ricostruire la singolarità delle vite di quegli uomini – chi erano, cosa pensavano, cosa hanno lasciato, quale era il loro progetto – può aiutarci a comprendere con più chiarezza cosa si è voluto colpire e cancellare con la loro morte.
Marzia Luppi, Dieci anni dopo, Prefazione a Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004

Ettore Renacci viene arrestato [a Bordighera] per caso, anche se il suo nome era stato segnalato da due delatori ed era quindi nella lista nera: si imbatte sulle scale di casa di Frontero, coi militi che vanno a perquisirne l’abitazione la mattina del 23 maggio 1944.
Tradotto in carcere e brutalmente interrogato, è destinato alla fucilazione coi compagni arrestati nella stessa retata, dopo un sommario processo. Li salva, per il momento, l’intervento della Gestapo che reclama per sé i condannati e li trasferisce al carcere di Marassi, 4a sezione politici, per nuovi interrogatori. Poi, per tutti, Fossoli.
Renacci finisce a Cibeno. Gli altri a Mauthausen, da cui torna vivo solo Frontero.
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Op. cit.

Privazioni e dolori, ansie e speranze anche nei concentramenti della nostra Patria. Follia e barbarie annidate anche da noi, nelle nostre fertili ed assolate terre.
Dolore per tutti: per noi italiani e per gli stranieri. Sventura universale racchiusa in un lembo di terra recintato da filo spinato. E poi, cani temibili, uniti a larve morali umane ancor più terribili, col solo impegno d’impedire impossibili tentativi di fuga dalla morte.
I guardiani della morte: musi e ghigni feroci s’aggirano implacabili e spietati, sconfitti da Dio ancor prima della inevitabile fine del loro insensato disegno di distruzione.
Sventura d’uomini di ogni latitudine, preghiere ed imprecazioni sussurrati in un coacervo di lingue e di dialetti, maledizioni racchiuse in cuori oppressi d’angoscia e di tenerezza infinita.
Campo di Fossoli. Il tempo s’è fermato anche lì, non solo ad Eboli. Anzi, s’è possibile pensarlo, è arretrato indietro, tanto indietro, trascinandosi a retro dell’Evo Medio ed oltre, fin sui limiti dell’era ferina in cui l’uomo, forse, fu cannibale, anche se per necessità di vita.
Campo di Fossoli. Cultori d’una pura idea di libertà, riuniti con delinquenti comuni, ladri ed assassini, e da questi separati solo per baracche, ma peggiormente trattati.
Uomini buoni ed onesti e generosi si oppongono agli aguzzini con la forza invincibile della solidarietà e dell’aiuto reciproco nelle privazioni e nell’attesa della morte.
Esiste per certo la speranza, forza insopprimibile dell’animo umano, una speranza di possibile salvezza e d’una futura società d’uomini liberi. Ma quante speranze restano vane! Uomini d’ogni età, dalla più tenera adolescenza alla vecchiaia, non riabbracceranno più i loro cari e le loro ossa saranno sepolte con tutti i loro desideri entro quella terra racchiusa da quel filo spinato.
I corpi inanimati dei poveri martiri non «passeranno per il camino», come in altri drammatici campi di sterminio. Da mani pietose saranno ricomposti e le bare in cui riposeranno per sempre saranno recate a Milano, in un giorno in cui la vergogna e le barbarie saranno spazzate per sempre, perché un popolo, risorto dalle macerie ancora fumanti, le ricopra di fiori come doveroso tributo di riconoscenza verso chi ha pagato la libertà riconquistata con la cosa più preziosa: la propria vita.
Stralciamo qualche significativo brano dall’opuscolo di Anna Bianchi Vercesi (1):
«… Noi siamo separati dai delinquenti comuni, ci facciamo buona compagnia e ci aiutiamo l’un l’altro in tutto ciò che possiamo. Non posso darti particolari, sarebbe troppo pericoloso, ma ne avrò da raccontare! Siamo di tutte le idee, sotto tutte le imputazioni, e sono con noi detenuti inglesi, tedeschi, iugoslavi, russi, francesi, ecc. Appartevamo a tutte le classi sociali, a tutti i mestieri e professioni ed andiamo dai 15-16 ad oltre 70 anni […] (2).
Sessantasette patrioti (intellettuali, generali, giornalisti, semplici operai) caddero all’alba di quel 12 luglio, uno accanto all’altro, e giacquero fino alla fine della guerra senza altra sepoltura che un pugno di terra […] (3). A liberazione avvenuta i resti dei martiri di Fossoli vennero dissotterrati; riconosciuti, tornarono ad una Milano ancora devastata da lunghi anni di guerra, ma fremente già di una nuova vita, che accoglieva in una pioggia di fiori e tante lacrime chi aveva compiuto per la libertà il sacrificio più grande. Era il 24 maggio 1945…» (4).
