La durezza di linguaggio nei giornali clandestini dei comunisti italiani e francesi durante la Resistenza

L’aspetto teatrale sembra connettersi direttamente alla dimensione propria del linguaggio politico, il quale, per risultare coinvolgente ed efficace ai fini del pubblico degli astanti, ha bisogno di fondersi sull’enfasi e sulla chiarezza dei ruoli <356. Ora, il discorso comunista si riconosce con evidenza in queste caratteristiche retoriche e propagandistiche e questo è dovuto, in primo luogo, al suo essere fortemente ideologico, bipolare, manicheo, ma anche accentuatamente drammatico e totalizzante <357. La continua bipolarizzazione delle forze in gioco, la politicizzazione del discorso che divide gli attanti secondo nozioni e criteri elementari come quelli di bene e male, giusti e ingiusti, buoni e cattivi portano alle sue estreme conseguenze la teatralizzazione del linguaggio.
Negli anni della Resistenza al nazifascismo queste caratteristiche si radicalizzano. La propaganda del Pcf e del Pci nelle pagine dell’Humanité e dell’Unità è fortemente permeata da una dimensione conflittuale e oppositiva. Essa di fatto traduce sul piano linguistico l’immagine del combattimento, attraverso la creazione continua di fronti contrapposti. La radicalizzazione dello scontro comporta una bipolarizzazione, che impone una chiara scelta di campo. Non c’è spazio nella strategia e nella morale comunista per la massa degli indecisi. La polarizzazione del reale mette in scena l’affrontarsi continuo di gruppi politici e sociali contrari, a cui viene chiesto di sacrificare “tutto” per la sconfitta dell’avversario. Quando si chiede ai militanti di impegnarsi, lo si fa in nome di una lutte sans merci, allo stesso modo la necessità è quella di combattere par tout les moyens oppure di mettre tout en ouvre. Il ricorrere di queste formule, che compongono in maniera simile anche il linguaggio del Pci, sintetizza a pieno la natura totalizzante della guerra e della resistenza, così come la rigidità della morale comunista.
[…] Anche la propaganda del Pci ricorre al pronome e aggettivo “tutto” in espressioni come: tutto per il fronte oppure tutto per la guerra di liberazione nazionale, ma anche giocarsi il tutto per tutto, o ancora tutti e tutto per il fronte. Come si vede, si tratta di un linguaggio di natura drammatica, che non lascia spazio al dubbio e che richiede un impegno assoluto nella lotta. Quando ci si rivolge ai francesi o agli italiani si specifica molto spesso che si sta parlando a tous le français, toutes les françaises oppure nel caso dell’Unità a tutti i cittadini, tutti gli italiani. Il ricorrere anche nella propaganda italiana di espressioni come in tutti i casi, con tutti i mezzi, ma anche nessun dubbio, nessun tentennamento, così come l’utilizzo di aggettivi quali giusto (in riferimento alla via da percorrere) oppure audace e risoluta in relazione alla volontà denotano ancora una volta un tipo di discorso altamente normativo dove il raggiungimento dell’obiettivo finale impone un impegno radicale che non ammette mezze misure.
D’altra parte, l’abbondante presenza dell’avverbio contro/contre, sulla base del quale sono costruiti gran parte degli slogan, oltre a schematizzare chiaramente la logica del noi contro voi, si conferma un altro elemento grammaticale significativo all’interno del sistema linguistico e concettuale comunista. Sia nei numeri dell’Humanité che in quelli dell’Unità, infatti, si ricorre ampiamente all’utilizzo della preposizione avversativa, la quale, se da un lato sintetizza la frontalità del conflitto, dall’altro esprime prima di tutto “contro chi” e “che cosa” viene condotta la lotta e la propaganda. Si vedano esempi di titoli di testate come la lotta contro la guerra, la fame e l’oppressione fascista si intensifica e si estende <360, la liberazione di Roma apre la fase decisiva della lotta del popolo italiano contro l’oppressore <361, oppure motti quali contro le deportazioni, la fame e il terrore, verso l’insurrezione nazionale <362, contro ogni manovra attesista e capitolarda del nemico e della nazione <363. Anche la propaganda del Pcf chiama alla lotta contre les envahisseurs, cita in causa le patriotisme poupolaire contre la trahison des gouvernants <364, fa leva su espressioni come tout contre Hitler <365; o réclame interamente costruiti sull’opposizione: contre les affameurs vichyssois, en avant pour la lutte revendicative! <366, action de guerre contre les boches <367, tous debout contre les deportations.
