I servizi statunitensi, dunque, avevano a disposizione un’accurata mappa del movimento fascista clandestino

Dunque, in tutta Italia erano effettivamente state sparse delle cellule, finalizzate a far risorgere il fascismo al momento opportuno, esattamente come aveva programmato Pavolini alcune settimane prima dell’insurrezione. Sul finire dell’estate del ’45 alcuni partigiani della sezione del CLN di Viareggio riuscirono a portare alla luce l’esistenza dell’organizzazione segreta fascista, in piena attività nelle settimane e nei mesi seguenti la fine del conflitto, evidenziandone la sua estensione e le sue diramazioni, ed a segnalarla alla Direzione del PCI. I partigiani erano riusciti ad arrestare un suo appartenente durante gli ultimi giorni di agosto. Il 1° settembre 1945 riferirono alla Direzione del partito i risultati dell’interrogatorio: si trattava di un ex appartenente delle SS italiane, che aveva partecipato come franco tiratore alla battaglia guidata da Polvani a Firenze contro la sollevazione partigiana e l’avanzata alleata sulla città. I risultati appaiono molto interessanti per la ricostruzione delle vicende della struttura clandestina di Salò dopo il conflitto. Dall’interrogatorio a cui il repubblichino venne sottoposto nella sede dell’ANPI, in base all’autorità del CLN, era emerso che si trattava di “un agente, un funzionario di una organizzazione clandestina fascista” – scrivono i partigiani – “che ha sede a Roma e si dirama pressoché in tutta Italia” <222. Proprio a Roma operava il gruppo “Onore”, che fino al 25 aprile era agli ordini di Pavolini e Del Massa, e che aveva collegamenti e ramificazioni in varie altre città. L’agente fascista interrogato in proposito “ha ammesso” – si legge nel resoconto – “l’esistenza di questa organizzazione, ed ha anche detto che uno dei centri di irradiamento è il campo di concentramento di Terni” <223. I partigiani riuscirono a fargli confessare che “lo scopo di questo movimento è quello di ostacolare i partiti di sinistra e di non far avvenire la costituente” <224. Scoprirono poi che l’interrogato aveva avuto una fitta serie di incontri segnalati dalla sua cartella risultata piena di nomi, indirizzi, numeri di telefono con persone che erano state tutte internate nei centri di detenzione alleati proprio con l’accusa di essere presunti componenti di una organizzazione clandestina fascista. In seguito a questo interrogatorio i partigiani misero il sospetto neofascista a disposizione della questura di Firenze. I risultati a cui arrivarono gli appartenenti del CLN di Viareggio permisero dunque ai dirigenti del PCI, che già erano stati informati riguardo al ruolo dell’organizzazione prima del 25 aprile dal collaboratore romano, di avere ben chiara la situazione sia dell’attività della quinta colonna di Salò svoltasi durante la guerra sia della riorganizzazione che si stava mettendo in atto tra questa e gli altri nuclei fascisti e certamente ai vertici del partito non doveva essere sfuggita la forte caratterizzazione anticomunista che si erano dati e che li teneva uniti. L’intelligence statunitense ebbe poi la possibilità di riscontrare un elemento fondamentale: come si era già palesato prima della fine del conflitto tramite l’offerta avanzata dal dirigente del gruppo romano di agenti di Salò, ciò a cui puntavano i capi dell’organizzazione era ottenere la protezione dei servizi USA, sfruttando il potenziale anticomunista rappresentato dalla forza paramilitare dei suoi appartenenti e l’esperienza maturata con le squadre di sabotaggio dietro le linee.