[…] Riportiamo ancora alcuni dettagli sul campo di Fossoli, ricavati da una testimonianza del già ricordato Tommaso Frontero, reduce da Mauthausen:
«…Nel campo vi erano delle baracche allineate, in ciascuna delle quali dormivano circa 150 prigionieri. Vi era pure uno stanzone con attrezzature sanitarie, la cosiddetta infermeria: i medici erano detenuti ebrei. La sera i Tedeschi chiudevano le porte delle baracche dall’esterno e le riaprivano il mattino successivo. Poiché ai prigionieri era concesso passeggiare in determinate zone del campo, ed all’esterno vi erano le vaste coltivazioni di frumento, i parenti che si recavano segretamente in visita ai loro cari si nascondevano tra il grano. I detenuti politici venivano tenuti separati da quelli per reati comuni. Al momento dell’arrivo al campo i prigionieri, liberati dalle manette, venivano introdotti in uffici dove prestavano servizio dei borghesi che avevano sulla giacca dell’abito un rettangolo con impresso il numero di matricola: erano gli ebrei al servizio dei Tedeschi. Per la sopravvivenza erano diventati i collaboratori dei nazisti, impegnati nella «soluzione finale» del popolo ebreo. Ma tale atteggiamento non apportò loro la salvezza perché, alla fine, subirono la medesima sorte degli altri correligionari. I collaboratori chiedevano ai nuovi arrivati se fossero sempre determinati a continuare nell’avversione al fascismo ed al nazismo. Dopo altre domande e verifiche, ai prigionieri veniva rilasciato un distintivo, sul quale era collocato il numero personale di matricola, da applicare alla propria giacca (il distintivo, costituito da un triangolo rosso, indicava i detenuti politici). Coloro che tentavano la fuga, ed erano scoperti, erano costretti a passare, col volto recante i segni delle torture subite, davanti a tutti gli altri prigionieri mentre il Comandante del campo diceva: “Questa è la fine di chi cerca di fuggire”. Poi, sulla schiena dei malcapitati, era impresso un marchio circolare. Nei campo di Fossoli si era costituita un’organizzazione clandestina finalizzata alla presa di contatto con i resistenti della zona di Carpi…».
A Marassi, Frontero si era messo in contatto con patrioti che avevano fatto parte della già accennata organizzazione «Otto» (prof. Ottorino Balduzzi; prof. Franco Antolini, membro del CLN di Genova; prof. Eros Lanfranchi, deceduto in seguito a Mauthausen), tutti antifascisti di grande rilievo che avevano ricoperto importanti incarichi organizzativi nella Resistenza.
I Tedeschi,con tutta probabilità, erano venuti a conoscenza dell’organizzazione. Sicchè, dopo un breve periodo di permanenza dei prigionieri provenienti da Marassi, decisero di eliminare il campo di Fossoli. Fecero arrivare una colonna di camion, vi caricarono cinquecento prigionieri e li trasportarono alla stazione ferroviaria. Rimasero a terra settanta malcapitati (parte di coloro che avevano occupato le baracche n. 16 e n. 17): furono uccisi ed il campo fu chiuso.
Tommaso Frontero conclude: «… Voglio cogliere l’occasione di questa pubblicazione per compiere un atto di doveroso commosso riconoscimento nei confronti della popolazione di Carpi. Una popolazione veramente generosa, meravigliosa, autenticamente antifascista. Quando, con la colonna dei camion, giungemmo alla stazione ferroviaria per essere inviati in Germania, tutta la cittadinanza venne a salutarci, ad incoraggiarci ed a inveire contro le SS tedesche senza alcuna paura. Ad un tratto, la folla che premeva ruppe le fila della truppa e qualche prigioniero riuscì a fuggire. Vada alla popolazione di Carpi il commosso ringraziamento mio e dei miei sfortunati compagni di prigionia …».
La chiusura del campo di Fossoli coincise con una strage dovuta a rapppresaglia.
Vediamone la causa ed i particolari (18):
«… A Genova, in Via del Campo, un gruppo di partigiani di una SAP locale compie un attentato contro un caffè frequentato da soldati Tedeschi, uccidendone sette. Scatta così il tremendo meccanismo della rappresaglia: per ogni soldato tedesco ucciso, dieci ostaggi italiani dovranno subire eguale sorte! Ma dove compiere l’orrenda carneficina, dove prelevare gli ostaggi? Nel carcere di Marassi ve ne sono a centinaia. Ma Genova è terra che scotta. In quel momento la Resistenza è in pieno movimento ed i Tedeschi capiscono che sarebbe molto imprudente gettare altra legna sul fuoco con un eccidio di quelle proporzioni. La disposizione del Comandante supremo, però, esiste e va rispettata. Ecco allora la soluzione: la rappresaglia verrà eseguita con prigionieri prelevati dal campo di concentramento di Fossoli. I Tedeschi per evitare un possibile intervento dell’attivissima presenza partigiana locale, mettono in atto il loro misfatto con la massima segretezza. Dopo aver allontanato il custode del Poligono del Tiro a segno, l’11 luglio fanno scavare la fossa da un gruppo di prigionieri ebrei che, ulti mato il lavoro, vengono ricondotti nel campo di concentramento e mantenuti nel più completo isolamento. All’alba del successivo 12 luglio i Tedeschi compiono l’efferato eccidio. I 70 prigionieri vengono fatti avanzare sul ciglio della fossa, due alla volta e costretti a inginocchiarsi; sono eliminati con un colpo di pistola alla nuca. Due soltanto riusciranno a sottrarsi alla morte con una drammatica fuga… La fossa viene attentamente ricoperta con zolle erbose nella vana speranza di tener nascosto il feroce massacro…».
