Nelle cascine gli uomini del RAP portavano delle bombe, dandone poi la colpa ai contadini

Asti. Fonte: mapio.net

I fatti accaduti ad Alba non erano che la punta di un iceberg estremamente esteso. Non a caso il 19 novembre [1944] -il giorno immediatamente successivo a quello delle esecuzioni sommarie nelle carceri giudiziarie di Alba – Mischi (Archimede Mischi, capo di stato maggiore dell’esercito della Repubblica Sociale) diramava una circolare per condannare il comportamento di quei reparti dell’esercito che, durante le operazioni di controguerriglia, erano soliti compiere «atti illegali ed abusivi di asportazione di viveri, indumenti personali, mobilio, denaro e altre utilità, in genere anche a danno di pacifici cittadini e di elementi non sospetti». Addirittura, Mischi diceva di essere a conoscenza di «azioni di rastrellamento non giustificate dalla situazione ribellistica locale», organizzate «al solo scopo di effettuare perquisizioni e confische e di asportare oggetti e generi vari». Questi comportamenti, oltre a provocare il risentimento, che Mischi definiva «giustificato», dei cittadini vittime «delle anzidette spoliazioni», avevano una pessima ricaduta sull’opinione pubblica, la quale non faceva «più distinzioni fra i reparti dell’ordine e le bande dei ribelli» e, soprattutto, fornivano lo spunto alla propaganda nemica «per fare apparire i soldati repubblicani come rapinatori prezzolati». Tra gli stessi soldati di Salò serpeggiava un malcontento sempre più profondo a tal punto che, dall’esame della loro corrispondenza, affioravano «sentimenti di disgusto» per i fatti che stavano accadendo e di «netta disapprovazione» per l’operato dei superiori che venivano «apertamente incolpati di fare azioni di rastrellamento al solo fine di procurarsi bottino». Dal momento che a nessuno doveva essere consentito «abbassare il prestigio e macchiare l’onore di reparti combattenti – chiamati ad un altissimo compito di civiltà e di giustizia – ponendoli al livello di bande piratesche», Mischi minacciava di intervenire sui comandanti, ritenuti direttamente responsabili della condotta dei reparti posti alle loro dipendenze. <112
Il problema era destinato però ad incancrenirsi, come dimostravano le numerose denunce che si susseguivano a carico dei reparti impegnati nelle attività di controguerriglia. Di fronte al dilagare degli atti illegali, lo stesso Graziani era costretto ad intervenire inventandosi una spiegazione tanto fantasiosa quanto improbabile della loro origine. Infatti, il ministro delle forze armate della RSI si diceva convinto che i responsabili degli abusi e dei soprusi commessi ai danni della popolazione civile fossero «elementi già militanti in campo avverso, intrufolatisi e mimetizzatisi nelle nostre file allo scopo di sabotare la nostra opera gettando il discredito sulla nostra bandiera». Pertanto, Graziani chiedeva ai comandanti dei reparti impegnati nella repressione del movimento partigiano di individuare ed eliminare quella che chiamava una «spregevole minoranza» in modo da esaltare la differenza tra «l’Italia repubblicana fascista dell’ordine, della legalità, dell’onore e della lotta ad oltranza e l’Italia del caos, del tradimento, dell’onta, della capitolazione e dell’asservimento allo straniero». <113
Nonostante i richiami da parte delle massime autorità militari di Salò, negli ultimi mesi di guerra, la condotta dei reparti speciali istituiti per la guerra antipartigiana sembra essere sfociata in più di un’occasione in atti e comportamenti lesivi della legge e dell’onore militare. A rivelarcelo sono fonti insospettabili, come il capo della provincia di Asti, Paolo Quarantotto, e il vescovo di Alba, Luigi Maria Grassi. Il primo riferisce a Paolo Zerbino, da poco nominato ministro dell’interno al posto di Buffarini Guidi, <114 il comportamento, definito «indegno», degli uomini appartenenti al RAP (Raggruppamento Anti Partigiani) in provincia di Asti: «Nelle cascine gli uomini del RAP portavano delle bombe, dandone poi la colpa ai contadini; quindi, prelevavano bestie, foraggi, carri ed ogni altro oggetto di vestiario nonché preziosi, ecc., violentando le ragazze e bruciando le cascine. Episodi del genere sarebbero innumerevoli». Quarantotto informava Zerbino che, dopo aver provato inutilmente a parlare con il comandante del RAP, tenente colonnello Alessandro Ruta, si era rivolto al comandante militare regionale, generale Massimo De Castiglioni, che gli aveva candidamente confessato di non poter intervenire, dal momento che il RAP rispondeva direttamente delle sue azioni allo stato maggiore dell’esercito. Quarantotto continuava sostenendo che il comportamento dei soldati del RAP era ampiamente prevedibile: «Prima ancora che il RAP partisse per le operazioni suddette, si sapeva chiaramente che i reparti avrebbero agito nel modo sopra descritto, attraverso le