Il gruppo di comunisti attivo alla
Bolognina ruotava attorno alla fabbrica MM

Carli, nella sua prima relazione inviata al centro estero nel luglio del 1929, metteva in luce anche un altro gravissimo deficit dell’organizzazione bolognese, oltre a quelli già elencati. Mancavano, infatti, militanti giovani nella federazione, e ciò derivava non solo dalle mancanze oggettive dei comunisti già organizzati, ma anche dalle difficili condizioni ambientali in cui questi si trovavano ad operare. Anticipando, in un certo senso, le riflessioni che Togliatti avrebbe esplicitato nel Corso sugli avversari tenuto a Mosca nel 1935 <915, Carli sottolineava il ruolo della propaganda e dell’inquadramento all’interno delle associazioni fasciste, pratiche di successo soprattutto tra i giovani, per l’appunto <916. In altre parole, per citare Togliatti, metteva in luce i caratteri di massa del regime reazionario costruito dal fascismo: “Il giovane è forse il punto dove dobbiamo maggiormente guardare, in quanto oggi uno appena nato è già Balilla, e poi su per tutti i gradi sin al partito. A Bologna il fascismo come organizzazione noi crediamo che sia una delle migliori e più accentrate, i loro circoli rionali sono per noi più pericolosi che la stessa polizia. Pochi sono i giovani che possono tagliar la corda dal loro inquadramento, anche molti giovani nostri es compagni sono presi nella morsa. I circoli rionali svolgono diverse attività fra le quali quelle di assistenza, ambulatori, sport, ecc. Per Natale e per Pasqua sorte con generi alimentari e qualche soldo per i poveri del rione. Ora poi quasi tutti i Circoli Rionali hanno costruito teatri ed anche all’aperto danno spettacoli di prosa e lirica e purtroppo dobbiamo constatare che molti sono coloro che li frequentano dato la quota bassa L. 1. Personalmente o visto in certi teatri Rionali più di 2000 persone. Trattandosi di Rione voi comprendete che sono molte. Studiate bene voi il lavoro dei giovani io credo fosse bene qualche opuscolo, al bisogno magari cercate di indicarci se ci fosse già qualcuno di questi opuscoli che avessero una veste quasi legale e si adattasero al nostro scopo. Il fascismo ai giovani non crea una concessione politica, e più che altro questi giovani prendono delle arie gueriere e cattive. A tu per tu però questi giovani si vergognano di essere nelle avanguardie e dicono che sono costretti” <917.
Il reclutamento dunque rivestiva un ruolo fondamentale per la sopravvivenza e l’espansione della rete comunista, soprattutto tra i giovani, e le conseguenze della svolta sul territorio italiano impressero un’accelerazione in questa direzione in tutta la città di Bologna. Nel corso di una vastissima operazione anticomunista (che portò anche all’arresto dell’emissario comunista Vincenzo Moscatelli) cominciata nel novembre del 1930 e terminata nell’agosto dell’anno successivo, infatti, vennero arrestati quasi 250 individui in tutta la Provincia, tra i quali ben 90 giovani (ma, includendo gli irreperibili, il numero degli imputati appartenenti a questa categoria si alzava a 113), rappresentanti, secondo le forze dell’ordine, la totalità della federazione giovanile comunista provinciale. Chi erano questi giovani? Per quanto riguarda i 41 residenti a Bologna, vi era una netta prevalenza di operai meccanici (12) e muratori (9), ma non è da sottovalutare la cospicua presenza di artigiani ed apprendisti: vi erano infatti 3 fornai, 3 calzolai, 4 falegnami, 2 marmisti <918. Per quanto riguarda, invece, le età, 22 erano nati tra il 1905 e il 1909, mentre 16 erano nati tra il 1910 e il 1914: il totale dei minori di 25 anni, all’epoca dell’inizio delle indagini, era dunque di 38 individui su 41 <919.
Le azioni più spericolate vennero compiute nei paesi della campagna circostante, soprattutto a Nord di Bologna nei Comuni di Castelmaggiore, San Giorgio in Piano, ma anche ad Anzola nell’Emilia e Casalecchio di Reno; la Bolognina funse da collegamento tra la città e la campagna, ruolo che le si confaceva particolarmente a causa della commistione che le due dimensioni, rurale ed urbana, avevano all’interno dei suoi confini, come ho descritto nel precedente capitolo. Non è un caso che la più importante riunione di coordinamento tra le varie organizzazioni della Provincia fosse avvenuta, nell’agosto del 1930, in casa di Aristide Mannini <920, ex ferroviere licenziato nel 1923 per «scarso rendimento» ed abitante in via Ferrarese 71 <921.
