Circa il golpe Borghese

Esattamente 50 anni fa (nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970), Junio Valerio Borghese mise in atto un colpo di Stato che è passato alla Storia come il “Golpe Borghese”.
L’azione eversiva si bloccò all’1,49 dell’8 dicembre quando diversi commandos erano già penetrati nel Ministero dell’Interno e altri stavano per mettere a segno tre ulteriori azioni cruciali: l’occupazione della Rai, il sequestro del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l’assassinio del capo della Polizia Angelo Vicari.
La causa del blocco fu un perentorio “contrordine” emanato dallo stesso Borghese subito dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Nei mesi successivi vennero avviate svogliate indagini che non portarono a nulla.
Il quadro cambiò quando un agente segreto del Sid, il capitano Antonio Labruna, aprì una nuova inchiesta riuscendo a scoprire mandanti ed esecutori. Produsse un “Malloppo documentario” che fu però censurato dal suo capo, il generale Gian Adelio Maletti, e dal ministro della Difesa, Giulio Andreotti. Il depistaggio andò in porto e la Cassazione sentenziò che il “Golpe” non era mai accaduto.
Questo libro, attraverso un “Quarto grado di giudizio”, ribalta siffatta “verità giudiziaria”.
Ciò è stato possibile grazie alla documentazione archivistica, spesso inedita, proveniente dal Sid, dalla Commissione parlamentare P2 e dalla Commissione parlamentare stragi.
Nel libro emergerà anche, con certezza documentaria, che gli Usa, in cambio del proprio appoggio, imposero a Borghese il nome di Andreotti quale premier del governo golpista. Emergerà altresì come Licio Gelli fu uno degli elementi di vertice del “Golpe” stesso.
Non tutto però è stato ancora acclarato. Fra i punti che verranno esposti in chiave non risolutiva, i principali riguardano la morte dello stesso Borghese, probabilmente assassinato, il rapimento dell’ex legionario della “Decima” Mauro De Mauro, che verosimilmente fu ucciso perché stava per svelare i rapporti fra i golpisti e la mafia, il ruolo di finanziatore svolto da Michele Sindona, la manomissione di un atto giudiziario e il “Piano antinsurrezionale” predisposto dai Carabinieri.
Nel libro si ragiona anche, dulcis in fundo, su chi indusse Borghese a emanare il “contrordine”: alcuni documenti conducono verso Andreotti, altri verso Gelli…
Fulvio Mazza, Il Golpe Borghese. Quarto Grado di Giudizio, Pellegrini qui ripreso da Bottega Editoriale

La violenza politica della strategia della tensione non si limitò a stragi indiscriminate come quella di Piazza Fontana, ma si estese fino a comprendere anche tentativi di colpi di stato. Come per il Piano “Solo” di Giovanni De Lorenzo, successivamente essi si sarebbero rivelati degli “allertamenti” da parte di certi ambienti delle istituzioni che intendevano agitare la carta del golpe per usarla come extrema ratio, o come arma di ricatto, al fine di influenzare la politica italiana, e non dei veri tentativi di sovvertire l’ordine costituito <871.
Il primo di questi tentativi si verificò nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. A guidarlo fu il principe Junio Valerio Borghese, ex comandante della X Mas e leader del Fronte nazionale (Fn) un’organizzazione di estrema destra in stretto collegamento con On e An nata per perseguire tutte le attività necessarie alla difesa ed al ripristino dei necessari valori della civiltà italiana ed europea. In base ad uno schema ormai noto, l’operazione, in codice “Tora tora”, prevedeva l’occupazione dei centri nevralgici del potere italiano, del Ministeri dell’Interno e della Difesa, delle Camere, del Comando generale dell’Arma dei carabinieri, della Questura di Roma e delle sedi RAI, nonché l’eliminazione fisica del capo della polizia Angelo Vicari, la cattura del Presidente della Repubblica Saragat, e quella di altri esponenti dell’area di sinistra e dei sindacati. Un vero e proprio colpo di stato, quindi, finalizzato all’instaurazione di un regime di destra. In questa operazione Borghese avrebbe goduto dell’appoggio “di reparti di Carabinieri, guardie di pubblica sicurezza e guardie forestali nonché, nella fase degli arresti, del gruppo di An. Alle operazioni avrebbero fatto seguito l’intervento decisivo delle forze armate e l’annuncio, attraverso un proclama alla radio e alla televisione del successo del colpo di Stato e dell’avvento di un nuovo ordine sostenuto dai militari” <872.
Il piano non fu portato a compimento: già in fase di avanzata esecuzione, l’operazione fu infatti interrotta sulla base di una misteriosa telefonata ricevuta da Borghese: un contrordine, la cui provenienza non è mai stata totalmente chiarita. L’opinione pubblica sarebbe venuta a conoscenza del tentativo del principe Borghese nel marzo 1971, a seguito di un’inchiesta condotta da “Paese sera”. I fatti furono confermati pubblicamente anche dal ministro dell’Interno Restivo. La vicenda giudiziaria che scaturì dai fatti della notte dell’Immacolata diede tuttavia un’interpretazione minimizzante del tentativo di golpe e si concluse con un esito globalmente assolutorio per gli imputati. Nel processo che si aprì a Roma, nel quale confluirono l’istruttoria padovana sulla Rosa dei Venti di Giovanni Tamburino e Luigi Nunziante, e l’istruttoria torinese di Luciano Violante sul golpe bianco, l’intera faccenda fu derubricata ad un “conciliabolo di quattro o cinque sessantenni” <873. In realtà, come dimostrato in sede extra-giudiziaria, la vicenda del golpe Borghese appare ben più complessa di un golpe da operetta. Luciano Pellegrino ha sostenuto che: “In quel contesto la vicenda della notte dell’Immacolata non può meritare una così intensa sottovalutazione che stride, fino alla inverosimiglianza, con la stessa personalità del suo protagonista, (il Comandante Borghese), quale già all’epoca nota e quale meglio è venuta a precisarsi a seguito di più recenti acquisizioni: un coraggioso uomo d’armi, avvezzo a responsabilità di elevato comando, esperto di guerra e di guerriglia, conoscitore degli aspetti e dei profili occulti del potere, sia in ambito nazionale che internazionale. Appare francamente inverosimile che personalità siffatta si sia posta alla testa di un gruppo di “mentecatti” o di “giovinastri” quali alla autorità giudiziaria sono apparsi gli affiliati al Fronte Nazionale, per assumere i rischi di pesanti responsabilità senza alcun tornaconto personale ovvero senza alcuna concreta possibilità di successo. Peraltro è estremamente probabile che anche gli esiti giudiziari della vicenda sarebbero stati diversi se intense e molteplici non fossero state le condotte di occultamento della verità anche da parte degli apparati. Le varie fasi del tentativo insurrezionale furono infatti costellate da contatti tra uomini del Fronte Nazionale e pubblici funzionari, in cui è difficile distinguere le condotte partecipative di questi ultimi da quelle di mero favoreggiamento successivo […] (In questo contesto, il golpe sarebbe non già un golpe da operetta ma) il punto di emersione di un ampio intreccio di forze, cospirative che furono occultamente attive per un lungo periodo; e che, analizzato nelle sue diverse componenti, rende leggibili una pluralità di avvenimenti anteriori e successivi, che altrimenti sarebbero destinati a restare oscuri e quindi inconoscibili nelle loro nascoste ragioni” <874.
Ad esempio, nonostante il Sid abbia comunicato all’autorità giudiziaria che le notizie in suo possesso portavano all’esclusione di collusioni, connivenze o partecipazioni di ambienti o persone militari in attività di servizio, si è invece dimostrato che il servizio segreto era a conoscenza, e aveva occultato, numerose informazioni raccolte in prossimità dei fatti. Tra queste, quelle concernenti la raccolta e la successiva manipolazione dei nastri dei colloqui tra il Capitano del Sid Antonio Labruna e Remo Orlandini, uno dei congiurati, operata dai responsabili del Reparto D affinchè non divenisse pubblico il coinvolgimento in tali progetti di alcuni alti Ufficiali, di Licio Gelli, e da cui emerge la piena conoscenza del progetto Borghese e di quelli successivi da parte degli ambienti militari americani. Il Sid aveva inoltre seguito tutti gli sviluppi relativi alla fondazione del Fn, e aveva raccolto il materiale riguardante i collegamenti tra il Fn e le Forze armate, senza tuttavia adottare alcuna contromisura. Nel 1974, non tutto il materiale raccolto dal Servizio fu inoltre messo a disposizione delle autorità inquirenti. Dal “malloppone” originale era stato ricavato un modesto “malloppino”, da cui erano state sfrondate le informazioni più scottanti riguardanti ancora una volta le responsabilità delle Forze Armate e del Sid nell’operazione Tora Tora <875.
