Che la Lega sia un movimento appartenente allo schieramento di centro-destra, non è una novità

Seguono, in data 13 novembre [2011], le consultazioni del Presidente della Repubblica, il conferimento dell’incarico di formazione del nuovo governo al senatore Mario Monti e l’accettazione di quest’ultimo con riserva. Tutte le forze politiche principali (Pdl, Pd, UdC, IdV), tranne la Lega, dichiarano sostegno al governo Monti. Giorgio Napolitano, in una lettera a Il Messaggero, spiega le ragioni della propria scelta, volta a “evitare un precipitoso ricorso a elezioni anticipate e quindi un vuoto di governo” e a “dar vita a un governo che possa unire forze politiche diverse in uno sforzo straordinario che l’attuale emergenza finanziaria ed economica esige” <470. Il Governo si presenta quindi quale governo di scopo, il cui obiettivo consiste nel condurre l’Italia nel percorso di risanamento economico e il Parlamento al termine della legislatura, affinché le forze politiche si possano dedicare all’approvazione delle riforme istituzionali.
[…] Il Governo riceve la fiducia delle Camere con numeri molto elevati: 281 voti a favore al Senato (dove si sono contati 0 astensioni e 25 voti contrari) e 556 alla Camera (dove si sono contati 0 astensioni e 61 voti contrari). Dalle dichiarazioni di voto emerge che il sostegno al Governo è stato accordato, tanto al Senato quanto alla Camera, da tutti i gruppi parlamentari, con la sola eccezione della Lega Nord <475. Si presenta fin da subito, quindi, come “un Esecutivo di grande coalizione”, che può contare sulla fiducia di tre grandi forze politiche, fino a quel momento rimaste su posizioni contrapposte: Pd, Pdl e Udc.
[…] Conseguentemente a tali avvenimenti, il 24 aprile [2013], a due mesi dalle consultazioni elettorali, Napolitano affida l’incarico di formazione del nuovo governo a Enrico Letta, il quale accetta con riserva. Il giorno 28 aprile Letta e i suoi ventuno ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica, dando vita a un Governo composto da esponenti di varie forze politiche: nove del Pd, cinque del Pdl, tre di Scelta civica. Inoltre, quattro sono nomi di alto profilo, anche a livello internazionale, come aveva auspicato Napolitano <490. Per la prima volta, dunque, le forze politiche di destra e sinistra danno luogo, insieme, a un governo. Il 29 aprile il governo Letta ottiene la fiducia alla Camera, con 453 voti a favore (Pd, Pdl, Scelta civica, Centro democratico e Svp), 153 voti contro (M5s e Sel) e 17 astensioni (Lega). Il 30 aprile la fiducia viene votata al Senato, con 233 voti favorevoli favore (Pd, Pdl, Scelta civica, Svp e il neo gruppo Grandi autonomie e libertà), 59 contrari (M5s e Sel) e 18 astensioni (Lega e due senatori di Gal) <491. I voti a favore del conferimento della fiducia sono numericamente inferiori a quelli riscossi
nel novembre 2011 dal governo Monti, il quale ottenne la fiducia con il voto favorevole di tutti i gruppi parlamentari, fatta eccezione per la Lega Nord, e nessuna astensione.
[NOTE]
470 Giorgio Napolitano, Il tempo della responsabilità, Il Messaggero del 14 novembre 2011.
475 Cfr. Scheda della seduta n. 637 del 17 novembre 2011 (www.leg16.senato.it) e Resoconto Sommario dell’Assemblea della Camera, seduta n. 551 del 18 novembre 2011 (www.leg16.camera.it).
490 Cfr. Redazione Il Fatto Quotidiano del 27 aprile 2013, Governo Letta, lista ministri: Alfano Interni, Esteri Bonino, Giustizia Cancellieri.
491 Cfr. Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, Resoconto Stenografico della seduta n. 10 del 29 aprile 2013, pp. 61 ss. (www.camera.it) e Resoconto Stenografico della seduta del Senato della Repubblica n. 17 del 30 aprile 2013, p.
