Purché soddisfi il requisito essenziale di assumere una posizione anticomunista

Risale al 18 marzo 1970 il documento top secret del Servizio segreto dell’Esercito Usa che, più di ogni altro, evidenzia aspetti rilevanti dell’intervento statunitense nella strategia della tensione in Italia e che, pertanto, merita una trattazione a parte. Il documento in questione è il Field Manual (FM) 30-31 B – Stability Operations Intelligence, e porta la firma del Capo di Stato maggiore dell’esercito W. C. Westmoreland <846. Come è noto, il documento fu rinvenuto nel doppiofondo del borsone di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio Gelli, presso l’’aeroporto di Fiumicino il 4 luglio 1981, e questo rinvenimento conferma senz’altro l’internità di Gelli ai più riservati luoghi dei Servizi italiani e statunitensi <847.
Il Supplemento B è un manuale utilizzato per addestrare i membri del Servizio segreto delle Forze armate statunitensi, ma si contraddistingue dal FM 30-31, di cui costituisce un supplemento, e dal FM 30-31 A, in quanto mentre questi ultimi si limitavano a questioni direttamente concernenti la “controrivoluzione e operazioni congiunte per assicurare stabilità effettuate dagli Stati Uniti e dal Paese Ospitante (PO)”, esso invece “considera gli enti stessi dei PO come bersagli dei servizi dell’Esercito Usa. (…) (quindi come) campi particolari per le operazioni dei servizi”. La segretezza del FM è più volte ribadita all’interno del documento stesso: “Le operazioni in questo speciale campo sono da considerarsi rigorosamente clandestine, poiché i1 coinvolgimento ufficialmente riconosciuto delle Forze Armate Usa negli affari interni dei PO deve limitarsi all’ambito della collaborazione in caso di rivoluzione o minacce rivoluzionarie. Il fatto che tale intervento possa spingersi più in profondità non può in nessun caso essere riconosciuto ufficialmente” <848.
Il Supplemento B del Field Manual 30-31 entra poi nel merito dei suoi obiettivi, specificando che “gli Stati Uniti si preoccupano dell’opinione pubblica mondiale”, e quindi “è auspicabile che i regimi che godono del loro appoggio seguano processi democratici o almeno mantengano una facciata democratica. Pertanto si vede con favore qualsiasi struttura democratica, purché soddisfi il requisito essenziale di assumere una posizione anticomunista. Se non soddisfa tali requisiti è necessario considerare attentamente la possibilità di modificare tale struttura”. In una situazione in cui siano in gioco gli interessi degli Stati Uniti, quindi, il documento giustifica un’ingerenza negli affari interni dei singoli paesi che va al di là di quella consentita nell’ambito degli accordi scaturiti dal sistema di cooperazione atlantico. Le modalità operative da seguire nel perseguire questo obiettivo attengono principalmente al ruolo delle Forze armate statunitensi nel suggerire “una azione appropriata in caso di sintomi di vulnerabilità che persistano tanto a lungo da diventare gravemente dannosi” mediante “misure ufficiali o meno” e “operazioni speciali” di destabilizzazione. Fra queste vengono espressamente indicate – oltre a misure di infiltrazione, di provocazione, di aggressione contro singoli individui e di “pressione” sugli stessi governi stranieri – non meglio precisate “azioni violente o non violente, in base alla situazione” <849. Più nello specifico, in alcuni momenti i governi dei Po possono mostrare un atteggiamento passivo o indecisione nei riguardi della sovversione comunista o filocomunista e reagiscono con una energia insufficiente alle valutazioni trasmesse dalle agenzie statunitensi. “In tali casi, i servizi segreti delle Forze armate statunitensi devono disporre dei mezzi per lanciare opreazioni speciali che convincano i governi dei PO e l’opinione pubblica della realtà del pericolo rivoluzionario e della necessità della controffensiva. Per conseguire questo fine i servizi segreti delle FF. AA. statunitensi dovrebbero tentare di infiltrarsi all’interno del movimento rivoluzionario con agenti con incarichi speciali e con il compito di formare gruppi speciali di azione tra gli elementi rivoluzionari più radicali. Quando il tipo di situazione prospettata si verifica, questi gruppi, che agiscono sotto il controllo delle forze armate statunitensi, dovrebbero essere usati per intraprendere azioni violente o non violente, in base alla situazione. Tali azioni potrebbero comprendere quelle descritte nel dossier FM 30-31 che caratterizzano le fasi