E’ necessario a questo punto chiedersi se, oltre alla connivenza dei Servizi segreti italiani, i golpisti abbiano potuto contare sull’appoggio degli Stati Uniti e, di conseguenza, quale fosse il ruolo delle istituzioni americani nel golpe dell’Immacolata. Come per il Piano Solo, di certo gli Stati Uniti erano a conoscenza del golpe di Borghese prima ancora della sua attuazione. Anche in questo caso bisogna però distinguere tra quanto emerge nei documenti ufficiali della diplomazia, e quanto invece emerso in sede giudiziaria ad opera soprattutto di servizi segreti americani e Comandi della Nato. Nel primo caso, i contatti con gli ambienti della diplomazia statunitensi erano in corso già dalla prima metà del 1973, allo scopo di informare il Dipartimento di Stato del progetto di Borghese <876. Informazioni più dettagliate sui tentativi del principe erano giunte a Washington nel mese di agosto 1970, nello specifico il 7 agosto, il giorno immediatamente successivo all’insediamento del gabinetto Colombo. Nel leggere questa informativa, colpisce la quantità e l’attendibilità dei dettagli raccolti da Martin in riferimento al tentativo di golpe organizzato dal Fn di Junio Valerio Borghese con il coinvolgimento di militari in pensione e l’appoggio delle Forze armate, di Confindustria e dei Carabinieri, da attuarsi attorno al giorno di Ferragosto <877. Con il telegramma Martin intendeva mettere al corrente il Dipartimento di stato circa i tentativi dei golpisti, di cui l’Ambasciatore era venuto a conoscenza grazie alle rivelazioni di un uomo d’affari americano <878. I golpisti, scriveva Martin, intendevano informare le autorità statunitensi circa i loro progetti, e chiedevano loro di riconoscere il regime instaurato dopo la conquista del potere. Martin sconsigliava di fornire tale appoggio, in quanto era scettico nei confronti della riuscita e della reale efficacia di un colpo di stato in Italia, che con tutta probabilità sarebbe stato controproducente rafforzando i comunisti e danneggiando gravemente la compattezza dell’Alleanza atlantica <879. Nei mesi successivi ci furono ulteriori contatti tra golpisti e istituzioni statunitensi, le quali ribadirono la loro contrarietà e la generale inappropriatezza del progetto di colpo di stato. La linea politica di non appoggio ai golpisti non fu motivata da ragioni di carattere morale, ma con argomentazioni volte più che altro a sottolineare i rischi connessi al coinvolgimento americano in questo tentativo. Essendo privo della necessaria copertura politica, le sue ripercussioni sull’equilibrio del Mediterraneo e sulle iniziative statunitensi in Medio Oriente erano troppo imprevedibili e gravi, tanto da compromettere il dialogo con l’Urss e provocare delle ricadute anche dal punto di vista dei regimi di Spagna e Grecia.
Se i canali ufficiali dimostrano che Ambasciata e Dipartimento di Stato non appoggiavano il golpe Borghese, considerato pericoloso per le istituzioni democratiche e dagli esiti imprevedibili, si deve comunque sottolineare che essi erano a conoscenza del progetto eversivo e che non adottarono alcuna contromisura per bloccarne gli sviluppi, almeno nella sua fase organizzativa. In ogni caso, inoltre, i golpisti venivano descritti con una connotazione tutto sommato positiva, ed erano considerati quasi come un male minore rispetto quello comune, rappresentato dal Pci e dalla possibilità del suo ingresso al governo italiano. Infine, dai documenti disponibili emerge un certo compiacimento delle istituzioni americane nei confronti dell’allargamento del fronte anticomunista ad opera degli ambienti militari. Non fu quindi con stupore che gli americani appresero del golpe dell’Immacolata <880. Quando, nel mese di marzo, “Paese Sera” divulgò le informazioni sul golpe, l’Ambasciata inviò un telegramma al Dipartimento di Stato in cui ammetteva di essere a conoscenza degli avvenimenti del dicembre 1970 e di averli considerati “isolati, irrealistici e quasi ludici”, ritenendo il gruppo di cospiratori “un gruppo isolato che rappresenta poco più di se stesso e che non ha le capacità politiche e organizzative di minacciare l’ordine costituito. Tra luglio 1970 e marzo 1971 si punta (quindi) a ridimensionare la vicenda per evitare allarmismi, valorizzando la reazione delle forze di governo” <881. Da quanto esposto si può affermare che non vi siano fonti primarie a supporto del coinvolgimento diretto del Dipartimento di Stato e dell’ambasciata statunitense nella progettazione e realizzazione del golpe Borghese. E’ comunque certo che sul finire del 1970 ci fu il tentativo da parte dell’ambasciata di porre in essere azioni più incisive nei confronti dell’Italia, in conseguenza della instabilità politica cilena. Nel mese di settembre, infatti, in Cile la sinistra aveva vinto le elezioni. Il nuovo Presidente, Salvador Allende, dimostrava per la prima volta al mondo la capacità della sinistra di raggiungere il potere per via democratica e, vista la contiguità territoriale con gli Usa, faceva crescere il timore che potesse rappresentare un esempio per gli altri paesi dell’America latina <882.
Inoltre, in sede giudiziaria sono emersi numerosi punti di contatto tra reparti dell’intelligence statunitense e golpisti o apparati di sicurezza italiani. Tommaso Buscetta, ad esempio, ha ricordato un particolare importante: dopo aver partecipato ad una riunione in cui si era discusso in merito alla partecipazione al progetto, di ritorno negli Stati Uniti era stato arrestato. I funzionari della Polizia americana, gli chiesero “Lo fate o no, questo golpe?” e, alla sua prudente risposta “Quale?”, era stato aggiunto “Quello con Borghese!”. Buscetta, ovviamente, aveva ad ogni buon conto negato, ma aveva compreso che gli americani erano perfettamente a conoscenza del progetto <883. Dell’appoggio americano i golpisti italiani erano inoltre certi: ne parla Orlandini in un colloquio con Labruna, registrato il 28 maggio 1973. Nel corso del medesimo colloquio, Orlandini parla anche dell’intervento di navi della flotta americana di stanza nel Mediterraneo, da Malta, con la funzione di appoggiare l’azione dei golpisti in caso di necessità <884. Un altro testimone chiave del golpe Borghese è il medico rietino Adriano Monti, affiliato di An, che ha ammesso di essersi messo in contatto, per conto di Borghese, con Hugh Fenwich <885. Questi si impegnò a parlare con Herbert Klein, assistente di Kissinger, e di aggiornarlo in seguito sul colloquio. Monti avrebbe successivamente avuto la conferma di un appoggio della Cia alle seguenti condizioni: non dovevano essere impegnati civili e militari americani; all’operazione dovevano partecipare Carabinieri, Esercito, Marina, Aeronautica; si auspicava la costituzione di un Governo presieduto da un politico appartenente alla DC che godesse della fiducia degli USA; dovevano essere indette elezioni entro l’anno escludendo le liste comuniste <886. Borghese, poi, invitò Monti a ricontattare Fenwich perché gli Stati Uniti indicassero ai golpisti una terna di nomi di gradimento per il futuro Presidente della Giunta militare, ricevendo in cambio esclusivamente il nome di Giulio Andreotti <887.
[…] Vi è poi la questione complessa della matrice del contrordine dato a Borghese proprio nel momento in cui quest’ultimo si accingeva a leggere il suo proclama. A questo proposito si è pensato che, come il Piano Solo, si trattasse anche in questo caso di una semplice intentona, programmata per non essere portata a termine al solo scopo di costituire una messaggio ammonitore e di indurre cambiamenti politici. Più accreditata sembra invece l’ipotesi per cui con una telefonata al principe Borghese venne a mancare l’appoggio istituzionale per la riuscita dell’operazione <892. Questa seconda lettura sembra confermata da alcune dichiarazioni fatte da Fabio De Felice, un congiurato, a Paolo Aleandri:
“La causa del fallimento, sempre per come mi fu riferimento, Fabio De Felice la imputava a Gelli, che doveva assicurare la copertura americana e che invece all’ultimo momento si tirò indietro e quindi non arrivò mai questa telefonata che doveva passare attraverso poi ad tal Fenwick che abitava anche lui nella zona e che mi fu detto aveva dei legami con la CIA” <893.
