La preoccupazione per tali possibili scenari indusse l’ammiraglio Stone a parlarne direttamente con De Gasperi

Se dunque la crisi del governo Parri del 24 novembre del ’45 e la successiva formazione della nuova compagine governativa sotto la presidenza di Alcide De Gasperi <200, realizzatasi il 10 dicembre, era stata guardata con favore dai vertici diplomatici statunitensi, tuttavia la partecipazione di PCI e PSI con importanti ministeri chiave suscitava dubbi e timori. Le informazioni che provenivano dalla penisola non miglioravano il quadro che i policy makers americani si erano formati della situazione italiana. La preoccupazione più diffusa al vertice dell’amministrazione Truman riguardava la capacità di Mosca di poter indirettamente agire sulla politica italiana, attraverso il partito di Togliatti, e di poter influenzare gli equilibri di governo: l’Italia si presentava come uno dei teatri dove il pericolo di un’espansione comunista attraverso il partito nazionale era più realistico. Lo scenario più temuto relativo al futuro della penisola era costituito dalla possibilità di un rovesciamento della situazione politica in favore dei comunisti: le elezioni previste per il 2 giugno 1946 erano considerate il banco di prova cruciale per il destino del paese, oltre che dal punto di vista del risultato delle urne anche in considerazione della probabilità che il PCI emanasse un ordine di insurrezione generale, nel caso in cui il risultato avesse mostrato la prevalenza di voti monarchici.
A marzo si erano svolte in quasi cinquemila comuni le elezioni amministrative, che avevano mostrato una forte affermazione di socialisti e comunisti. La presenza di una forte corrente fusionista all’interno del PSI, guidata da Nenni, Lizzadri, Morandi, Molinari, Basso e Cacciatore <201, indicava una probabile prossima futura creazione di un blocco unico con il partito di Togliatti, che dunque, nominalmente, aveva la maggioranza dei voti, sulla base dei risultati delle consultazioni locali. Il 27 dello stesso mese un cablo urgente da parte di Key, lo Chargé d’Affaires presso l’ambasciata di Roma, per Byrnes poneva l’accento e richiamava l’attenzione di Washington sull’attacco portato avanti dal PCI, tramite i suoi giornali, contro la presenza delle forze alleate nel territorio della penisola, accusate di provocare un grave danno economico al paese: “gli attacchi della stampa appaiono essere un chiaro tentativo di screditare gli Alleati, in particolar modo gli Stati Uniti, per influenzare le prossime elezioni per l’Assemblea Costituente” <202.
Nel corso di aprile l’attenzione del vertice dell’amministrazione Truman si incentrò sull’area mediterranea, dove Byrnes – in particolar modo – sottolineava la possibile minaccia di un’acquisizione russa di una base in Libia, l’excolonia italiana che era tuttavia ancora oggetto di mire nazionalistiche da parte di alcuni esponenti del governo di Roma. Sul fronte dei negoziati per il trattato di pace relativo alla penisola i sovietici premevano per ottenere le riparazioni di guerra, rischiando di mettere in pericolo la stabilità economica e politica del paese. Il segretario di Stato sottolineò, nel corso di una riunione di gabinetto con Truman, la necessità di considerare l’Italia come un nodo fondamentale, nell’ambito dell’importanza strategica del mantenimento del Mediterraneo, nella sua interezza, nella sfera di influenza occidentale <203. Con il passare dei giorni il timore per un’evoluzione violenta dello scenario politico italiano diffuso ai vertici delle rappresentanze diplomatiche statunitensi andò aumentando, raggiungendo il culmine tra il 16 e il 24 maggio: il Consolato Generale Americano a Milano e l’ambasciata a Roma, infatti, lanciarono l’allarme per quello che sembrava essere un ordine di mobilitazione generale che il PCI era sul punto di emanare. Ciò che sembrava materializzarsi agli occhi dei vertici diplomatici nella penisola era l’attuazione del piano sovietico finalizzato all’inserimento del paese nella sua sfera di influenza, paventato dai molteplici rapporti provenienti da Mosca e dalle analisi dei vertici militari a Washington: il piano sarebbe stato attuato attraverso l’azione portata avanti dal PCI sia sul piano politico-elettorale sia su quello clandestino, che gli analisti del Dipartimento di Stato consideravano come lo strumento delle politiche sovietiche, dirette ad ottenere il controllo dell’intera area mediterranea.
