La P2 si è impadronita delle istituzioni, ha fatto un colpo di Stato strisciante

Pochi mesi più tardi il sequestro di Castiglion Fibocchi e precisamente alle ore 18.00 del 4 luglio 1981, la Circoscrizione Doganale di Roma II – Servizi Aerei – Sezione Viaggiatori, fermava nell’area “Arrivi Internazionali” dell’Aeroporto di Fiumicino la signora Maria Grazia Gelli, figlia del Venerabile Licio Gelli. Il maresciallo ordinario Mario D’Ascenzi, mentre controllava i passeggeri al banco di controllo doganale, nel corso dell’ispezione alla signora Gelli trovò in un doppio fondo ricavato dal suo borsone marrone 5 buste sigillate con nastro adesivo. Dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria ricaviamo che quattro buste contenevano a loro volta altri plichi sigillati riguardanti la Loggia P2. Le buste erano indirizzate a Luciano Donnini, marito della Gelli, alle segreterie del Policlinico Gemelli, al Prof. Luigi Tonelli e allo stesso Gelli. <54. Del fermo veniva avvisato il sostituto procuratore Domenico Sica il quale una volta letto il contenuto della documentazione spiccava, il 7 luglio 1981, un mandato di cattura contro Licio Gelli e sua figlia Maria Grazia con le seguenti motivazioni: per essersi procurati notizie provenienti da organi informativi statali, “che dovevano comunque rimanere segreti nell’interesse politico dello Stato italiano”; per aver deliberatamente simulato tracce di reati che incolpavano di corruzione in modo “implicito ma inequivocabile” magistrati dell’Ufficio Istruzione e della Procura di Milano, Giuliano Turone e Guido Viola <55. Il primo dato riguarda la data del sequestro: 4 luglio 1981. Probabilmente a causa di un refuso agli atti della Commissione d’inchiesta, la parte Terza del Tomo V inerente i “Documenti citati nelle relazioni: i mezzi impiegati e le attività svolte”, elencando i documenti enumerati nella relazione finale, datava al 6 luglio 1982 la perquisizione operata nei confronti di “M.G. Gelli presso l’Aeroporto di Fiumicino”.<56
Al di là delle osservazioni critiche, questo ritrovamento segnò un altro momento importante nel lavoro della Commissione d’inchiesta poichè aggiunse ai documenti di Castiglion Fibocchi nuove fonti di analisi. Nel doppiofondo della valigia di Maria Grazia Gelli furono scoperti non solo messaggi compromettenti per l’establishment politico italiano, come ad esempio il dossier su Gianni De Michelis. L’errore è stato ripreso da molti testi, tanto che ad oggi è comunemente accettato che il ritrovamento dei documenti di Gelli, tra cui anche il famoso “Piano di Rinascita Democratica”, sia avvenuto nel luglio 1982. <57
Il “Piano di rinascita democratica” e il “Memorandum sulla situazione politica in Italia” ad esso allegato – un fascicolo che descriveva la formidabile carriera del socialista veneziano scandita da storie di mala politica italiana – ma anche il famoso “Piano di rinascita democratica” <58, sono considerati la sintesi dell’ideologia gelliana e il simbolo delle deviazioni eversive piduiste. I due fascicoli vennero scritti presumibilmente nella seconda metà del 1975. Secondo la Relazione Anselmi “si tratta certamente di due testi comunque non redatti dal Gelli personalmente, se non altro per la sua carenza di cultura giuridica specifica, ma da lui direttamente ispirati a persona molto vicina” <59.
L’indagine contenuta nelle otto cartelle del “Memorandum” constatava “l’alto livello di instabilità” e di “anarchismo dilagante” sulla scena politica italiana, causata da tre fattori principali: la crisi economica, la “crisi morale profonda per l’errore compiuto soprattutto dalle componenti radicali e laiche della società civile nel ritenere maturo un paese con una storia come quella italiana ad essere elevato di colpo al livello nordeuropeo, mediante maldestre operazioni di mass media”, e la crisi politica che travagliava i partiti, incapaci di adeguarsi alla crescente cetimedizzazione della società. L’intervento previsto per far fronte a questo tipo di situazione prevedeva la nascita di “due nuovi movimenti politici, uno di ispirazione social-laburista ed uno di ispirazione liberal-moderata o conservatrice”. Sia il “Memorandum” che il “Piano” proponevano una soluzione per l’uscita dalla crisi politica che l’Italia stava vivendo nella seconda metà degli anni Settanta che comportava pesanti modifiche costituzionali.