L’agente del controspionaggio americano Quinn ebbe modo di riferire a questo proposito i dettagli dell’offerta avanzata agli americani da parte dell’organizzazione neofascista, per collaborare contro l’ascesa del comunismo. Lo 007 statunitense era stato contattato infatti da Nino Buttazzoni, l’ex comandante del battaglione NP (nuotatori paracadutisti) della X MAS, proprio allo scopo di portare a termine l’accordo voluto dall’organizzazione finalizzato a porre sotto la protezione USA la forza e il potenziale anticomunista del gruppo. Buttazzoni, nei mesi successivi alla fine del conflitto, aveva assunto insieme a Polvani un ruolo di primo piano nell’organizzazione neofascista ed operava clandestinamente a Roma proprio allo scopo di estendere la collaborazione con l’intelligence statunitense a tutta l’organizzazione fascista <225. I suoi obiettivi, scrive l’agente americano, erano da un lato quelli di reperire appoggi politici ed economici per i neofascisti, cercando al contempo di legalizzare la loro posizione, e dall’altro lato di ottenere la protezione alleata, in particolare americana americana <226. Buttazzoni offriva come contropartita all’intelligence USA l’impegno, diretto a contrastare il comunismo in Italia, di migliaia di militanti ex repubblichini fortemente organizzati <227. Ciò che in questo periodo si consuma dunque è una svolta fondamentale: il definitivo passaggio verso un inserimento in un ambito atlantico degli obiettivi dell’organizzazione fascista. Nel corso delle settimane il comandante del battaglione NP fornì all’ufficio del controspionaggio americano la descrizione accurata dell’organizzazione, indicandone i centri, la suddivisione in comitati, squadre e gruppi d’azione, le città in cui erano stabiliti i centri operativi, il numero degli aderenti all’organizzazione e quanti di essi fossero armati <228. I servizi statunitensi, dunque, avevano a disposizione un’accurata mappa del movimento fascista clandestino: se avessero voluto avrebbero potuto consegnarla alle autorità competenti alleate o italiane affinché provvedessero a ristabilire la legalità, arrestando per lo meno i membri ricercati come criminali di guerra. Ciò che gli agenti intravidero nell’offerta avanzata dai capi dell’organizzazione fu proprio la possibilità di avere a disposizione una vera e propria rete, già costituita e capillare: una possibilità che, data l’estrema incertezza della situazione internazionale, i vertici dei servizi segreti americani non potevano permettersi di buttare al vento. L’eventualità di un’invasione sovietica dell’Europa ai loro occhi non si poteva infatti escludere, e la forza dei comunisti italiani era tale da far loro pensare che fosse possibile una presa del potere da parte loro in qualsiasi momento, o che, ipotesi ancora peggiore, l’Italia potesse scivolare nell’orbita comunista in modo perfettamente legale, attraverso le elezioni <229. L’insieme di tale documentazione aiuta dunque a comprendere quanto alcuni elementi sempre considerati marginali abbiano invece condizionato la nascita della democrazia italiana, soprattutto in virtù delle relazioni stabilite dall’organizzazione neofascista con l’intelligence americana, cosa che permise a quest’ultima di ottenere margini di azione altrimenti non raggiungibili.
Si era formato un piccolo esercito segreto, pronto a rivolgere le sue potenzialità all’ottenimento di un preciso scopo: quello di garantire la collocazione internazionale dell’Italia all’interno dello schieramento atlantico <230. I documenti dell’intelligence statunitense desecretati nel 2002 mostrano come a giudizio di Angleton esistessero due fronti, di importanza vitale, su cui lavorare in Italia: mentre il primo era formato dai confini con i Balcani, il secondo era costituito dai luoghi in cui la forza elettorale dei comunisti cresceva eccessivamente, cosa che accadeva soprattutto in Sicilia. Nell’isola, infatti, il forte movimento contadino e i successi che la pratica delle occupazioni delle terre andava accumulando avevano fatto sì che il movimento fosse arrivato con tutta la sua forza all’attenzione dei media. Tutti i braccianti e i contadini poveri della penisola guardavano alle vicende delle campagne siciliane con partecipazione e speranza. La Sicilia avrebbe potuto quindi attivare un effetto domino nazionale: innescare cioè un’ondata favorevole alle sinistre in tutta la penisola, analogamente a come avrebbe fatto l’Italia con gli altri paesi europei se fosse caduta in mano ai comunisti pericolo di cui aveva avvertito Kennan nel suo celebre lungo telegramma. Angleton aveva puntato interamente l’attenzione su questi punti caldi: il 12 febbraio del 1946 inviò al War Department dell’SSU e al direttore stesso del servizio un cablogramma cifrato, nel quale richiedeva immediatamente almeno 10 ufficiali, necessari per una fase militare: “Oltre agli ufficiali in sostituzione del personale che deve andare in congedo, ho bisogno immediatamente di almeno 10 ufficiali che vanno assegnati come agenti di emergenza, e per aprire e far funzionare stazioni a Napoli, in Sicilia, a Bari e a Trieste. Tutti gli ufficiali che saranno inviati per questi scopi devono essere sottoposti ad un periodo di intenso addestramento a Roma prima di assumere i futuri incarichi. Il personale richiesto serve per una fase militare <231. Gli agenti di cui Angleton faceva richiesta agli uffici dell’SSU di Washington non dovevano quindi essere agenti normali, personale militare di tipo impiegatizio: dovevano operare concretamente sul campo. Il direttore dell’X 2 non aveva bisogno di “novellini” da ufficio, e cercò di fare intendere fra le righe questa esigenza ai suoi superiori scrivendo nelle conclusioni del cablogramma: “Spendere una grande percentuale del nostro tempo per riscrivere e rivedere i rapporti, quando invece c’è urgenza di operazioni di lungo termine, non sarebbe il caso: per questo è impossibile nella presente fase sovraccaricarci di personale militare che si occupi più che altro di leggere e scrivere”, un modo elegante, nel linguaggio necessariamente formale usato per scrivere ai superiori di Washington, per far capire che aveva bisogno di gente pronta a tutto. Nel documento, come si è visto, il capo dell’X 2 parla esplicitamente di una inquietante “fase militare”. Il contesto di pace in cui operava, considerato che il conflitto era finito in tutto il mondo già da diversi mesi, fa presumere che lo scenario bellico per il quale erano destinati i nuovi agenti fosse in realtà una guerra coperta, condotta mediante operazioni clandestine. Tali operazioni clandestine, del resto, erano la modalità con cui il controspionaggio affrontava i compiti più importanti, in un momento storico in cui il primo obiettivo era il mantenimento dell’Italia nello schieramento occidentale. Sul confine orientale proprio in quei mesi le tensioni si facevano crescenti, e gli analisti americani erano convinti che gli jugoslavi volessero invadere i territori italiani al confine e da lì provocare un’insurrezione comunista nel paese, per poi invaderlo direttamente, con una manovra che avrebbe avuto il coinvolgimento del Partito comunista, garante del sostegno dall’interno <232. Alla luce di questi documenti la fase militare, per la quale Angleton aveva un bisogno così urgente di agenti, sembra dunque da intendersi come una fase di operazioni paramilitari, volte a contenere l’avanzata di quello che, agli occhi dell’intelligence statunitense, appariva come un unico fronte comunista articolato in due diverse minacce: la possibile invasione jugoslava sui confini orientali della penisola e l’ascesa dei partiti di sinistra. Le elezioni amministrative svoltesi nel marzo del ’46 indicarono poi come la forza dei due partiti della sinistra il PCI ed il PSI fosse ulteriormente in piena ascesa. I vertici del controspionaggio statunitense a Washington temevano, sulla base dei rapporti che ricevevano dall’Italia, una manovra a tenaglia da parte dei comunisti: se la pressione delle truppe jugoslave sul versante nord orientale si fosse fatta insostenibile, nello stesso momento in cui sul versante meridionale gli equilibri politici si fossero spostati in favore del partito guidato da Togliatti come sembrava che stesse accadendo soprattutto in Sicilia vista la crescente forza del movimento contadino non sarebbe rimasto alcuno spazio di manovra per frenare la caduta dell’Italia nell’orbita comunista, catastrofica eventualità che rendeva pertanto necessaria un’attività coperta e paramilitare preventiva. Il 15 febbraio Angleton scrive a Washington riportando l’informazione che l’ambasciata sovietica stava forzando i comunisti italiani a provocare una crisi di governo per scatenare una guerra civile <233. Fu proprio in previsione di questi scenari, dunque, che il capo dell’intelligence statunitense fece richiesta ai suoi superiori di agenti che fossero pronti ad operare sul campo, per quella che aveva appunto definito una fase militare <234.
[NOTE]
222 Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del Partito Comunista, Fondo Mosca, Serie Spie, provocatori, fascisti, b. 295, fasc. 37 III, f. 176, resoconto datato 1° settembre 1945.
223 Ivi, f. 176
224 Ivi, f. 176 IV. E’ importante notare la corrispondenza con le finalità del programma dell’organizzazione clandestina fascista presieduta da Polvani, che gli agenti dell’OSS infiltrano e descrivono nei documenti precedenti. Cfr. ad esempio il resoconto della riunione del 24 ottobre 1945, NARA, Record Group 226, Entry 1 08A, Box 263, Folder JZX 5960, in cui era emerso lo scopo che l’organizzazione si era data di ottenere il controllo sui partiti della sinistra. Quella monitorata dagli agenti statunitensi e quella scoperta dai partigiani del CLN di Viareggio era la stessa organizzazione, che si diramava in tutta Italia.
225 Il capitano Buttazzoni era stato inserito dagli stessi servizi Usa nella lista dei ricercati come criminale di guerra. Il suo nome compare nel documento intitolato ‘War criminals’ datato 23 aprile 1945: NARA, RG 226, Entry 108 A, Box 253, Folder JZX 1100.
226 Cfr., NARA, RG 226, Entry 108 A, Box 272, rapporto OSS classificato segreto, datato 10 aprile 1946, a firma del generale Quinn, comandante dell’SSU a Washington. Nel documento viene riferito poi come il comandante del battaglione NP avesse fornito “vari rapporti” sul movimento neofascista, affinché “destino l’attenzione delle autorità americane e queste entrino in contatto con il suo gruppo”. Quinn sottolinea poi come Buttazzoni, insieme a Polvani, fosse “in contatto con Valerio Borghese, detenuto nell’isola di Procida”. Sulla direzione operata da Quinn dell’SSU cfr. R. J. Aldrich, The Hidden Hand. Britain, America, and Cold War Secret Intelligence, The Overlook Press, 2002, p. 83.
227 “Nei loro rapporti” – scrive il generale Quinn – “Buttazzoni e il suo movimento sostengono che i comunisti, e quindi la Russia, stanno assumendo il controllo dell’Italia. I neofascisti sono un forte baluardo contro il comunismo, di conseguenza dovrebbe essere loro consentito di rientrare nella vita politica italiana e di fornire un contributo alla sconfitta del comunismo. Poiché gli Stati Uniti non desiderano che il bolscevismo prenda piede nella penisola, dovrebbero proprio per questo aprire un negoziato con i neofascisti per sostenerli. In cambio, gli Stati Uniti sarebbero in grado di controllare la situazione politica italiana appoggiandosi ai neofascisti, che sono fortemente organizzati in diverse migliaia di militanti”. Ibidem.
228 Ibidem. L’analisi relativa alla situazione italiana ed internazionale elaborata dai capi dell’organizzazione, Polvani e Borghese in contatto come si è visto tramite lo stesso Buttazzoni verteva sul dato dell’emersione di due potenze mondiali in lotta per l’egemonia, Stati Uniti ed Unione Sovietica, e sul pericolo comunista nella penisola, rispetto al quale veniva proposta la soluzione di rovesciare l’attuale governo per imporre una autorità apolitica.
229 In realtà oggi allo stato delle ricerche e con l’apertura, seppur temporanea, degli archivi sovietici sappiamo che la possibilità di un’invasione dall’est di truppe jugoslave o sovietiche non era prevista. Come è ormai noto, nei piani di Stalin era utile e necessario che gli Alleati mantenessero le zone di influenza nei territori su cui erano presenti i loro eserciti, affinché si consolidasse la prassi di instaurare la propria area di influenza lì dove i rispettivi eserciti erano arrivati. Cfr. in proposito M. Leffler and D. S. Painter, Origins of the Cold War. An International History, New York, Routledge, 1999.
