Il ragionamento di Lelio Basso si concentrò dunque nel definire i partiti come i luoghi di
partecipazione ove si esprime la sovranità popolare

Attori protagonisti dell’Assemblea Costituente furono i ricostituiti partiti di massa che ottennero la maggioranza assoluta dei seggi: 207 la Democrazia Cristiana, 115 il Partito Socialista di unità Proletaria, 104 il Partito Comunista Italiano. Un forte ridimensionamento rispetto alle ultime elezioni libere ebbero sia i Liberali che i Repubblicani, mentre la destra dello scacchiere politico venne occupata dal movimento dell’Uomo Qualunque che in una campagna elettorale di pochi mesi riuscì a raggiungere i 30 seggi.
Il ventennio fascista aveva avuto notevoli conseguenze non solo nella scelta del voto, ma anche in una nuova strutturazione dell’organizzazione complessiva della vita politica intorno ai partiti di massa. Le organizzazioni notabilari che avevano governato il periodo precedente al fascismo si trovarono improvvisamente estromesse dalla centralità politica. La democrazia stava assumendo nuove modalità anche in Italia, assomigliando sempre più ad una compiuta democrazia di massa.
Riportare in questa sede il dibattito avvenuto in Assemblea Costituente significa rileggere la riflessione che gli stessi partiti politici facevano dopo la seconda guerra mondiale, all’alba della loro ricostituzione, riguardo il proprio ruolo, la propria funzione ed i rapporti con lo Stato.
Qualche mese prima della convocazione dell’Assemblea Costituente Costantino Mortati, riguardo all’opportunità di rompere con la tradizione liberale di trascuratezza dei partiti, ebbe a scrivere che il disconoscimento costituzionali di tutti i corpi intermedi avrebbe giovato unicamente alla classe dominante, perché – avrebbe argomentato successivamente – i partiti avevano “assunto una funzione protagonista nell’ordinamento dello Stato democratico moderno che ha conferito loro, di fatto, una posizione non pre-giuridica, come si sostiene, ma addirittura pubblicistica, per la natura dei compiti che vengono ad assumere non solo nella fase di formazione degli altri organi, ma nella stessa gestione dello Stato.” <18
Il sistema pluralista dei partiti, a differenza di quanto avveniva nel periodo liberale e nel ventennio fascista, cessava di essere considerato un elemento da contenere, nascondere o mitigare, ma anzi un valore da tutelare.
3.2. La discussione avvenuta nella prima Sottocommissione dell’Assemblea Costituente <19
La discussione nella prima sottocommissione riguardo la costituzionalizzazione dei partiti politici iniziò martedì 19 novembre 1946.
In sottocommissione vennero inizialmente proposte due versioni differenti riguardanti entrambi il tema del riconoscimento costituzionale dei partiti politici. La prima era firmata Mancini (Socialista) e Merlin (Democristiano): “I cittadini hanno il diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare”. Nella relazione introduttiva alla propria proposta i due costituenti sostenevano che i partiti “costituiscono un bene, che va riconosciuto e protetto. Nulla infatti è più opinabile della politica e perciò anche i partiti contrastanti possono possedere e possiedono una parte della verità e possono perciò cooperare al bene comune.”
La seconda proposta venne invece presentata dall’Onorevole Lelio Basso, anch’egli Socialista e constatava di due commi: “Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico , allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del paese. Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche hanno raccolto non meno di cinquecentomila voti sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni dal carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi”.
Secondo Lelio Basso, la proposta Mancini – Merlin sarebbe stata “più timida e circospetta, con formule suscettibili di presentarsi ad interpretazioni limitatrici della libertà dei partiti, non attribuisce ai partiti politici l’essenziale funzione costituzionale di concorrere alla determinazione della politica del paese” <20. Nella sua relazione introduttiva Basso rilevava che i due articoli da lui presentati “stabiliscono lo status giuridico, di rilevanza costituzionale, dei partiti politici riconosciuti”.