La stesura dei testi venne attribuita da alcuni a Francesco Cosentino, segretario generale della Camera dei deputati. Essi erano probabilmente destinati ad un uso interno e riservato, visti anche le sviste e i numerosi refusi che contenevano <60.
Ad esempio, la creazione di due movimenti politici, uno conservatore l’altro liberal-moderato, doveva essere preceduta da un accordo temporaneo tra le componenti politiche di allora “in un ambito democratico che comprenda Pci, Psdi, Pri, Dc e Pli con la possibile variante di una neoformazione di destra la quale permetta il recupero e lo scongelamento dei due milioni di voti moderati affluiti al MSI fra il 1971 e il 1972”. Il “Memorandum” concludeva appuntando le ragioni della crisi democristiana, fortemente indebolita a causa del distacco della Chiesa, dello scardinamento “irresponsabilmente tollerato in quanto prematuro” dei valori morali diffusi fino al 1960, della “corruzione che ne deriva”, e, soprattutto, dalle “lotte intestine fra i massimi dirigenti della DC.
Mentre il “Memorandum” indicava a grandi linee la strada di una rifondazione della Democrazia Cristiana, il “Piano di rinascita democratica”, composto da quindici cartelle, mirava invece ad una radicale svolta della vita del paese, sottolineando che l’aggettivo democratico stava a significare che erano esclusi dal piano ogni movente od intenzione occulta di rovesciamento del sistema. Gli obiettivi su cui il Piano intendeva agire erano principalmente “i partiti politici democratici, la stampa, la RAI-TV, i sindacati (limitatamente a CISL e UIL), il governo, la magistratura, il Parlamento” al fine di “conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo”.
La parte più oscura del Piano prevedeva nei confronti del mondo politico l’adozione di alcuni “Procedimenti” in conseguenza dei quali occorreva “selezionare gli uomini […] (Per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amadei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli); b) valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità; c) in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti – con i dovuti controlli – a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti; d) in caso di risposta negativa, usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra) e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale)” <61.
Nei confronti della stampa sarebbe stato opportuno “redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro. […]. Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti”. Verso la magistratura, infine, sarebbe stato “sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali” con la corrente di Magistratura Indipendente al fine di ricondurre “la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non già di eversione”.
Il “Piano di Rinascita democratica” appariva un maquillage di proposte di riforma costituzionale in circolazione negli ambienti politici e accademici già alla metà degli anni Settanta, tanto da essere addirittura inviato nel 1976 dallo stesso Gelli al Presidente della Repubblica Leone.
D’altronde, dentro la Commissione vi era chi, come il deputato radicale Massimo Teodori, non vedeva nel “Piano” l’inizio di un disegno a carattere eversivo, dal momento che “se andiamo a leggere i procedimenti da attivare nei confronti del mondo politico, leggiamo che occorre selezionare gli uomini ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica” <62. Si chiedeva nella sua relazione conclusiva Massimo Teodori che progetto eversivo era quello che “assume a proprio punto di riferimento buona parte della classe dirigente dei partiti” <63.
Secondo questa interpretazione la loggia non agiva come entità indipendente, ma esercitava la sua influenza attraverso l’iniziativa di singoli che nulla avrebbero potuto senza una precisa rispondenza proveniente dalla classe politica: “Se la costellazione dei 953 piduisti che formalmente figurano nella lista non avesse avuto rapporti di stretta complicità con i protagonisti ufficiali operanti nelle istituzioni, la loggia P2 non avrebbe avuto alcuna possibilità e capacità di pesare ed incidere sulla vita italiana <64.
Tuttavia, le sollecitazioni che il Piano intendeva esercitare su “tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina”, con obiettivo quello di determinarne la rivitalizzazione e il restauro, venivano descritte in termini tali dal non lasciare spazio a nessun tipo mediazione, quindi mettendone in risalto la loro natura eversiva. Se il fine non era quello di rovesciare il sistema attraverso l’azione clamorosa di un golpe, l’intenzione era più probabilmente quella di svuotare il sistema costituzionale dall’interno. La Relazione finale della Commissione d’inchiesta riconosceva infatti nel Piano una sentire “predemocratico” accompagnato da una “visione politica che tende a situare il potere negli apparati e non nella comunità dei cittadini politicamente intesa”” <65.