In altre parole, Aleandri afferma di aver appreso che il contrordine venisse proprio da Gelli. Il senso del contrordine era la situazione di pericolo creatasi con la venuta meno dell’intervento dei Carabinieri che erano la forza territoriale diffusa e della cui indisponibilità, quella sera, Gelli aveva avuto notizia a cose avviate. Inoltre, sempre secondo le rivelazioni di De Felice non era arrivata la telefonata decisiva che doveva garantire l’appoggio degli americani e in particolare, con tutta probabilità doveva giungere dal Comando Nato di Napoli. L’uomo che teneva i contatti con gli aderenti al progetto del ’70 era Fenwich. A sostegno di questa ipotesi, Calogero ritiene che “pur se fosse stato dato materialmente da Gelli, il contrordine fu deciso e partì da un alto Comando militare americano, probabilmente dell’esercito, con cui egli era in contatto e a cui non poteva che prestare obbedienza nella qualità di agente inquadrato nell’organico della Cia, tenuto come tutti gli altri agenti al rispetto dell’assoluta segretezza circa il coinvolgimento, nella covert operation del 7-8 dicembre, dell’esercito e dei Servizi d’informazione statunitensi” <894.
Un terzo tentativo di golpe fu quello ideato da Edgardo Sogno, un personaggio oscuro già incontrato negli anni Cinquanta come leader dell’organizzazione Pace e Libertà. Il golpe, che avrebbe dovuto avere luogo tra il 10 e il 15 agosto 1974, nasceva per perseguire l’obiettivo dell’instaurazione di una Repubblica presidenziale in Italia, caratterizzata da forti limitazioni dei diritti sindacali, dalla concentrazione dei mezzi di informazione e da una forte scelta atlantista. Il contesto storico e politico era completamente mutato rispetto al tentativo precedente di golpe. Nel 1973 le elezioni amministrative avevano infatti segnato un notevole avanzamento per il Pci. In più, il Patto Giustiniani aveva reso possibile una collaborazione tra le maggiori forze politiche per la realizzazione di un governo capeggiato da Rumor. Negli stessi mesi, lo shock petrolifero seguito alla guerra dello Yom Kippur fra paesi arabi e Israele aveva provocato un’impennata dei prezzi del greggio per tutta l’Europa e, nel caso italiano, una crescita dell’inflazione al 21,4% <895. Nelle fabbriche e nelle piazze italiane crescevano intanto la violenza e gli scioperi. In base allo stesso disegno dei precedenti, il colpo di stato ideato da Sogno non fu portato a termine, ma ottenne il risultato sperato in quanto il governo di centro-sinistra cadde e fu formato un gabinetto composto da Dc e Pri.
Nelle carte statunitensi non compaiono indizi che facciano pensare ad un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel golpe Sogno. Da quanto emerge, tuttavia, la Cia e l’ambasciata erano state informate dallo stesso Sogno dell’esistenza dei comitati di resistenza democratica e dei preparativi in atto per un piano anticomunista, ma decisero di non avvallare né denunciare le operazioni. Questo atteggiamento, seppure non comprovato da fonti ufficiali, sembra consono al comportamento degli Stati Uniti in occasioni simili <896. Inoltre, nel colloquio già citato del 28 maggio 1973, Orlandini aveva accennato “all’importantissimo appoggio americano” per la riuscita del golpe Borghese e aveva fatto riferimento al fatto che Talenti e Fenwich fossero gli uomini di collegamento con gli americani per il tentativo di golpe del 1970 ma che contatti diretti con gli americani erano stati presi anche in relazione a progetti eversivi successivi, pertanto è molto verosimile ipotizzare che contatti simili siano stati presi anche in relazione al golpe bianco <897.
[NOTE]
871 G. De Lutiis, I servizi segreti in Italia, cit. p. 143.
872 P. Calogero, Il tentato golpe Borghese e la Loggia massonica P2 (7-8 dicembre 1970), in A. Ventrone (a cura di), L’Italia delle Stragi, Roma, Donzelli, 2019, pp. 49-59.
873 La sentenza della corte romana assolse tutti gli imputati dal reato di cospirazione politica “perché il fatto non sussiste”. Corte di assise di appello di Roma, sentenza nel proc. penale contro Orlandini Remo e altri, n. 49/75 reg. gen., 27 novembre 1984, in Atti Italicus Bis, fasc. 21, vol. IT2PM.
874 G. Pellegrino, Proposta di relazione, in Commissione stragi, pp. 166-168. Id., Appunti per una relazione conclusiva, in Commissione stragi, Doc. XXIII n. 64, vol. 1, t. 1, pp. 1-26; Su tali questioni si pronuncia anche: L. Follieri, Gli eventi eversivi e terroristici degli anni fra il 1969 e il 1975, pp. 73-176, in Commissione stragi, Doc. XXIII n. 64, vol. 1, t. 1, pp. 73-179, in particolare nelle pp. 135 e ss.
875 Sentenza-ordinanza G.I. Guido Salvini, 18 marzo 1995, p. 28.
876 Sentenza-ordinanza del G.I. Guido Salvini, 18 marzo 1995, p. 179.
877 Frus, 1969–1976, vol. XLI, Telegram From the Embassy in Italy to the Department of State, Planning for Possible Coup Attempt Week of 10 August, Roma, 7 agosto, 1970, pp. 667-670, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1969-76v41/pg_667. Il personaggio era già noto all’Ambasciata. Si legge infatti nello stesso documento: “The record and activities of Valerio Junio Borghese are, of course, well known to us. Prince Borghese visited Embassy on January 26th this year”. Borghese si era quindi già recato presso l’Ambasciata per illustrare il piano golpista, ma aveva ricevuto soltanto una accoglienza fredda da parte del secondo segretario Charles Scout: American Embassy, Memorandum of conversation, The National Front and the Italian Political Situation, 26 gennaio 1970, disponibile al link: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/BORGHESE%2C%20JUNIO%20VALERIO_0028.pdf.
878 Come approfondiremo più avanti, l’uomo d’affari in questione era Hugh Fenwich, ingegnere della Selenia e legale rappresentante del Partito repubblicano in Italia.
879 “I consider it highly unlikely that a coup attempt such as that apparently being contemplated could succeed. If attempted and unsuccessful, it would probably cause a massive leftward move in the political spectrum. If attempted, and successful, such a government could not be maintained without violent opposition and consequent necessity for massive oppression. Either outcome would seriously weaken Alliance structure, would likely entail unpredictable repercussions on Mediterranean balance and our Mid-East initiatives, and would likely jeopardize outcome of SALT talks. Current domestic difficulties over matter of Spanish and Greek regimes would also be magnified. I am therefore conveying to Prince Borghese the message that we do not believe recourse to such measures are appropriate in present circumstances, and that our estimate is that, if attempted, they will not succeed. Therefore, he might be wise to emulate his collateral relative, Napoleon, and choose as his current code word the phrase “not tonight, Josephine”. Frus, 1969–1976, Planning for Possible Coup Attempt Week of 10 August, cit. p. 669. La risposta del Segretario di Stato Rogers è in: Telegram from the Department of State to the Embassy in Italy, Possible coup attempt, August 10, 1970, in G. Cipriani, Relazione sui documenti concernenti l’Italia rinvenuti negli archivi degli Stati Uniti, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 5 dicembre 2000, all. n. 167.
880 NA, Backchannel Message From the Ambassador to Italy (Martin) to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger), Rome, 2 aprile, 1971, 1146Z, Nixon Presidential Materials, NSC Files, Kissinger Office Files, Box 65, Country Files—Europe, Martin, Ambassador (Italy). Secret; Sensitive.
881 U. Gentiloni Silveri, Gli anni Settanta nel giudizio degli Stati Uniti: “Un ponte verso l’ignoto”, in “Studi Storici”, 42, 4, (2001): pp. 989-1020.
882 C. Sulzberger, Spaghetti with Chile Sauce, in “New York Times”, 13 gennaio 1971.
883 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della Mafia e sulle Associazioni criminali similari, seduta del 16 novembre 1992, Audizione del collaboratore della giustizia Tommaso Buscetta, p. 370.