La definizione per negazione degli obiettivi, certamente, permetteva di mantenere unito un fronte che fosse il più ampio possibile, facendo dell’avversario uno dei collante principali del blocco antifascista, in un momento in cui gli sforzi per l’unità – al di là delle diffidenze e competizioni reciproche – ricoprivano una importanza sempre maggiore. Da questo punto di vista, la ridondanza degli obiettivi contro cui combattere piuttosto che i motivi per cui impegnarsi, conferma la difficoltà stessa di entrambi i Pc ad avventurarsi in elencazioni programmatiche nell’ambito della politica di unità, seguita, seppur con un andamento discontinuo almeno per il Pcf, dai due partiti <368.
I risultati a cui siamo giunti, tuttavia, sono l’ulteriore dimostrazione di un discorso espressamente ideologico, fondato sull’appartenenza al gruppo politico/sociale di riferimento; nel quale la definizione del “noi” e del fronte alleato passa prima di tutto dall’esplicitazione dell’avversario da abbattere. Da questo punto di vista, possiamo concludere insieme a Franco Andreucci, che il discorso comunista è un discorso pronunciato contro, in cui la figura del nemico occupa un’importanza centrale e preponderante <369.
[…] Il tentativo è quello di sviluppare una contropropaganda che a partire dagli stessi termini della lingua del regime ne ribalta e capovolge il significato; per cui “l’Unità è il giornale che lotta per la pace, l’indipendenza, il pane e la libertà”; “il nemico principale è il nazifascismo”; “l’attesa coincide con la distruzione, mentre l’azione con la salvezza” e così via. Anche nell’Humanité si riscontrano gli stessi espedienti retorici. Lemmi linguistici che corrispondono a concetti chiave dell’universo politico e simbolico di riferimento vengono definiti in senso alternativo, fornendo spiegazioni dettagliate sul regime di Vichy o sul fascismo hitleriano, le quali ribaltano i significati della propaganda imperante.
[…] Ad assumere un significato alternativo sono anche concetti come per esempio quello di travailler pour les boches che equivale a travailler contre la France <379, oppure termini di lotta come sabotage che diventa un devoir national pour tous les français <380. Nel giornale italiano fa addirittura comparsa una rubrica dal titolo Domande e Risposte, nella quale l’educazione del militante passa da risposte a domande specifiche, attraverso le quali si spiegano vocaboli importanti della cultura politica comunista come quello di settarismo <381 e di riformismo <382, ma anche di democrazia e democrazia progressiva <383, a riprova del cambiamento interno alla linea del partito che passò anche dall’arricchimento del lessico, e dall’assunzione di significati nuovi in relazione a termini classici.
Questa insistenza classificatoria è sintomo di una precisa volontà educativa da parte sia del Pci che del Pcf nei confronti del militante, il quale attraverso la lettura dei giornali doveva venire informato, edotto e sottratto alla irreggimentazione fascista e nazista. Oltre ciò, in questo aspetto per così dire sovversivo del discorso comunista si distingue il suo essere parte di un movimento che aspira alla costruzione di una società alternativa e che per questi motivi ha bisogno di forgiare una lingua propria. Questi esempi, infatti, dimostrano la funzionalità dei meccanismi di “grammatica ideologica” individuati da Labbé <384. L’insistenza classificatoria conferma la natura ideologica e subalterna della propaganda comunista, il cui risultato è la creazione di un vocabolario proprio, nel quale, i differenti lemmi linguistici hanno il significato che ad esso dona la comunità militante.
[NOTE]
356 Da questo punto di vista, ne è una conferma il volume di Mayaffre, Les poids des mots [cit.] che evidenzia come meccanismi di funzionamento simili siano rintracciabili anche nei discorsi degli altri leader della Francia degli anni Trenta. A questo proposito Mayaffre sostiene che: la dramatisation est une forme de nécessité pour le langage politique dont l’efficacité passe par un jeu de rôle, dans lequel l’auditeur pourra d’autant mieux se reconnaître que les acteurs sont caricaturés, ivi., p. 98.
357 Si veda a questo proposito cosa scrive ancora Mayaffre: Certains aspects fondamentaux du discours, que l’analyse quantitave a mis en valeur, ressortent de la théâtralisation de la réalité. La politisation du monde, la bipolarisation lexicale sur des critères politiques sont le moteur d’un théâtre qui rassemble parfois à une commedia dell’arte tragique où les gentils et les méchants s’affrontent dans un combat manichéen, toujours, la représentation du monde qui se donne à voir dan le discours de gauche est caricaturale. À force de vouloir catégoriser les individus et ordonner le réel, selon une bipartition manichéenne, le discours idéologique cesse d’être réaliste. Ibid.
