Il Comitato degli Arditi di Roma non è il solo esempio di formazione spontanea dal basso di una risposta contro il movimento dei Fasci

Fonte: Wikipedia

Il 19 marzo 1921 “Il Grido della rivolta” – giornale anarchico – pubblica un articolo nel suo ultimo numero dal significativo titolo Lineamenti di tattica antifascista che, come afferma Di Lembo, “anticipa la linea degli Arditi del popolo”:
“L’azione contro i fascisti non può avere lineamenti tattici unici data la diversità da regione a regione, da città a città, da è paese a paese, delle condizioni ambientali e psicologiche, delle forme e mezzi dell’offensiva fascista e della difesa operaia. [Comunque bisogna tener presente che] il fascismo è un fenomeno psicologico frutto delle disillusioni e del malessere di quei che hanno fatto la guerra “rivoluzionaria”, che s’è mutato in fenomeno politico-economico con la penetrazione di molti figli di papà e di molti avventurieri […]. Il fascismo presenta alcune affinità con l’arditismo. Fra gli arditi c’era la feccia dell’esercito e la parte più combattiva dei combattenti volontari. Con la feccia del fascismo l’unica tattica è la guerra senza tregua e senza quartiere, la guerra senza pietà e formalità cavalleresche […]. Bisogna combattere la nostra battaglia come i Tedeschi combattevano la guerra. Ovunque il luogo e l’ora si prestino è necessario colpire, in condizioni di superiorità, questi pretoriani e questi sicari. Alla minaccia verbale si risponda con l’azione, alla sopraffazione con la rappresaglia. Bisogna però osservare una regola […] occorre […] non lasciar passare che poche ore, che pochi giorni da un “fattaccio” fascista, altrimenti il nesso tra la causa fascista e l’effetto rivoluzionario […] può essere incompreso o svisato. Nella lotta contro i fascisti è consigliabile l’alleanza continua e incondizionata coi comunisti e coi repubblicani e, in certi casi di “assoluta necessità”, coi legionari fiumani, quello però aderenti alla Federazione che à per capo Gabriele D’Annunzio […]. Di fronte alla violenza fascista sono inutili i belati di protesta evangelica e sono ridicoli e poco dignitosi gli appelli alla forza pubblica e alla tutela del Governo. Lasciamo queste cose agli evirati del socialismo pantofolaio” <322.
È probabile che Secondari, data la sua tendenza ed i suoi tentativi di azione rivoluzionari precedenti, non solo condivida l’articolo de “Il Grido della rivolta” ma che collabori con gli operai occupanti, anche se riguardo a ciò non abbiamo conferma.
È possibile che nel periodo che intercorre tra le sue dimissioni e la costituzione degli Arditi del popolo, egli si sia dedicato a lungo alla preparazione – soprattutto a livello politico – della nuova Associazione.
Durante la primavera del 1921 si verificano i primi incontri, in particolare nelle città di Roma, Parma, Ancona e Civitavecchia – città con una profonda cultura proletaria – tra la popolazione per cercare di organizzare una risposata armata di difesa dagli attacchi squadristi che si fanno sempre più frequenti su tutto il territorio nazionale. Il 12 giugno si incontrano in piazza Fontana di Trevi, nella sede del Fascio libertario tra i lavoratori del libro, circa ottanta persone tra cui Olindo Vernocchi per i socialisti, Giuseppe D’Amato per i comunisti e Giovanni Masseroni per l’UAI con l’obiettivo di risolvere il problema della difesa antifascista. L’assemblea delibera che «occorre stabilire un’immediata azione di difesa proletaria, che fronteggi in tutta Italia l’azione repressiva e perturbatrice della follia borghese e monarchica, realizzando un patto di fraterna solidarietà, e al di sopra di tutte le tendenze e scissure che separano le forze vive del proletariato» <323.
I rappresentanti dei socialisti, dei comunisti e degli anarchici presenti all’assemblea decisionale tentano, per l’ennesima volta, la costituzione di un fronte unico – antifascista -, ma i propositi di collaborazione non sono così facili da tradurre in realtà. Inoltre la concezione di militanza antifascista non è chiara ai differenti soggetti politici.