884 S. Flamigni, Trame atlantiche, cit. p. 52.
885 Nelle sentenze Fenwich, come anche Talenti, è descritto come uomo di collegamento tra destra italiana e americani. Nella sentenza di Salvini si legge: “nel colloquio in data 12.2.1973, su sollecitazione del capitano Labruna, Orlandini spiega che, come nel 1970, sono stati anche mantenuti e attivati i contatti con gli americani e che intermediario tra il Fronte Nazionale e lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, era il costruttore romano GianfrancoTalenti”. Altro uomo di collegamento con gli americani era l’ingegnere Hugh Fenwich: “dopo il trasferimento a Roma nel 1974 dell’istruttoria del dr. Tamburino sulla Rosa dei Venti, indagine che comunque toccava i progetti golpisti nel loro complesso posto che la congiura della Rosa dei Venti era in sostanza una prosecuzione dei tentativi del 1970, la ricerca della verità sugli apparati golpisti civili e militari aveva rapidamente perso di incisività ed era stato adottato un approccio frammentario che portava a perdere di vista il quadro nel suo insieme. Erano così usciti dall’istruttoria personaggi come Hugh Fenwick e il dr. Pierfrancesco Talenti”, Sentenza-ordinanza del G.I. Guido Salvini, 18 marzo 1995, pp. 179, 217.
886 A. Monti, Il “Golpe Borghese”. Un golpe virtuale all’italiana, Bologna, Lo Scarabeo, 2006, p. 55; di questo episodio parla anche: C. Gatti, Rimanga tra noi. L’America, cit. pp. 95-101.
887 N. Toniello, Un colpo di stato mancato? Il golpe Borghese e l’eversione nera in Italia, in “Diacronie”, 27, 3 (2016), disponibile al link: https://journals.openedition.org/diacronie/4247#quotation.
892 G. De Lutiis, I servizi segreti in Italia, cit. pp. 106-22; M. Dondi, L’eco del boato, cit. pp. 251 e ss; A. Giannuli, La strategia della tensione, cit. pp. 346-55.
893 Interrogatorio di Paolo Aleandri di fronte al Pm, Dr. Piantoni, in Atti BS/ fasc. 02, Testi Dib, p. 7. La stessa interpretazione viene fornita da Angelo Izzo, in Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 18 marzo 1995, p. 344.
894 P. Calogero, Il tentato golpe Borghese e la loggia P2, cit. p. 59. Su questo punto, si veda anche l’intervista rilasciata da Ernesto De Marzio: Il golpe? L’alt dagli Usa, in “Il Corriere della Sera”, 14 aprile 1995.
895 F. Romero, Storia della guerra fredda, cit. pp. 234-235.
896 L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. p. 284.
897 Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 18 marzo 1995, cit. p. 181.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

Sul numero di novembre 2020 di questa nostra rivista abbiamo pubblicato una corposa recensione di Guglielmo Colombero, praticamente un saggio breve, al volume Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il “golpista” Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti” (pp. 272, € 16,00), scritto dallo storico Fulvio Mazza, edito da Pellegrini.
Nel marzo 2021 è stata pubblicata la seconda edizione del libro (pp. 304, €. 16,00) riveduta e ampliata in base all’acquisizione di diverse fonti inedite emerse in occasione del 50° anniversario stesso. Il titolo è: Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il golpista Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti”.
Come si sarà notato, nel titolo della seconda edizione sono cadute le virgolette al termine “golpista” attribuito ad Andreotti.
Su questa seconda edizione, un’assai interessante recensione è stata stilata da Guido Salvini che, come è noto, è stato uno dei magistrati che ha più e meglio indagato e sentenziato sull’argomento e sulle sue gravi interconnessioni con le stragi di quegli anni (Piazza Fontana in primis).
La recensione, pubblicata su Bottega Scriptamanent (www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=2449&ricerca=) viene qui riprodotta al fine di consentire al lettore una migliore visione d’insieme. Il Golpe Borghese fu un pericolo vero di Guido Salvini  La seconda edizione del libro evidenzia, tra l’altro, il coinvolgimento di Andreotti e Gelli e i depistaggi del Sid. Il saggio di Fulvio Mazza, «Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il golpista Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti”», fornisce, nel cinquantennale del tentativo di golpe, una risposta ragionata a tutti gli interrogativi posti dagli avvenimenti del 7-8 dicembre 1970.
Innanzitutto la gestione politica (e giudiziaria) viene nel libro messa a nudo con il racconto in presa diretta della costituzione nel 1968 del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese e della perfetta conoscenza che il SID aveva dei suoi progetti, tramite soprattutto l’azione del cap. Labruna che dal 1973 era riuscito far parlare alcuni congiurati, a partire dal costruttore Remo Orlandini, fingendo la piena adesione sua e dei suoi superiori al piano. I congiurati gli avevano raccontato in dettaglio non solo quanto era avvenuto la notte del 7 dicembre 1970 ma i nuovi piani golpistici che ancora sino all’estate del 1974 venivano coltivati nel progetto denominato “Rosa dei Venti”.
La gestione di questa massa di notizie da parte del SID era stata un filtraggio molto accorto.
Nell’impossibilità di nascondere alla magistratura tutto quello di cui era venuto a conoscenza, non dimentichiamo che l’indagine sulla “Rosa dei Venti” condotta a Padova del giudice Giovanni Tamburino stava giungendo al cuore dei progetti eversivi, prima il gen. Maletti e poi l’on. Andreotti, allora Ministro della Difesa, avevano selezionato e depurato le informazioni raccolte dal cap. Labruna.
Così l’originario “malloppo” documentario si era trasformato in un “malloppo” più piccolo (che è passato alla storia con la denominazione di “malloppone”, ma che – ad onta del nome – era in effetti una documentazione smagrita), per opera del gen. Maletti e poi, di concerto con il Ministro alla Difesa, in tre esili malloppini che erano stati consegnati nel settembre 1974 alla Procura di Roma, certo meno “pericolosa” rispetto al magistrato padovano.
Così era sparito dall’organigramma dei progetti eversivi il ruolo di alti ufficiali, tra di essi l’amm. Giovanni Torrisi destinato poi a diventare capo di Stato Maggiore della Difesa, il ruolo di Licio Gelli che nel progetto del 7-8 dicembre aveva il compito di neutralizzare il Presidente della Repubblica, il ruolo della struttura occulta di Avanguardia Nazionale diretta da Stefano Delle Chiaie e l’appoggio ai piani eversivi delle più importanti famiglie della ’ndrangheta calabrese. In più era scomparso ogni riferimento allo stesso Direttore del SID gen. Vito Miceli, contiguo ai golpisti e di cui guardava con benevolenza i progetti tanto da essere arrestato nell’ottobre 1974 proprio dal giudice Tamburino. Sappiamo tutto questo e con certezza perché quasi vent’anni dopo, il 7 novembre 1991, il cap. Labruna aveva portato al mio ufficio, l’Ufficio Istruzione, una vecchia borsa impolverata che conteneva i nastri, grosse bobine magnetiche di quel tempo, con la registrazione dei molti suoi colloqui con i congiurati che gli avevano rivelato tutto. Erano i nastri originali che Labruna aveva conservato per tanti anni, non quelli sottoposti alla potatura dalla direzione del SID e dall’autorità politica per salvare gli aspiranti golpisti che andavano protetti. Li abbiamo fatti trascrivere e in quelle conversazioni, con tanto di ruoli e di circostanze, emergevano i nomi, alcuni li ho indicati, tutti li troviamo nel saggio, di coloro che, ai più alti livelli, erano stati salvati dall’incriminazione.
