Il mutamento della situazione internazionale causato dalla guerra d’Etiopia

L’inizio della guerra d’Etiopia portò Hitler a confidare a Goebbels che il conflitto era in anticipo di tre anni rispetto a quando la Germania sarebbe stata pronta, per cui nel frattempo si sarebbe potuto solo continuare il riarmo anche se presto si sarebbe scoperto che metà della forza lavoro era sotto la soglia di povertà a causa delle difficoltà economiche del paese <899. Il dittatore aveva pertanto capito che l’avventura africana di Mussolini aveva scatenato una crisi globale che poteva essere teoricamente sfruttata da Berlino per avanzare le sue rivendicazioni politiche e territoriali, ma aveva parimenti compreso che il Terzo Reich non era in grado di agire in quel momento nonostante le circostanze fossero propizie. Il passo in avanti compiuto nella questione austriaca era tuttavia un cambiamento di sostanziale rilevanza nel panorama europeo che solo la guerra d’Etiopia aveva reso possibile, affossando la proposta di Patto Danubiano <900. Il 5 ottobre [1935] Papen ebbe un colloquio con Hitler in cui si disse favorevole a continuare i colloqui con Vienna ma senza affrettare la normale evoluzione degli eventi così da togliere la questione austriaca dall’attenzione delle potenze e «prevenire che il fronte di Stresa sia ricostruito» <901. Due giorni dopo Preziosi ricevette il testo delle proposte tedesche e l’assicurazione che Berger avrebbe firmato un accordo solo dopo la stipula del Patto Danubiano <902. A quel punto Suvich informò Chambrun dello stato avanzato dei contatti in corso tra Berlino e Vienna, consegnandoli anche le controproposte austriache, sostenendo che una simile situazione era stata creata dall’aggressività della Gran Bretagna nel Mediterraneo in quanto aveva convinto l’Austria dell’impossibilità di trovare nell’Italia un’adeguata difesa contro l’espansionismo nazista <903. Convinzioni simili furono espresse da Kanya all’ambasciatore tedesco Mackensen: a suo parere infatti esisteva la possibilità di uno scontro tra le due potenze per l’egemonia sul Mare Nostrum di cui incolpava il solo Mussolini, i cui errori avevano condotto Roma all’isolamento internazionale <904. La crisi etiopica aveva quindi indebolito la presa del regime fascista sull’Europa Danubiana e lo scoppio del conflitto aveva portato ad un ulteriore allentamento che apriva spazi di manovra per il Terzo Reich.
Un attento osservatore come François-Poncet dovette rapidamente comprendere la situazione, tanto da confidare al suo collega sovietico Surits che il «principale nemico» della Francia era la Germania: “Tutta la politica francese, in particolare nel conflitto abissino, deve essere subordinata alla lotta contro questo nemico; la Francia deve conquistare l’Italia come alleato contro la Germania e non contribuire al suo indebolimento o a spingerla verso di essa” <905.
Lo stesso però valeva anche per Berlino. In un colloquio con Attolico infatti Göring disse di considerarsi «il pilastro dell’amicizia italo-tedesca» ma aggiunse che il popolo non avrebbe mai accettato un deciso riavvicinamento finché Roma fosse stata al fianco di Parigi <906. Il 9 ottobre Papen tornò a Vienna e presentò ufficialmente le proposte dell’11 luglio a nome di Hitler così da iniziare le trattative per la stipula di un’intesa: Berger confidò a Puaux di dover accettare una distensione con Berlino in qualsiasi modo, a differenza di quanto rivelato in precedenza a Preziosi <907, ma poi una settimana dopo fece presente all’ambasciatore americano Messersmith che le conversazioni erano «fallite completamente» <908.