Nel frattempo la reazione si ingrossa ed il movimento dei Fasci di Combattimento prolifera molto velocemente su tutto il territorio, con maggiore rapidità nelle zone soggette al dominio agrario e a quelle tipicamente industriali e borghesi come Milano. Al contrario nelle città, nei paesi, nelle zone agricole e nei borghi con tradizione sovversiva, operaia, sindacalista o anarchica, l’attuazione dei programmi di violenza fascista trova una fiera resistenza di popolo – coordinata dalle avanguardie – che ha come effetto il ritardo dell’avvento del dominio fascista sulla zona in questione.
Gli episodi squadristi aumentano vertiginosamente e rapidamente.
Uno dei più gravi sul finire del 1920 – 21 novembre – si verifica a Bologna: i tragici fatti di Palazzo D’Accursio dimostrano come il territorio bolognese sia la culla del fascismo.
Scrive Fabbri a proposito: “[Il fascismo] aveva il suo nucleo centrale a Milano con ramificazioni un po’ dovunque, ma non era preponderante in alcun luogo, – e tanto meno lo era a Bologna, dove invece tutto ad un tratto divenne forte, tanto che proprio da qui come forza politica coercitiva e violenta cominciò ad estendersi in tutta Italia. Ebbe ragione non so più qual fascista a scrivere, in una polemica, che se è vero che il fascismo è nato a Milano la sua culla è stata Bologna” <324.
Secondo l’analisi di Fabbri sono gli eventi del 21 novembre a fare da trampolino di lancio al fascismo, che da locale diviene nazionale.
“Il fascismo, nucleo trascurabile prima di settembre, accresciuto alquanto dopo i primi indebolimenti del socialismo, all’indomani del 21 novembre [diventa] gigante. Le sue file [crescono] di gregari in modo indescrivibile. […] La lotta contro un partito [il PSI] si [muta] in caccia agli uomini, per demolire la posizione e prendere il posto nelle cariche pubbliche, nel foro, nelle amministrazioni ospitaliere, nell’insegnamento. […] La sconfitta del socialismo, a Bologna ove questo si identifica quasi del tutto nel movimento operaio, [è] una sconfitta della classe lavoratrice; ed [ha] importanza nazionale, appunto perché [avviene] nel cuore dell’Emilia, ove il proletariato è meglio e più fortemente
organizzato nelle città e più ancora nelle campagne. Ed appena il moto di reazione antiproletaria si [diffonde] in provincia, abbattendosi su Ferrara, Modena, Reggio Emilia, ecc. l’esempio [è] seguito altrove – specie in Toscana, nel Veneto e nelle Puglie – e la sconfitta socialista ed operaia [è] realmente non più emiliana, ma italiana” <325.
La proliferazione dei Fasci di Combattimento è molto rapida: «da 190 [sezioni] alla metà di ottobre del 1920 si passa nel novembre 1921 a 2200. […] All’indebolimento della masse socialiste [risponde] sempre di più l’affermarsi del movimento fascista. Alla fine del 1920 [inizia] l’organizzazione metodica delle squadre fasciste» <326.
A questa situazione di sviluppo e crescita del fascismo d’azione Secondari, Paolinelli, Beer ed altri iniziano ad organizzarsi per fronteggiare gli attacchi squadristi e per difendere le sedi, i ritrovi ed i circoli sovversivi; nel giugno però si verificano all’interno dell’ANAI alcune divergenze di opinione tra Umberto Beer – mazziniano e di tendenze dannunziane – ed Argo Secondari, a causa del nuovo orientamento “a-fascista” di Beer e della presenza nell’Associazione di Arditi ancora iscritti ai Fasci <327.
Questi contrasti, anche se non troppo accesi, non permettono all’Associazione di svilupparsi e così Argo Secondari, Luigi Piccioni – repubblicano -, Attilio Paolinelli – anarchico individualista -, convocano per il 22 giugno, in uno scantinato di via Germanico n. 216, nel quartiere di Prati-Trionfale, un’assemblea di tutti gli iscritti all’Associazione Arditi d’Italia.
Alla riunione circa un centinaio di persone tra cui molti repubblicani ed anarchici della capitale decidono – sempre secondo le informazioni della Questura visionate da Francescangeli – di fronteggiare il rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità messo in atto dai commercianti di Porta Metronia con una adeguata “spedizione”.