[NOTE]
(1) Anna Bianchi Vercesi, Galileo Vercesi, (collana Cattolici nella Resistenza), edizioni Cinque Lune, Roma, 1966. L’opuscolo è stato scritto dalla figlia in ricordo del padre Galileo Vercesi, che era membro del Comitato Militare Alta Italia della Resistenza in rappresentanza del Partito della Democrazia Cristiana. Il predetto Comitato è stato successivamente trasformato nel Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà, avente a capo il generale Cadorna.
(2) Opuscolo cit. pagg. 36,37 (stralcio di una lettera scritta il 5 maggio 1944 da Galileo Vercesi internato nel campo di Fossoli).
(3) Ibidem pag. 32.
(4) Ibidem pag. 33.
18) Dal quindicinale Patria Indipendente, anno XXVI, n. 15 del 4 settembre 1977.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

La strage nazista del 12 luglio 1944 compiuta al poligono di Cibeno presenta ancora molti aspetti oscuri e di difficile lettura. Le ricostruzioni di quell’evento concordano comunque sul fatto che alle vittime, tutti prigionieri politici internati al campo di Fossoli a Carpi (Mo), fu letta la sentenza di condanna a morte, motivata come rappresaglia per un attentato a Genova. Alle 4 del mattino del 12 luglio 1944, 71 prigionieri politici, selezionati la sera prima formalmente per partire per la Germania, furono fatti uscire dalla baracca in cui avevano alloggiato la notte. Renato Carenini fu escluso, Teresio Olivelli riuscì a nascondersi mentre un primo gruppo di 20 prigionieri venne condotto al poligono di tiro. Quando il secondo gruppo di 25 persone giunse al poligono, Mario Fasoli ed Eugenio Jemina si resero conto del pericolo e innescarono una ribellione durante la quale riuscirono a fuggire. I restanti ribelli furono uccisi sul posto dalla guardia russa del campo. Dopodiché i 24 componenti del terzo gruppo partirono dal campo ammanettati per essere fucilati al poligono dove i corpi venivano gettati insieme agli altri in una fossa comune scavata precedentemente da ebrei del campo. 67 furono i prigionieri politici coinvolti nella strage: Achille Andrea, Alagna Vincenzo, Arosio Enrico, Baletti Emilio, Balzarini Bruno, Barbera Giovanni, Bellino Vincenzo, Bertaccini Edo, Bertoni Giovanni, Biagini Primo, Bianchi Carlo, Bona Marcello, Brenna Ferdinando, Broglio Luigi Alberto, Caglio Francesco, Ten. Carioni Emanuele, Carlini Davide, Cavallari Brenno, Celada Ernesto, Ciceri Lino, Cocquio Alfonso Marco, Colombo Antonio, Colombo Bruno, Culin Roberto, Dal Pozzo Manfredo, Dall’Asta Ettore, De Grandi Carlo, Di Pietro Armando, Dolla Enzo, Col. Ferrighi Luigi, Frigerio Luigi, Fugazza Alberto Antonio, Gambacorti Passerini Antonio, Ghelfi Walter, Giovanelli Emanuele, Guarenti Davide, Ingeme Antonio, Kulczycki Sas Jerzj, Lacerra Felice, Lari Pietro, Levrino Michele, Liberti Bruno, Luraghi Luigi, Mancini Renato, Manzi Antonio, Col. Marini Gino, Marsilio Nilo, Martinelli Arturo, Mazzoli Armando, Messa Ernesto, Minonzio Franco, Molari Rino, Montini Gino, Mormino Pietro, Palmero Giuseppe, Col. Panceri Ubaldo, Pasut Arturo, Pompilio Cesare, Pozzoli Mario, Prina Carlo, Renacci Ettore, Gen. Robolotti Giuseppe, Tassinati Corrado, Col. Tirale Napoleone, Trebsé Milan, Vercesi Galileo, Vercesi Luigi.  Enrica Cavina, Ettore Renacci,Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana