In una cittadina umbra ho visto un proclama, firmato da un tedesco, che ordinava ai militari sbandati di rientrare nei ranghi dell’esercito

Malo (VI). Fonte: mapio.net

Con Lelio, un vicentino che ha conosciuto nella caserma militare, Luigi Meneghello condivide gran parte delle esperienze di quei fragili anni ‘40, guerra e attività partigiana.
Sin dal settembre del 1943, prestò servizio nelle formazioni partigiane; da allora in poi fu attivamente ricercato, per questo dovette vivere da clandestino e posticipare la data della sua laurea.
Quando fu firmato l’armistizio di Cassibile, il Regno d’Italia cessò le ostilità verso gli alleati e si diede inizio alla resistenza italiana. Così «l’8 o il 10 settembre, […] la compagnia si sciolse con le dovute cerimonie. […] Tutto a un tratto si è in mezzo a un gruppo di gente che un momento fa era la compagnia, liberi».
Meneghello si mise in strada con Lelio, tutta l’Italia era distribuita su due file ordinate, c’era chi camminava verso nord e chi verso sud. «La gente era buonissima dappertutto, ci davano pane» <90. Arrivarono a Vicenza, Lelio andò a casa e Luigi si incamminò verso Malo. «Lelio ed io avevamo una mezza idea di dover metterci noi due soli a fare i ribelli. […] Fummo presi in contropiede. Il mio paese era pieno di gente come noi. Era irriconoscibile, il mio paese» <91. Al ritorno a Vicenza la cospirazione lo portò a vivere da latitante tra Padova e Vicenza <92, ma già il 5 dicembre 1943 viene incarcerato a Padova uno dei suoi compagni, Licisco Magagnato, il vero e riconosciuto motore etico-politico del gruppo dei cosiddetti Piccoli Maestri, di fatto riconosciuto vice del maestro Antonio Giuriolo. Il 16 febbraio 1944, ossia il giorno del suo ventiduesimo compleanno, mentre Luigi si trovava a Malo dai nonni la polizia fascista irrompe nella casa. Nel corso della seconda guerra mondiale, in Italia, le attività partigiane vennero rese note dalle forze nazi-fasciste che avevano lo scopo di neutralizzare i contestatori del regime che si nascondevano solitamente in piccoli villaggi o case isolate nelle colline.
Durante il rastrellamento del 5 giugno 1944 <93 Meneghello si rifugiò in un pertugio naturale che l’acqua crea nella roccia calcarea; “I piccoli maestri” si apre con Luigi e Simonetta a seguito, cercatori di questo luogo evocatore di ricordi nel quale egli ritrova «il libretto» e «il parabello» che, in quei terribili anni, aveva lasciato lì una volta tornato in superficie.
“Ma sì, durante un rastrellamento sono venuto a finire qua; ora sono qua di nuovo. Il legame tra allora e adesso è tutto lì, e non lega molto. Ma sì, è in questo punto della crosta della terra che ho passato il momento più vivido della mia vita, parte sopra la crosta, correndo, parte subito sotto, fermo” <94.
Nel 1944 la compagnia si mise in viaggio da Vicenza verso il bellunese con loro c’era «la Marta» <95, qui avevano lo scopo di reclutare altri uomini pronti a liberare l’Italia. Una volta completato il comparto Meneghello fu considerato il comandante <96. Il gruppo subisce un altro rastrellamento il 10 giugno, durante il quale persero le tracce del compagno Nello e Antonio Giuriolo fu ferito ad una mano e ritornò nella zona di Bologna per proseguire la sua esperienza e venire infine ucciso sull’Appennino. Tra i colli e le montagne i partigiani operavano determinati, ma quando si recavano in città l’impatto emotivo trasmetteva loro l’idea consapevole di essere stranieri e percepivano una freddezza simile a quella del purgatorio dantesco, che tanto Meneghello aveva letto <97 e testimonia: “Nella città la gente faceva i fatti suoi. C’erano i bar, i cinema, i tram, i giornali: roba da matti. In un primo momento questo si percepiva semplicemente come il regno di Satana: i marciapiedi scottavano, i volti della gente sui marciapiedi ci facevano trasalire; e i vestiti, i paltò, le cravatte, ispiravano ribrezzo e paura. Padova sembrava una gran sentina di peccati; […] Non mi ero mai sentito tanto bandito fuorilegge come ora, tornando con le mie carte false nel mondo ordinario” <98.
[NOTE]
90 L. MENEGHELLO, I piccoli maestri, in ID., Opere Scelte…, pp. 358 ss. (d’ora innanzi PM con indicazione del numero di pagina).
91 PM, pp. 364 ss.
92 PM, p. 538.
93 L. MENEGHELLO, Fiori italiani, p. 952.
94 PM, p. 342
95 PM, p. 381.
96 Cfr. PM, p. 388.
97 Cfr. PM, p. 347.
98 PM, p. 585.
Vanessa Galleri, Infanzia, dialetto, poesia. La prospettiva di Luigi Meneghello, Tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 2017-2018