Dopo le decisioni riguardo le azioni collettive, viene convocata una assemblea ristretta con l’uscita dei soli simpatizzanti al fine di discutere questioni interne più delicate. Ovviamente questo espediente non sortisce l’effetto sperato, dato che un informatore della polizia è in grado di raccontare gli eventi a cui assiste: “Il capitano Berr [sic, in realtà Beer] a nome dei suoi amici crede che bisogna rieleggere il direttorio non ritenendo valida l’assemblea nella quale fu eletto il direttorio con a capo Argo Secondari. Argo Secondari sostiene la validità dell’elezione. Un certo Pier Dominici [sic, in realtà Pierdominici] ex sergente maggiore degli arditi attacca il Capitano [Beer] con linguaggio violento accusandolo di scorrettezze perché si dimise dal vecchio direttorio senza farlo noto a nessuno, di essersi appropriato delle somme di sottoscrizione a favore degli arditi e di essersi allontanato vigliaccamente la notte del fatto di Pietralata” <328.
Gli animi dei partecipanti si scaldano e in seguito ad accuse reciproche, votazioni ed annullamenti, viene deciso il rinvio dell’assemblea generale degli Arditi per la nuova elezione del direttorio per il 27 giugno.
Francescangeli, in polemica con altri storici – Palazzolo, Spriano – che hanno ricostruito le vicende degli Arditi del Popolo basandosi sulle successive relazioni prefettizie che datano la nascita degli Arditi del Popolo al 22 giugno, afferma che non si può parlare di nascita per quel giorno dato che l’assemblea è quella plenaria degli Arditi d’Italia a cui partecipano squadristi del calibro di Ulisse Igliori. La presenza di alcuni fascisti all’assemblea dimostra che sono ancora attivi all’interno dell’Associazione tentando di contrastare l’operato di Secondari e compagni. Nel secondo incontro – 27 giugno – Umberto Beer e i suoi seguaci non si presentano e decidono così di abbandonare la nascente organizzazione, probabilmente a causa della lite di cinque giorni prima.
Viene perciò eletto senza alcun contrasto il nuovo direttorio composto da Secondari, dal tenente Ferrari e dal sergente-maggiore Pierdominici. Questi ultimi nella successiva assemblea si dimettono seguendo gli ordini di D’Annunzio.
Mai durante le riunioni precedenti si era deciso di affrontare il problema fascista con una risposta armata. In questa occasione, presenti circa 400 persone <329, in assenza del Beer ma non dei fascisti, viene decisa la costituzione di un Battaglione – comandato dal colonnello Tommaso Abatino e chiamato “Battaglione degli Arditi del Popolo” – composto da tre compagnie: la “Temeraria”, la “Dannata” e la “Folgore” comandate dall’ardito Ruggieri – le prime due – e la terza dall’anarchico Vincenzo Santarelli adibita alla difesa del quartiere Esquilino-S.Lorenzo. Il sottotenente Luciani viene confermato alla propaganda e secondo “L’Avanguardia” del 15 settembre 1921 vengono distribuite una tessera – firmata da Argo Secondari e del costo di 3 lire – ed un distintivo. In risposta a queste prese di posizione nettamente antifasciste e proletarie si ribella la minoranza fascista comandata da Igliori – capo delle squadre d’azione del Fascio romano – e dal tenente Maggi. La risposta di Secondari è ferma e decisa. Afferma che “egli e i suoi amici non intendono avere nulla di comune con i fascisti finché essi devastano le camere del lavoro e le altre associazioni operaie” e precisa in un articolo uscito su “Umanità Nova” due giorni più tardi intitolato “Contro il fascismo statale e capitalista insorge l’arditismo popolare” che: “fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida gli Arditi d’Italia non potranno con loro avere nulla in comune. Un solco profondo di sangue e materie fumanti separa fascisti ed arditi” <330.
Oltre che dal giornale anarchico si ha notizia anche dal nittiano “Il Paese” – diretto dal socialista riformista Francesco Ciccotti -, e da “Avanti!” che però dedica all’evento solo poche righe il 30 giugno.
