… e testate che di fronte alla prima delle nostre stragi sosterranno con forza le versioni ufficiali

Gli anni della contestazione e in particolare la strage di Piazza Fontana pongono vivacemente in discussione l’informazione e la stampa tradizionale, accusata di essere espressione di un mondo borghese e capitalista, di un’informazione “calata dall’alto”.
La controinformazione <34, di cui il libro “Strage di Stato” edito da Samonà e Savelli nell’estate del ’70, è la prima mirabile esemplificazione, scuote l’immobilismo del giornalismo italiano e in seno alle redazioni sorgono critiche e polemiche rispetto ai temi della libertà di stampa e all’indipendenza dell’informazione dal potere e dalla politica.
“Lotta Continua”, settimanale espressione dell’omonimo movimento extraparlamentare di sinistra, rivoluziona i canoni dell’editoria: formato tabloid e titoli a effetto, ironia e satira, vignette feroci e linguaggio polemico, campagne mediatiche (celeberrima quella violenta nei confronti del Commissario di Polizia Luigi Calabresi, ritenuto colpevole, come vedremo, della morte del ferroviere Giuseppe Pinelli) e lancio di nuovi slogan sempre più irriverenti e provocatori.
La figura dell’operaio è sempre esaltata, il clima di conflittualità raccontato come inevitabile e necessario, lo Stato tacciato di autoritarismo e, rispetto alle stragi, “Lotta Continua” sosterrà sempre la teoria delle “Stragi di Stato”. <35 La diffusione del giornale è perlopiù circoscritta ai militanti, ma l’eco delle sue invettive investe il dibattito pubblico. “il Manifesto” nasce come mensile per poi farsi quotidiano nel 1971. Si tratta di una testata da intellighenzia, nata dal dissenso di un gruppo di militanti comunisti espulsi dal partito, tra i quali Luigi Pintor e Rossana Rossanda. Grafica austera, lunghi articoli di analisi politica e approfondimenti di taglio culturale. Si configura, assieme a “Lotta Continua”, “L’Unità”, “Paese Sera” e altri, fra le testate di opposizione. “la Repubblica”, che nascerà soltanto nel 1976, sarà espressione di un giornalismo liberal-democratico e progressista. Nell’editoriale di presentazione Scalfari scriverà senza mezzi termini che il suo è «un giornale di informazione […] che anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo. È fatto da uomini che appartengono al vasto arco della sinistra italiana»36 ma, aggiunge, si propone di giudicare i fatti positivi e negativi, anche se si producono nell’area di sinistra in cui si è scelto di militare. Nomi noti del giornalismo confluiscono da subito nella redazione del nuovo quotidiano: Gianni Rocca, Giorgio Bocca, Miriam Mafai, Sandro Viola, Giorgio Forattini. Ben presto si uniranno Natalia Aspesi, Antonio Gambino, Giampaolo Pansa e altri illustri nomi.
In questo panorama vi sono poi alcune testate chiaramente orientate a destra.
Fra queste “Il Tempo”, legato alla destra democristiana e all’intelligence italiana e statunitense che vanta fra i suoi collaboratori uomini di dichiarato orientamento fascista, ex esponenti della Rsi, Pino Rauti dell’Msi e personaggi legati alla loggia massonica P2 come Francesco Salomone; ma anche “Il Secolo d’Italia”, quotidiano del Movimento Sociale Italiano; “Il Borghese”, periodico della destra autoritaria di Mario Tedeschi in prima fila sul fronte della guerra psicologica per orientare in chiave anticomunista l’opinione pubblica; e il settimanale di satira anticomunista “Candido”, di Giorgio Pisanò.
Sono tutti giornali che conoscono le tecniche della guerra psicologica, alcuni di essi vantano legami con i servizi segreti (il Sid per “Il Tempo” e l’Uaarr per “Il Borghese”) e tutti concorrono alla medesima costruzione della visione unidimensionale del “nemico”: movimenti, sinistra extraparlamentare e Pci sono tutti una cosa sola. Queste testate, assieme a “La Nazione” diretta da Enrico Mattei (omonimo del presidente dell’Eni proprietario de “Il Giorno”, nonché suo feroce critico), il conservatore “Il Giornale d’Italia” in mano ai Monti, “La Notte” (di proprietà dell’industriale cementiero Carlo Pesenti e diretto da Stefano Nutrizio, detto Nino, sino al ‘79) e “Il Messaggero” della potente famiglia industriale dei Perrone, saranno quelle che di fronte alla prima delle nostre stragi sosterranno con forza le versioni ufficiali avallando l’immagine di uno Stato bisognoso d’ordine, privo di qualsivoglia autorità statale in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini.
