Circa i Nisei in Italia

Nisei e abitanti di Busalla (http://www.100thbattalion.org) – Fonte: Alessandro Lantero, Op. cit. infra

«Questi sono alcuni tra i migliori dannati combattenti dell’esercito degli Stati Uniti. Se ne avete altri, mandateceli.»
Generale Mark W. Clark (Comandante della V Armata)
«Sono stati superlativi. Gli uomini del 100°/442° hanno subito perdite terrificanti. Hanno mostrato coraggio e formidabile spirito combattivo … tutti li volevano.»
Generale George C. Marshall, Segretario di Stato USA
«Raramente una nazione è stata così ben servita da gente che essa stessa aveva tanto maltrattato.»
Bill Clinton, Presidente USA

Gli stemmi delle due unità qui menzionate – Fonte: Alessandro Lantero, Op. cit. infra

[…] Con l’arrivo della primavera del 1945 arrivò per gli italiani anche la tanto sospirata pace, coincisa nel Nord Italia con l’arrivo delle truppe Alleate. Nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione passarono per nostre terre (e vi sostarono per parecchie settimane) altri soldati dall’aspetto orientale ed esotico: i nippoamericani del 442nd Infantry Regiment (con annessi i superstiti del 100th Infantry Battalion).
[…] Questo oblio è ancor più immeritato considerando che il 442°-100° è a tutt’oggi il reggimento più medagliato degli Stati Uniti e che la sua vicenda (celebrata in molti libri e film di Hollywood) è davvero un commovente esempio di amore per il proprio paese, al di là delle ingiustizie subite.
La storia di questi ragazzi parte da lontano: più precisamente dalla grande crisi economica e di sovrappopolazione del Giappone di fine Ottocento. Un’ondata di poveri, per lo più contadini, iniziò a disperdersi ai quattro angoli del mondo: Asia, America (Stati Uniti e Brasile in particolare), Gran Bretagna, Australia ed in molte altre nazioni. Riguardo in particolare al territorio statunitense, mete privilegiate (anche per ragioni geografiche) furono di gran lunga le isole Hawaii: qui ancora oggi la minoranza giapponese rappresenta un quinto della popolazione (oltre un terzo negli anni quaranta).
La routine della vita quotidiana di questa gente subì un momento di svolta con il bombardamento nipponico (peraltro senza il preavviso di una dichiarazione di guerra) della Base americana di Pearl Harbor, vicino ad Honolulu. Da un giorno all’altro gli immigrati giapponesi furono assimilati al nemico, sospettati di spionaggio e di sabotaggio: una situazione pesante che portò a gravi limitazioni della loro libertà. Se alle Hawaii (dove essi erano troppo numerosi) ci si limitò all’imposizione della legge marziale, nel continente si arrivò addirittura all’internamento di massa in campi di prigionia. Questi eventi sono ben raccontati in un recentissimo romanzo: “Perfidia” di James Ellroy.

Raduno di veterani del 442° nel film “The Next Karate Kid” – Fonte: Alessandro Lantero, Op. cit. infra