Il 27 giugno 1921 può essere considerata la data di nascita dell’Associazione degli Arditi del Popolo, dato che in questa occasione viene decisa ed organizzata una risposta antifascista a carattere militare oltre che propagandistica. «Dopo quella riunione alla neonata Associazione [pervengono] numerose adesioni: si [tratta] per lo più di elementi repubblicani, anarchici e comunisti, quasi tutti dei quartieri S. Lorenzo e Trionfale. Particolarmente numerosi risultano i gruppi dei postelegrafonici guidati dal comunista Cesare de Fabiani e dei fornaciai, tradizionalmente anarchici [ed anche i ferrovieri]. Vi [aderisce] in massa anche l’organizzazione giovanile repubblicana con a capo Luigi Piccioni e Vincenzo Baldazzi» <331. In pochi giorni viene raggiunta, grazie al contributo di quei settori che l’Associazione intende difendere, la cifra di circa 15 mila lire e le adesioni – come descrivono le carte prefettizie – aumentano rapidamente a circa 800 iscrizioni, «e con esse prosegue la sua marcia anche quel processo di selezione e di metamorfosi iniziato giorni prima con l’allontanamento dei moderati e dei dannunziani. Il colonnello Abatino e l’ex fascista sottotenente Luciani abbandonano infatti un’associazione che aveva ormai chiaramente imboccato la strada della lotta fianco a fianco della classe lavoratrice e in tutela delle sue istituzioni» <332.
Nel frattempo la popolazione romana più attiva che aveva già iniziato ad organizzarsi nell’incontro del 12 giugno nel Fascio libertario, convoca un’altra riunione per il 30 nella quale si riunisce il “Comitato di difesa proletaria romano” nato dalla necessità di una difesa sul terreno politico delle organizzazioni operaie. Sono presenti i rappresentanti delle due camere del lavoro – il confederale Giuseppe D’Amato ed il sindacale Giuseppe Caramiti -, la sezione repubblicana di Roma rappresentata da Giovanni Conti e gli anarco-comunisti del Lazio con Giovanni Forbicini.
Sono assenti le figure più rappresentative del movimento socialista e comunista di Roma.
Alla fine della riunione viene decisa per il 6 luglio una grande manifestazione antifascista presso l’Orto Botanico.
Il Comitato non è il solo esempio di formazione spontanea dal basso di una risposta contro il movimento dei Fasci, per quanto riguarda l’aspetto militare sono già operanti dal mese di marzo-aprile a livello locale alcune formazioni paramilitari proletarie. Le più conosciute sono: le “Guardie Rosse” di Torino attive già durante il biennio rosso e che operano anche nei successivi fatti di Empoli – 1 marzo 1921 – ed a Imola – 14 dicembre 1921-; i “Lupi Rossi” socialisti di Genova; i “Figli di nessuno” di Genova, Vercelli e Novara composti da anarchici; “Abbasso la legge” di Carrara; le “Squadre di azione antifascista” di Livorno composte per lo più da comunisti ed anarchici; le “Centurie proletarie” di Torino costituite soprattutto da socialisti e comunisti e i Gruppi di Arditi rossi (o Arditi rossi) di Vittorio Ambrosini.
Gli eventi che si susseguono dopo la costituzione degli Arditi del Popolo sembrano accavallarsi tanto sono rapidi: il 2 luglio si tiene la seconda assemblea a cui partecipano più di trecento persone e vengono ribaditi i postulati di lotta alla reazione fascista <333.
«In questa occasione Argo Secondari afferma a chiare lettere che gli Arditi del popolo non avrebbero più tollerato le violenze fasciste, e nel caso queste non fossero cessate immediatamente, la neo costituita associazione avrebbe opposto violenza alla violenza» <334. Dopo l’assemblea ne viene trasferita la sede dallo scantinato del Trionfale a quella in via San Marco di Palazzetto Venezia, data in uso provvisorio dall’ANC, la quale gioca l’ultima carta dell’antifascismo a causa del suo isolamento politico e sociale.
La manifestazione del 6 luglio è un successo. Sfilano quasi tremila <335 Arditi del Popolo armati in maniera approssimativa e divisi in trenta “centurie” al seguito delle loro bandiere nere, rispondendo così alla richiesta di aiuto indiretta del “Comitato di difesa proletaria”, delle due camere del lavoro, dei repubblicani e degli anarchici <336. I partecipanti secondo “Umanità Nova”, in due articoli sullo stesso numero, vanno da trentamila <337 a settantamila <338. L’“Avanti!” dichiara presenti cinquantamila persone in un articolo <339 del giorno seguente, mentre lo studio di Palazzolo che utilizza le fonti di polizia quindicimila. «Sciolto il comizio, verso le sei del pomeriggio, la folla si disperde e avvengono alcuni incidenti con la forza pubblica: una decina di feriti guaribili in pochi giorni (di cui due guardie regie ed un militare), due arresti per possesso di rivoltelle senza licenza e due denunce a piede libero per porto di coltello e punteruolo. Si registrano anche alcune scaramucce tra i fascisti e gli Arditi del popolo, nei pressi di Palazzo Venezia, dove i primi sono fatti segno di alcune rivoltellate; ancora colpi d’arma da fuoco e fermi di polizia in nottata» <340.