Fra i periodici, quello che maggiormente si distinguerà per le coraggiose inchieste e per accreditare e sostenere il concetto di “strategia della tensione” sarà “L’Espresso”, che già nel 1967 aveva fatto scalpore con lo scoop di Lino Jannuzzi sul cosiddetto “Piano Solo” <37 rimasto poi impunito e giudicato da alcuni studiosi un precedente in grado di influenzare i futuri piani eversivi, una sorta di «condizionamento politico [che] ha creato la premessa per favorire alternative autoritarie alla democrazia nel decennio successivo». <38
In questo quadro un ruolo di notevole importanza è giocato dalle agenzie di stampa che trasformano, per prime, il fatto in notizia. Il legame fra servizi e agenzie è notevole, servendosi i primi delle seconde per diffondere notizie preconfezionate. Il rapporto, a dire il vero, è anche inverso in una reciprocità che mina profondamente l’obbiettività delle notizie che dalle agenzie giungono alle redazioni dei quotidiani. Nel ’64 nasce un’agenzia giornalistica vicina all’area ordinovista, “D”, di Guido Giannettini (agente del Sid, giornalista, implicato nella strage alla Banca di Milano) e di Pino Rauti, leader della destra nostrana. La più famosa e controversa è certamente “Op” (Osservatore Politico) di Carmine – Mino – Pecorelli, nata per volere del Sid di Eugenio Henke e utilizzata come arma di pressione sul governo, sui politici e sugli industriali.
Se l’interesse principale è quindi per l’informazione a stampa, prestando sempre attenzione alla pubblicistica e alla storiografia che hanno trovato spesso un’eco sulle testate nazionali, anche la memorialistica è entrata di diritto fra le fonti di questo lavoro.
Questo perché rispetto al decennio ci si trova immersi in quella che la storica Barbara Armani ha definito un’“ipertrofia della memoria” <39 in cui la violenza è però spesso edulcorata e il conflitto ridotto al silenzio, e Miguel Gotor ha scritto di una «monopolistica dittatura della testimonianza» <40 in relazione alla produzione elaborata dagli ex della lotta armata.
Dai primi anni del nuovo millennio si è però affiancata a questa bibliografia anche una prolifera scrittura da parte delle vittime, che hanno assunto l’onore e l’onere della Memoria.
Le opere, edite in alcuni casi anche dalle varie associazioni dei familiari impegnate in importanti lavori di ricerca e di divulgazione, oltre che sul versante del ricordo, hanno quindi contribuito a bilanciare la narrazione affidata ai soli “ex”.
[NOTE]
34 La controinformazione è, letteralmente, un’informazione contro. Nasce negli anni Settanta e si declina nel nostro paese essenzialmente come in antitesi all’informazione del “potere”. Scrive a riguardo Massimo Veneziani in Controinformazione. Stampa alternativa e giornalismo d’inchiesta dagli anni Settanta a oggi, Castelvecchi, Roma, 2006, cit.pp.27-28: “il flusso informativo, anzi contro-informativo, che nasce dalle metodologie di raccolta, trattamento e diffusione dei dati, mira a colpire il potere in quanto tale, diffidando delle fonti ufficiali […] il carattere distintivo della controinformazione è il suo aspetto militante”. È proprio il carattere militante a distinguerla dal giornalismo d’inchiesta anche se negli anni Settanta le due realtà si intrecciano profondamente.
35 Fra i primi a utilizzare la locuzione “strage di Stato” ci sono gli anarchici del Circolo Ponte della Ghisolfa di Milano nella poco partecipata conferenza stampa del 17 dicembre 1969, in cui prendono parola sulla strage di Milano e sulla morte di Pino Pinelli avvenuta in Questura nella notte di due giorni prima. L’espressione diverrà sempre più diffusa e consacrata con il volume Strage di Stato, edito nel 1970 dalla casa editrice Samonà e Savelli, esempio di controinformazione militante per antonomasia. La teoria delle stragi di Stato ascrive a organi o personalità delle Stato la responsabilità di attentati e atti terroristici posti in essere al fine di destabilizzare l’ordine costituito.
36 Un giornale indipendente ma non neutrale, “la Repubblica”, 14 gennaio 1976.
37 Il piano Solo prevedeva la deportazione in Sardegna, presso la base Gladio di Capo Marrargiu, di più di settecento fra politici, giornalisti, sindacalisti e intellettuali di varia estrazione identificati tramite schedature dettagliate. Si sarebbero inoltre occupati gli uffici governativi, i giornali, le sedi delle radio e quelle dei partiti di sinistra. Tutto ciò, per osteggiare l’avanzata del centro sinistra e favorire una forte coalizione di centro destra in vista, magari, di una variazione della forma repubblicana dello Stato in direzione del presidenzialismo.
38 M. Dondi, op. cit., cit. p. 24.
39 B. Armani, La produzione storiografica, giornalistica e memoriale sugli anni di piombo, in Marc Lazar, Marie-Anne Matard-Bonucci, Il libro degli anni di piombo, Rizzoli, Milano, 2010, p.54.
40 M. Gotor, Premessa, in A. Moro, Lettere dalla prigionia, Einaudi, Torino, 2008, cit.pp XXII-XXIII.
Claudia Sbarbati, Le stragi e lo stato. Narrazioni su carta dello stragismo italiano: cronaca, memoria e storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2018