La condanna dell’Italia e l’inizio delle procedure per l’applicazione delle sanzioni portarono inevitabilmente a spostare l’attenzione europea sulle misure societarie. Il 12 ottobre Suvich disse ad Hassell che secondo la Gran Bretagna erano solo una prova di ciò che sarebbe successo alla Germania <909, un’affermazione ribadita qualche giorno dopo da Aloisi, anche se l’ambasciatore tedesco rispose che il vero problema era la Società delle Nazioni quale strumento dell’imperialismo britannico <910. Berlino continuò nella sua politica di neutralità nel conflitto che fu vissuta da François-Poncet come una vera ipocrisia vista la martellante propaganda militarista finalizzata al riarmo della Wehrmacht, a suo parere il primo vero obiettivo del regime <911. Le stesse considerazioni furono espresse dall’ambasciatore francese per l’accoglienza che l’opinione pubblica aveva riservato al discorso di Hoare alla Camera dei Comuni del 22 ottobre, in cui aveva denunciato la volontà della Germania di voler assurgere al rango di grande potenza mentre la Gran Bretagna si impegnava solo a mantenere la pace mondiale <912. Il Segretario agli Esteri non poteva ammettere che era stata la guerra d’Etiopia a modificare la situazione internazionale a vantaggio di Berlino ma un riflesso dei cambiamenti in corso poté essere avvertito anche a Palazzo Chigi. Il giorno precedente Suvich aveva tenuto un colloquio con l’ambasciatore Wysocki il quale giustificò la politica della Polonia volta alla difesa del Covenant in quanto presto vi avrebbe dovuto fare ricorso a causa dell’imperialismo tedesco visto che il trattato del 1934 era solo una «tregua per dieci anni» <913.
Il pericolo creato dal Reich venne chiaramente delineato il 25 ottobre da Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni <914. Dichiarò infatti che l’unico vero problema del momento era il riarmo tedesco, per cui la Società delle Nazioni era necessaria per la sicurezza dell’Impero britannico al pari della sua poderosa flotta, pronunciandosi in questo modo a favore delle sanzioni collettive: poiché non espresse alcun giudizio negativo su Mussolini o l’Italia in generale, e anzi ricordò l’urgenza di una riforma dell’Etiopia che distinguesse tra la periferia e il nucleo amarico, è chiaro che il riferimento alle misure ginevrine era solo rivolto alla Germania.
Attolico trovò una conferma che a Berlino si stesse diffondendo una idea simile in un colloquio tenuto per l’anniversario della Marcia su Roma con Hess. Il gerarca, alla presenza di Ribbentrop, gli disse infatti di ritenere che il fine ultimo della politica della Lega fosse solamente quello di prepararsi a colpire il Terzo Reich <915. L’ambasciatore pertanto scrisse a Mussolini che lo sviluppo naturale degli eventi sarebbe stata la piena amicizia tra i due regimi: tutto sarebbe partito dal ritiro dell’Italia dalla Società delle Nazioni dopo che Ginevra si sarebbe rifiutata di riconoscere le annessioni territoriali in Etiopia, per cui Roma e Berlino sarebbero state condotte alla comune solidarietà senza che nessuna delle due avesse preso una reale decisione in tal senso <916. A fine mese inoltre Schacht confidò ad Attolico di essere convinto che l’inutilità delle sanzioni avrebbe portato al fallimento della Lega <917.
Il mutamento della situazione internazionale causato dalla guerra d’Etiopia dovette portare necessariamente Francia, Italia e Gran Bretagna a iniziare ad interrogarsi sulla possibilità di modificare i propri rapporti con la Germania. Il timore a Berlino era quello di un rafforzamento dei rapporti franco-britannici a causa del conflitto ma già nella prima settimana di novembre la paura di un’intesa di ampio respiro era venuta meno <918. Laval tuttavia stava ancora tentando di giocare sui due tavoli e in un colloquio con Cerruti gli confidò di essere convinto che il popolo francese non avrebbe voluto una guerra nel caso in cui la Germania avesse aggredito una nazione confinante anche se il governo sarebbe stato obbligato ad intervenire a causa dei trattati firmati con vari paesi dell’Europa Orientale <919. L’alverniate non si mostrò turbato quando Cerruti gli ricordò che secondo il Mein Kampf era necessaria l’espansione ad est per vincere contro il nemico ereditario, sintomo che voleva ancora proporsi come un valido interlocutore per i tedeschi arrivando al suo vecchio progetto di accordo bilaterale.