Bisogna riconoscere che l’azione di infiltrazione del cap. Labruna era stata brillante sul piano investigativo e psicologicamente intelligente. Non si può ritenere che egli fosse complice dei golpisti, al contrario, e lo ricorda bene e forse per la prima volta Fulvio Mazza, il capitano fu tradito dai suoi superiori e alla fine pagò per tutti con i processi e la degradazione. Così, rendendo pubblici quei nastri il cap. Labruna, pochi anni prima di morire, ha riabilitato pubblicamente la sua figura. Parlando della risposta giudiziaria, l’assoluzione da parte della Corte di Assise di Roma di tutti gli imputati accusati di insurrezione armata contro i poteri dello Stato era stata poi in piena consonanza con la presentazione riduttiva del progetto eversivo da parte del SID, e anche oltre visto che erano stati assolti anche gli imputati rei confessi. Quanto al possibile appoggio degli americani l’autore evidenzia, come confermano anche le carte desecretate pochi anni fa negli USA, che Borghese aveva preso ripetuti contatti con l’ambasciata americana a Roma e che i nostri alleati atlantici sapevano tutto di quanto si stava progettando. Tuttavia la risposta statunitense era stata più che scettica. Al più gli Stati Uniti potevano dare il loro appoggio ad un intervento più limitato con la costituzione di un governo forte presieduto da un esponente DC di loro fiducia, con la prospettiva di indire nuove elezioni dalle quali magari fossero escluse le liste comuniste. Ma non condividevano il progetto di un golpe vero e proprio e questo per la mancanza di una vera leadership militare italiana in grado di governare. In sostanza non era possibile fare in Italia come ad Atene nell’aprile 1967. La mancanza di un appoggio atlantico è stata con ogni probabilità la ragione profonda del fallimento dell’operazione. Fine giunta, alle prime ore dell’8 dicembre, con il “contrordine” sia esso attribuibile, come scrive Mazza, a Gelli o a Andreotti. Non è escluso però, aggiungiamo noi, che un messaggio in tal senso possa essere giunto anche dai Comandi dei Carabinieri annunciando la loro defezione dall’operazione. Tra le altre vicende affrontate nel saggio c’è la morte del comandante Borghese in Spagna il 26 agosto 1974. Una scomparsa avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite ma comunque provvidenziale perché proprio in quelle settimane il SID con il gen. Maletti si apprestava a far pervenire alla magistratura le sue informative sui progetti di golpe dal 1970 al 1974, il cd “malloppino” depurato dai nomi più imbarazzanti ed un paventato ritorno del comandante Borghese in Italia avrebbe potuto rivelarsi assai scomodo per gli alti militari e i nomi più importanti che erano stati salvati da un possibile intervento della magistratura. Fulvio Mazza ricorda anche la scomparsa del giornalista de L’Ora di Palermo Mauro de Mauro, avvenuta il 16 settembre 1970, appena tre mesi prima del tentativo del 7 dicembre. De Mauro, per i suoi trascorsi giovanili proprio nella X MAS di Borghese, probabilmente aveva raccolto informazioni su quanto si stava preparando e il suo lavoro poteva essere quindi pericoloso per i progetti golpisti. Inoltre l’atteggiamento e la scelta del PCI che molto probabilmente aveva avuto notizia di quanto stava avvenendo in tempo reale e comunque ben prima dello scoop di Paese Sera del 17 marzo 1971. Il partito, con una precisa scelta politica, aveva tuttavia deciso di far comprendere all’esterno di essere al corrente del pericolo corso solo con qualche articolo volutamente criptico sul quotidiano l’Unità e aveva nel contempo aumentato la “vigilanza” dei suoi militanti. Questo per non provocare subito una reazione dei settori filo-golpisti delle Forze armate che, di fronte all’esplosione del caso, avrebbero potuto intraprendere una reazione violenta e ancor più pericolosa. Il saggio è corredato dalla riproduzione delle più importanti relazioni del SID concernenti la preparazione del golpe, difficilmente accessibili ed in parte inedite, e da una dettagliata cronologia degli avvenimenti di quei giorni, dalle prime ore del 7 dicembre 1970 sino al contrordine, giunto intorno alle ore 1.40 dell’8 dicembre, e alla ritirata dei congiurati. Infine Fulvio Mazza, sulla base dei dati disponibili dopo lunghi anni di ricerche e di indagini giudiziarie, stima l’entità dei militari, anche di alto grado, e dei civili che furono coinvolti nel complotto in 20.000-40.000 persone. Una forza per niente disprezzabile. Tutt’altro, in conclusione, che un golpe da “operetta” progettato da “quattro generali in pensione” ma un capitolo della storia italiana da non dimenticare perché ha ancora non poco da insegnarci. Insomma: un libro decisamente buono e ben documentato. Bottega Editoriale

Nel saggio di Fulvio Mazza Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il “golpista” Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti” (Pellegrini editore, pp. 272, € 16,00) viene affrontato, con grintoso spirito giornalistico, un argomento particolarmente delicato e spinoso: la ricostruzione di quanto accadde nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970, quando le istituzioni democratiche del nostro paese rischiarono di essere violentemente sovvertite dai neofascisti guidati dall’ex comandante della X Mas, Junio Valerio Borghese, e manovrati nell’ombra dal “Gran Maestro” della loggia massonica deviata P2 Licio Gelli. Il tutto con la probabile (la documentazione è credibile, ma non è sufficiente per dare una parola definitiva) complicità di Giulio Andreotti. L’autore è il nostro direttore Fulvio Mazza, che non avrebbe bisogno di ulteriori presentazioni, ma del quale evidenziamo comunque come sia un affermato storico contemporaneista, con, al suo attivo, numerosi saggi editi, fra gli altri, da: Esi, Franco Angeli, Istituto della Enciclopedia italiana (“Treccani”), Laterza, Pellegrini, Rubbettino (cfr. https://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib;jsessionid=87A71733BAE715CDFC7E06D37869B2D3). Il saggio nasce e si verifica anche e soprattutto tramite la documentazione, spesso inedita, proveniente da varie fonti: innanzitutto il Sid, la Commissione parlamentare P2 e la Commissione parlamentare stragi. Una documentazione che viene anche riportata per alcuni atti più qualificanti.  La demonizzazione dei “rossi” come “Antefatto” e pretesto del “Golpe”. Il primo dei quattro capitoli si occupa di esaminare i fatti, la cui trattazione è approfondita in dieci paragrafi. Nel primo paragrafo, Il contesto politico: per le Forze armate il Pci e la sinistra sono i nemici e la Dc non riesce più a garantire l’ordine costituito. L’influenza delle vicine dittature, l’autore analizza i presupposti della cospirazione: la pulsione golpista fermenta all’interno di una «classe arrogante che avvertiva come prossimo il termine del proprio potere di casta». Il teorema è suggestivo quanto verosimile: il “Golpe Borghese” come ultimo colpo di coda di un’oligarchia agonizzante, che, non potendo più contare sulla prevalenza degli elementi più conservatori all’interno della Democrazia cristiana dopo la caduta del governo Tambroni, punta a riprodurre in Italia una situazione analoga a quella della Grecia dei colonnelli, dove tre anni prima, con il pretesto di una (inesistente) minaccia comunista, una cricca di militari corrotti (finanziati dietro le quinte dai ricchi armatori come Onassis e Niarchos: i corrispettivi dei nostri Calvi e Sindona) si era impadronita dello Stato, gettando in carcere migliaia di oppositori. Mazza sottolinea come nel corso degli anni ’60, dopo la prima esperienza del centrosinistra, la Dc sia diventata un «marasma correntizio sempre più oscillante fra il conservatorismo, che la permeava fortemente, e le nuove istanze progressiste che vedevano crescere i consensi tra le sue fasce giovanili, intellettuali e fra quelle legate al mondo del solidarismo cattolico e del sindacalismo cislino». Dal canto suo, l’opposizione di sinistra, egemonizzata dal Pci ancora legato ideologicamente all’Urss, è maggioritaria all’interno del sindacato più rappresentativo, la Cgil, e l’“Autunno caldo” ha dimostrato come le istanze della classe lavoratrice siano state in grado di ottenere una conquista fondamentale come lo Statuto dei lavoratori, che ha eroso notevolmente lo strapotere dei “padroni delle ferriere” italiani.   