I germanici s’impossessarono di Lucca il 10 settembre

Lucca: Via del Fosso. Fonte: Mapio.net

L’annuncio dell’armistizio, reso pubblico l’ 8 settembre 1943 alle ore 19.42, fu accolto con entusiasmo dalla popolazione lucchese, convinta che da lì a poco sarebbero cessate le ostilità. Il comunicato non dava però nessuna dettagliata indicazione su come comportarsi con l’ex alleato tedesco ed ogni tentativo di contattare i dicasteri ministeriali di Roma fu inutile. I tedeschi, dopo un breve periodo di incertezza durante il quale non si mossero, compresero di essere in grado di occupare militarmente il territorio. I reparti italiani abbandonarono le caserme mettendosi in borghese, ma non prima di aver distrutto l’equipaggiamento militare. A Torre del Lago furono distrutti gli idrovolanti che non si riuscirono a far decollare mentre a Viareggio il porto fu bloccato tramite l’affondamento del MAS 32 e di alcune imbarcazioni militarizzate <171. Forte dei Marmi e Viareggio furono occupate dalle forze del Reich nel tardo pomeriggio del 9 settembre. I germanici s’impossessarono di Lucca il giorno successivo e lo stesso giorno il comune fu sede del primo fatto di sangue della provincia avvenuto durante le operazioni per la cattura del campo di prigionia per militari alleati in località “Pollino” <172. I fascisti locali rimasero per i primi giorni dopo l’Armistizio in attesa degli eventi. L’annuncio della liberazione di Mussolini e i cinque ordini del giorno trasmessi da Radio Monaco il 15 settembre, inerenti alla rinascita del fascismo e alla continuazione della guerra a fianco dell’alleato nazista, rinfrancarono lo spirito dei fascisti lucchesi: il giorno successivo al radiomessaggio fu riaperto il Fascio di Lucca <173. La viva voce del Duce e le sue nuove indicazioni del radiodiscorso del 18 settembre eliminarono gli ostacoli e i dubbi negli animi dei suoi fedelissimi. Così, il giorno stesso riaprì la Casa Littoria di Viareggio e quella dei Forte dei Marmi, mentre molti altri fascisti di provincia si adopereraono per fare lo stesso nel proprio territorio <174 e il 26 settembre 1943 ritornò nel capoluogo l’ex federale Michele Morsero per rivestire la carica di Segretario federale.
Contemporaneamente a questi avvenimenti anche il fronte antifascista si mise in moto al fine di creare le basi per la nascita di un movimento armato. Sull’Alpe delle Tre Potenze, a cavallo tra Toscana ed Emilia, si andò formando attorno all’ex militare Manrico Ducceschi, nome di battaglia “Pippo”, l’embrione della futura XI Zona Patrioti <175 mentre, sulla Pania di Corfino, trovarono base alcuni giovani capitanati dal Carlo Del Bianco (1913-1944), professore del liceo “Machiavelli”di Lucca e antifascista di lunga data <176.
Ben presto i fascisti lucchesi si resero conto che la maggior parte dei gerarchi e dei funzionari di rilievo del trascorso Ventennio non avevano risposto all’appello di Mussolini. Coloro che invece si erano presentati erano per lo più giovani, cresciuti all’interno delle organizzazioni del fascio, e uomini di mezza età che fino a quel momento non avevano rivestito nessun ruolo di rilievo nel trascorso Regime <177. Il federale, appena ebbe ripreso controllo del suo ufficio, si mise con zelo a sostituire tutti gli amministratori assunti dal Governo di Badoglio ed invitò le amministrazioni a riassumere tutti coloro che erano stati licenziati, per motivi politici, durante i 45 giorni. Anche in questo ambiente però numerosi fascisti si rifiutarono di tornare a rivestire i loro vecchi ruoli costringendo Morsero ad inviare un comunicato nel quale invitava «[nelle località in cui si presentava questo fenomeno] uno dei fascisti più animosi prenda l’iniziativa per ridare nuova vita all’organizzazione locale» <178.
Anche nel contesto lucchese si videro comparire le tematiche portate avanti dal Regime salodiano a livello nazionale: l’onore, il programma “socialisteggiante” di San Sepolcro e lo squadrismo. Il senso di vendetta e di rivalsa nei confronti degli approfittatori e dei voltagabbana del 25 luglio prese piede nell’ambiente del fascismo repubblicano locale. Come nel resto del territorio di Salò stava infatti prendendo spazio la corrente estremista, interessata a ripulire la società e il Fascismo stesso dai traditori e dagli ignavi. Per Camillo Cerboneschi, capo dell’Ufficio politico investigativo di Lucca e fascista radicale, lo stesso federale Morsero non era idoneo a rivestire il ruolo di Capo della provincia in quanto considerato troppo debole <179; per questo venne sostituito, il 25 ottobre 1943, da Mario Piazzesi <180, considerato invece più energico e adatto alla situazione. Il nuovo Capo della provincia si mise subito all’opera con l’intenzione di rafforzare i due pilastri sui quali si sarebbe dovuta sostenere la Repubblica Sociale italiana: il partito e la Milizia. Sul piano politico cercò, anche lui, di sostituire tutti i burocrati e gli amministratori badogliani, cosa che però risultò estremamente difficile in quanto, come già detto, numerosi esponenti del passato Regime rifiutarono di rivestire la carica. Sul piano militare Piazzesi procedette allo scioglimento delle
Squadre federali di polizia nate all’indomani dell’Armistizio e favorendo il loro incorporamento all’interno della GNR (dicembre 1943) <181. La soppressione delle Squadre fu un duro colpo per il fascio lucchese ma questa decisione rientrava nell’intenzione di Piazzesi di seguire le direttive di Salò miranti a far rientrare l’operato della RSI all’interno di un “alone” legalitario, al fine di rendere legittimo il suo Governo.