Come dichiarò in modo meno pacato il presidente Tina Anselmi a “Famiglia Cristiana”, in una intervista rilasciata nel maggio 1984 verso la fine dei lavori di indagine, “la P2 si è impadronita delle istituzioni, ha fatto un colpo di Stato strisciante”.
Benchè il “PRD” non fosse un testo di ingegneria costituzionale, scritto come era con linguaggio rozzo e grottesco, esso appariva piuttosto come un progetto di azione che fissava degli obiettivi, predisponeva gli interventi arrivando a prevederne addirittura il fabbisogno finanziario. La chiave interpretativa del Piano di Rinascita democratica sembrava essere il “controllo”, contrapposto ad una logica di governo democratico. In questa prospettiva, la classe politica doveva diventare espressione di un potere collocato al di fuori della comunità dei cittadini e quindi dal sistema di rappresentanza.
Secondo il magistrato Giuliano Turone i documenti sequestrati all’aeroporto di Fiumicino furono deliberatamente fatti ritrovare da Gelli al fine di lanciare un messaggio chiaro sulla quantità e sulla qualità di informazioni che ancora erano in suo possesso <66.
In quest’ottica, il “PRD” sarebbe servito solamente a stimolare una reazione da parte di quei settori della classe politica più compromessi con la storia piduista; un canovaccio di idee atte a richiamare all’ordine tutti quei personaggi politici che sono legati a filo doppio alle logiche e ai ricatti del sistema P2. Quest’ultimo giudizio coincide parzialmente con quello dato da Teodori nella relazione finale, che giudica il “Piano” un “pezzo di carta […], un collage di ovvie e banali proposte di riforme costituzionali in circolazione negli ambienti politici ed accademici alla metà degli anni settanta”. In conclusione il “Piano di Rinascita Democratica” era un testo che lasciava presagire l’ipotesi di una istituzione totale chiusa all’impegno di cittadini consapevoli. Un trattato che se non destabilizzava il sistema democratico, certamente lavorava per mettere la sordina alle sue componenti più vitali.
[NOTE]
54 CP2, 2-quater/VII/1, Servizi Segreti – Eversione – Stragi – Criminalità organizzata – Traffico d’armi, droga, petroli – Pecorelli, p. 1 – 33. , sono considerati la sintesi dell’ideologia gelliana e il simbolo delle deviazioni eversive piduiste. I due fascicoli vennero scritti presumibilmente nella seconda metà del 1975. Secondo la Relazione Anselmi “si tratta certamente di due testi comunque non redatti dal Gelli personalmente, se non altro per la sua carenza di cultura giuridica
55 Procura della Repubblica di Roma, ordine di cattura n. 6571/81C ad opera del Sostituto procuratore della Repubblica Domenico Sica, 7 luglio 1982, in CP2, 2-quater/VII/3, p. 33-35.
56 CP2, Documenti citati nelle relazioni finali, 2-quater/V/III, La Loggia P2, la pubblica amministrazione e la magistratura, p. 5-29.
57 La documentazione sequestrata si trova in Commissione P2, Documenti citati nelle Relazioni di maggioranza e minoranza, serie 2-quater/3, vol. VII, pp. 601 sgg.
58 CP2, 2-quater/III/VII-bis, “Memorandum” e “Piano di Rinascita democratica”, rispettivamente alle p. 603 e 611.
59 CP2, Relazione finale, 2-bis, p. 146.
60 T. De Mauro, La “corrotta italianità” del linguaggio piduistico, in G. Amari – A. Vinci (a cura di), LOGGIA P2. Il Piano e le sue regole, Castelvecchi Editore, 2014, p. 57 e ss.
61 CP2, 2-quater/III/VII-bis, “Piano di Rinascita democratica”, p. 615.
62 Relazione di minoranza Massimo Teodori, Vol. 2bis/1 , p. 175.
63 Ibidem, p. 176.
64 Ibidem, p. 171.
65 CP2, Relazione finale, 2-bis, p. 147.
66 G. Turone, Il contesto e la teorizzazione del golpe strisciante, op.cit., p. 15.
Lorenzo Tombaresi, Una crepa nel muro: storia politica della Commissione d’inchiesta P2 (1981-1984), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno Accademico 2014-2015