Immediatamente l’onorevole Concetto Marchesi chiese parola al Presidente della Commissione, l’Onorevole Tupini, dichiarando di non poter accettare in alcun modo l’articolo nella sua prima formulazione (Mancini Merlin) poiché gli sembrava che non offrisse “garanzie contro i pericolo della tirannia e gli abusi delle organizzazioni politiche ed ogni limite posto al principio di libertà costituisce un pericolo”. In particolare, secondo Concetto Marchesi, esponente del PCI, il rischio che si sarebbe potuto conformare consisteva nel fatto che tale formulazione avrebbe potuto permettere l’intrusione dello Stato nella libertà di organizzazione del suo partito in quanto “mentre il Partito Comunista vuole essere lo strumento del rinnovamento e della trasformazione civile e sociale, non pochi sono del parere che esso tenda invece ad una dittatura del proletariato, cioè ad una forma di tirannia”. Il timore espresso dall’On. Marchesi era, dunque, che tale formulazione avrebbe potuto lasciare uno spiraglio per mettere fuori legge il Partito Comunista Italiano. Il concetto venne rafforzato da Palmiro Togliatti, allora segretario generale del PCI. Egli dapprima difese il diritto all’esistenza di un ipotetico partito anarchico favorevole alla violenza politica, da contrastare sul piano della competizione democratica, mostrando ai militanti la debolezza di quelle idee, piuttosto che con un intervento repressivo dello Stato. Successivamente, nel corso dell’intervento, Togliatti fu abile a rovesciare la prospettiva della discussione, chiedendo che nella valida formulazione proposta dall’On. Basso ci fosse uno specifico divieto di ricostruire il
partito fascista. L’esponente comunista riuscì a spostare l’attenzione dalle accuse rivolte al PCI di non rispettare i principi fondamentali di una democrazia pluralista ad un’esperienza ben definita che era da poco finita e rispetto alla quale vi era un condanna unanime.
La prima sottocommissione si ritrovò immediatamente nelle parole di Togliatti ed infatti venne approvata all’unanimità la proposta dell’On. Dossetti (Democristiano): “E’ proibita sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del partito fascista”. Questa disposizione diventerà, lievemente modificata, il primo comma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Nella formulazione definitiva della disposizione, però, si fece in modo di delimitare il campo: il divieto fu indirizzato unicamente contro il “disciolto Partito Fascista”. “In qualche modo – è stato sostenuto – l’organizzazione di un partito fascista che non vanti continuità con il Partito nazionale fascista sembrerebbe così costituzionalmente accettabile” <21.
A seguito dell’intervento di Togliatti che riuscì a spostare gli equilibri della discussione la Prima Sottocommissione approvò all’unanimità la formulazione di Lelio Basso del primo comma.
Quando fu il momento di passare alla discussione del secondo comma, altrettanto importante in quanto avrebbe riconosciuto attribuzioni costituzionali ai partiti politici, il Presidente Tupini fece notare l’importante assenza dall’aula degli onorevoli Merlin e Mancini e propose di rinviare la discussione. Dossetti <22 propose, a tal proposito, una riunione congiunta delle prime due sottocommissioni dell’Assemblea Costituente (diritti e doveri dei cittadini e organizzazione costituzionale dello Stato) per valutare il secondo comma proposto da Lelio Basso, ma la Presidenza della Commissione dei 75 non mise mai in calendario quell’appuntamento. Quella riunione congiunta tra le due sottocommissioni, quindi, non si tenne e l’articolo di Basso venne approvato solo parzialmente. Si rinunciò quindi al riconoscimento di attribuzioni costituzionali ai partiti, come proposto nella bozza di articolo da Lelio Basso e come ampliamente accettato anche dalla Democrazia Cristiana. Sia La Pira, che Moro, che Dossetti si erano infatti già espressi, in quella sede, per riconoscere ai partiti un ruolo costituzionale. Così sostenne Aldo Moro: “La lotta democratica, anziché all’interno del parlamento si stabilirà all’interno dei partiti. Questo nuovo sistema permette di superare il vecchio trasformismo, impedisce il ripetersi delle crisi ministeriali e dà un maggiore senso di responsabilità all’azione di deputati e dei partiti”.