Contemporaneamente a ciò si dedicò all’Arma dei carabinieri di Lucca reputata, dopo i 45 giorni di Badoglio, non degna di fiducia e necessitante di un rinnovamento dell’organico più incline al nuovo ordinamento repubblicano <182.
Il Capo della provincia pose inoltre particolare attenzione all’annuncio dell’avvio dei bandi di leva militare miranti alla creazione delle nuove divisioni dell’esercito repubblicano: Piazzesi personalmente si fece garante del fatto che coloro che si fossero presentati non sarebbero stati inviati in Germania a lavorare per il Reich ma avrebbero contribuito a creare il nerbo del nuovo esercito salodiano. A coloro che non si fossero presentati assicurava invece l’arresto dei familiari e la loro incarcerazione come ostaggi fino al ritorno dei renitenti <183. Tra gli strumenti necessari all’attuazione di questo piano, sarebbe stata di fondamentale importanza la collaborazione della Diocesi lucchese alla quale, lo stesso Federale chiese di adoperarsi al fine di convincere i giovani a rispondere alla chiamata alle armi del Ministro Graziani. Nonostante le pressioni della Federazione, la chiesa lucchese tenne, per tutta la durata della RSI sul territorio provinciale, un comportamento più o meno aperto di disubbidienza civile nei confronti della Repubblica <184. Nonostante queste contromisure, il 21 novembre ebbe luogo il primo rastrellamento al fine di recuperare i giovani che si erano rifiutati di presentarsi alle caserme <185.
Questi metodi utilizzati dalla RSI determinarono però un sentimento di sfiducia e d’inimicizia da parte della gran parte della popolazione nei confronti della nuova entità statale. Molti giovani lucchesi, al fine di sfuggire alle chiamate alle armi, si fecero arruolare come lavoratori militarizzati presso l’organizzazione tedesca Todt. Molti, sebbene assunti da meno di tre mesi, riuscirono a rimanere ai propri posti di lavoro. La Todt infatti non era assolutamente disposta a cedere uomini, reputati indispensabili per la costruzione delle fortificazioni e la manutenzione delle strade. Lo stesso Piazzesi inviò le proprie rimostranze al generale Bruno Ubl, comandante in capo della zona di Lucca, senza ottenere successo <186.
In Lucchesia si presentarono le stesse problematiche analizzate nella parte iniziale della tesi: dei 1800 presentatisi sui 2800 molti si allontanarono dopo pochi giorni in quanto «non sarebbero stati apportati né alloggi né coperte, e il vitto sarebbe stato completamente insufficiente» e gli stessi ufficiali incaricati alla loro formazione non erano idonei a questo compito in quanto tornati sotto le armi «attratti più dalle paghe alte che dal senso del dovere» <187. Per contrastare questa perdita costante di reclute e il venir meno, o all’assoluto non presentarsi, dello spirito fascista repubblicano all’interno della popolazione Piazzesi decise di usare le maniere forti facendo vedere come il nuovo regime fascista fosse intenzionato ad ostacolare ogni possibile tentativo di opposizione nei suoi confronti. Trento Benassi, giovane accusato di furto e di aver sparato ad un carabiniere fu utilizzato dal Capo della provincia come esempio per la popolazione: una volta arrestato in Garfagnana fu condotto a Lucca, processato per direttissima e condannato a morte da un tribunale composto dal comandante della GNR di Lucca Messori, Cerboneschi dell’UPI, dal comandante
provinciale dei carabinieri e dallo stesso Piazzesi; l’esecuzione ebbe luogo presso il cimitero urbano del capoluogo il 7 dicembre 1943 <188.
Contemporaneamente a questi avvenimenti, Piazzesi iniziò a mettere in atto la politica antisemita delineata all’interno del 7º punto del manifesto di Verona e successivamente illustrata dal Ministro Buffarini Guidi con la circolare ai Capi di provincia del 30 novembre 1943 inerente all’arresto di tutti gli israeliti presenti sul territorio della RSI. Il Capo della provincia di Lucca destinò l’ex albergo “Le Terme”, conosciuto anche come Villa Cardinali, situato a Bagni di Lucca a campo di concentramento per gli ebrei rastrellati nel suo territorio di competenza. Nel giro di poco tempo furono circa 110 i semiti internati nella struttura; dal 25 gennaio iniziarono i trasferimenti verso il campo di Fossoli. I primi ebrei iniziarono ad arrivare al campo di raccolta provinciale proprio agli inizi di dicembre 1943 <189. Da questi avvenimenti possiamo vedere come Piazzesi fosse intenzionato a perseguire una politica in linea con il nuovo Stato repubblicano.