230 Il Sostituto Procuratore di Padova Sergio Dini, nell’ambito di un’indagine relativa proprio ai rapporti tra i nuclei della Decima Mas e l’organizzazione Gladio, ha ottenuto nel febbraio 2005 la testimonianza di Nino Buttazzoni, nella quale l’ex comandante repubblichino ha illustrato il suo lavoro di organizzatore di nuclei di resistenza e di guerriglia che, secondo la tecnica classica dello Stay Behind, avrebbero dovuto continuare ad operare nelle zone già liberate dagli anglo-americani e rimanere attivi anche dopo la fine della guerra, anche se in sonno, facendo ampio riferimento poi ai contatti con James Angleton, il quale gli aveva proposto di collaborare con i Servizi segreti statunitensi in funzione anticomunista e antislava. Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18 bis, relazione cit., pp. 220-221. La Commissione d’Inchiesta ha stabilito che i nuclei organizzati dalla Decima Mas, destinati a rimanere dietro le linee nemiche in caso di invasione jugoslava sul confine orientale, divennero il modello di utilizzo per l’intera rete, avendo gli americani il progetto di costituire la stay behind che poi, una volta realizzata, verrà denominata Gladio.
231 NARA, RG 226, Entry 210, Box 457, Folder “In Rome 1/8/46 9/30/46”, cablogramma cifrato classificato con il grado di segretezza “confidenziale” del 12 febbraio 1946, inviato da Angleton al War Department Strategic Services Unit.
232 Secondo Angleton ed i suoi agenti inoltre c’era la possibilità, giudicata concreta, che qualora il clima internazionale fosse diventato ancora più teso, il PCI stesso avrebbe potuto “richiedere l’intervento delle truppe russo- jugoslave schierate sulla frontiera orientale italiana” per prendere il potere in Italia. Rapporto a firma di George C. Zappalà, uno degli agenti di Angleton, riprodotto nell’antologia a cura di N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani, 1943-1947, Bompiani, 2004 pp. 415-420.
233 NARA, RG 226, Entry 216, Box 6 (Original Box 3), Folder 27, cablogramma inviato da Angleton al War Department dell’SSU di Washington, il 15 febbraio 1946.
234 Il 1° maggio del 1947 a Portella della Ginestra gli uomini di Salvatore Giuliano, al soldo dei mafiosi e dei latifondisti siciliani, spararono ad un corteo di lavoratori uccidendone undici. Quel giorno si tornava a festeggiare la Festa dei Lavoratori, spostata al 21 aprile durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi si riunirono a Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte. Inoltre, si festeggiò il successo del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana, del 20 aprile di quell’anno. In queste elezioni PSI e PCI avevano conquistato ventinove rappresentanti contro ventuno della DC. Sulla gente in corteo partirono dalle colline molteplici raffiche di mitra che causarono undici morti e venti sette feriti, di cui vari decedettero per le ferite riportate. Su una delle alture che circondano la spianata di Portella della Ginestra, di fronte a quella dove si trovava Giuliano, prima della sparatoria alcuni testimoni videro proprio un reparto di uomini della Decima Mas in assetto militare, appostati fra le rocce, fare il saluto e il grido della formazione, come testimoniarono durante il processo. Portella della Ginestra potrebbe forse prospettarsi dunque come la prima applicazione di queste operazioni paramilitari per le quali si stava preparando Angleton. Per un resoconto avvincente che propone testimonianze originali e documenti inediti, tratti dagli archivi statunitensi, inglesi e sloveni e dall’Archivio del SIS di Roma vedi il dossier di Giuseppe Casarrubea – Mario J. Cereghino, Stati Uniti, eversione nera e guerra al comunismo in Italia 1943-1947, 2007.
Vincenzo Aristotele Sei, Italia e Stati Uniti, l’alleato ingombrante, Tesi di laurea, Università degli Studi della Calabria, 2014