Come spiegato dal console Bay, si trattava di un memorandum intercettato dalla sezione OSS di Milano, che era stato inviato l’11 maggio dal “quartier generale comunista a Roma” alla direzione PCI del capoluogo lombardo <204. Una volta arrivato all’ambasciata, il memorandum fu attentamente valutato e considerato attendibile, e quindi da lì diffuso ai vertici militari statunitensi. Occorre considerare, per fare una prima valutazione sulla veridicità o meno del memorandum, che proprio in quelle settimane precedenti il referendum istituzionale le organizzazioni neofasciste si erano andate riunendo per la preparazione di piani in previsione di una vittoria comunista alle elezioni di giugno. A questo proposito i rapporti dell’SSU di Angleton riportano una quantità di particolari che delineano la rilevanza in termini di effettiva capacità di portare a termine l’azione golpista messa in programma <205. La propensione dei vertici americani nella capitale a considerare come veritiero il memorandum inviato a Roma dal console americano a Milano, derivava da una serie di allarmi provenienti dall’intelligence circolati nelle settimane precedenti, che avevano preoccupato i vertici statunitensi, relativi proprio alla stessa possibilità di vittoria legale da parte del partito guidato da Togliatti: i servizi segreti, che sulla questione lavoravano in una stretta cooperazione con l’ambasciata, avevano infatti prodotto una serie di avvisi allarmanti riferiti da Key direttamente agli analisti del Dipartimento di Stato a Washington. A quanto dichiarato, ad esempio, in una nota per l’ambasciata del 19 aprile, una vittoria del partito comunista scaturita dalle votazioni del 2 giugno avrebbe fatto scattare, come da “ordini dell’esecutivo comunista” di Milano, “l’immediato arresto dei membri della famiglia reale, l’occupazione degli impianti industriali da parte dei lavoratori e la distribuzione delle terre ai contadini” <206. La preoccupazione per tali possibili scenari indusse l’ammiraglio Stone a parlarne direttamente con De Gasperi, nel corso di un incontro appositamente richiesto dal capo della Commissione Alleata, avvenuto alla fine di aprile: il comandante americano riferisce infatti, in un telegramma per il G-5, il vertice dell’intelligence militare, di aver avuto una recente discussione con il primo ministro, a proposito della “possibilità di un ricorso alla forza da parte dei comunisti al momento delle elezioni e del referendum” <207.
Risulta interessante, per capire in particolar modo il rapporto tra i due grandi partiti italiani, il racconto di quanto il primo ministro gli aveva confidato durante il colloquio, che Stone allega al telegramma: “Il primo ministro – riferisce il Capo della Commissione Alleata – ha espresso la sua preoccupazione” circa l’eventualità che potessero avvenire “intimidazioni con la forza prima e durante le elezioni; un colpo di stato durante o dopo le elezioni da parte del Partito Comunista”. De Gasperi, continuava l’ammiraglio, “ha affermato di aver discusso della faccenda con Togliatti, e come risultato di esserne rimasto estremamente turbato poiché il leader del Partito Comunista ha protestato eccessivamente e negato che ci fosse alcuna prospettiva di problemi o di uso della forza da parte del suo partito”. Il primo ministro, infine, “in considerazione delle voci” relative alle intenzioni dei comunisti e della sua preoccupazione al riguardo, aveva chiesto a Stone con insistenza che gli “lasciasse avere ogni informazione” che fosse pervenuta in tal senso ai comandi americani <208.