Il gruppo di comunisti attivo alla Bolognina ruotava attorno alla fabbrica MM, sita in via Calvart e di cui ho parlato nel capitolo precedente, ed era capeggiato da Marx Tassoni, che non abitava nel quartiere (era infatti residente in via Miramonte, nella parte meridionale del centro cittadino) ma vi lavorava insieme, per un breve periodo, al celebre Nino Nannetti <922. Proprio i rapporti tra questi due personaggi possono aiutare a comprendere come avvenisse il reclutamento dei giovani nel Partito Comunista, e come questo spingesse alla creazione di nuove cellule a cascata di cui non si conoscevano, spesso, i membri.
Tassoni era nato nel 1911 a Bologna e nel 1928 era entrato alla MM come operaio meccanico dove aveva conosciuto Nannetti il quale, forse anche a causa del suo nome di battesimo, lo aveva avvicinato parlando di questioni salariali e dell’inutilità dei sindacati fascisti, senza però avere il tempo per approfondire la propaganda a causa del suo rapido licenziamento. Qualche mese dopo Tassoni venne avvicinato da un nuovo collega, Agostino Foresti <923, il quale, probabilmente informato da Nannetti (che nel frattempo era già espatriato) dell’interesse mostrato da Tassoni per i suoi discorsi, calcò la mano sottolineando i disagi creati dal fascismo alla classe operaia, e introducendo, per la prima volta, il comunismo come possibile soluzione. Foresti venne licenziato a metà del 1930, ma l’amo era ormai stato gettato: nel settembre dello stesso, infatti, si recò a casa di Tassoni e gli propose l’iscrizione al Partito Comunista d’Italia, che venne accettata. Pochi giorni dopo, Foresti convocò Tassoni a Porta San Felice, alle ore 20.30, dove quest’ultimo trovò Ernesto Venzi, Giorgio Scarabelli, lo stesso Foresti ed un individuo a lui sconosciuto, probabilmente
l’emissario comunista venuto dall’estero <924: quella sera i quattro ragazzi vennero nominati ufficialmente a capo della federazione giovanile comunista bolognese, con il compito di creare nuove cellule nelle zone assegnate a ciascuno di loro. Tassoni, in ragione della sua residenza, fu nominato responsabile del II settore, dunque non della Bolognina che faceva parte del IV; ugualmente, però, si impegnò per creare una cellula d’officina alla MM, reclutando a tale scopo i suoi colleghi Mario Bonazzi e Domenico Stagni.

[NOTE]
915 A livello dirigenziale, Togliatti fu il primo a comprendere che il regime fascista non era semplicemente «l’aperta dittatura terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti, più imperialistici del capitalismo finanziario» (la definizione che ne diede il Comintern durante il XII Plenum del 1933), ma che avevi indubbi caratteri di massa: a ciò si riferiva quando, nelle lezioni tenute a Mosca tra il gennaio e l’aprile del 1935, coniò l’espressione di «regime reazionario di massa». Nel corso delle lezioni Togliatti sviluppò l’analisi seguendo proprio questo asse tematico, ovvero tentò di spiegare i motivi del successo delle organizzazioni di massa fasciste e propose alcune contromisure; in particolare, si occupò dei giovani nella lezione IV e soprattutto del Dopolavoro nella lezione VI, a mio parere una delle più lucide dell’intero corso. Togliatti aveva infatti compreso quale fosse il pericolo che poteva scaturire dalla frequentazione dei Dopolavoro e dei circoli sportivi da parte delle classi subalterne, escluse fino a pochi anni prima da qualsiasi tipo di partecipazione alla cittadinanza, così come da tutto quanto concerneva il tempo libero: «Vi è in questo un pericolo: si fanno avanti degli elementi che tendono a perdere il carattere proletario, si cerca di ispirare ai lavoratori che fanno parte di queste organizzazioni un carattere piccolo borghese». Si pensi alla lettera dei ferrovieri di Via Albani contro il mercato rionale, che ho pubblicato integralmente nel capitolo precedente, e a quanto era penetrata a fondo l’idea di decoro in una categoria professionale che, non molti anni prima, aveva marcate tendenze anarchiche e socialiste. Un’altra accusa di Togliatti era rivolta ai compagni che disdegnavano lo sport, considerandolo meramente un diversivo per distrarre i lavoratori dagli obiettivi di classe, posizione a lungo maggioritaria all’interno dei partiti socialisti e, dopo la loro creazione, comunisti: «è l’ora di smettere di pensare che gli operai non debbono fare sport. Anche i vantaggi più piccoli non sono disprezzati dagli operai. L’operaio cerca sempre la più piccola cosa che può trovare per migliorare la sua condizione. Anche il solo fatto di poter trovarsi alla sera in una camera e sentire la radio è una cosa che gli fa piacere. Noi non possiamo scagliarci contro l’operaio il quale accetta di entrare in questa camera, per il solo fatto che sulla porta c’è scritta l’insegna del fascio» [Palmiro Togliatti, Corso sugli avversari, cit., rispettivamente p. 106 e p. 107].
