Per controllare i soldati furono stanziate 5 nuove compagnie di MP

Fin dall’estate del 1944 l’Amg e le autorità italiane cominciarono a registrare gli illeciti commessi dalle truppe di liberazione. La prefettura di Livorno non nascose la propria preoccupazione per il degenerare della condotta di vari reparti dell’esercito alleato, accusati di attentare sistematicamente al rispetto della proprietà privata, della moralità pubblica e dell’ordine. Se a fine ottobre i crimini commessi sui civili avevano raggiunto la media di due al giorno – naturalmente quelli denunciati – a dicembre, grazie all’impiego di cinque nuove compagnie della MP, a maggiori pattugliamenti e ad arresti più numerosi, il fenomeno sembrava essersi sensibilmente ridimensionato <132. Il capitano Beatty precisò che si erano verificati ben 30 atti di violenza sui civili (4 persone uccise, 7 ferite con armi, 2 ferite da coltellate, 3 aggredite, 4 derubate a mano armata); per risolvere il problema, propose di limitare drasticamente il numero delle licenze, di accrescere la sorveglianza della MP e di aumentare le pene contro i trasgressori <133. Ancora nel maggio 1945, tuttavia, il resoconto mensile annotò sedici denunce contro militari alleati, tutti di colore <134.
La Toscana, come anticipato, fu la regione d’Italia più colpita dai furti commessi dai GIs e Livorno dette un contributo rilevante al conseguimento di questo primato. Chi ha studiato il dopoguerra in contesti come quello pisano o lucchese ha più volte richiamato l’attenzione sui ricchi depositi stanziati attorno al Decimo Porto per spiegare il diffondersi del contrabbando anche nelle province limitrofe <135. Nei lavori di carattere più generale, come già detto il black market è stato essenzialmente esaminato come prodotto delle politiche economiche di tipo controllato intraprese dal governo italiano e da quello alleato e, più banalmente, come effetto dell’unione tra la povertà popolare e l’abbondanza dei rifornimenti militari <136. D’altro canto, i furti violenti commessi durante e dopo le operazioni di liberazione sono stati per lo più trattati insieme all’argomento degli stupri di guerra, individuandovi la riproposizione di atteggiamenti tipici degli eserciti conquistatori, come appunto la violenza sessuale e la razzia <137. Ma questa constatazione ci dice poco sui fattori che agevolarono la tendenza al reato. Inoltre, spiegazioni di questo genere non tengono conto dell’analogia tra i comportamenti delle popolazioni italiane e le condotte dei militari alleati.
In molti casi, soprattutto a contatto con le regioni del Sud, i GIs parlarono degli italiani come di un popolo di gangster, da cui ci si doveva difendere: banditi pericolosi per i “liberatori” ma anche per i loro stessi connazionali, costantemente sottoposti a furti e razzie. In Sicilia il furto era parso il maggior passatempo degli abitanti. A Napoli tra i soldati si diffuse la voce che convenisse tenere sempre la pistola a portata di mano, «perché i bar, i bordelli ed il mercato nero erano gestiti da gangsters italiani che non si facevano specie ad uccidere». Allo stesso modo le truppe d’occupazione si dissero colpite del massiccio coinvolgimento popolare nel mercato nero e nel contrabbando, e talvolta trovarono in questi atteggiamenti una conferma della tendenza al crimine organizzato dimostrata dai meridionali immigrati negli Stati Uniti nel periodo del proibizionismo. Come cambiò l’opinione verso i partigiani, man mano che l’esercito risalì la penisola verso Nord migliorò anche la valutazione più generale sulla condotta degli italiani, ma gli stereotipi consolidati nel Sud e sul Sud stentarono ad essere superati <138.