Una sentenza di assoluzione che rimette in circolo le tossine eversive. Nel secondo paragrafo, Un “Quarto grado di giudizio” che fissa la “verità storica”: i golpisti vengono assolti solo grazie ai depistaggi dei vertici del Sid e di quelli dello Stato, l’autore puntualizza, tenendo in debita considerazione la cosiddetta “Sentenza Golpe Borghese”, la differenza fra “verità storica” e “verità giudiziaria”: tre mesi dopo il fallito “Golpe”, uno scoop di Paese Sera scoperchia il vaso di Pandora ma il processo celebrato tre anni dopo si conclude con una generale assoluzione. La Cassazione, il 25 marzo 1986, sentenziò l’assoluzione di tutti gli imputati. Vennero paradossalmente assolti anche i rei confessi. Mazza elabora così un immaginario “Quarto grado di giudizio” ed emette un’ipotetica “sentenza storica”. L’espediente letterario escogitato dall’autore scavalca lo steccato della pura e semplice indagine documentale, e si spinge oltre, entrando in una dimensione per così dire “metafisica” del Potere: Mazza si addentra in un labirinto di intrighi, depistaggi e complotti, si districa in una ragnatela di silenzi e di complicità, ma il volto del Tessitore resta sempre nascosto in qualche cono d’ombra, in qualche nicchia segreta, negli scantinati più sordidi della politica di casa nostra. Un’atmosfera che ricorda la machiavellica e malsana atmosfera di Todo modo, il romanzo di Leonardo Sciascia portato sullo schermo da Elio Petri: mandanti occulti, strategie ricattatorie, misteri irrisolti.  “Malloppo originario”, “Malloppone/Malloppastro” e “Malloppini”. Nel terzo paragrafo, Gli importanti elementi innovativi: la doppia censura ai tre (e non due) “Malloppi”, l’isolamento all’interno del Sid, del capitano Labruna, la “Dottrina Maletti”, Mazza architetta il dispositivo del suo “Quarto grado di giudizio”: il “Malloppo originario” è la cospicua stesura, appunto originaria, delle indagini condotte dal capitano Antonio Labruna; il “Malloppastro” (termine introdotto proprio dall’autore per evidenziare le clamorose manipolazioni effettuate dal superiore diretto di Labruna, generale Gian Adelio Maletti, anche su suggerimento dell’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti) è la versione epurata; i “Malloppini” sono quanto resta dopo due successive ondate di tagli e censure. In altri termini, i “Malloppini” sono paragonabili a una costata alla fiorentina più volte mordicchiata finché non rimane qualche brandello di carne ancora attaccata all’osso. Le identità dei partecipanti a questo banchetto restano oscure nella maggior parte dei casi, immerse in una foschia torbida su cui si tenta faticosamente di proiettare un fascio di luce: «Il confine fra il lecito e l’illecito era assai labile e spesso fu infranto per ragioni assai poco nobili», così sintetizza l’autore per quanto riguarda l’operato del Sid, il Servizio informazioni della difesa. Dall’indagine di Labruna scaturisce un complesso mosaico sulla cosiddetta “Strategia della tensione”, inaugurata dalla bomba di piazza Fontana (che, nel piano originario dei golpisti, pare dovesse sincronizzarsi con il “Golpe dell’Immacolata Concezione”) e culminata con l’occupazione, anche se non integrale, del Viminale; ma, lungo l’itinerario che porterà al processo, Maletti e Andreotti si dedicano a una sistematica sottrazione di tasselli, vanificando il paziente lavoro del loro subordinato, anzi, spingendosi fino a un vero e proprio scempio della sua opera. Maletti, in particolare, è fautore di una strategia occultatrice che l’autore battezza come “Dottrina Maletti”. Il teorema machiavellico elaborato da Maletti giustifica la copertura offerta ai neofascisti con l’esigenza di non infangare la reputazione degli apparati di sicurezza nazionali. Un cinismo che mette i brividi al pensiero che il Sid è comunque un organismo finanziato dai contribuenti…  Macchinazioni massoniche, connivenze nixoniane, triangolazioni repressive. Il quarto paragrafo, Le undici ipotesi riformate e confermate: dal sostegno degli Usa con Giulio Andreotti capo del governo, al ruolo di Licio Gelli, al “Piano antinsurrezionale”, mette in rilievo gli ambigui intrecci fra funzionari ministeriali, esponenti della destra eversiva e “amici degli amici” in odore di mafia. In particolare emerge l’appoggio che ricercò (anche in prima persona, attraverso viaggi in Calabria) e che poi effettivamente ebbe appieno, con la ’ndrangheta. Aspetti sui quali Labruna aveva indagato a fondo, ma delle sue deduzioni nei “Malloppini”, a causa delle ripetute censure messe in campo da Andreotti e Maletti, non è rimasta traccia: notte e nebbia.Aspetti sui quali Labruna aveva indagato a fondo, ma delle sue deduzioni nei “Malloppini” non è rimasta traccia: notte e nebbia. Il tramite delle connessioni fra cospiratori, neofascisti e mafiosi è ampiamente ipotizzabile nella massoneria deviata, vale a dire la famigerata loggia Propaganda 2 creata dalla “primula nera” Licio Gelli: va sottolineato anche l’atteggiamento fortemente ambiguo dell’ambasciata statunitense, che durante gli anni fangosi dell’amministrazione Nixon non mancava mai di esercitare pressioni anticomuniste. Inoltre vi è qualche sospetto che all’interno sia dell’Arma dei Carabinieri che dei vertici dell’Esercito si annidasse qualche fautore di una esasperazione in senso repressivo (leggi: antimarxista) di un certo “Piano antinsurrezionale” (già ampiamente collaudato all’epoca dell’attentato a Togliatti e sporadicamente durante i moti di piazza contro il governo Tambroni) denominato “Esigenza Triangolo”.  Dall’analisi di documenti riservati emerge la mefistofelica ambiguità del “Divo Belzebù”. Da due fonti significative (più attendibile quella proveniente dagli archivi diplomatico-militari Usa, discussa l’altra estratta dal “Testamento politico” di Borghese) emerge un particolare alquanto inquietante della cospirazione golpista: il ruolo assegnato a Giulio Andreotti come premier dell’esecutivo “di salute pubblica” consequenziale alla svolta autoritaria (ed è questo il comune denominatore di entrambi i documenti). Nel “Testamento” di Borghese compare anche il nome di un elemento di raccordo fra Andreotti e i golpisti: un fido collaboratore di Andreotti, Gilberto Bernabei. Secondo Borghese, il vero autore della telefonata che lo indusse a mandare all’aria il “Golpe” sarebbe stato proprio Bernabei su ordine di Andreotti, e non di Gelli. Sottolinea l’autore che comunque, al di là della paternità della telefonata, sia Andreotti che Gelli «avevano in quel frangente (come in altri…) una visione comune», e che inoltre, «Dalle carte Usa emerge un atteggiamento dell’amministrazione Nixon perplesso ma sostanzialmente disposto ad appoggiare il “Golpe”». In definitiva, si può tranquillamente congetturare (dato che prove certe, purtroppo, non ne esistono, e se mai ne fossero esistite sono state abilmente fatte sparire) che personaggi di grosso calibro come l’ambasciatore statunitense a Roma Graham Martin, il responsabile della Cia in Italia Hugh Fendwich e, dulcis in fundo, addirittura l’ex ufficiale nazista Otto Skorzeny, il sedicente liberatore di Mussolini, fossero tendenzialmente favorevoli al complotto ma solo nel caso in cui questo fosse andato in porto grazie all’appoggio determinante dell’Arma dei Carabinieri, elevando alla guida del governo un democristiano conservatore gradito all’amministrazione nixoniana come Andreotti, in funzione anticomunista, antisovietica e filoatlantista. Un atteggiamento analogo a quello dell’amministrazione Johnson che, tre anni prima, aveva avallato il brutale colpo di Stato dei colonnelli in Grecia senza mai stigmatizzare le sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dalla giunta militare di Papadopoulos.