3.3. La discussione avvenuta in Assemblea Costituente
La discussione in plenaria <23 si tenne giovedì 22 Maggio 1947, con la Presidenza dell’Assemblea affidata all’On. Terracini. Il testo approvato dalla Prima Sottocommissione era, come visto, dimezzato rispetto alla proposta iniziale presentata da Lelio Basso.
All’inizio della seduta altri due testi alternativi furono proposti dall’On. Carlo Ruggiero <24 (socialista) e dell’On. Pietro Mastino <25 (autonomista), ma entrambe le proposizioni non raccolsero sufficienti consensi per essere effettivamente discusse.
Tra lo svolgimento della Prima sottocommissione e la convocazione dell’Assemblea plenaria vi fu un importante mutamento nella situazione politica nazionale: De Gasperi aveva appena rotto con le sinistre al Governo e questo favorì un clima di incertezza e diffidenza reciproca <26 che non può in alcun modo essere trascurato per comprendere la portata reale della discussione che sarebbe avvenuta in Assemblea.
Il dibattito venne incentrato intorno agli interventi dell’On. Costantino Mortati, autorevole Costituzionalista democristiano, che inizialmente propose un proprio emendamento sostituivo <27, ma che ritirò immediatamente per sostituirlo con un emendamento concordato con l’On. Ruggiero. “Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale”. Secondo il costituzionalista napoletano nella sua proposta vi sarebbe “una specificazione relativa alla democraticità dell’organizzazione interna dei partiti stessi (…) la quale appare consona a tutto lo spirito della nostra Costituzione” <28. “Noi abbiamo disposto che questa democraticità si attui non solo nell’organizzazione dei poteri statali, bensì anche in tutti gli organismi inferiori di carattere non solo pubblico, ma anche privato. Abbiamo infatti stabilito l’obbligo di democraticità dei sindacati, delle aziende private, attraverso i consigli di gestione: abbiamo parlato di spirito democratico persino per l’esercito. Mi pare che sarebbe assai strano prescindere da questa esigenza di democratizzazione proprio nei riguardi dei partiti, che sono la base dello stato democratico. E’ nei partiti infatti che si preparano i cittadini alla vita politica, e si dà modo ad essi di esprimere organicamente la
loro volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel Parlamento. Mi pare quindi che non si possa prescindere anche per essi dall’esigere una organizzazione democratica <29”.
Quindi Mortati propose che fosse la Corte Costituzionale, necessariamente indipendente dalle maggioranze politiche del momento, a valutare la democraticità dei partiti politici attraverso il vaglio degli statuti depositati dalle
stesse organizzazioni.
Come prevedibile, il dibattito si soffermò lungamente sul concetto di metodo democratico e sulla eventualità che lo Stato potesse controllare l’organizzazione interna dei partiti politici. La linea Mortati – Moro suscitò la strenua opposizione delle sinistre. La risposta non si fece attendere troppo: Merlin rigettò interamente l’emendamento Mortati, che invece stava raccogliendo consensi ed applausi soprattutto dall’emiciclo destro dell’aula. Il relatore socialista difese tenacemente la proposta di articolo approvato dalla Sottocommissione, sottolineando sia l’innovazione del riconoscere i partiti ed il loro ruolo in una Costituzione, che un’attenzione a non esagerare nel controllo dello Stato su questi soggetti politici. “Noi non dobbiamo qui preoccuparci di questo. Noi dobbiamo, la prima volta in cui veniamo a riconoscere l’esistenza giuridica del partito, col proposito di dare poi ad esso determinati compiti, limitarci soltanto a riconoscere che questo partito, all’esterno, con metodo democratico, concorra a determinare la politica nazionale. Nulla più di questo, e se chiedessimo di più, potremmo andare incontro a pericoli maggiori di quelli che vogliamo evitare” <30.
Il concetto fu ribadito da un altro socialista, l’Onorevole Targetti che ricordò che i socialisti sarebbero stati d’accordo unicamente sulla proposta uscita dalla sottocommissione.