73 (www.senato.it).
Elena Pattaro, I “governi del Presidente”, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, 2015

Dopo la fine della segreteria di Umberto Bossi che aveva rischiato di vedere la Lega travolta da numerosi fenomeni di malcostume messi in atto dai collaboratori più stretti del grande capo e la segreteria di Maroni abbastanza inconcludente quanto di breve durata, con Matteo Salvini cominciava un percorso di rinnovamento che avrebbe rilanciato in breve tempo la Lega.
In questo percorso accentuava i tratti di somiglianza con i partiti estremisti europei (in primo luogo il Fronte di Marine Le Pen) impegnandosi soprattutto su due temi strettamente legati alla logica del padroni a casa nostra: la messa sotto accusa dell’Unione Europea e la denuncia del pericolo islamico.
Già durante le precedenti esperienze di governo la Lega era entrata in aperto conflitto con le dinamiche europee; lo aveva fatto quando era stata alla testa della protesta di numerosi allevatori del Nord Italia contro l’imposizione da parte della Ue di quote restrittive nella produzione di latte e poi della rivolta contro il pagamento delle multe comminate dalla commissione di Bruxelles a coloro che avevano sforato le quote imposte.
Ma solo con l’avvento del governo presieduto dal tecnocrate ed euro burocrate Mario Monti che l’offensiva antieuropeista della Lega poteva finalmente dispiegarsi senza impacci e mediazioni arrivando alle posizioni più estreme come quelle (tecnicamente abbastanza velleitarie) dell’uscita dalla moneta unica europea.
Altro tema qualificante dell’azione della Lega era la denuncia della minaccia che la penetrazione dell’islam rappresenterebbe per gli europei e le loro culture. Su questo tema Salvini cominciava a differenziarsi dalle precedenti posizioni di Bossi e Maroni. Per questi ultimi la questione della lotta all’immigrazione riguardava più in generale il problema dei flussi di stranieri che, per la loro quantità avrebbero potuto determinare problemi di sicurezza e più in generale entrare in conflitto con i lavoratori italiani.
Per Salvini l’identificazione tra islamismo e terrorismo consentiva di identificare in ogni immigrato di origine araba, o più generale di fede mussulmana, un potenziale seguace di al Qaida. Lo scontro di civiltà diventava con Salvini il Leitmotiv delle argomentazioni leghiste. Nonostante un attivismo frenetico del nuovo gruppo dirigente leghista, le elezioni europee del 2014 non misuravano un reale sfondamento della Lega, nemmeno nel tradizionale elettorato moderato di Forza Italia. Essa passava, infatti, dal 10,2% del 2009, al 6.15% nel 2014, nonostante che nelle stesse elezioni il partito di Berlusconi fosse calato di oltre il 18% dei voti.
Emergeva da questo dato un tema specifico della storia della Lega e difficilmente risolvibile: la questione dell’insediamento sociale. Nonostante tutti gli sforzi fatti, la Lega di Salvini rimaneva fenomeno settentrionale sostanzialmente estraneo alle esigenze dell’elettorato moderato meridionale. Paradossalmente gli stessi elettori in fuga da Forza Italia (che aveva rappresentato il principale contenitore del tradizionale elettorato della Democrazia Cristiana) avevano preferito votare il Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico di Matteo Renzi.
Salvini decideva pertanto di accentuare elementi più ideologici del suo messaggio programmatico e su questa base stringere alleanze con quel che restava del vecchio partito di AN (l’ex Movimento Sociale) oramai trasformato in una galassia di personaggi, alcuni ancora in Forza Italia, altri passati con il movimento Fratelli d’Italia guidato da Giorgia Meloni.