Nel quinto paragrafo, Le altre conferme: le relazioni con il conservatorismo politico e sociale, da Pacciardi a Sogno. I rapporti con massoneria e Msi; la “Strategia della tensione”, l’autore, preso atto della sostanziale estraneità della massoneria al progettato “Golpe” (solo la loggia P2 di Gelli ne era al corrente), sottolinea il ruolo sostanzialmente marginale del Msi di Almirante, sicuramente ben disposto verso un’eventuale svolta autoritaria ma titubante nel procedere decisamente alla mobilitazione dei suoi militanti in appoggio al “Golpe”. Come l’ambasciata Usa, la Confindustria e il Vaticano, anche gli eredi del fascismo non si espongono più di tanto, timorosi di finire intrappolati da un eventuale fallimento del “Golpe”. Anche esponenti conservatori con un passato antifascista come Edgardo Sogno e Randolfo Pacciardi (la Resistenza per il primo, la Guerra di Spagna per il secondo) risultano invischiati nelle trame golpiste più che altro per l’ingenua aspirazione di rivestire ruoli di primo piano in un eventuale esecutivo a guida Andreotti. Gli uomini che sapevano troppo: una scomparsa irrisolta e una morte sospetta. Nel sesto paragrafo, I sette punti oscuri: il sospetto assassinio di Borghese, il Dossier sulle Forze armate, la scomparsa di De Mauro, il falso sul terzo “Malloppino”, il “contrordine”, l’autore riflette sulla scomparsa del giornalista De Mauro, notoriamente di sinistra ma con radici nell’estrema destra: fu decisa perché avrebbe potuto sprigionare rivelazioni scottanti sui rapporti fra mafia e golpisti? Potrebbe fare il paio con la morte improvvisa in circostanze mai chiarite del tutto  Mazza adombra esplicitamente l’assassinio – dello stesso Borghese in Spagna? Il provvidenziale attacco di pancreatite che uccide Borghese a Cadice nell’estate del 1974 avviene in compagnia di una donna: secondo la testimonianza di un noto terrorista nero, Vincenzo Vinciguerra, la partner sessuale del principe al momento del decesso non era altro che una agente del Sid… Tutto da dimostrare, ma che i servizi segreti di ogni paese si servano spesso e volentieri di avvenenti quanto letali creature femminili non è una novità… Ancora più inquietante e intricata la vicenda della scomparsa di De Mauro, ex legionario della X Mas di Borghese (al quale era talmente devoto da battezzare sua figlia con il nome Junia), rapito e sicuramente eliminato dalla mafia tre mesi prima del “Golpe”: cosa sapeva? E chi decise di commissionare la sua eliminazione alla mafia? Quanto a due poteri forti che in Italia contavano parecchio, la Confindustria e il Vaticano, l’autore sottolinea che pare assai improbabile una loro totale estraneità alla vicenda golpista. Non va dimenticato che gli industriali italiani (destinatari fra il 1940 e il 1943 di sostanziose commesse belliche) iniziarono a sganciarsi da Mussolini solo quando cominciarono a piovere le bombe angloamericane sulle loro fabbriche. Altrettanto ambiguo l’atteggiamento di un papa storicamente importante come Pio XII: non solo salutò con esultanza l’ingresso del generalissimo Franco a Madrid ma durante l’ultimo conflitto, pur di evitare rappresaglie anticattoliche da parte di Hitler, tacque per anni prima sulla politica antisemita del Terzo Reich e poi sull’Olocausto. Un silenzio rimasto impenetrabile nonostante numerose informative riservate in proposito anche da parte di esponenti antinazisti del clero polacco. Un dettaglio, quello della triade ambasciata Usa-Confindustria-Vaticano che, più o meno tacitamente, sta alla finestra in attesa degli eventi (per poi magari saltare repentinamente sul carro del vincitore) scarsamente preso in considerazione dalla memorialistica sul “Golpe Borghese”, e che invece varrebbe assolutamente la pena di approfondire. In questo stesso paragrafo si parla del falso giudiziario che caratterizzò il terzo “Malloppino”. Questo fu consegnato da Andreotti al procuratore della Repubblica di Roma, Elio Siotto, il 15 settembre 1974. E, fin qui, nessun problema. Il fatto è – evidenzia Mazza – che «nel documento si descrive anche l’avvenuto svolgimento di due riunioni che “si terranno/si tennero” il 23 e il 29 settembre 1974. Una vera e propria preveggenza! Come è stato possibile che un documento potesse contenere informazioni afferenti a fatti accaduti dieci giorni dopo la sua consegna? La gravità dell’episodio – conclude Mazza – è acuita dal fatto che, mentre gli altri documenti che abbiamo visto erano “solo” atti del Sid, i “Malloppini” erano anche e soprattutto atti giudiziari». Qualcuno molto in alto allunga il piede per far inciampare Labruna… Il settimo paragrafo, Le indagini di Labruna colgono nel segno. I neogolpisti organizzano la vendetta e vengono baciati dalla fortuna. Riemerge prepotentemente la “Dottrina Maletti”, esplora le inquietanti connivenze fra apparati di intelligence e vere e proprie mine vaganti neofasciste. Secondo l’autore, che cita il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino (che, a sua volta, cita lo stesso Maletti), appare chiaro che i vertici del Sid abbiano deliberatamente offerto copertura al terrorismo neofascista in cambio di un sostanziale appoggio in quella che viene definita come “Guerra fredda interna”. Il discredito vendicativo gettato dagli ex golpisti sulla figura di Labruna, che viene addirittura accusato di connivenza con l’eversione neofascista che lui tentava di smascherare, annichilisce definitivamente il suo sforzo investigativo, e sul fallito “Golpe Borghese” cala una saracinesca di impenetrabile omertà. Un dossier incandescente raffreddato e sterilizzato per renderlo innocuo. L’ottavo paragrafo, I documenti vengono finalmente mandati alla Procura. Ma prima si epurano i nomi imbarazzanti e quelli degli “amici”: Cangioli, Gelli, Paglia e Torrisi, per esempio, esamina l’epurazione del “Malloppone” e la sua metamorfosi nel “Malloppastro”, poi ulteriormente spezzettato nei tre “Malloppini”. Sembra una gara a eliminazione in stile “Grande Fratello” televisivo: uno dopo l’altro i partecipanti svaniscono come spettri dal Dossier originario di Labruna. In primo luogo il “Gran Maestro” Gelli, poi l’ammiraglio Torrisi seguiti da vari esponenti della destra eversiva coinvolti nelle “trame nere”. Una volta sottoposto all’attenzione del ministro Andreotti, lo scarnificato “Malloppastro” subisce ulteriori mutilazioni; voraci come squali, i suoi manipolatori continuano a sbranarlo, pezzo dopo pezzo. Evaporano così altri dettagli fondamentali: la mappa della capillare rete territoriale della pericolosa organizzazione paramilitare neofascista denominata Fronte nazionale, i suoi inquietanti legami internazionali con la Cia nixoniana, il ruolo cospirativo dell’ex capo partigiano monarchico Edgardo Sogno. Insomma, una sciarada che fa impallidire la memoria storica delle mistificazioni eseguite sulle prove accusatorie da parte dei vertici militari francesi all’epoca del caso Dreyfus, con Labruna costretto suo malgrado a recitare un secolo dopo un ruolo analogo a quello dell’onesto maggiore Picquart… La sconcertante indulgenza della magistratura nei confronti dei golpisti Nel nono paragrafo, Il flop del processo: l’accusa minimizza, le prove vere sono state tagliate e quando riemergono è troppo tardi! La Cassazione sentenzia: il “Golpe” non è mai avvenuto, emerge la pesante ingerenza di Andreotti sui già epurati “Malloppini” allo scopo di sminuirli e disinnescarli ulteriormente. In soccorso del presunto “Divo Belzebù” interviene anche la Cassazione, che amalgama le tre indagini in un unico pastone, dirottato a Roma dove all’epoca il rapporto fra il pubblico ministero Claudio Vitalone e Andreotti era paragonabile a quello fra l’unghia e il dito: il processo si conclude con una generale assoluzione. «Se l’unico vero investigatore era stato ostacolato, isolato e screditato; se l’accusa era sostenuta da chi era in stretta sintonia con Andreotti che, in ogni occasione, minimizzava e screditava l’inchiesta stessa, cosa ci si poteva attendere di più?» conclude l’autore. Lo strascico finale risale al 1991, quando Labruna, dopo un «acuto e lungo travaglio interiore», decide consapevolmente di infrangere il segreto d’ufficio e consegna al giudice Salvini la copia originale dell’intera documentazione investigativa sul “Golpe Borghese”: la magistratura potrà quindi vedere anche i numerosi atti censurati da Andreotti e Maletti, ma l’oblio della prescrizione impedisce ogni ulteriore procedimento penale.  