Questa manifestazione segna l’inizio del rapidissimo decollo degli Arditi del Popolo. L’eco di questa dimostrazione di forza arriva fino a Mosca: la “Pravda” il 10 luglio fa un dettagliato resoconto della manifestazione «e lo stesso Lenin, favorevolmente colpito dall’iniziativa e in polemica con la direzione bordighiana del PCd’I, non ha dubbi a indicarla come esempio da seguire.
Lenin, in una riunione (del III Congresso dell’Internazionale Comunista) con la delegazione tedesca, polacca, cecoslovacca, ungherese ed italiana dice, riferendosi alla manifestazione romana del 6 luglio: “Imitare meglio e più rapidamente i buoni esempi. E’ buono l’esempio degli operai di Roma”. Sempre Lenin in una lettera ai comunisti tedeschi del 14 agosto 1921 giunge a citare la costituzione degli Arditi del Popolo come esempio di “conquista della maggioranza della classe operaia”» <341.
Il 9 luglio, solo tre giorni dopo la grandiosa manifestazione antifascista, è indetta l’adunata generale
degli Arditi del Popolo presso la Casa del popolo di Roma a cui partecipano – a detta del questore – circa seicento persone. Il numero dei partecipanti, considerando che le stime della questura sono sempre per difetto, ci informano della grande rapidità con cui si sviluppano gli Arditi del Popolo.
Secondo l’informativa della questura romana Argo Secondari, dopo aver iscritto i non tesserati, suddiviso le centurie in squadre ed aver eletto i capisquadra in perfetto stile militare, dichiara che l’Associazione è sorta “per l’azione a fondo” e richiede «l’assoluta obbedienza di tutti i gregari invitandoli ad evitare fatti sporadici che avrebbero compromesso l’esistenza dell’Associazione senza ottenere alcun pratico risultato. […] Secondari comunica inoltre ai convenuti che l’iniziativa romana [è] stata accolta favorevolmente in varie città italiane tra cui Napoli e Pisa – grazie anche al contributo del deputato socialista Mingrino – e Torino e che entro brevissimo tempo sarebbero sorte
in tutti i centri della penisola sezioni degli Arditi del popolo per contrapporre alle violenza fasciste una più temibile violenza» <342.
Al termine della riunione si verificano violenti scontri tra Arditi del Popolo e forze dell’ordine che durano per molte ore e alcuni Arditi del Popolo vengono arrestati <343.
Il giorno seguente una simile adunata viene riproposta, ma questa volta in Piazza S. Marco, di fronte a palazzetto Venezia. In questa occasione prende la parola il segretario generale dell’ANC, confermando la medesima visione degli Arditi del Popolo riguardo la situazione sociale italiana.
[NOTE]
322 Luigi Di Lembo, Guerra di classe…, pp. 101, 102. Secondo Di Lembo l’articolo è di Berneri.
323 Francescangeli Eros, Arditi…, nota 18, pp. 51, 52.
324 Fabbri Luigi, La controrivoluzione…, p. 28.
325 Idem, , pp. 33, 34.
326 Renzo Vanni, Fascismo e…, pp. 41, 42.
327 Queste notizie sono riprese dal libro di Francescangeli, il quale fa una ricerca accurata all’interno delle carte della questura di Roma.
328 ACS, Agr, 1922, b. 98, fasc. 44, cat. G1; “informazioni” del 23 giugno 1921.
329 “Umanità Nova”, 29 giugno 1921.
330 Contro il fascismo statale e capitalista insorge l’arditismo popolare, “Umanità Nova”, 29 giugno 1921.
331 Rossi Marco, Arditi…, p. 89.
332 Francescangeli Eros, Arditi…, pp. 57, 58.
333 I dettagli di questa riunione, delle successive e della manifestazione all’Orto Botanico sono ampiamente descritte con minuziosità di particolari da Francescangeli nel suo libro sugli Arditi del Popolo ed anche da Rossi e Cordova.