Più sorprendente ma non meno importante l’alleanza che Salvini aveva stretto con la destra sociale di Casa Pound; un movimento con forte caratterizzazione d’estrema destra (autodefinitosi il fascismo del terzo millennio), presente nei quartieri popolari di alcune grosse realtà centro meridionali (Roma in primo luogo) e che si era distinto per numerose azioni violente nei confronti dei campi Rom e dei centri d’immigrazione. Paradossalmente quanto più il movimento della Le Pen partito da posizioni nettamente fasciste stava virando su una più sfumata caratterizzazione nazional-populista (al punto da minacciare azioni penali per quanti ancora osassero accostare l’attributo di fascista al Fronte), tanto più Salvini, partito da posizioni populiste, era finito con il diventare il capo indiscusso anche di una destra estrema che finalmente vedeva la possibilità di ritornare ad avere un ruolo politico nazionale.
Ed è proprio in chiave anti Europa e anti euro, che a Lione era sancita l’alleanza tra la Lega di Salvini e il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che si sarebbe concretizzata, poi, nel nuovo gruppo unico al Parlamento europeo di Bruxelles denominato Europa delle nazioni e delle Libertà.
Valentina Marini Agostini, La destra radicale nel dopoguerra: un confronto tra Francia e Italia, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2015-2016

Che la Lega sia un movimento appartenente allo schieramento di centro-destra, non è una novità. La trasformazione portata avanti da Salvini in tal senso, e quindi lo schiacciamento verso quell’area ideologica dell’arco politico, è l’esito di un «processo che parte da lontano e che è stato accelerato dall’evoluzione del quadro politico, in Italia come in Europa, e dagli sviluppi della crisi economica» [Passarelli G. Tuorto D., 2018 p. 81]. All’origine della sua storia, tuttavia, la Lega non veniva identificava secondo le tradizionali categorie ideologiche, ma piuttosto si proponeva come una forza politica innovativa, antisistema e di protesta contro la classe politica dell’epoca. È solo successivamente, intorno alla metà degli anni Novanta, a seguito di una radicalizzazione dell’obiettivo politico della secessione e con una maggiore attenzione alla critica anti-europeista e anti-immigrazione, che si inizia a delineare una linea politica più appartenente alla famiglia della destra politica. [Passarelli G. Tuorto D., 2012]. A partire dalla nomina di Salvini alla Segreteria federale, questo processo ha senza dubbio subito un’accelerazione. Così la collocazione nel versante destro del quadro politico è diventata una delle bandiere del partito, che ne ha fatto uno strumento di rappresentanza della propria identità, consentendogli di ottenere un riconoscimento sempre maggiore. Le ragioni che hanno portato a questo scatto improvviso possono essere ricavate anche da un’analisi della recente storia politica nazionale ed internazionale.
Per prima cosa, un ruolo importante è stato quello ricoperto dal riassetto dell’offerta politica del nostro paese: la nascita del Popolo della Libertà <42 nel 2008 ha consentito alla Lega di drenare una parte di quei voti della destra, che erano appartenuti alla vecchia Alleanza Nazionale.
Sul piano internazionale, gli stretti legami con il Front National di Marine Le Pen, il sostegno al nazionalismo ortodosso di Vladimir Putin e soprattutto la tessitura della tela di alleanze con altri partiti della destra più radicale a livello europeo, hanno reso esplicito questo spostamento.
È noto come, all’interno della Lega, il tema del posizionamento ideologico abbia creato un vivo confronto tra la vecchia e la nuova classe dirigente. Una posizione ideologica più equilibrata è stata sostenuta dall’ala ancora bossiana del partito, ma lo screditamento del loro leader, sul piano politico quanto sul piano personale, ha reso loro più arduo il riuscire ad imporre la loro linea. La scelta fatta, invece, è stata quella di una decisa virata verso la scelta di un campo, all’interno del quale, in questo momento, il partito non ha alcun contendente rilevante, avendo scalzato prima Alleanza Nazionale e successivamente Fratelli d’Italia, «fino a sostituire le altre destre nello storico ruolo di garante per la galassia neofascista <43» [Passarelli G. Tuorto D., 2018 p. 91].