L’ombra inquietante del grande Burattinaio. Il decimo paragrafo, Il ruolo centrale di Gelli nel “Golpe” è acclarato. Fu sempre lui a indurre Borghese al “contrordine”? O fu Andreotti, capo designato del governo golpista?, affronta quello che potremmo definire, come scriverebbe Jorge Luis Borges, «un enigma che racchiude un mistero in cui è nascosto un segreto». L’enigma è il seguente: Licio Gelli era oppure no l’eminenza grigia del “Golpe Borghese”, vale a dire l’artefice occulto della cospirazione? Un punto è certo: un commando golpista capitanato da Gelli stesso aveva fatto irruzione nel Quirinale per rapire il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Infine, il segreto: fu Gelli a emanare il “contrordine” che arrestò il meccanismo già avviato del “Golpe”, oppure fu Bernabei per conto di Andreotti? Ed ecco le tre ipotesi più attendibili. Primo, Gelli era effettivamente il numero uno del complotto, dato che godeva di libero accesso al Quirinale grazie a un lasciapassare fornitogli (sembra) da Miceli. Il che, al di là del fallimento o meno del “Golpe”, è già di per sé piuttosto allarmante. Secondo, il rapimento di Saragat fu mandato all’aria perché, all’ultimo momento, Gelli venne a sapere che l’Arma dei Carabinieri non avrebbe messo in atto il “Piano antinsurrezionale”, l’“Esigenza Triangolo”, in supporto al colpo di Stato (o, per rimanere nei termini spagnoleggianti con i quali è passato alla Storia, del “Golpe di Stato”). Terzo, diversi testimoni provenienti da ambienti neofascisti hanno concordemente affermato che fu una telefonata di Gelli a indurre Borghese a impartire il “contrordine” una volta appurato che l’amministrazione Nixon non avrebbe legittimato il “Golpe” (come invece accadde in Cile contro Allende tre anni dopo), e tantomeno avrebbe ordinato ai militari presenti nelle basi Nato in Italia di fornire sostegno logistico ai golpisti, principalmente sul versante delle telecomunicazioni. In sintesi, l’autore perviene a questa conclusione: dalla documentazione di matrice Usa emerge, riferendosi ad Andreotti, «un’ipotesi del leader democristiano quale elemento di contatto di vertice fra i golpisti e l’amministrazione Nixon. Un ruolo che collima con quello che emerge dal “Testamento politico” di Borghese. Una documentazione, quest’ultima, che va sempre presa con le pinze perché, come abbiamo accennato, la sua attendibilità è dubbia, ma non si può ignorare d’emblée. Ciò vale ancor di più perché ci restituisce una figura di Andreotti che risulta perfettamente compatibile con questa degli archivi federali statunitensi». Gli altri tre capitoli. Il secondo capitolo consiste in una Cronologia annotata delle giornate del “”Golpe”. Nel terzo e nel quarto contributo vengono pubblicati alcuni assai interessanti documenti sull’argomento, quasi tutti inediti e quasi tutti provenienti dal Sid, che costituiscono una delle basi dell’analisi di Mazza. Guglielmo Colombero, 50 anni fa il “Golpe Borghese”: un denso saggio di Fulvio Mazza. Per Pellegrini editore una sorta di provocatorio “Quarto grado di giudizio”. Fra i tristi protagonisti, Andreotti, Gelli, Maletti… in direfarescrivere, anno XVI, n. 178, novembre 2020  –  P.S. della Redazione di  direfarescrivere: L’uscita del libro non è passata inosservata. Fra le altre evidenziamo due interviste Rai: confini.blog.rainews.it/2020/12/17/il-golpe-borghese-un-colpo-di-stato-sotto-lo-sguardo-di- licio-gelli-e-giulio-andreotti-intervista-a-fulvio-mazza/ e l’altra visibile qui.

La notizia del tentato golpe uscì sul quotidiano “Paese Sera” il 17 marzo 1971 e a seguito di un interrogazione parlamentare alla quale seguì la netta risposta dell’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti, il quale affermò che “le autorità di Polizia […] hanno proceduto a perquisizioni domiciliari di esponenti di movimenti extraparlamentari di estrema destra, dalla cui attività potevano dedursi intendimenti eversivi…” ma non essendo perseguibili per legge gli “intendimenti, a causa di depistaggi e coperture non si poterono ricercare le cause del tentativo di golpe e i presunti golpisti vennero rilasciati uno ad uno mentre il principe Borghese fuggì in Spagna dove morirà nel ’74 portando nella tomba molti segreti relativi a quella notte.
Vediamo ora come si è evoluta e conclusa la vicenda per via giudiziaria <61: nel 1974, dopo l’archiviazione dell’indagine nata dopo l’articolo di Paese Sera, Giulio Andreotti consegnò alla magistratura un rapporto del SID, il servizio segreto militare dell’epoca, redatto dal successore di Vito Miceli (P2), Gianadelio Maletti (P2), nel quale si affermava che le forze eversive, oltre al tentativo di Golpe, avevano elaborato in seguito altri progetti, tra cui il rapimento del Capo di Stato Giovanni Leone. Morto quello che era stato considerato il promotore dei programmi eversivi, il principe Junio Valerio Borghese, massimo dirigente del Fronte nazionale, in Corte d’Assise finirono 76 dei suoi presunti seguaci. Tra gli imputati chiamati a rispondere oltre che di insurrezione armata, anche di cospirazione politica mediante associazione, tentativo di sequestro del capo della polizia dell’epoca, Angelo Vicari, furto, detenzione e porto abusivo di armi custodite al Viminale, detenzione e porto abusivo di armi da guerra ed esplosivi – figurarono Stefano Delle Chiaie; Sandro Saccucci, tra i fondatori di Ordine Nuovo, deputato del MSI e protagonista della sparatoria di Sezze, dove fu ucciso un giovane comunista; il costruttore romano Remo Orlandini; il generale dell’Aeronautica Giuseppe Casero (P2); il generale dell’Esercito Duilio Fanali; l’ex maggiore dell’Esercito Mario Rosa; il colonnello dell’Aeronautica Giuseppe Lo Vecchio (P2); il col. dell’Esercito Amos Spiazzi, già protagonista del tentativo di golpe chiamato ‘Rosa dei Venti’; Filippo De Iorio, esponente democristiano, Giovanni De Rosa; Luciano Berti, colonnello della Guardia Forestale di Città Ducale. Molti degli imputati risultarono compresi negli elenchi della Loggia P2. In giudizio, con l’accusa di favoreggiamento, anche l’ex capo dei Servizi Informazione Difesa (SID), il gen. Vito Miceli, sempre appartene alla P2 di Gelli. A lui è attribuita la colpa di aver protetto i “golpisti”.
La Corte d’Assise ritemne quest’ultima accusa inconsistente e assolse Miceli perché “il fatto non sussiste”. Per gli altri imputati il processo si concluse con quarantasei condanne e trenta assoluzioni di vario tipo.
I condannati vennero ritenuti tutti responsabili di cospirazione politica, ma furono assolti dal reato di insurrezione armata (pena prevista, l’ergastolo), dal tentativo di sequestro di Vicari, dal furto di armi al Viminale e dalla detenzione di armi da guerra ed esplosivi.
Un gruppo di imputati, tra cui Stefano Delle Chiaie, Eliodoro Pomar, Giacomo Micalizio, Leopoldo Parigin, vennero assolti con formula ampia (il fatto non sussiste) dall’accusa di aver progettato, nel 1972, un altro piano eversivo che doveva culminare con il rapimento dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Il 29 novembre del 1984 si concldeva con una generale assoluzione in Corte di Assise d’Appello il processo di secondo grado per il presunto Golpe Borghese. I giudici disponevano l’assoluzione di tutti i 46 imputati (“il fatto non sussiste”) dall’accusa di cospirazione politica. La sentenza riformava completamente la decisione di primo grado, limitandosi, per il resto, a ridurre le condanne inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.
Al termine del dibattimento, la pubblica accusa, impersonata dal procuratore generale Carlucci, aveva ridimensionando i fatti, escludendo che, in seguito alle iniziative di Junio Valerio Borghese, le istituzioni avessero corso un serio pericolo. Di conseguenza aveva sollecitato una notevole diminuzione delle pene per “la particolare tenuità del danno o del pericolo che poteva derivare da quelle azioni”. In tal modo tutte le condanne inflitte in primo grado, tranne quella di Orlandini, potevano rientrare nel condono. La Corte, invece, va molto oltre le sue richieste, assolvendo tutti gli imputati dai reati più gravi, assoluzione confermata in Cassazione il 24 marzo 1986.
61 I MISTERI D’ITALIA, il golpe borghese la vicenda giudiziaria, 13 luglio 2013, http://www.misteriditalia.it/golpeborghese/Borghese(Lavicendagiudiziaria).pdf
Giulia Fiordelli, Dalla Konterguerilla ad Ergenekon. Evoluzioni del Derin Devlet, tra mito e realtà nella Turchia contemporanea: analogia con la stay-behind italiana, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico
2012/2013