Anche al Foreign Office si riteneva ancora che Laval volesse giungere ad un’intesa diretta con la Germania ma solo mentre il Fronte di Stresa era attivo: in questo senso andava anche la rivelazione di François-Poncet a Phipps che sarebbero stati ripresi i contatti tra le parti nella seconda metà del mese <920. In realtà lo stesso ambasciatore britannico fece comprendere a Londra che nella capitale tedesca non si erano sviluppate tendenze favorevoli alla Francia. Il 7 novembre infatti segnalò che Hitler era indeciso sulla linea politica da seguire tra le potenze ma Ribbentrop stava capeggiando un partito italofilo che era inviso all’Auswärtiges Amt <921. Quel giorno Vansittart rispose con una lettera ad una domanda di Giorgio V relativa alla possibilità di un accordo con la Germania: a suo parere era impossibile arrivarvi prima del completo riarmo britannico ma, anche in quel caso, qualsiasi intesa sarebbe stata basata su un prezzo da pagare poiché il Reich voleva espandersi e l’unico continente in cui si poteva lasciare che questo avvenisse era l’Africa <922.
Un’iniziativa informale venne invece intrapresa da Mussolini tramite il conte Cesare Vernarecci di Fossombrone, che su istruzioni poté dire ad Hitler che il dittatore “Considera[va] con simpatia un movimento di solidarietà dei due Paesi di fronte ai comuni avversari ed è disposto ad esaminare con benevolenza la soluzione di ogni problema che riguardi la comune politica. In particolar modo, il problema dell’Austria, con che ne sia pienamente salvaguardata la indipendenza” <923. Le sue azioni furono censurate da Suvich, sempre cauto nella questione del riavvicinamento alla Germania, ma rappresentarono comunque l’ennesimo passo verso la riapertura di un canale stabile tra i due regimi. Attolico inoltre incontrò Papen che gli domandò se fosse possibile un accordo sull’Austria al di fuori del Patto Danubiano: l’ambasciatore rispose che quest’ultimo era ormai saltato mentre per un’intesa a due sarebbe bastato trovare alcune semplici basi di discussione <924.
Nello stesso senso andava la perorazione dell’ambasciatore a Mussolini volta a portare l’Italia fuori dalla Società delle Nazioni, motivando la sua idea con il fatto che non si potesse tornare alla politica del Fronte di Stresa poiché era stata violata da Francia e Gran Bretagna tramite il Patto franco-sovietico e l’accordo navale con Berlino <925. Nonostante non si conoscesse fino a quel momento il pensiero del dittatore nella questione ci avrebbe pensato lui stesso il 16 novembre a confidare ad Hassell che la politica decisa ad aprile sul Lago Maggiore era ormai decaduta <926. Due giorni dopo Suvich produsse un’analisi per Mussolini in cui ricordò l’importanza della collaborazione delle tre potenze con la Germania a cui tuttavia Berlino si era sempre opposta: erano però le sanzioni ad aver cambiato la situazione portando a relazioni anormali con tutti gli altri paesi ma l’unica conseguenza sarebbe stata il crollo della Lega «sotto le azioni di forza» e la successiva ricostruzione dei rapporti internazionali su nuove basi <927. Nell’accorto linguaggio del Sottosegretario agli Esteri era praticamente un invito a lasciare aperta la porta a Berlino ma solo a condizione che i legittimi interessi di sicurezza italiani fossero rispettati nonostante la crisi nel panorama mondiale fosse stato scatenata da Roma. La possibilità che l’Italia si rivolgesse alla Germania era tenuta in conto anche negli altri paesi tanto che Stein chiese rassicurazioni ad Aloisi, il quale si limitò a sostenere che si teneva presente la posizione diversa del Reich rispetto agli stati sanzionisti <928. Si doveva pertanto solo comprendere il punto di vista del regime nazista nella questione e questo fu espresso da Neurath in una comunicazione a Bergen, ambasciatore presso la Santa Sede <929. Gli scrisse infatti che era possibile un riavvicinamento tra Italia e Germania ma nel frattempo il Reich non avrebbe compiuto alcuna «azione violenta» anche se non temeva più una guerra preventiva poiché tutti avevano paura della sua potenza in ascesa.