[NOTE]
171 F. Bergamini-G. Bimbi, Antifascimo e Resistenza in Versilia, Viareggio, Arti Grafiche Pezzini, 1983, p.50.
172 Il 10 Settembre i tedeschi si presentarono al campo per prendere il sito in custodia. I soldati italiani tentarono di perdere tempo per favorire la fuga dei circa 400 prigionieri presenti e del corpo di guardia del Regio Esercito. I tedeschi, resisi conto dello stratagemma, spararono innescando un conflitto a fuoco con le guardie del campo. Tre militari italiani persero la vita, tra cui il colonnello Cione comandate del sito. Quando i tedeschi riuscirono ad ad avere la meglio gran parte dei soldati di guardia e dei prigionieri alleati erano riusciti a fuggire. cfr, G. Fulvetti, Una comunità in guerra. La certosa di Farneta tra resistenza civile e violenza nazista, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006, p. 21.
173 Bergamini-Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, cit., pg. 54.
174 Ibidem.
175 Pippo e l’XI zona, in http://www.isreclucca.it/luogomemoria/652-2/
176 La formazione Del Bianco ebbe vita breve in quanto non ottenne mai il via libera ad operare da parte del Cln e nel dicembre 1943 fu costretta a sciogliersi per evitare di esser catturata della GNR. Cfr. Relazione della formazione “Del Bianco”, in “Documenti e studi” n. 2, 1985, http://www.isreclucca.it/wpcontent/uploads/2016/08/Documenti-e-Studi-n.-2-Relazione-Del-Bianco.pdf
177 Il quadro generazionale di coloro che parteciparono attivamente al fascismo repubblicano è ben rappresentato dall’organico della XXXVI Brigata Nera di Lucca consultabile in appendice. L’età media dei militi risulta essere di 30 anni; ne fecero parte molti adolescenti e numerosissimi over 40, la generazione che più mancava era quella di coloro che erano partiti militari nel giugno 1940, probabilmente disillusi e/o prigionieri in Germania.
178 Un invito agli Ispettori politici e amministrativi, in “La Nazione”, 6 ottobre 1943.
179 Pardini, Gli Italiani siamo noi, cit., p. 147.
180 (Cesena 1902-Messico 1981) squadrista e fondatore della “Disperata” di Firenze (1920), marcia su Roma, federale durante il ventennio a Enna, Piacenza e Lucca. Volontario della guerra d’Etiopia e del secondo conflitto mondiale. Seniore della MVSN, medaglia d’oro al valore civile e croce di guerra al merito. Cfr, A. Rossi, Fascisti toscani nella Repubblica di Salò, 1943-1945, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2006, p. 72.
181 Pardini, Gli italiani siamo noi, cit., p. 155.
182 «Rinnovellarsi nel personale, nel regolamento, nei mezzi e nel servizio, per poter rispondere maggiormente ai bisogni dei tempi». Ivi, p. 157.
183 Fulvetti, Una comunità in guerra, cit., p. 28.
184 Ivi, p. 55.
185 Ivi, p. 28.
186 Pardini, Gli italiani siamo noi, cit., p. 166.
187 Pardini, Gli italiani siamo noi, cit., pg 169.
188 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=5947
189 Cfr. Campo di concentramento di Bagni di Lucca, fasc. 332, in Fondo fascismo e RSI, Isrec
Edoardo Longo, I Neri di Mussolini. Repubblica Sociale e violenza fascista in Lucchesia, 1943-1944, Tesi di Laurea Magistrale, Università di Pisa, Anno Accademico 2017-2018


Il fascismo repubblicano lucchese è guidato dagli squadristi degli anni Venti, nonostante l’assenza del principale ras degli anni della presa del potere, Carlo Scorza. L’ultimo segretario del PNF, a dispetto del suo fanatismo, dopo il 25 luglio si era messo a disposizione di Badoglio tanto da essere poi arrestato e processato dai repubblichini, scampando al plotone di esecuzione solo per intervento del duce.
Capo della federazione del partito nel settembre 1943 è il console Michele Morsero, che ne avvia la riorganizzazione fino alla nomina a prefetto di Vercelli il 25 ottobre 1943. Capo della Provincia e della Federazione fascista viene quindi nominato Mario Piazzesi, esponente di spicco del primo fascismo fiorentino. Su richiesta di questi, sostenuta da Pavolini, viene designato questore il primo senior dell’88a Legione della milizia di stanza a Livorno, Primo Cappelli mutilato fascista, già volontario e decorato di guerra, a conferma dell’influenza e del peso dei gruppi radicali ruotanti attorno al partito. A Lucca opera anche il 9° Battaglione della milizia italiana (SS italiane), che dipende dal comando SS di Firenze e la locale legione della MVSN.
Matteo Mazzoni, La Repubblica sociale italiana in Toscana in (a cura di) Marco Palla, Storia della Resistenza in Toscana. Volume primo, Carocci editore, 2006