L’8 settembre è invece un momento di grande gioia per il reparto. L’armistizio venne sotto forma di urlo, verso sera: “[…]. Si sentiva [qualcuno] che diceva: “L’è finìa!”. Credeva che fosse finita.” <113
“I veterani cominciavano a dare qualche segno di squilibrio. Un trombettiere una sera si mise a suonare le note (proibite e favolose) del congedo assoluto.[…] Tra i veterani si scatenarono circuiti di reazioni galvaniche”. <114
La notizia prende di sorpresa Meneghello, disorientato “da questa vigliaccata che faceva il regime […]. Si squagliava come i rifiuti superficiali di un letamaio sotto l’acquazzone, e ciò che contava era la confusione in cui restavamo, la guerra, gli alleati-nemici, i nemici-alleati” <115.
Che fare ora? La compagnia d’armi si sciolse “con le dovute cerimonie”, trasformando chi prima era il capitano, il sergente in un uomo qualsiasi, un uomo libero. “L’esercito italiano va a casa”. <116 Lelio e Gigi decisero di tornare a casa, e di farlo a piedi. Attraversarono “di sbieco” l’Italia, le strade piene di gente, giovane per lo più, che tornava dal servizio militare, convinta di aver finito la guerra. Pochi giorni di cammino, fino ad Orvieto, in Umbria, dove montarono su un treno, direzione Vicenza. Parecchi anni dopo, nel dialogo già citato con Marco Paolini, Luigi Meneghello ci racconta altri particolari di quei giorni del rientro, fondamentali per la Scelta, quella di diventare partigiano. “L’idea di metterci in cammino verso casa fu spontanea, del tutto naturale. Che altro potevamo fare?” <117 Decisione rischiosa, ma mai quanto quella di prendere un treno: “Il rischio era che si trattasse di uno dei treni che venivano requisiti dai tedeschi e mandati in Germania. Noi eravamo ancora in divisa e […] tenevamo il cappello alpino ora in testa ora in tasca, a seconda di ciò che accadeva fuori” <118.
In un contesto euforico, Meneghello e Lelio si rendono conto della situazione a cui si stava andando incontro, un salto psicologico che cambierà la vita dei due giovani vicentini. È questo il momento in cui decidono di diventare reali oppositori del regime. Il cammino è finito. Ora sono degli anti-fascisti convinti. “In una cittadina umbra ho visto un proclama, firmato da un tedesco, che ordinava ai militari sbandati di rientrare nei ranghi dell’esercito.[…]. Ho capito che eravamo liberi di opporci a costoro e di combattere finalmente dalla parte giusta”. <119 L’occasione era propizia, non bisognava lasciarsela scappare; “tutto ad un tratto potevi dire: ora le cose sono a posto, […] sappiamo che dobbiamo stare con l’altra parte, quelli che fino all’altro giorno erano i nemici”. <120 Il treno fortunatamente non era tedesco, e riuscirono, dopo alcune peripezie, ad arrivare a Vicenza; qui di grande aiuto fu il “popolo italiano”, intento a difendere il proprio esercito dai tedeschi, tanto che “le donne pareva che volessero coprirci con le sottane” <121.
Tornato a Malo, Meneghello tentò di organizzare qualche gruppo, e “incredibilmente era pieno di gente come noi. […] a ogni ora arrivavano soldati dai quattro cantoni dell’orizzonte e tutti si cercavano, cercavano noi, volevano fare qualcosa, organizzarsi”. <122
E non certo inaspettatamente questo gruppo di popolani e borghesi elessero come “capo” Luigi, un “direttore” in grado di parlare meglio di qualsiasi altro, di arringare la popolazione con l’oratoria, arte nella quale era particolarmente brillante; “Non volevo comandare, però parlavo. Dicevo: “Non fatevi influenzare da nessuno, e tanto meno da me; fate quello che vi pare giusto”; e tutti dicevano: “Bravo, ostia: facciamo come dice lui” “. <123
In tutta la provincia ci furono episodi di “ribellione”, piccole azioni dimostrative, reti di contatti clandestini: “Dappertutto si sentiva muoversi la stessa corrente di sentimento collettivo; era l’esperienza di un vero moto popolare, ed era inebriante”. <124
Ed erano proprio Gigi e Lelio a “tessere” questi contatti, attraversando la provincia vicentina con le biciclette, visitando “i Tretti montanini, ora gli assurdi Cogolli, ai Polèi, agli Arcugnani, ai Gambugliani, alle Tezze polverose, e ai Giavenali di fiaba, caduti in mezzo alla campagna, proprio lì dove fuoriesce dalla terra l’asse del mondo, attorno al quale hanno costruito un campanile” <125.
[NOTE]
113 L. MENEGHELLO, “I Piccoli Maestri” (1964), da “Opere Scelte. Luigi Meneghello”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, pp. 355-6.
114 Ivi, p. 355.
115 Ivi, p. 356.
116 Ivi, p. 359.
117 C. MAZZACURATI e M. PAOLINI, “Ritratti. Luigi Meneghello”, Roma, Fandango Libri s.r.l., 2006, p.24.
118 Ibidem.
119 Ibidem.
120 Ibidem.
121 L. MENEGHELLO, “I Piccoli Maestri”(1964), da “Opere Scelte. Luigi Meneghello”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, p. 364.
122 Ivi, p. 365.
123 Ibidem.
124 Ivi, p. 371.
125 Ivi, p.372. Tutte le località citate sono storpiature dei nomi reali di paesi o frazioni del vicentino. Particolare è la descrizione dei “Giavenali”, corrispondente a Giavenale, frazione di Schio: la credenza popolare porrebbe il piccolo villaggio al “centro del mondo”, probabilmente derivante dall’epoca romana; pare infatti che proprio a Giavenale s’incrociassero le assi principali della centuriazione romana.
Andrea Menegante, Luigi Meneghello: un apprendista italiano. Un’esperienza politica dal regime fascista alla Repubblica, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012-2013