Nello stesso periodo dei piccoli Longo, passano da lì anche i figli di Dolores Ibárruri, Ana Pauker, Ciu En-lai, Carlos Prestes, Mao, Tito

«La maternità non limita il suo lavoro» <33. Nella biografia redatta dalla Commissione Propaganda del PCI, su input della stessa Noce, si mette in evidenza come per la giovane rivoluzionaria non sia inconciliabile la lotta politica con la presenza dei figli. Tre maschi, di cui uno morto a pochi mesi per un attacco di meningite (e un presunto aborto volontario). Che la loro debba essere una vita complicata lo si capisce già al momento della nascita, con il parto avvenuto in condizioni di emergenza: Luigi Libero viene alla luce nel 1923 a Milano, a poche ore dal rilascio della madre dal carcere di San Vittore; Pier Giuseppe (nome desunto dal fratello di Teresa e dal padre di Longo) deceduto in fasce nel pieno della clandestinità; Giuseppe a Parigi nel dicembre 1929.
La volontà di Teresa di mantenere il ruolo di mamma pur nelle difficoltà dell’impegno antifascista emerge con forza all’indomani della perdita di Pier Giuseppe, colpito dalla malattia mentre era stato lasciato con una balia nel Cremasco: «Ma il dolore non la spezza; gli tiene testa con fermezza, l’affronta con l’animo di chi ha già accettato ogni sacrificio e tutte le conseguenze della lotta sottoponendo alla causa del riscatto del popolo lavoratore e della libertà ogni propria esigenza personale» <34.
Maternità sì, ma a condizione che non debba limitare l’attività clandestina. Presupposto centrale per la formazione della famiglia che, inevitabilmente, non è lineare. Il primo figlio infatti viene concepito quando i due genitori non sono ancora sposati. Nella «grande famiglia comunista» ogni aderente deve avere un comportamento che funziona da attestato di affidabilità valido per l’attività politica e per l’accreditamento fuori dai confini. A maggior ragione tale principio vale per i dirigenti che devono rappresentare un esempio per gli altri e l’incarnazione della serietà dei valori incorporati nell’ideologia di riferimento, fino a equiparare la famiglia a una «cellula del partito» <35.
C’è poi un’ulteriore avvertenza da considerare. Qualsiasi tipo di comportamento avventato o frutto di impulso è destinato a compromettere l’attività, soprattutto nella clandestinità. La priorità assegnata alla battaglia antifascista supera qualsiasi altra attenzione sul piano personale e privato, a partire proprio dai legami sentimentali e dalla famiglia. Per questo concepire un figlio in questo contesto rappresenta un’anomalia, non tanto e non solo per la mancanza di un regolare certificato di nozze, ma soprattutto perché entrambi i genitori sono impegnati in mansioni così totalizzanti da risultare incompatibili con la corretta crescita dei figli.
Eppure, all’inizio degli anni Trenta, la famiglia Longo è già formata. Ma è subito evidente come il primo problema sia legato a dove e a chi lasciare i bambini quando i genitori sono impegnati altrove. A questo scopo interviene la comunità comunista che assolve il ruolo di famiglia laddove si manifesta la necessità di colmare i vuoti lasciati dai «compagni» in attività clandestina. I piccoli Longo vengono affidati di volta in volta a coppie di amici o a famiglie occupate in azioni meno pericolose, cambiando luoghi e punti di riferimento per non destare sospetti. Entrambi però sanno di essere figli di comunisti e, per naturale discendenza, acquisiscono lo stesso titolo e si sentono a loro volta comunisti e rivoluzionari <36. «Dell’attività dei nostri genitori sapevamo quanto bastava per esserne fieri e desiderosi di continuarla un giorno», scriverà Giuseppe Longo in ricordo dell’amica Lea Sereni scomparsa nel 2003 <37. Una patente che consente di imparare immediatamente le regole basilari per non tradire i genitori e se stessi: parlare poco, essere evasivi a fronte di domande dirette, omettere particolari e dettagli che potrebbero danneggiare la clandestinità.