II e III della rivoluzione. Nei casi in cui l’infiltrazione da parte di tali agenti nel gruppo guida dell’insorgenza non sia stata efficacemente attuata, si possono ottenere gli effetti summenzionati utilizzando le organizzazioni di estrema sinistra” <850. Nelle loro attività, inoltre, “è auspicabile che i servizi segreti statunitensi ottengano la collaborazione attiva dell’autorità competente del PO nell’esercizio di misure punitive contro i cittadini”. Ma ci sono zone in cui l’azione congiunta è frustrata da scopi ed interessi divergenti o conflittuali, e dove i Servizi dell’esercito Usa debbono difendere la posizione degli Usa contro forze avverse operanti nel paese ospite” <851. Inoltre, è ritenuto di vitale importanza la riuscita delle attività dei Servizi statunitensi il fatto di poter contare sulla disponibilità di individui con cui mantenere delle relazioni in qualità di agenti: “il reclutamento di membri di spicco delle agenzie del paese ospite come agenti a lungo termine è un requisito importante”. Essi devono essere “ricettivi rispetto alla dottrina della controrivoluzione”; intrattenere “buoni rapporti economici e culturali con gli Stati Uniti ed i loro alleati”. Devono aver “ricevuto una buona impressione dai programmi militari di addestramento degli Stati Uniti specialmente coloro che sono stati addestrati negli Stati Uniti stessi”. Di questi agenti rilevano inoltre “fedeltà politica e immunità dall’ideologia comunista”. Il documento prosegue poi: i servizi segreti delle Forze armate statunitensi “devono tenere conto della potenziale cooperazione da parte di cittadini statunitensi che lavorano nel Po, sia come dirette fonti di informazione che come indicatori per il reclutamento di cittadini del paese ospite. Tali cittadini statunitensi includono gli ufficiali che lavorano per uffici non appartenenti alle Forze armate statunitensi e uomini d’affari statunitensi”. Le FF.AA. statunitensi dovrebbero poi “tentare di individuare gli agenti infiltrati negli ambienti rivoluzionari mediante agenzie del Po responsabili della sicurezza interna, col proposito di stabilire un controllo clandestino da parte dei servizi segreti delle FF. AA. statunitensi sul lavoro di tali agenti. Dovrebbero (inoltre) tentare di fare infiltrare agenti affidabili tra i capi rivoluzionari con speciale attenzione verso il sistema di servizi segreti rivoluzionari diretti contro le agenzie del PO” <852.
Il documento presenta molti aspetti di interesse e diversi punti di collegamento con il caso italiano. In linea generale, il documento fornisce un’esplicita giustificazione all’intervento del servizio segreto statunitense negli affari interni dei paesi ospiti in forma “strettamente clandestina” e tale da non poter “essere ammessa in alcune circostanza”, la cui base formale risiede esclusivamente “nei rapporti di forza instauratisi alla fine del secondo conflitto tra gli Stati Uniti e molti paesi del mondo” <853. Il documento riconosce anche “il diritto degli Usa a valutare l’opportunità di “modificare la struttura” dei governi ospiti, qualora essi non rispondano più alle esigenze della lotta anticomunista” e a dettare “le operazioni necessarie ad assumere il controllo delle leve fondamentali del paese “assistito” ed, in particolare, del suo esercito”. Questi aspetti generano “una sorta di rovesciamento della situazione iniziale, per cui, non era il governo ospite ad affrontare in prima linea lo scontro con gli insorti comunisti, giovandosi dell’assistenza militare americana, ma, al contrario, era l’Esercito americano il protagonista. Nello scontro con l’assistenza del governo locale, al quale non restava che accettare la “guida” degli Usa, beninteso, per poterne trarre maggior giovamento” <854.
Per quanto riguarda il caso italiano, ci sono molte osservazioni da avanzare. Analizzando punto per punto i tratti più salienti del documento, si possono notare le seguenti connessioni:
a) La strategia elaborata nel Field Manual – destabilizzare per stabilizzare <855 – ricalca fondamentalmente quella dettata per il precedente periodo dal piano Demagnetize: una strategia di chiusura dell’area di governo al Partito comunista, in un quadro di conservazione dell’assetto esistente. Questa strategia, in sé antigolpista, arrivava ad utilizzare il golpe e gli attentati esclusivamente come strumento di pressione su governo, partiti e vertici istituzionali al fine di conseguire l’obiettivo della stabilizzazione al centro del sistema politico.