360 L’Unità 1942-1945, cit., Anno 19 – n. 4 , 5 Ottobre 1942.
361 Ivi., Anno XXI Num. 8 – 4 giugno 1944.
362 Ivi., Anno XXI – Num. 7 – 25 Maggio 1944.
363 Ivi., Anno XXI – N. 19 – 25 novembre 1944 – Ed. dell’Italia settentrionale.
364 L’Humanité clandestine, cit., Tomo II, Éditions special mars 1943, p. 195.
365 Ivi., Tomo I, n. 182- 9 Mars 1942, p. 557.
366 Ivi., Tomo II, N. 196 – 6 janvier 1945, p. 163.
367 Ivi., Tomo II, n. 199 – 13 janvier 1943, p. 171.
368 A questo proposito si rimanda all’ormai noto, Curtois, Le Pcf dans la guerre, cit. Per ciò che concerne il versante italiano invece si veda tra gli altri M. Bendiscioli, Antifascismo e Resistenza (impostazioni e storiografiche), Editrice Studium, Roma, 1964 e G. Quazza, Resistenza e storia d’Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Feltrinelli, Milano 1976. Entrambi gli storici concordano nell’individuare nella lotta contro il nemico comune e per la liberazione nazionale il comune denominatore su cui si cimentò l’alleanza delle forze antifasciste in Italia. Sempre a questo proposito ci pare particolarmente felice l’espressione di Santo Peli che ha parlato di unione disarmonica o di concorrenzialità nell’unità, cfr., Peli, Storia della resistenza in Italia, cit.
369 Franco Andreucci, Falce e martello. Identità e linguaggi dei comunisti italiani fra stalinismo e guerra fredda, Bononia University Press, Bologna 2005, cit.
379 Cfr., per esempio ivi., Tomo I, n. 151 – 26 février 1942, p. 551.
380 Ibid.
381 L’Unità 1942-1945, cit., Anno XXI – N. 14, 7 settembre 1944. La rubrica “Domande e Risposte” viene inaugurata sulla base di un “desiderio espresso da numerosi lettori” per rispondere “in forma necessaria breve ed elementare, alle questioni che ci vengono sovente poste dai nostri corrispondenti e la cui delucidazione può interessare una più larga cerchia”. Il primo termine ad essere spiegato è appunto quello di settarismo che viene presto descritto: “Settarismo viene dalla parola «setta», che significa congrega o fazione ristretta di persone professanti una data idea politica o religiosa, e che si tengono separate dalla massa. Settario, in politica, è appunto chi concepisce il Partito come una setta e perciò ne restringe e ne falsa i compiti e le funzioni”. Cfr., ibid. Come è noto le accuse contro il settarismo di diversi militanti saranno molto frequenti e la dicono lunga su come la politica di svolta impressa da Ercoli fu accolta dalla base del partito. Nel trafiletto si spiega come: “Il movimento operaio ed il partito rivoluzionario della classe operaia hanno potuto svilupparsi e si sviluppano solo in una continua e decisa lotta contro tutte le forme del settarismo”. Il modello di riferimento non è un partito di élite, quanto piuttosto un Partito di massa. Siamo agli esordi della teorizzazione del Partito Nuovo: “Marx, Engels, Lenin, Stalin ci hanno insegnato che il Partito che guida la lotta di liberazione della classe operaia e di tutta l’umanità progressiva, non può essere una setta, una ristretta congrega «di persone che la sanno lunga», e che senza avere alcun legame con le masse pretendono di additare la via e gli obiettivi della lotta. Può guidare la lotta delle masse solo un Partito di Massa, che sia parte integrante delle masse stesse, che ne senta perciò come proprie le sofferenze, le necessità, le aspirazioni. Solo un Partito di massa, legato alle masse, può esercitare la funzione di avanguardia rivoluzionaria delle masse stesse, può condurre effettivamente (e non solo a parole) alla lotta e alla vittoria.” Cfr., ibid. Per ciò che concerne le reazioni alla Svolta di Salerno e la nascita del Partito Nuovo si rimanda al già noto: Ragionieri, Il Pci nella Resistenza: la nascita del partito nuovo, cit.
382 “(…) Il riformismo era ed è una forma particolarmente grave e pericolosa dell’opportunismo, che, come scriveva Lenin sacrifica gli interessi generali e permanenti del movimento operaio ai suoi apparenti successi parziali e temporanei”. Cfr., ivi., Anno XXI – N. 15 – 22 Settembre 1944.
383 Ivi. Anno XXI – N. 15 – 22 settembre 1944. Questa la definizione di democrazia che viene data con un’accezione del tutto positiva: “Democrazia vuol dire libera decisione popolare, elezione di tutti coloro che hanno posti di responsabilità governativa; vuol dire controllo largo e continuo delle masse popolari su tutto il funzionamento dello Stato; vuol dire che il popolo attraverso le sue assemblee e i suoi delegati si governa senza gerarchi e senza imposizioni arbitrarie dall’alto”.
384 Cfr., Labbé, Le discours comuniste, cit.
Francesca Brogi, Per uno studio del discorso politico comunista. Il linguaggio dell’Humanité e dell’Unità negli anni della Resistenza al nazifascismo, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2017