L’infanzia scorre lontano dai genitori e con la consapevolezza che per lunghi periodi si è costretti a non avere notizie e a dubitare della loro sopravvivenza <38. Anche fra i fratelli Gigi e Giuseppe il distacco non è infrequente e spesso si ritrovano a vivere in luoghi diversi e con famiglie acquisite differenti. Questa separazione avviene non solo per la differenza di età – sei anni – che li porta ad affrontare i passi della crescita, ma soprattutto per la frequentazione delle scuole. Mentre Luigi Libero, detto «Gigi» in famiglia e «Gino» nelle attività pubbliche per distinguerlo dal padre, compie gran parte della sua formazione in Russia, a Giuseppe spetta il primo percorso scolastico in Francia (da qui il soprannome di «Poutiche» dal diminutivo «Puccio»), salvo poi riunirsi con il fratello nella scuola di partito di Ivanovo, un importante centro tessile a 300 chilometri da Mosca <39. Da autodidatta, la madre sa che l’istruzione e la scuola sono fondamentali e vuole per i propri figli un più o meno regolare iter scolastico. Ma i continui spostamenti per ragioni di sicurezza impediscono la realizzazione di un’istruzione continua e lineare. Si sceglie
così la destinazione previlegiata per i «figli del partito» <40, la scuola di Mosca. Il figlio maggiore, Gigi, dopo essere stato affidato da bambino ai nonni paterni a Torino, in seguito frequenta prima la scuola sovietica a Mosca, poi la «Casa internazionale dei bambini», una scuola per i figli dei comunisti stranieri, costruita a Ivanovo. Un’istituzione di buon livello, scandita da una rigida educazione comunista, ma con l’obiettivo di formare i minorenni fino ai quattordici anni, secondo le regole di un istituto che non solo ospita ma si prende cura della formazione con lezioni accompagnate da ore da dedicare alla palestra, al cinema, al teatro, all’accudimento degli animali <41. Secondo Ignazio Silone, la scuola rappresenta anche per Mosca «la possibilità di impartire ai giovani meglio disposti un insegnamento politico e tecnico che li rendesse idonei alla formazione dei quadri di riserva dei partiti comunisti» <42.
Nello stesso periodo dei piccoli Longo, passano da lì anche i figli di Dolores Ibárruri, Ana Pauker, Ciu En-lai, Carlos Prestes, Mao, Tito. Anche il figlio di Togliatti, Aldo, trova ospitalità nello stesso istituto. Ma le rigide regole di disciplina spingono Gigi a scappare da Ivanovo e a provare la fuga fino al Caucaso, con la conseguente reprimenda da parte del partito che lo grazia dall’accusa di insubordinazione solo per l’intervento di Togliatti che lo chiamerà successivamente alla redazione del giornale «Alba» diretto ai prigionieri di guerra italiani dell’ARMIR. In seguito, dopo la fine della guerra, troverà un impiego a fianco di Giuseppe Boffa, corrispondente dell’«Unità» da Mosca e punto di riferimento del partito per tutti coloro che vivevano in Unione Sovietica. Sebbene, come tutti i figli di dirigenti, anche lui voglia «rendersi utile al partito», in realtà rappresenta spesso un problema, soprattutto dopo il divorzio dalla moglie Tatiana e la conseguente ricerca di una nuova compagna («la scelta di una moglie resta un problema politico, che non posso risolvere senza il partito: resto pur sempre il figlio di Longo», scrive in una lettera indirizzata al padre) <43. Al figlio minore, Giuseppe, è invece riservata una permanenza più lunga in Francia in pensioni per bambini e scuole fra Bougival, la Normandia, Le Vésinet, Parigi, Les Pavillons-sous-Bois in cui dimostra capacità e spirito di adattamento, insieme a una vivida curiosità. Quando i genitori partono per la Spagna, Poutiche chiede alla mamma: «Se i comunisti sono contro la guerra, perché vanno in Ispagna a combattere come papà?» <44. Alle spiegazioni convincenti non segue protesta alcuna. La crescita dei due fratelli Longo è accompagnata dalla convivenza con altri figli dei comunisti clandestini come quelli di Sereni, di Montagnana, di Donini, di Dozza. Bambini che diventano adolescenti nella consapevolezza di dover proteggere i propri genitori e conservare i segreti dell’illegalità. Giocano nelle tipografie dei giornali clandestini, come fanno spesso a metà degli anni Trenta Giuseppe e Lea Sereni: «Era bello stare con Lea. Appartenevamo allo stesso mondo. Tra di noi si poteva parlare e ci comprendevamo anche tacendo. Le ansie e la tensione cementavano nelle nostre famiglie un’amicizia profonda: eravamo felici e coesi» <45.