Venne poi il momento dell’intervento dell’Onorevole Aldo Moro. Il deputato democristiano dichiarò di sostenere l’emendamento Mortati in quanto “dopo aver stabilito, come è stato giustamente fatto, il carattere democratico dei sindacati, è opportuno sancire eguale disposizione per i partiti”. Aldo Moro non pensava all’imposizione del “metodo democratico” come una limitazione alla tipologia dei partiti da legalizzare in base alle fondamenta ideologiche, bensì come un vincolo organizzativo interno. Quindi sebbene “pensiamo che un richiamo alla democraticità della meta perseguita dai partiti sia cosa veramente pericolosa (…) ci sembra che non si possa riscontrare alcun pericolo nel richiamo non solo al carattere democratico della prassi politica nella quale operano i partiti, ma anche al carattere democratico della loro struttura interna. Si tratta di organismi i quali devono operare con metodo democratico quale è universalmente riconosciuto, ed è evidente che se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del paese” <31. Quindi Moro sostenne che avrebbe appoggiato la proposta Ruggiero – Mortati.
La contrarietà a questa ipotesi venne espressa nuovamente dal PCI attraverso le parole dell’intervento dell’Onorevole Laconi. Secondo l’esponente comunista, qualunque controllo volto a verificare l’esistenza della democrazia interna di un partito politico potrebbe permettere l’invadenza repressiva delle minoranze da parte della maggioranza, con evidenti rischi per la tenuta democratica del Paese. Esisterebbe invece un vincolo più garantista al funzionamento democratico dei partiti, ovvero il controllo di iscritti e militanti: “Tutti i partiti hanno infatti statuti e norme sancite dagli statuti alle quali gli aderenti possono sempre appellarsi. Questo è un controllo legittimo ed efficace <32”. Continuava così: “Io non credo che il modo migliore per controllare che un partito abbia un ordinamento democratico possa consistere nell’intervento di altri partiti o di organi da essi direttamente o indirettamente controllati” <33.
Contrari alla proposta Ruggiero – Mortati anche gli azionisti per voce dell’on. Codignola: “Se, in sede costituzionale si dovesse entrare nel merito del problema che stiamo discutendo, allora la discussione dovrebbe essere molto più ampia, perché dovremmo stabilire i limiti di attività dei partiti e i loro poteri, dovremmo porre il problema del riconoscimento della loro personalità giuridica, e dovremmo affrontare tutto una serie di questioni di carattere costituzionale. Ma se questo non si fa l’unica soluzione accettabile è quella proposta dalla commissione che si astiene di entrare nel problema dell’organizzazione interna dei partiti”
Toccò poi al Partito Liberale Italiano, per voce dell’Onorevole Lucifero. Egli espresse contrarietà quasi assoluta alla formulazione integrale dell’articolo 47. Egli dichiarò di opporsi a questa eccessiva attenzione rivolta ai partiti politici, quando “il diritto dei cittadini di organizzarsi in partiti politici è quel diritto di associazione che abbiamo già sancito e consacrato (…) e se un’associazione di cittadini viola quelle che sono le leggi che la Nazione si è data, la Nazione, attraverso i suoi strumenti, colpirà questa associazione, che non è più un’associazione legittima” <34.
Diversamente, l’Onorevole Corsini (del gruppo Qualunquista), dichiarò l’appoggio del proprio gruppo all’emendamento Mortati – Ruggiero, in quanto un obbligo di organizzazione democratica interna avrebbe favorito la diffusione di pratiche democratiche in un paese poco allenato ad esse.
Proprio a questo punto riprese la parola l’Onorevole Mortati, dichiarando che avrebbe ritirato il proprio emendamento. Egli dichiarò che riteneva che la proposta che aveva effettuato poc’anzi fosse esplicativa del testo approvato in Commissione e che gli pareva avrebbe trovato un accordo quasi unanime in Assemblea, come aveva presunto dagli interventi politici di Calamandrei, Basso e Saragat. “Poiché mi avvedo che questi consensi che mi parevano così chiari e concordati sono venuti meno, non desidero esporre ad un sicuro insuccesso la mia proposta e quindi la ritiro, pur riaffermando il bisogno che uno Stato, il quale voglia poggiare su basi saldamente democratiche, non possa tollerare
organismi politici che non si ispirino anche nella loro struttura interna a sistemi e a metodi di libertà <35”.