La posizione ideologica della Lega si è spostata anche in seguito al maggior peso che è stato raggiunto dal tema dell’immigrazione negli anni che hanno seguito la crisi economica e quindi alla conseguente redditività, in termini elettorali, dell’adozione di una linea più rigida nei confronti dell’argomento. Già in passato la Lega Nord sventolava l’argomento dell’immigrazione, e di conseguenza faceva leva sulle paure che questo suscitava nell’animo degli elettori, ma la portata del suo progetto politico era limitata al solo Nord del Paese. Il graduale costituirsi di una Lega su scala nazionale cambia anche la prospettiva sul tema: emblematico in tal senso è il passaggio dallo slogan “Prima il Nord” a quello “Prima gli italiani”.
Altro tema caldo per la nuova Lega è quello dell’euro-scetticismo: le posizioni del partito sull’Europa sono una delle più evidenti manifestazioni del ruolo politico che la Lega attualmente occupa.
«Io penso che oggi l’Europa non dovrebbe pretendere di essere più di quello che è: un tavolo permanente di negoziati che ogni partecipante ha interesse a presidiare. Finché si limita a questo genere di funzione è anche capace di favorire soluzioni alle controversie tra i suoi Paesi membri. Quando invece pretende di dettare regole standard, peraltro tramite modelli di governance assolutamente non democratici, ecco che l’Europa da sogno diventa l’incubo che abbiamo vissuto in questi anni.» [Intervista rilasciata da Matteo Salvini all’autore. Si veda appendice].
L’antieuropeismo della Lega racchiude una serie di concetti differenti che, per essere colti in pieno, necessitano di una ricostruzione della via seguita dal partito negli ultimi anni. Il primo elemento alla base di questa posizione – contraria all’Unione – arriva con il passaggio da un’inclinazione federalista-secessionista alla vocazione nazionalista del partito. L’atteggiamento verso l’Europa, infatti, non è sempre stato di antagonismo. Nelle fasi in cui la Lega si è ritrovata alleata, nella guida del Paese, con Forza Italia, la linea che ha prevalso è stata quella dettata dal partito di Berlusconi. Se, quindi, sul piano esterno, l’Europa veniva identificata come un nemico dell’identità del Nord, verso il quale dirigere, di conseguenza, i propri attacchi, nel contesto nazionale quella che veniva seguita, senza che vi fosse una netta opposizione, era la linea dettata dalla coalizione. La Lega si presentava, pertanto, in opposizione rispetto all’Unione Europea, salvo poi seguire quanto deciso all’interno della coalizione, evocando quindi uno spirito di lealtà nei confronti dell’alleato di governo. Questa unione con Forza Italia, partito che a livello europeo si allinea con le forze del Partito Popolare Europeo, riusciva a creare un equilibrio tra le richieste più contenute di modifiche delle regole comunitarie (area forzista) e quelle più nette di revisione dei trattati (area leghista). In particolare, la Lega del federalismo e della Padania era favorevole ad un’Europa delle Regioni, che favorisse quindi il sogno dell’uscita dallo Stato Nazionale [Conti N., Verzichelli L., 2005].
Venuta meno questa possibilità, il Carroccio si è ritrovato nella situazione di dover individuare un nuovo progetto, nel nome del quale opporsi all’Europa. Il riposizionamento nell’area più di destra dello schieramento politico degli ultimi anni, si può, dunque, spiegare come un tentativo di trovare nuove basi ideologiche anche a livello europeo, passando da una dimensione federalista ad una dimensione nazionale e nazionalista. In questo suo percorso di transizione, la Lega, da sempre “tiepida” sul tema dell’integrazione europea, ha esplicitato posizioni euroscettiche con maggiore forza perché il tema ha molta più presa anche sull’elettorato italiano, tradizionalmente considerato filo-europeista.
Il partito è, allora, passato a dare voce e supporto a partiti nazionalisti e istanze nazionaliste, all’interno di un quadro il cui sfondo è costituito da un’immagine decisamente negativa dell’Europa. Quest’avversione nei confronti dell’Unione e della moneta unica ha spostato il focus dalla dimensione territoriale subnazionale, proprio di un partito regionalistico che si “ribella” nei confronti dello Stato, a quella sovranazionale, con la creazione quindi di un «partito nazional-popolare mobilitato contro l’Europa e le sue politiche» [Passarelli G. Tuorto D., 2018 p. 101].