334 Francescangeli Eros, Arditi…, p. 55.
335 Riguardo le cifre degli Arditi del Popolo: “Il Popolo d’Italia” 500, “Emancipazione” 1000, Questura 2000, “Avanti!” 3000 e Argo secondari nella sua intervista a “L’Epoca” del 20 ottobre 1921, 4000. Utilizzo la stima del quotidiano socialista che mi pare un giusto compromesso tra le differenti cifre.
336 “L’Ordine Nuovo” ne fa un resoconto dettagliato in un articolo intitolato Imponente manifestazione proletaria romana contro i delitti e le violenze del fascismo. La sfilata degli Arditi del popolo, uscito il giorno seguente alla manifestazione.
337 Lavoratori di tutta Italia: vi giunga ammonitore l’esempio dei compagni romani, “Umanità Nova”, 8 luglio 1921.
338 La grandiosa manifestazione all’Orto Botanico, “Umanità Nova”, 8 luglio 1921.
339 La grandiosa manifestazione di difesa proletaria a Roma, “Avanti!”, 7 luglio 1921. Anche “Emancipazione” da la stessa cifra.
340 Balsamini Luigi, Gli arditi…, p. 85.
341 Queste informazioni sono desunte dall’articolo di Claudio Daguanno pubblicato nel sito www.associazionewalterrossi.it/magma.htm e confermate sia da Francescangeli che da Rossi.
342 “Riservatissima” della Questura di Roma del 12 luglio 1921, in ACS, Agr, 1922, b.98, fasc. 44, cat. G1, in Francescangeli Eros, Arditi…, p. 67.
343 ACS, Agr, 1922, b. 98, fasc. 44, cat. G1 in Francescangeli Eros, Arditi…, nota 66, p. 68.
Ivan Panebianco, Gli Arditi. Dalla guerra di trincea alla guerra fratricida (1917-1921), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2007/2008

Nell’aprile del 1921 ebbero luogo a Roma, per iniziativa del Fascio libertario, tra i lavoratori del libro le prime riunioni per dare vita agli “Arditi del popolo”. Vi parteciparono i rappresentanti di numerose organizzazioni proletarie, tra gli altri Olindo Vernocchi per i socialisti, Giuseppe d’Amato per i comunisti e G. Masseroni per l’Unione Anarchica.
Tra i promotori e i principali organizzatori e comandanti degli “Arditi del popolo” si ricordano Argo Secondari, Vincenzo Baldazzi, Giuseppe Mingrino, Antonio Cecchini e Spartaco Provalia a Roma, Guido Picelli a Parma.
Gli Arditi del popolo si proponevano di operare e operarono sul piano dell’azione armata, in collaborazione con i Comitati di difesa proletaria.
Aderirono all’organizzazione numerosi ex arditi di guerra, che vi portarono i principi organizzativi, la simbologia e in parte lo spirito combattivo. Tali elementi contribuirono ad alimentare diffidenze e sospetti sulla vera natura e sulle finalità ultime del movimento, nonostante il suo dichiarato antifascismo, anche nei più illuminati uomini politici del tempo.
Alla base, numerosi iscritti al Partito comunista avevano entusiasticamente aderito all’organizzazione unitaria, senonché il Comitato esecutivo del partito il 7 agosto 1921 emise un comunicato nel quale era detto che i comunisti non dovevano entrare a far parte degli Arditi del popolo, ma bensì costituire dei gruppi militarmente organizzati composti da iscritti al partito.
«Gli Arditi del popolo si propongono, a quanto sembra, di realizzare la reazione proletaria agli eccessi del fascismo, con l’obiettivo di ristabilire l’ordine e la normalità della vita sociale. L’obiettivo dei comunisti è ben diverso; essi tendono a condurre la lotta proletaria sino alla vittoria rivoluzionaria. […] L’inquadramento militare proletario essendo l’estrema e più delicata forma d’organizzazione della lotta di classe, deve realizzare il massimo di disciplina e deve essere a base di partito.»
Il gruppo dirigente del P.C.I., guidato allora da Amadeo Bordiga, accusava gli Arditi del popolo di essere organizzati da elementi infidi, per scopi equivoci, nei quali era chiara la manovra della borghesia. “Agenti di Nitti” o “Arditi di Nitti” li chiamava il quotidiano Il Comunista”.