Sommando la cautela di Mortati e l’ostilità di tutta la sinistra il risultato non poteva che essere una consapevole rinuncia dell’emendamento. Questa decisione chiuse evidentemente la possibilità di ogni riconoscimento di funzioni costituzionali dei partiti, ma ridusse anche evidentemente il campo per un possibile riconoscimento legislativo attuativo dell’articolo 49 <36.
La Democrazia Cristiana, consapevole della necessità di mantenere unita l’Assemblea Costituente, a fronte degli aspri contrasti che stavano segnando la situazione politica, decise dunque di non insistere nella propria battaglia, per
non compromettere i rapporti con le sinistre. L’emendamento venne comunque fatto proprio dall’Onorevole Bellavista (liberale), ma votato finì effettivamente con l’essere respinto per alzata di mano.
Le limitazioni di iscrizione ai partiti politici, che pure furono oggetto di un breve accenno in Assemblea durante la discussione dell’art. 47, vennero rimandate al terzo comma dell’articolo 98 della Costituzione <37. Infine, riprendendo il dibattito avvenuto in Commissione si deliberò anche uno specifico divieto riguardante i partiti politici: la XII disposizione transitoria stabilisce che “E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.
In sostanza si attuarono implicitamente due accordi: i partiti si impegnavano reciprocamente, anche per il futuro, di non attivare, neanche in futuro, alcun controllo sulle ideologie e sulla democrazia interna, in quanto il rispetto del metodo democratico sarebbe stato affidato agli stessi partiti, garantito solo da un amplio pluralismo politico <38.
3.4 Le considerazioni di Lelio Basso
Il riconoscimento dei partiti nella Costituzione rappresentò la necessaria conclusione di un ciclo storico, quello del parlamentarismo liberale e dell’indifferenza istituzionale nei confronti dei partiti politici. Sarebbe iniziata una fase nuova, imperniata sullo status del cittadino e sul tramite dei partiti politici per consentire la partecipazione alla gestione dello Stato <39. Lelio Basso interpretava così l’articolo che contribuì personalmente a scrivere: “Siamo in presenza di un diritto a cui non può essere opposto ostacolo veruno né dalla legge, né tanto meno, dall’autorità amministrativa, perché si tratta di un diritto che è elemento costitutivo dell’ordinamento democratico: salva l’eccezione contenuta nella XII disposizione finale, la libertà di fondazione e di esistenza dei partiti politici non può essere limitata, non può essere soggetta ad autorizzazione e non può essere menomata come non si può menomare il diritto di voto perché si negherebbe altrimenti l’esistenza stessa dello stato democratico solennemente proclamata nel primo articolo <40”.
Risultava chiaro a tutti come la genesi dell’articolo 49 della Costituzione ed il dibattito avvenuto rendeva evidente che i partiti avrebbero giocato un ruolo determinante non solo entro il Parlamento, ma investendo l’intero sistema politico istituzionale.
Riportiamo ora qualche considerazione dell’estensore dell’articolo 49 della Costituzione: esse esplicitano bene il senso complessivo del lavoro svolto a riguardo dall’Assemblea Costituente. Lelio Basso cominciò con l’esprimersi in modo chiaro sull’ emendamento Mortati – Ruggiero, successivamente all’approvazione della norma nella direzione in cui Basso aveva auspicato: “Da una norma chiaramente diretta a privilegiare i partiti nell’ordinamento costituzionale italiano si son volute ricavare conseguenze addirittura vessatorie per i partiti stessi, pretendendo di sottoporli a un regime di controllo che finirebbe per annullarne la funzione.” <41 La stesura da lui proposta era, infatti, “coscientemente rivolta ad un superamento effettivo del tradizionale sistema parlamentare, un sistema oligarchico, proprio delle classi liberali ottocentesche” <42.
L’obiettivo dei socialisti, nell’esporre questo articolo, era dunque quello di ottenere attraverso la Costituzione “un sistema democratico moderno”, un regime “come il popolo reale, il popolo cioè come esiste di fatto, con le sue articolazioni, le sue differenziazioni, i suoi contrasti interni. (…). Il popolo come unità che non esclude la varietà interna, che nasce anzi dalla distinzione” <43.