In questa atmosfera di coesione rivoluzionaria, i ragazzi raccolgono fondi per i combattenti e sono pronti a lasciare case o appartamenti da un momento all’altro, senza portarsi appresso nulla di ingombrante. Sanno di dover cambiare spesso i cognomi (Goriarant è per Giuseppe il solo valido) fino a non riconoscere più quello vero. Fra cambi di residenza e fughe, Gigi e Giuseppe incontrano per l’ultima volta il padre e la madre nel 1939, agli albori della guerra. Rimarranno insieme solo sette mesi, nella casa di Parigi dove abita anche Amendola con la moglie Germaine, poi ancora una volta la famiglia si divide. I due fratelli sono destinati a Mosca dove Gigi alloggia presso la «Casa dell’emigrato politico», mentre Giuseppe viene inviato alla scuola di Ivanovo dove impara le prime e basilari regole non scritte stabilite dagli studenti: collettivismo (se ricevi un pacco, ti tieni le cose personali, ma i dolciumi vanno divisi perlomeno con i compagni di camerata); non fare la spia (i litigi si risolvono tra di noi; non si chiede l’aiuto degli insegnanti); internazionalismo (soprattutto non viene tollerato il minimo cenno di antisemitismo) <46.
Pur sapendoli in buone mani, i genitori cercheranno sempre di avere notizie dei figli da parenti, amici e compagni di partito nel lungo periodo clandestino della guerra. Nella lettera che Togliatti scrive a Longo nel dicembre 1944 per sollecitare una politica di unità nazionale, c’è una postilla con informazioni sui figli: “Tuo figlio Luigi, dopo aver cercato invano di entrare nell’Esercito rosso, è passato in una scuola politica, uscito dalla quale nella seconda metà del 1943 è entrato nel lavoro di partito. Ha corretto certi suoi difetti di anarchismo intellettualoide e lavora bene. Ora so che si è sposato, con una partigiana russa. L’altro, il più piccolo, è ancora a Ivanovo, dove studia. Di Estella invece non ho nessuna notizia” <47.
Il fatto che un dirigente come Togliatti non manchi di menzionare la condizione dei figli a Longo dimostra quanto i legami familiari siano comunque considerati centrali, anche nei periodi di intensa mobilitazione politica.
Teresa riuscirà a rivedere i figli solo nell’agosto 1945, di ritorno da Mosca accompagnati da Di Vittorio, quando Gigi è ormai adulto e sposato, e Giuseppe un giovane studente comunista che, catapultato nella Milano liberata, cerca di capire «questo mondo nuovo, tanto diverso dalla Francia di anteguerra o dall’Unione Sovietica del periodo bellico» <48. Quando li incontra a Tortona, Teresa è in un letto di ospedale, con la testa e il viso fasciati, in seguito a un incidente in auto. Una condizione che involontariamente impedisce imbarazzi sull’incertezza del riconoscimento, almeno da parte loro. La lontananza e la consapevolezza di essere figli di una coppia di comunisti clandestini fa sentire Gigi e Giuseppe figli dell’Internazionale, come amano entrambi definirsi. Ma mentre Longo cerca di aiutare i figli con l’invio di somme di denaro (736 rubli a Gigi quando si trova a Mosca) e di libri utili alla formazione comunista, Teresa non ha mai abbandonato il suo senso e amore materno, nonostante la famiglia si sia ormai frantumata. Sia Gigi che Giuseppe hanno intuito che le strade dei genitori si sono separate, anche se non ci sarà mai l’ufficializzazione in un incontro familiare. Nella corrispondenza fra Gigi che si trova a Mosca e il padre, si nomina vagamente la «faccenda» che riguarda la coppia, ma poi la questione non viene approfondita <49.
[NOTE]
33 Dirigenti comunisti. Teresa Noce, cit., p. 5.
34 Ivi.
35 Il paragone è di M. Sereni che ha scritto il ritratto della famiglia comunista in “I giorni della nostra vita”, Prefazione di A. Donini, Edizioni di Cultura sociale, Roma, 1955. Dello stesso tenore il commento di E. D’Onofrio, “Una famiglia di comunisti”. Commento a «I giorni della nostra vita» di Marina Sereni, Edizioni Gioventù nuova, Roma, 1955, p. 22. Le stesse riflessioni, dilatate nel tempo, si ritrovano in A. Foa, La famiglia F., Laterza, Roma-Bari, 2018.
36 G. [Gino] Longo, Storia di un figlio del mio secolo, cit., cap. 10.
37 A Lea, ricordo di Giuseppe Longo, 3 marzo 2003. Lo scritto è stato gentilmente concesso dallo stesso autore.
38 «Nel ’39 era scoppiata la seconda guerra mondiale e per sei anni avevo perso qualsiasi contatto con i miei genitori ignorando se fossero ancora vivi», testimonianza di Giuseppe Longo al convegno su Luigi Longo, Alessandria, 16-18 novembre 1989.
39 In una scarna bibliografia, cfr. M. Minina-Svetlanova, Two Motherlands Are Mine, and I Hold Both Dear in My Heart, in «Russian Studies in History», 48, n. 4, 2010, pp. 74-96.