Uno dei reclusi più noti al pubblico italiano fu sicuramente l’attore George Takei, noto per aver interpretato il «Signor Sulu» nella saga di Star Trek: bambino, venne costretto a vivere con la famiglia in un centro di reclusione dell’Arkansas. Situazione speculare anche per un’altra futura celebrità: l’allora undicenne Pat Morita, che diventerà famoso per la sua interpretazione del ristoratore Matsuo “Arnold” Takahashi di “Happy Days” e soprattutto per quella del maestro Kesuke Miyagi nei film del ciclo di “Karate Kid”. La carriera di questo attore si è ripetutamente incrociata con quella del 442nd Combat Team: in “The Next Karate Kid” (1994) lo vediamo presenziare come reduce ad un raduno del Reggimento mentre una decina di anni dopo (nell’anno della sua morte) Morita recitò addirittura in un film interamente dedicato ai soldati nippoamericani: “Only the Brave”, di cui parleremo meglio in seguito.
[…] Ad accusare maggiormente il colpo furono i giovani figli degli emigranti, i cosiddetti Nisei (in giapponese “seconda generazione”): nati e cresciuti in America, essi parlavano correntemente l’inglese, avevano assimilato costumi e passioni statunitensi ed in molti casi avevano addirittura abbandonato il buddismo dei genitori per convertirsi al cristianesimo. La guerra li privò di identità e certezze. Ciò che è veramente singolare nella loro storia è l’incredibile spirito di rivalsa con cui molti di essi reagirono in un momento tanto difficile. Niente vittimismo né rancore verso chi li rinchiuse nei campi di internamento ma bensì la volontà di dimostrare con i fatti agli Statunitensi quanto si fossero sbagliati.
L’occasione del riscatto si presentò quando il governo permise l’arruolamento volontario nell’esercito dei giovani Nisei. La massiccia adesione consentì di creare delle unità militari quasi totalmente composte da nippoamericani: il 100th Infantry Battalion (il primo ad essere istituito) e il 442nd Infantry Regiment (in seguito accorpati).
[…] L’inizio della campagna militare dei Nisei non è stato dei più semplici. All’intolleranza dei commilitoni bianchi si aggiunsero le incomprensioni interne tra le due anime nippoamericane della truppa: i “Buddaheads” hawaiani (meglio integrati socialmente ed economicamente) ed i “Kotonk” degli stati continentali (più poveri e costretti all’umiliazione dei “Relocation Camps”). Anche una volta mandati al fronte, nel Nord Africa, non li si ritenne inizialmente adatti al combattimento: le loro mansioni furono limitate alla sorveglianza dei depositi ed ai trasporti militari. Solo le altissime perdite subite nel frattempo costrinsero gli alti gradi dell’esercito americano ad impiegare i Nisei in azioni di guerra.
Il 100° Battaglione venne quindi trasferito nel 1943 sul fronte italiano dove, nella Battaglia di Cassino, meritò la prestigiosissima medaglia “Purple Heart” per le pesantissime perdite subite. Si rese però necessario l’accorpamento con i commilitoni della 442° Divisione, nel frattempo addestrati ed inviati in Europa come rinforzo. In conseguenza del numero impressionante di medaglie ricevute, il 100° ottenne tuttavia il privilegio di mantenere il suo nome anche dopo l’unione con il 442nd Infantry Regiment.
A questo punto le truppe nippoamericane furono ridispiegate sul fronte francese dove, in Lorena, nei pressi di Bruyères, compirono la loro più valorosa impresa: il salvataggio del “Battaglione Perduto” nell’ottobre del 1944.
Si tratta dell’epico recupero dei texani del 141st Infantry Regiment, completamente accerchiati oltre le linee tedesche. I combattimenti furono estremamente sanguinosi per la forte resistenza delle truppe naziste, pronte a tutto nel disperato tentativo di bloccare l’avanzata degli Alleati (ormai vicinissimi al confine con la Germania).

Fonte: Alessandro Lantero, Op. cit. infra

[…] Nel film realizzato da Hollywood pochi anni dopo per celebrare i Nisei, (“Go for Broke!” con Van Johnson, nominato per i premi Oscar del 1951 e particolarmente interessante perché gran parte degli attori furono realmente membri del 442°), si lascia intendere che proprio i soldati texani del Lost Battalion si fossero in precedenza macchiati di episodi di razzismo ed intolleranza nei confronti dei commilitoni nippoamericani. Ovviamente tutto cambiò dopo quell’impresa. Se “Go for Broke!“ affrontò le vicende dei Nisei per un arco di tempo più lungo (era ambientato e girato anche in Italia) recentemente è uscito un nuovo film del tutto dedicato alla Battaglia di Bruyères: “Only the Brave” (2006) con Mark Dacascos e Jason Scott Lee.

Fonte: Alessandro Lantero, Op. cit. infra

Nei mesi successivi i nippoamericani vennero impiegati nel Sud della Francia (Alpi Marittime e Riviera Francese al confine con l’Italia) per poi essere ridispiegati dal marzo 1945 lungo la Linea Gotica ed aggregati alla 92ª divisione di Fanteria USA (composta da altri “emarginati”: gli afroamericani, vedere più avanti nella sezione Documenti). Dopo essere sbarcati a Livorno, i Nisei combatterono nell’appennino tosco-emiliano tra Massa e Carrara (che hanno contribuito a liberare il 10 aprile 1945).

Una mappa, relativa al percorso dei Nisei nei giorni della Liberazione in Italia, disegnata da un soldato – Fonte: Alessandro Lantero, Op. cit. infra
Partigiani del distaccamento “Giuseppe Ulivi” della Brigata Garibaldi “Gino Menconi” con soldati nippoamericani a Carrara nei giorni della Liberazione – Fonte: Fondazione Gramsci

Nei giorni della Liberazione i nippoamericani lasciarono la Toscana inseguendo ciò che restava delle truppe tedesche lungo la Liguria: qui la loro storia comincia ad incrociarsi con il nostro territorio. Cercheremo di ricostruire questi momenti nelle prossime pagine.
Alessandro Lantero, Truppe nippoamericane durante la Liberazione tra Liguria e Basso Piemonte, “In Novitate”, Anno XXX, Novembre 2015, fascicolo II (60)