Lelio Basso giunse poi ad esprimere il proprio concetto di democrazia, ed in particolare del rapporto tra democrazia, partiti e Costituzione. La democrazia si incarna nella sottrazione agli organi investiti di autorità potestativa di una qualunque superiorità sul popolo, perché i “governati si identificano con il sovrano, cioè il popolo stesso”. Se dunque è vero che democrazia significa autogoverno del popolo, è altresì vero che permane l’idea di un popolo come realtà complessa e molteplice e plurale e dunque, per coinvolgere il popolo nella democrazia è necessaria l’organizzazioni in corpi intermedi.
“Nell’art. 1 della costituzione il popolo è dichiarato titolare della sovranità e del suo esercizio, e questo non è limitato semplicemente al momento del voto, e quindi di fatto delegato alle assemblee e al governo, ma risulta essere un esercizio permanente di cui la stessa Costituzione organizza le forme ed i limiti. Ed è precisamente ai fini di una migliore organizzazione di questa sovranità che erano dirette le proposte” <44. Si trattava dunque di riconoscere la complessità di una nuova democrazia di massa e di uno stato dei partiti che, secondo Lelio Basso, era già attuale al momento della stesura dell’articolo. Per questo gli sembrò errato non aver considerato l’importante terzo comma della sua proposta, quello che avrebbe permesso il riconoscimento ai partiti di funzioni costituzionali, che avrebbe definitivamente permesso il superamento del parlamentarismo ottocentesco. “E’ chiaro che oggi il parlamentarismo come lo si intendeva una volta non si potrà più riprodurre, poiché il deputato non è più legato ai suoi elettori, ma al suo partito. Ciò presuppone l’esistenza di una disciplina di partito”. <45
Secondo Basso, dunque, non vi era alcun legame tra la necessità di costituzionalizzare le funzioni dei partiti politici e l’imposizione di un modello di democrazia interno, come aveva invece temuto il PCI.
Il ragionamento di Lelio Basso si concentrò dunque nel definire i partiti come i luoghi di partecipazione ove si esprime la sovranità popolare. “Non si tratta di un diritto che il singolo può far valere nei confronti della collettività, ma un diritto che si identifica con la funzione sovrana, con una funzione essenziale alla vita della collettività stessa, di un potere-dovere che il cittadino deve esercitare nella misura in cui vuol fare della collettività cui appartiene una collettività autenticamente democratica. <46”
L’articolo 49 della Costituzione – argomentava Lelio Basso – costituiva un articolo fondamentale per il nuovo ordinamento, e non lo si potrebbe assolutamente relegare ad essere una mera specificazione della libertà di associazione regolata dall’articolo 18 Costituzione. “Non a caso l’art. 18 è collocato sotto il titolo delle libertà civili e l’articolo 49 sotto il titolo delle libertà politiche, subito dopo l’art. 48 sul diritto di voto. (…) Gli articoli 48 e 49 Cost. disciplinano le due principali forme di esercizio della sovranità popolare – il voto e l’associazione in partiti – attraverso cui i cittadini danno vita ai due strumenti che sono espressione della loro volontà e della loro sovranità: il Parlamento ed i partiti politici, che rappresentano due momenti di un’unica dialettica democratica” <47.
Infine l’estensore dell’articolo ritorna sul dibattito in Assemblea costituente e precisamente sulla discussione riguardante il metodo democratico. La conclusione di Lelio Basso è perentoria. “L’articolo 49 dice in ultima istanza quello che i costituenti vollero effettivamente dire, e cioè che in una democrazia moderna, in cui il supremo potere decisionale spetta alla collettività popolare, l’iter necessario per estrarre l’unità dalla molteplicità, la decisione sovrana dal contrasto e dal confronto delle diverse volontà dei cittadini, è il concorso di una pluralità di partiti: in questo sta l’essenza del metodo democratico” <48.