Quantunque l’Internazionale comunista fosse favorevole a questo movimento, in Italia soltanto gli anarchici lo appoggiavano ufficialmente.
All’inizio, prima che l’Esecutivo del partito prendesse posizione, anche Antonio Gramsci, sia pure con delle riserve, si espresse favorevolmente agli “Arditi del popolo”. «…iniziare un movimento di riscossa popolare, aderire a un movimento di riscossa popolare ponendo preventivamente dei limiti alla sua espansione, è il più grave errore di tattica che si possa commettere in questo momento. Non bisogna creare illusioni nelle masse popolari, che soffrono crudelmente e che dalle loro stesse condizioni di sofferenza sono portate a illudersi, a credere di alleviare il loro dolore mutando di fianco. Sono i comunisti contrari agli arditi del popolo? Tutt’altro, essi aspirano all’armamento del proletariato, alla creazione di una forza armata proletaria che sia in grado di sconfiggere la borghesia e di presidiare l’organizzazione e lo sviluppo delle nuove forze produttive generate dal capitalismo. I comunisti sono anche del parere che per impegnare una lotta non bisogna neppure aspettare che la vittoria sia garantita per atto notarile. Spesse volte nella storia i popoli si sono trovati al bivio: o languire giorno per giorno d’inedia, di esaurimento seminando la propna strada di pochi morti al giorno che diventano però una folla nelle settimane, nei mesi, negli anni; oppure rischiare l’alea di morire combattendo in un supremo sforzo di energia, ma anche di vincere, di arrestare di colpo il processo dissolutivo.»
38 Sul piano storico, ancora oggi l’importanza degli Arditi del popolo viene in diverso modo valutata, e in genere sopravalutata. È stato scritto: “Fu forse la più grande occasione mancata dell’antifascismo militante prima della marcia su Roma”. <39
La posizione assunta da Bordiga e da tutta la direzione del P.C.I. di quel tempo fu senza dubbio un grave errore, ma il richiamo quasi costante che se ne fece in seguito nei documenti del partito e dell’I.C. ebbe un valore soprattutto educativo, formativo, non volle mai significare che allora il movimento degli Arditi del popolo avrebbe potuto capovolgere la situazione.
Se è vero che in quegli anni la casta militare, le forze armate, la polizia, la magistratura appoggiavano apertamente lo squadrismo e che l’offensiva fascista decisa in piena coscienza dai grandi industriali, dai grossi agrari, dalle autorità della corte, dell’esercito e della Chiesa, non si può poi dimenticare di colpo tale analisi quando si affronta un problema particolare, così come non si può dimenticare che i dirigenti del Partito socialista (Matteotti compreso) erano decisamente contrari alla lotta armata e predicavano la rassegnazione, la non resistenza, il “coraggio di essere vili”. “Noi continuiamo da mesi e mesi a dire nelle nostre adunanze che non bisogna accettare le provocazioni, che anche la viltà è un dovere, un atto di eroismo”. (G. Matteotti, discorso tenuto alla Camera dei deputati il 10 marzo 1921.)
Non vi fu affatto nelle diverse parti d’Italia la corsa ad arruolarsi nelle fila degli Arditi del popolo, che furono più che altro un fenomeno ristretto ad alcune località dove esistevano un proletariato particolarmente combattivo, che già aveva fatto delle esperienze di lotta armata, e dei dirigenti animosi e decisi a battersi con tutte le armi. Difatti gli Arditi del popolo sorsero e diedero prova della loro capacità di lotta a Parma, Livorno, Massa Carrara, Trieste, Ancona, Roma e in qualche altra città.
Soprattutto non si può dimenticare che quel tanto di lotta armata e di resistenza che vi fu contro il fascismo, o sotto la bandiera degli Arditi del popolo, o sotto quella di gruppi armati di partito, di gruppi di difesa proletaria, fu sostenuta in ogni località, da Trieste a Roma, da Novara a Parma, prevalentemente dai comunisti. Ma per quanto eroiche, si trattò non di azioni dell’avanguardia di un grande esercito in offensiva, ma delle ultime resistenze di reparti di un esercito in ritirata, battuto e sconfitto.
[NOTE]
38 “L’Ordine Nuovo”, 15 luglio 1921, 38 n. 195, non firmato.
39 P. SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, Einaudi, Torino, 1969, vol. 1, p. 139.
Pietro Secchia, Le armi del fascismo (1921-1971), Feltrinelli 1971