[NOTE]
899 Kershaw I. (2000), Hitler, cit., ebook, cap. 13, par. 4.
900 Cfr. cap. precedente.
901 Nota di un Vicedirettore del II Dipartimento (Renthe-Fink), 7 ottobre 1935, DGFP, s. C, vol. IV, doc. 335.
902 Preziosi a Mussolini, 7 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 283.
903 Colloquio tra Suvich e Chambrun, 7 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 279. Chambrun riportò tutto a Drummond: Drummond ad Hoare, 8 ottobre 1935, DBFP, s. II, vol. XV, doc. 48.
904 Mackensen (ambasciatore in Ungheria) al Ministero degli Esteri, 19 ottobre 1935, DGFP, s. C, vol. IV, doc. 367.
905 Haslam J. (1984), The Soviet Union and the struggle for collective security in Europe, cit., p. 71.
906 Attolico a Mussolini, 7 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 281.
907 Preziosi a Mussolini, 9 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 303.
908 Messersmith ad Hull, 17 ottobre 1935, NARA, vol. 32, 765.84/1890.
909 Colloquio tra Suvich e Hassell, 12 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 326.
910 Colloquio tra Aloisi e Hassell, 17 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 383.
911 François-Poncet a Laval, 16 ottobre 1935, DDF, s. I, t. XIII, doc. 2.
912 François-Poncet agli Esteri, 23 ottobre 1935, ADMAEF, serie K-Éthiopie, vol. 81, doc. 190-193.
913 Colloquio tra Suvich e Wysocki (ambasciatore polacco in Italia), 21 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 450.
914 Corbin a Laval, 25 ottobre 1935, ADMAEF, serie K-Éthiopie, vol. 82, doc. 13-30.
915 Attolico a Mussolini, 29 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 518.
916 Attolico a Mussolini, 30 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 525.
917 Attolico a Mussolini, 31 ottobre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 537.
918 François-Poncet a Laval, 7 novembre 1935, DDF, s. I, t. XIII, doc. 194.
919 Cerruti a Mussolini, 8 novembre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 586.
920 Phipps ad Hoare, 8 novembre 1935, DBFP, s. II, vol. XV, doc. 199.
921 Phipps ad Hoare, 7 ottobre 1935, DBFP, s. II, vol. XV, doc. 194.
922 Lettera da Vansittart a lord Wigram, 7 novembre 1935, DBFP, s. II, vol. XV, doc. 195. Wigram era il segretario privato di Giorgio V.
923 Vernarecci di Fossombrone a Jacomoni, 11 novembre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 608.
924 Attolico a Mussolini, 16 novembre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 655.
925 Attolico a Mussolini, 12 novembre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 620.
926 Hassell al Ministero degli Esteri, 16 novembre 1935, DGFP, s. C, vol. IV, doc. 414.
927 Suvich a Mussolini, 18 novembre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 660.
928 Colloquio tra Aloisi e Stein, 13 novembre 1935, DDI, s. VIII, vol. II, doc. 630.
929 Neurath a Bergen, 13 novembre 1935, DGFP, s. C, vol. IV, doc. 408.
Christian Carnevale, La guerra d’Etiopia: una crisi globale, Tesi di dottorato, Sapienza Università di Roma, 2023