In altre parola la locuzione “con metodo democratico” era semplicemente l’affermazione esplicita del rapporto che esiste tra l’articolo 49 e l’articolo 1 della Costituzione. Quindi, conclude Basso, “nel nostro ordinamento costituzionale la libertà di gara di partiti concorrenti su piede di eguaglianza costituisce il genuino metodo democratico e che a questo metodo debbono attenersi i cittadini e i partiti per realizzare la democrazia e la sovranità popolare. <49”
Questa la posizione rispetto a cui nel corso dell’Assemblea costituente anche Costantino Mortati aveva sollevato dubbi rilevanti. L’autorevole giurista democristiano però, attento interprete sia del diritto costituzionale che della realtà sociale ed istituzionale, nel 1958 esplicitò un cambio di posizione a riguardo a quanto aveva sostenuto in Assemblea Costituente, scrivendo che “nella nuova atmosfera di contrasto radicale di interessi tra partiti”, eventuali intromissioni dello Stato si sarebbero potute tradurre in “uno strumento di persecuzione contro quelli dell’opposizione, con grave danno per le esigenze del dinamismo sociale” <50”
[NOTE]
18 Seduta prima sottocommissione, 20 marzo 1946
19 Ricostruzioni particolareggiate si trovano in Traverso, La genesi storico politica della disciplina dei partiti nella Costituzione italiana (“Il Politico” n. 1), Ridola op. cit. (1982), Pasquino op. cit.(1992).
20 L. Basso in Considerazioni sull’articolo 49 della Costituzione in ISLE, Jovene (1963)
21 G. Pasquino op. cit. (1992) pag. 9
22 “La prima sottocommissione ritiene necessario che la costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali. Rinvia ad un esame con la seconda sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità”. La riunione congiunta non si tenne anche perché i partiti minori iniziarono a temere di essere sacrificati finendo con il concedere ai partiti maggiori l’egemonia totale sul funzionamento istituzionale. Probabilmente, dunque, la riunione congiunta non ebbe luogo perché si preferì realizzare lo sforzo di tenere compatto il fronte costituzionale.
23 Al momento della discussione l’articolo in questione era il n. 47. Diventerà il 49 dopo l’approvazione definitiva del testo.
24 “Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi in partiti che si formino e concorrano, attraverso il metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale”
25 “Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi liberamente in partiti, per concorrere, nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti dalla presente Costituzione, a determinare la politica nazionale”
26 M. D’Antonio – G, Negri, Il partito di fronte allo stato, di fronte a se stesso, Giuffrè (1983) Pag. 13
27 “Tutti i cittadini hanno diritto di raggrupparsi liberamente in partiti ordinati in forma democratica, allo scopo di assicurare, con la organica espressione delle varie correnti della opinione pubblica ed il concorso di esse alla determinazione della politica nazionale, il regolare funzionamento delle istituzioni rappresentative. La legge può stabilire che ai partiti in possesso dei requisiti da essa fissati, ed accertati dalla Corte Costituzionale, siano conferiti propri poteri in ordine alle elezioni o ad altre funzioni di pubblico interesse. Può inoltre essere imposto, con norme di carattere generale, che siano resi pubblici i bilanci dei partiti”
28 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1880
29 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1882
30 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1885
31 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1886-1887
32 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1887
33 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1887
34 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1888-1889
35 La Costituzione Italiana nei lavori preparatori, 22 Maggio 1947, pag. 1889
36 L. Elia, A quando una legge sui partiti? in La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti a cura di
S. Merlini Passigli (2009)
37 “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari
all’estero.”
38 S. Merlini I partiti politici e la Costituzione (rileggendo Leopoldo Elia) da “La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, a cura di S. Merlini, Passigli, (2009)
39 M. D’Antonio, G. Negri, Il partito di fronte allo stato, di fronte a se stesso, Giuffrè (1983) pag. 10
40 L. Basso op. cit. (1963) pag. 149
41 L. Basso Ivi pag. 133
42 L. Basso ivi, pag. 134
43 L. Basso ivi pag. 136
44 L. Basso ivi pag. 135
45 L. Basso ivi pag. 143
46 L. Basso ivi pag. 147
47 L. Basso ivi pag.148
48 L. Basso ivi pag.150
49 L. Basso ivi pag. 151
50 C. Mortati, I partiti politici nello stato democratico, Convegno Unione Giuristi Cattolici italiani, pag. 12
Alessandro Capelli, La democrazia interna ai partiti politici. Bilanci e prospettive, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2012-2013