L’analisi della criminalità livornese “autoctona” aiuta a chiarire i fattori che favorirono tale persistenza. Alcune letture, come quelle di razzia o di condotta predatoria di conquista, appaiono alquanto improprie. La diffusione di certi pregiudizi o stereotipi, inoltre, condizionò la percezione coeva dei fatti, deformandone l’interpretazione a posteriori. In primo luogo, gli atteggiamenti illeciti delle truppe non costituirono un problema soltanto per le comunità locali o per le autorità italiane, ma anche per il governo alleato, che si trovò a difendere le proprietà militari dai suoi stessi soldati e che dovette gestire le violenze dei GIs contro le popolazioni locali per difendere la reputazione dell’esercito. Fin dal 1943 i comandi angloamericani delle regioni del Sud si dimostrarono preoccupati per le continue denunce mosse contro aggressioni, ruberie e altri tipi di disordini commessi da militari ubriachi: «la polizia italiana era impotente di fronte a soldati alleati che frequentemente sequestravano le armi dei carabinieri». In molti casi essi «avevano comprato illegalmente grandi quantità di sigarette, razioni alimentari e petrolio dell’esercito», che rapidamente aveva trovato la via del mercato nero. Le truppe erano solite, come «passatempo favorito», requisire «veicoli, merci o forniture o altre proprietà con il rilascio di un pezzo di carta firmato con nome falso»; tali sequestri equivalevano a veri e propri «furti semplici». In seguito alla diffusione di tali denunce l’Amg ideò una serie di nuovi provvedimenti, attuati prima a Napoli e poi negli altri territori liberati: in primo luogo furono limitati gli orari in cui i militari potevano bere; alcune aree (ad esempio gli usuali locali di consumo) vennero dichiarate off-limits per i soldati di stanza, ai quali fu anche proibito di portare le armi fuori dal servizio; si inaugurarono pattugliamenti congiunti di Military Police e carabinieri <139.
Insomma, i comandi e i quadri dirigenti alleati erano ben coscienti di che cosa stesse accadendo. Gli stessi provvedimenti per il contenimento delle condotte illecite attuati al Sud, sebbene rivelatisi di scarsa efficacia (i reati continuavano infatti a verificarsi con frequenza quotidiana), furono adottati anche nel Centro-Nord. Livorno, vista la prolungata permanenza angloamericana, rappresenta un osservatorio congeniale. In questo contesto, la diffusione di comportamenti illegali e violenti fu da subito ricondotta alla presenza massiccia di militari a fronte dei civili.
Si trattava peraltro di una «popolazione militare […] in crescita»: 40.000 americani, 10-15.000 britannici di terra e 1.500 marinai (inglesi ed americani) ad ottobre 1944, con un rapporto tra bianchi e neri di 3 a 5. Come prima soluzione per scongiurare i reati, la Public Security propose la drastica limitazione delle licenze di libera uscita, l’aumento della sorveglianza sulle truppe da parte della MP e l’intensificazione delle pene contro i trasgressori delle ordinanze militari. A novembre si assistette all’arrivo di altri uomini, soprattutto nel capoluogo, e le proporzioni tra militari e civili divennero impressionanti: 50.000 soldati a fronte di 72.000 civili <140. Per controllare i soldati furono stanziate 5 nuove compagnie di MP e l’incremento dei pattugliamenti e degli arresti condussero ad un momentaneo calo dei crimini <141. La popolazione militare continuò ad aumentare più rapidamente di quella civile; a febbraio si arrivò a 82.000 soldati a fronte di 66.000 abitanti <142. Nel corso dei mesi le autorità alleate rilevarono comunque una progressiva diminuzione dei reati, la cui entità non fu però giudicata in termini assoluti, ma in relazione alla consistenza dell’organico militare, dando per scontato che la diffusione di comportamenti illeciti fosse fisiologica in qualsiasi occupazione militare. Secondo questa logica, una certa percentuale di danno alla popolazione era dunque tollerabile <143.
I rapporti della questura e della prefettura di Livorno, così come le pagine dei giornali, completano i dati delle relazioni alleate, dando forma ad una cronaca di quotidiana illegalità che affianca, e talvolta incrocia, le azioni spregiudicate degli italiani a quelle dei GIs <144. La MP fu incaricata di reprimere sia i disordini provocati dai cittadini che quelli provocati dalle truppe di liberazione. In condizioni di guerra le funzioni della MP venivano infatti ampliate, «in particolare nel teatro delle operazioni», ad una lunga lista di materie, tra cui il controllo del rispetto delle leggi e dei regolamenti militari, la protezione dal saccheggio e dai sabotaggi dei luoghi di particolare importanza per l’esercito, la sorveglianza delle vie di comunicazione, la repressione di «focolai e rivolte», la protezione delle truppe e delle popolazioni civili nelle aree liberate. I military policemen avrebbero inoltre aiutato le autorità civili nell’applicazione delle proprie disposizioni e si sarebbero occupati «della prevenzione e della ricerca del crimine», non solo per i reati commessi da militari ma anche per quelli commessi dai civili contro i membri delle forze alleate; a questo scopo, potevano essere create divisioni speciali di polizia. Un ruolo importante veniva infine esercitato in collaborazione con l’Intelligence Division, per i reati di spionaggio, sabotaggio ed attività sovversiva <145. Le truppe, dal canto loro, non videro di buon occhio il personale di polizia <146.