916 Per la propaganda fascista indirizzata ai giovani e le organizzazioni giovanili del regime, rimando a Tracy H. Koon, Believe, Obey, Fight, cit.; Luca La Rovere, Storia dei Guf: organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista, 1919-1943, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; Id., Giovinezza in marcia: le organizzazioni giovanili fasciste, [S. l.], Editoriale nuova, 2004; Simone Duranti, Lo spirito gregario: i gruppi universitari fascisti tra politica e propaganda (1930-1940), Roma, Donzelli, 2008.
917 Rapporto del segretario federale di Bologna, firmato «Carli» e datato 21-7-29, conservato in FF, Tasca, Faldone VI, fascicolo unico, sottofascicolo 21. Meno di un anno dopo, Carli sarebbe ritornato sul medesimo punto, tratteggiando una situazione ancora più pericolosa: «Appunto si riscontra questo che nei rioni operai la pressione è più alta da parte dei segretari rionali perché si frequenti le sedi e si aderisca e specialmente sui giovani. Il maggior contingente all’avanguardia è dato appunto dai rioni operai della periferia, mentre nel centro della città è meno esercitata una pressione. […] Il Cav. Pastore [Questore di Bologna, nota mia] dopo la venuta a casa di quasi tutti i confinati bolognesi, ha fatto noto alle gerarchie fasciste, che lui non risponde più del mantenimento dell’ordine. Di qui i fascisti hanno incaricato i circoli rionali di sorvegliare loro tutti gli elementi delle loro zone. Questo provvedimento per noi è molto grave» [Rapporto Carli [aggiunto a matita: Gottardi] – Febbraio 1930, senza firma e senza data, conservato in FF, Tasca, Faldone VII, fascicolo 1, sottofascicolo 6; in questo stesso documento Carli specifica che i giovani appartenenti all’organizzazione, in tutta la Provincia, arrivavano a stento a 45].
918 Per completare il quadro, tra i restanti giovani comunisti arrestasti vi erano 2 tornitori, 3 elettricisti, un fabbro, un carbonaio, un barbiere, un idraulico (fontaniere, in bolognese, nelle carte della polizia), un colono.
919 I restanti 3 arrestati erano nati, rispettivamente, nel 1898, nel 1899 e nel 1901. Ho tratto tutte queste informazioni, così come quelle relative alle professioni che non ho specificato per brevità nella precedente nota, dalla Denunzia per infrazione alla Legge sulla Difesa dello Stato, a carico di capi e gregari dell’organizzazione comunista della Provincia di Bologna (esclusa la zona di Imola), inviata dalla Questura di Bologna al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato in data 21 febbraio 1931, conservata in ACS, Regime Fascista, TSDS, fascicolo 4044, busta 417; la medesima denuncia è anche conservata in ACS, MI, DGPS, DAGR, Categorie annuali, 1930-1931, categoria K1B, busta 423, fascicolo «Movimento comunista – Arresti a Bologna».