Questo spostamento su posizioni sovraniste ha portato la Lega a stringere legami politici con formazioni come il Front National di Marine Le Pen, l’Fpo austriaco e il movimento belga Vlaams Belang, con i quali ha formato, nel 2017, un gruppo parlamentare in seno al Parlamento Europeo, denominato “Europa delle nazioni e della libertà”. Inoltre, si sono cementificati i rapporti con i Paesi appartenenti al cosiddetto blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria).
Sul versante economico, la Lega di Salvini coniuga posizioni tradizionalmente riconducibili al modello liberista classico – che la accostano ai tradizionali partiti liberali, come ad esempio i Conservatori inglesi o la Forza Italia del 1994 – con altre più attente alla dimensione “sociale” – storicamente proprie del pensiero politico della sinistra europea e italiana – che trovano in quel momento il consenso popolare. Così la Lega resta schierata a favore di una dimensione classicamente privatistica, fondata sulla promessa di una riduzione del prelievo fiscale (da qui la strenua lotta condotta per inserire all’interno del “Contratto di Governo” la flat tax, cavallo di battaglia della coalizione di centro-destra) anche a costo di una riduzione dei servizi. Questa posizione filoliberista – gradita a quel mondo di piccoli imprenditori, artigiani, lavoratori autonomi, che tradizionalmente costituiscono una parte importante dell’elettorato leghista – deve però misurarsi, nella realtà dei fatti con scenari internazionali che vedono, soprattutto all’interno del mondo politico della destra radicale, un ritorno a posizioni neo-stataliste e dirigiste.
Un’altra grande battaglia portata avanti dal Carroccio è stata quella contro la riforma pensionistica varata dal governo Monti (la cosiddetta “legge Fornero”); non avrebbe potuto essere altrimenti, per un partito che vanta un elettorato con un’età media abbastanza avanzata. Infatti, il superamento della legge Fornero (che, da ultimo ha trovato la sua espressione nella legge Finanziaria che ha previsto la cosiddetta “quota 100”) va in direzione di una maggiore spesa pubblica e riflette la dimensione populista del partito.
La questione che rimane aperta sul fronte economico riguarda la difficoltà nel riuscire a trovare la giusta mediazione tra le misure economiche più apprezzate da parte dell’elettorato storico leghista, volte quindi al rilancio economico attraverso una spinta liberista, e quelle del nuovo elettorato che la Lega intende conquistare in maniera permanente per riuscire ad affermare, nel lungo periodo, la propria dimensione nazionale. Nell’Italia meridionale, infatti, risulta «storicamente più rilevante e strutturato, un modello di sostegno all’occupazione attraverso il pubblico impiego» [Passarelli G. Tuorto D., 2018 p. 109].
[NOTE]
42 Il Popolo della Libertà, o PDL, nasce dalla fusione tra Forza Italia, guidata da Silvio Berlusconi, e Alleanza Nazionale, di Gianfranco Fini, i due principali partiti del centro-destra presenti in Italia dal 1994. Presentato come lista alle elezioni politiche del 2008, nascerà come partito il 29 marzo 2009 e verrà sciolto nel novembre del 2013, quando Berlusconi deciderà di far rinascere Forza Italia.
43 Per comprendere la profondità di questo cambiamento basta anche solo rievocare le parole pronunciate da Umberto Bossi al Congresso della Lega Nord del 1994: “La Lega con l’Msi? Mai! Maaai! Mai! Noi della Lega siamo quelli che continuano la lotta di liberazione fatta dai partigiani traditi dalla partitocrazia. Mai coi fascisti! Mai coi nipoti dei fascisti! Mai.”
Roberto Rendina, La Lega di Matteo Salvini, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2017-2018