L’opinione personale dell’ammiraglio era tuttavia che, perlomeno per la sopraggiungente consultazione di giugno, il partito di Togliatti si stesse apprestando a partecipare alla elezioni in maniera del tutto conforme alla legalità. Ma l’interpretazione comune che si era ormai diffusa, come si è visto, a Washington e tra i diplomatici statunitensi in Italia era che l’orientamento di Mosca fosse rivolto all’acquisizione di influenza nel Mediterraneo occidentale proprio grazie all’azione politica portata avanti dai partiti comunisti, e proprio la serie di rapporti provenienti dall’intelligence americana, alimentarono i timori statunitensi di una possibile azione insurrezionale da parte del PCI: un’azione che, sottolineavano le analisi, sarebbe stata concordata con Mosca fin dai suoi inizi, e che si sarebbe verificata in caso di vittoria della monarchia. Le informative dei servizi segreti provenivano in gran parte dalle sedi dell’SSU, lo Strategic Service Unit che era stato creato nel settembre del ’45 da Truman, prendendo il posto dell’OSS <209. La sezione italiana del nuovo servizio di intelligence era stata posta sotto il comando di Angleton, già promosso il 25 aprile capo del controspionaggio statunitense in Italia. Convinto del pericolo di un’insurrezione comunista e del legame del partito di Togliatti sia con i vertici yugoslavi sia con l’URSS, aveva orientato il lavoro della sua equipe sull’ottenimento di informazioni sensibili sui piani del PCI. I funzionari diplomatici dei consolati a dell’ambasciata presero tali allarmi molto sul serio, inviando ai vertici militari e al dipartimento di Stato una serie di telegrammi che sottolineavano la possibilità della realizzazione della prospettiva più temuta: l’eventuale presa del potere da parte dei comunisti italiani con la forza, che su ordine di Stalin sarebbe dovuta scattare con l’intervento dell’esercito di Tito. Alla luce delle evidenze storico-documentarie di cui disponiamo oggi, si trattava indubbiamente di un quadro delle intenzioni del partito comunista assolutamente irreale, frutto delle informative prodotte dall’intelligence che, aldilà della affidabilità dei loro contenuti, per la stessa importanza di quanto affermavano, risalivano la catena di comando statunitense. L’intera strategia di Togliatti era infatti concentrata sul raggiungimento di un consenso da parte del partito anche negli strati della classe media italiana, puntando ad ottenere una buona affermazione in termini di seggi. A questo proposito, inoltre, è interessante notare la speculare percezione da parte dei vertici del PCI di minacce golpiste in senso autoritario, portate avanti da frange estremiste legate all’ambiente filomonarchico e neofascista. Scrive a questo proposito Pons, sulla base della documentazione ritrovata nell’Archivio della politica estera a Mosca: “La possibilità di un conflitto violento venne paventata più volte da Togliatti nel primo anno del dopoguerra: in particolare, nel giugno 1946, quando Reale riferì a Kostylev (l’ambasciatore sovietico in Italia) che Togliatti non escludeva lo scoppio di una guerra civile, a seguito dell’ambiguo atteggiamento del re dopo i risultati del referendum istituzionale” <210. Nonostante la linea portata avanti da Togliatti, le finalità dei partiti comunisti nell’Europa mediterranea erano allora interpretate dalla maggior parte dei policy makers statunitensi come orientate all’ottenimento del controllo dei governi, in accordo con le direttive provenienti da Mosca.
[NOTE]
200 Sul governo Parri e l’ascesa di De Gasperi si veda A. Gambino, Storia del dopoguerra, dalla liberazione al potere DC, Laterza 1975, pp. 55 – 106.
201 NARA, RG 226, Entry 211, Box 5, telegramma datato 5 febbraio 1946 per il direttore dello Strategic Service Unit a Washington a firma di Angleton.
202 FRUS, 1946, Vol. V Italy, telegramma urgente di Key per il segretario di Stato, datato 27 marzo 1946, p. 900.
203 Cfr. A. Offner, op. cit., p. 155.
204 Cfr., NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, memorandum datato 11 maggio, allegato al telegramma inviato dal Console Americano a Milano Charles Bay allo Chargé d’Affaires Key a Roma, in data 16 maggio 1946.
205 NARA, RG 226, Entry 216, Box 6, telegramma di Angleton agli uffici del War Department a Washington, datato 12 marzo 1946.
206 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma segreto inviato dai vertici dell’intelligence presso l’AFHQ all’ambasciata americana a Roma, datato 19 aprile 1946.
207 NARA, RG 84, Entry 2780, Box 5, telegramma top secret, Public Order during Elections, a firma del capo della Commissione Alleata Ellery Stone.
208 Ibidem. Sull’argomento soprattutto i giudizi di A. Gambino, op. cit., pp. 107 – 155.
209 Cfr. FRUS, 1945-1950, Emergency of the Intelligence Establishment, pp. 73, 235-236, ordine di servizio a firma di John McCloy, il sottosegretario del ministero della Guerra, datato 26 settembre 1945.
210 S. Pons, L’impossibile egemonia: L’Urss, il Pci e le origini della guerra fredda (1943-1948), Carocci 1999, p. 192.
Vincenzo Aristotele Sei, Italia e Stati Uniti, l’alleato ingombrante, Tesi di laurea, Università degli Studi della Calabria, 2014