[NOTE]
132 Rapporto di J.F. Laboon al Quartier generale dell’Amg, 5 dicembre 1944, in Gli Alleati e la ricostruzione in Toscana cit., vol. I/1, p. 244.
133 Rapporto di S. Beatty (Provincial Public Safety Officer) al Quartier generale dell’Amg, [ottobre 1944], ivi, vol. II/2, pp. 623-624.
134 Rapporto mensile di L.J. Hensley (successore di J.F. Laboon) al Quartier generale dell’Amg, 2 maggio 1945, ivi., vol. II/1, p. 273.
135 I maggiori riferimenti relativi alle province limitrofe sono i già indicati: V. Fiorino, Smarrimenti e ricomposizioni, cit., pp. e C. Forti, Dopoguerra in provincia, cit., pp.
136 Per un’analisi dei fattori economici che favorirono lo sviluppo del mercato nero in Italia si possono vedere: I. Williams, Allies and Italians under Occupation. Sicily and Southern Italy 1943-45, Palgrave MacMillan, Basingstoke-New York 2013, pp. 169-179; M. Patti, La Sicilia e gli Alleati, cit., pp. 149-158 e M. Porzio, Arrivano gli Alleati!, cit., pp. 45-48.
137 Cfr. T. Baris, Tra due fuochi, cit., pp. 94-104, G. Chianese, Rappresaglie naziste, saccheggi e violenze alleate nel sud, in «Italia contemporanea», XLVIII, 202, 1996, pp. 71-84 e M. Strazza, Senza via di scampo. Gli stupri nelle guerre mondiali, Consiglio regionale della Basilicata, Commissione regionale per la parità e le pari opportunità, Potenza 2010, pp. 109-114.
138 Numerosi esempi in tal senso sono riportati in P. Schrijvers, The Crash of Ruin. American Combat Soldiers in Europe during World War II, New York University Press, New York University Press, New York 1998, pp. 120-124 (citazione a p. 122).
139 Acs, Acc, 10000/129/168, rapporto del quartier generale della IIIa Regione, Divisione di pubblica sicurezza, 15 dicembre 1943, cit. in H.L. Coles, A. K. Weinberg, Civil Affairs, cit., p. 377.
140 Rapporto del commissario provinciale J.F. Laboon al commissario regionale, 3 novembre 1944, in R. Absalom (a cura di), Gli Alleati e la ricostruzione in Toscana, cit., vol. II/1, p. 233.
141 Ivi, rapporto del commissario provinciale J.F. Laboon al commissario regionale, p. 235.
142 Ivi, rapporto R. Woodward (Provincial Legal Officer) al commissario regionale, 3 febbraio 1945, p. 253.
143 Ivi, rapporto del governatore di Livorno H.W. Reilly al commissario regionale, 29 maggio 1945, p. 287.
144 Faccio riferimento ai rapporti di polizia contenuti nei fondi citati, ASLi, Questura, bb. 1241, 1242 e 1243, si potrebbe prendere ad esempio una relazione qualsiasi per l’intero periodo. Per quanto riguarda le cronache giornalistiche ovviamente non sono coperti i mesi fino al settembre 1944, momento in cui ripresero a stampare i principali quotidiani locali. La pubblicistica sarà comunque trattata più avanti.
145 War Department (a cura di), Basic Field Manual. Military police, United States Printing Office, Washington 1941, pp. 6-8.
146 «What the Soldier Thinks. A Monthly Digest of War Department Studies on the Attitudes of American Troops», 25 settembre 1944, pp. 14-15.
Chiara Fantozzi, Disordine e disonore nell’occupazione alleata: Livorno (1944-1947), Tesi di Perfezionamento in Discipline storiche, Scuola Normale Superiore di Pisa, Anno Accademico 2016-2017