deposizioni di armi e bombe nelle cascine, con le conseguenti rappresaglie, le rapine di oggetti preziosi, cavalli e bestie da vendere, violenze alle ragazze e via di seguito. Purtroppo, i fatti hanno confermato le previsioni». Il capo della provincia di Asti metteva in correlazione queste gesta criminali con la disperazione in cui erano piombati i militari di Salò, che, non avendo «più fede né nella vittoria né negli organi della Repubblica», si comportavano come «uomini disposti a colpire prima di essere colpiti senza alcuna considerazione delle conseguenze morali e politiche delle loro azioni». La disperazione rendeva ancora più pericolosi uomini, che, consapevoli che la sconfitta e con essa la resa dei conti stava approssimandosi, sfogavano la loro frustrazione e la loro rabbia con atti indegni dell’uniforme che indossavano. Questo aveva conseguenze disastrose per l’immagine della RSI. «Naturalmente il fermento è molto grave, la gente dell’Albese non crede più né alla Repubblica né ai suoi organi e considera tutto un inganno: i contadini dicono che loro non sopporteranno la distruzione delle case e cascine e che andranno con i ribelli poiché la Repubblica, con soldati simili, non può essere una cosa seria». Ma non era soltanto l’opinione pubblica a prendere una posizione nettamente contraria alle istituzioni della RSI. Anche una compagnia del RAP – la sesta del II battaglione – formata da giovani del posto costretti ad arruolarsi con la forza e con l’inganno, «colpiti dal sistema barbaro», aveva disertato in massa «dandosi alle bande ribelli». Per ritorsione il comando del presidio di Alba aveva dato l’ordine di bruciare le case e le cascine di tutti gli elementi che avevano preso parte alla diserzione. <115
Sulle modalità con cui era stata messa insieme questa compagnia ci illumina un’altra lettera, questa volta scritta dal vescovo di Alba, Luigi Maria Grassi. Il prelato racconta che il 18 novembre 1944 il capo della provincia di Cuneo, Antonio Galardo, nel corso di una riunione a Bra, a cui erano stati invitati i parroci e i podestà di Alba e dintorni, comunicava che i giovani del territorio dovevano presentarsi o per essere arruolati come volontari nell’esercito repubblicano o per essere assunti come lavoratori o come guardia civica a disposizione dell’amministrazione provinciale, con conseguente esonero dal servizio militare. In ogni caso il capo della provincia si impegnava solennemente a non arruolare nessuno sotto le armi, se non i volontari. Dopo che «a molti giovani di parecchi comuni dell’Albese» erano giunte cartoline con l’invito a presentarsi all’ufficio del lavoro «per importanti comunicazioni», rassicurati da quanto era stato loro detto dai parroci e dai podestà, si presentarono nella certezza di essere stati «invitati ad un turno di lavoro e invece si trovarono di fronte questo trinomio: o arruolarsi o andare a finire in Germania o in prigione». Naturalmente, la maggior parte dei giovani, «spaventati da queste alternative», aveva finito per firmare. <116 In questo modo si era formata la 6ª compagnia del II battaglione del RAP. Alla luce delle rivelazioni del vescovo di Alba, appare semplicemente grottesco il messaggio di congratulazioni fatto recapitare dal commissario straordinario per il Piemonte, Paolo Zerbino, al capo della provincia di Cuneo e al commissario prefettizio di Alba: «Il 206° comando militare regionale mi comunica i risultati acquisiti a tutto il 18 gennaio u.s. nel reclutamento di giovani ex sbandati, dai quali risulta che ha potuto essere costituita una compagnia composta di giovani che spontaneamente hanno chiesto di riprendere le armi. Dimostra anche che non bisogna cedere troppo facilmente alla mania della critica, ma occorre avere fiducia nei camerati, nella loro capacità e sensibilità politica, nonché nel loro coraggio e patriottismo. Coraggio e patriottismo, che devono essere in tutti i modi aiutati, se si vuole davvero che la Patria risorga». <117
[NOTE]
112 AUSSME, I 1, b. 24, f. 579, atti illegali durante i rastrellamenti, 19 novembre 1944.
113 ACS, SPD CR, RSI, b. 31, f. 238, sf. 7 (Attività ribelli -Graziani), azioni ed atti illegali dei reparti incaricati della lotta antiribelli, 14 dicembre 1944.
114 Il 21 febbraio 1945 Paolo Zerbino, dal 21 settembre 1944 commissario straordinario per il Piemonte, era subentrato a Guido Buffarini Guidi quale nuovo ministro dell’interno.
115 ACS, Gabinetto RSI (1943-1945), b. 36, f. 1 (Alba. Atteggiamento presidio. Disposizioni al RAP), lettera del capo della provincia di Asti al ministro dell’interno, 14 marzo 1945.
116 Ivi, lettera del vescovo di Alba al comandante del presidio militare, 8 gennaio 1945.
117 Ivi, presentazione giovani con obblighi militari, 7 febbraio 1945.
Stefano Gallerini, “Una lotta peggiore di una guerra”. Storia dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021