40 A. Galliussi, I figli del partito, Vallecchi, Firenze, 1966.
41 G. [Gino] Longo, Storia di un figlio del mio secolo, cit., cap. 10.
42 I. Silone, Prefazione, in A. Galliussi, I figli del partito, cit., p. XIV.
43 RGASPI, Fondo 495, b. 1271, fasc. 221, «Fascicoli personali dei membri del Partito comunista d’Italia – Longo Luigi», foglio 11. «Lettera di Gigi Longo al padre, 27 giugno 1954», Fascicolo personale Longo Luigi (Gallo Luigi).
44 «La Guerra di Spagna e le Brigate internazionali», FIGEM, Fondo Teresa Noce, [s.d.], b. 1, fasc. 13.
45 G. Longo, A Lea, cit.
46 Intervista a Giuseppe Longo rilasciata gentilmente all’autrice.
47 La lettera di Togliatti a Longo, Roma, 9 dicembre 1944, è riprodotta in P. Togliatti, “La guerra di posizione in Italia. Epistolario 1944-1964”, a cura di G. Fiocco – M.L. Righi, Einaudi, Torino, 2014, pp. 34-35.
48 G. Longo, A Lea, cit.
49 Gigi scrive: «Per quanto mi scrivi di mamma, non so assolutamente nulla. Ho ricevuto una sua lettera assieme alla tua, ma era dell’8 aprile e si limitava ad informarmi che stava per cambiare casa e che il medico l’aveva avvertita di badare al cuore. Perciò se pensi che io possa fare qualcosa, mi dovresti dare i necessari particolari sulla faccenda a cui alludevi», RGASPI, Fondo 495, b. 1271, fasc. 221, «Fascicoli personali dei membri del Partito comunista d’Italia – Longo Luigi».
Anna Tonelli, Nome di battaglia Estella. Teresa Noce, una donna comunista del Novecento, Le Monnier Università, Mondadori Education, Quaderni di Storia, 2020

[…] in questa attività si vede la tradizione socialista cui non rimane estranea l’Unione popolare italiana, comunista che, tuttavia spostò la sua attenzione dai bisogni dei lavoratori a quello degli emigrati e, in tal senso, sono importanti Soccorso Rosso e le Fratellanze che si fondavano su legami di appartenenza locali, regionali o cittadini e contavano su una rete di conoscenze e amicizie antecedenti l’organizzazione politica e finalizzata al suo rafforzamento <468. Poiché la solidarietà costituiva uno dei più importanti strumenti di coesione, a tal fine era stata costituita una tassa a sostegno dei più bisognosi. Se le donne che si recarono in Francia erano spinte da ragioni soprattutto economiche, quelle che emigrarono in URSS, tra i primi anni Venti e il decennio successivo erano spinte da motivazioni essenzialmente politiche, dalla necessità di sfuggire alla repressione fascista, dal desiderio di contribuire all’edificazione del socialismo o di perfezionare, attraverso lo studio e il lavoro, la loro vocazione di rivoluzionarie di professione. Tra esse Teresa Noce, che si trasferì in Russia con il marito Luigi Longo <469, Rita Montagnana, che vi giunse nel 1926 <470, Vittoria Guadagnini <471 […]
[NOTE]
468 Ampia anche l’attività svolta dal movimento cattolico cfr: C. Ignesti, Momenti del popolarismo in esilio in P. Scoppola, e F. Traniello (a cura di), Cattolici tra fascismo e democrazia, il Mulino, Bologna 1975.
469 Teresa Noce nacque a Torino nel 1900 da una famiglia operaia. Fu tra le fondatrici del Partito Comunista d’Italia. Emigrò in URSS con il marito Luigi Longo. Scrisse Gioventù senza sole Editori Riuniti Roma 1973, romanzo autobiografico sulla sua giovinezza a Torino e Rivoluzionaria professionale, ed. La Pietra, Milano 1943.
470 Di famiglia ebraica, si occupò di politica fin da giovanissima, partecipò alla fondazione del PCd’I che la inviò a Mosca come delegata al III Congresso dell’Internazionale. Fuoriuscita in Francia, da qui, nel ’26 raggiunse l’URSS dove venne impiegata in importanti missioni all’estero. Fu tra le fondatrici dell’UDI (Unione delle donne italiane)
471 Vittoria Guadagnini, massaia, raggiunse il marito Gherardi Roberto, calzolaio, in Francia e lo seguì, poi, in Russia dove era stato mandato per seguire un corso politico. Le sue testimonianze in P. Gabrielli, Col freddo nel cuore, op. cit.
Giulia Medas, ¿Quiénes fuerón los voluntarios? Identità, motivazioni, linguaggi e vissuto quotidiano dei volontari italiani nella guerra civile spagnola, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari in collaborazione con Universitat de València, 2014