920 Ex socialista, nato nel 1888.
921 Giorgio Scarabelli, uno dei più importanti membri della federazione giovanile comunista dell’epoca e destinato ad essere protagonista dell’antifascismo bolognese alla fine degli anni Trenta (fu nuovamente arrestato nel 1937 e incarcerato nel 1938) e durante la Resistenza (fu catturato dai nazisti nell’aprile del 1944 ed inviato, dopo un periodo di detenzione presso il campo di Fossoli, al campo di concentramento di Mauthausen, dal quale riuscì a fuggire nell’aprile del 1945, giungendo a Milano per la Liberazione), raccontò così i momenti precedenti alla riunione, durante l’interrogatorio a cui fu sottoposto il 2 febbraio 1931, emblematici per comprendere il grado di segretezza dell’organizzazione comunista: «Come da appuntamento fissatomi dal Melloni mi trovai una mattina di domenica dello scorso agosto in Piazza VIII Agosto, dove il Melloni mi presentò l’individuo riprodotto nella fotografia della carta d’identità al nome di Berardi Giuseppe, che la S.V. mi mostra. Il Berardi mi indicò un giovane che stava fermo a pochi passi da noi e mi disse di unirmi a lui e di andarmi a sedere in un tavolo esterno del caffè del Pallone, dove si trovavano seduti già altri due giovani. Io mi unii al giovane indicatomi dal Berardi […] Con lui mi andai a sedere al tavolo al tavolo indicato […] Il Berardi poco dopo passò vicino e fece cenno di muoverci verso porta Galliera. […] Al Ponte di Galliera il Berardi mi disse di proseguire per la Zucca e poco più avanti mi fece cenno di voltare a destra. Seguendo il Berardi arrivai ad una casa situata al primo piano. Entrai nella prima stanza, nella quale ricordo che si trovavano un sofà, una tavola, delle seggiole, ed una cucina economica. Tra i presenti oltre il Berardi, vi erano il Mondini Giovanni e circa altre dieci persone che io non conosco. Presiedeva la riunione un giovane alto dall’accento toscano» [Interrogatorio a Scarabelli Giorgio, effettuato presso la Questura di Bologna in data 2 febbraio 1931, conservato in ACS, Regime Fascista, TSDS, fascicolo 4044, busta 417, sottofascicolo «Scarabelli Giorgio»]. Scarabelli scrisse, nel 1980, un libro autobiografico riguardante, in maniera specifico, gli anni passati in carcere durante il regime fascista: Giorgio Scarabelli, 25 anni di galera per antifascismo: dall’aula IV del Tribunale speciale al lager di Mauthausen: tranche de vie di un militante comunista, Bologna, Tipografia moderna, 1980. Si veda anche l’autobiografia di un altro protagonista, arrestato sia nel 1930 che nel 1937 insieme a Scarabelli, ovvero Linceo Cicognani: il documento in questione è conservato presso AIPER, Fondi cartacei, Fondi di privati, Fondo «Linceo Cicognani», busta unica, fascicolo 1 (l’autobiografia è stata scritta nel 1976).
922 Nannetti era entrato nel Partito Socialista giovanissimo, già nel 1923 (si pensi che era nato nel 1906) ed aveva in seguito avuto una carriera impossibile da riassumere qui. Dopo un viaggio in Unione Sovietica insieme a una delegazione di operai cominciò a maturare in lui un sempre crescente apprezzamento per il Partito Comunista, al quale aderì nel 1927, per il quale spese le sue grandi doti organizzative: fu arrestato nel 1927, nel 1928 e nel 1930, implicato nel processo che qui sto raccontando, riuscì a darsi alla fuga, riparando in Francia; nel 1937, morì a Santander mentre combatteva tra le Brigate Internazionali, e il suo nome venne dato, durante la Resistenza, a una delle maggiori divisioni partigiane operanti in Veneto.
923 Nato nel 1909 a Bologna.
924 Come ho già scritto, la segretezza veniva gelosamente custodita dai membri del Partito fino a che non fosse strettamente necessario rivelare la propria identità. L’emissario Moscatelli era noto col soprannome di Numero, e questa è il racconto di Foresti circa il primo incontro tra di loro: «[con Nannetti, nota mia] rimanemmo così d’accordo di incontrarsi nuovamente nella stessa località [tra porta San Felice e Porta Sant’Isaia, sul ponte sul fiume Reno, nota mia] la sera appresso. Fummo puntualissimi ed egli mi fece così conoscere, però soltanto di vista, l’altro amico di cui mi aveva la sera prima parlato. Non so come questi si chiami, né dove abiti perché sebbene più volte glielo abbia chiesto, egli si è sempre rifiutato di dirmelo facendomi conoscere che per la azione che noi dovevamo svolgere, era sufficiente conoscersi di vista. Egli si faceva riconoscere come “Numero”» [Interrogatorio a Foresti Agostino, effettuato presso la stazione di Carabinieri di Castelmaggiore in data 8 novembre 1930, conservato in ACS, Regime Fascista, TSDS, fascicolo 4044, busta 418, sottofascicolo «Foresti Agostino»]. È possibile che Foresti volesse proteggere la vera identità dell’emissario ma, al contrario di altri casi simili, anche nei successivi interrogatori dichiarò sempre di non conoscerne la reale identità.
Enrico Pontieri, Piccole sovversioni quotidiane. Strategie di controllo del territorio e tattiche di resistenza in un quartiere popolare bolognese durante il fascismo, Tesi di Dottorato, “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna, 2018