b) Nel documento viene definito auspicabile che i servizi segreti statunitensi ottengano la collaborazione attiva da parte dell’autorità competente del PO nell’esercizio di misure punitive contro i cittadini. Questa affermazione fa pensare ai collegamenti sussistenti tra Servizio americano e Sifar dal 1949, ma riporta anche alla cooperazione e alla connivenza di forze delle istituzioni italiane, che erano a conoscenza del disegno destabilizzante dei servizi segreti ed in qualche modo sono responsabili di averlo tollerato e agevolato: lo ricordiamo, il Piano Solo aveva portato al ridimensionamento del progetto riformatore del governo.
c) Nel documento si fa riferimento alla “disponibilità di individui con cui mantenere delle relazioni in qualità di agenti”. In questo caso, si può fare riferimento all’impiego da parte dell’esercito statunitense di uomini come Digilio, Soffiati, Minetto, e molti altri a libro paga dei servizi segreti in qualità di informatori in Italia. Di essi, il Servizio segreto dell’esercito doveva appurare appurare le seguenti caratteristiche: “fedeltà politica, immunità dall’ideologia comunista e la loro devozione agli ideali democratici degli Stati Uniti”. I suggerimenti operativi contenuti nella direttiva risultano peraltro in perfetta sintonia con gli interventi della struttura americana descritti da Digilio nei gravi avvenimenti verificatisi in Italia a partire dalla fine degli anni Sessanta.
d) Il Supplemento B parla anche della aupicabile cooperazione “da parte di cittadini statunitensi che lavorano nel paese ospite” scelti tra “gli ufficiali che lavorano per uffici non appartenenti alle Forze armate statunitensi e uomini d’affari statunitensi”. Qui viene spontaneo fare riferimento a figure quali quelle di Hugh Fenwick e Pierfrancesco Talenti, due uomini di collegamento tra i neofascisti italiani e gli americani <856. I nomi dei due americani compariranno più volte negli interrogatori degli imputati all’interno di diverse istruttorie, ma le loro posizioni saranno archiviate nel novembre 1975 con ben pochi approfondimenti e con un provvedimento separato. Pier Francesco Talenti, ad esempio, è noto soprattutto per la sua intercessione presso l’amministrazione Nixon al fine di ottenere finanziamenti per i partiti italiani. Nel suo Dossier, Talenti dipingeva un quadro estremamente cupo della situazione italiana. Se gli Stati Uniti non fossero intervenuti per stabilizzarlo, secondo Talenti Nixon non sarebbe stato riconfermato alle elezioni per il suo secondo mandato, venendo invece punito dall’elettorato italo-americano. Il Piano di Talenti prevedeva in sostanza un cospicuo aiuto economico da parte delle istituzioni americane, di circa 8 milioni di dollari, finalizzato ad influenzare l’elezione del Presidente della Repubblica e le elezioni politiche del 1972 <857.
e) Vi sono inoltre molti punti di contatto tra le fasi I e II dell’Esercitazione Delfino, organizzata dal Sifar nei pressi di Trieste nell’aprile-maggio 1966 e le fasi dell’insorgenza citate nel documento, a cui si pensa che l’esercitazione del servizio italiano fosse ispirata. Nel documento si legge infatti: “i servizi dell’esercito Usa dovrebbero cercare di penetrare l’insorgenza mediante agenti in missioni particolari e speciali con il compito di formare gruppi di azione fra gli elementi più radicali dell’insorgenza. Quando il tipo di situazione prospettata poc’anzi si verifica, tali gruppi, i quali agiscono sotto il controllo dei Servizi dell’esercito Usa, dovrebbero essere usati per lanciare azioni violente o non violente a seconda della natura delle circostanze. Tali azioni includono quelle descritte in FM 30-31, azioni che caratterizzano le fasi I e II dell’insorgenza” <858.
e) Nel documento si accenna poi alla strumentalizzazione delle forze della sinistra estrema. Si tratta dello stesso concetto espresso anche nel testo di “Notre action politique” rinvenuto negli archivi dell’Aginter Press nel 1974, risalente alla fine del 1968 e con tutta probabilità inviato a Lisbona da un corrispondente italiano di On. In Notre action politique si auspica la necessità di favorire l’instaurazione del caos in tutte le strutture dello Stato, non per distruggerlo, ma per creare una reazione secondaria <859. Infatti vi si legge: “A nostro avviso, la prima azione che dobbiamo far scattare è la distruzione delle strutture dello Stato, sotto la copertura dell’azione dei comunisti e dei procinesi” in modo che la successiva reazione dell’opinione pubblica si rivolga contro le forze di sinistra nel loro complesso e, tramite una pressione sull’Esercito, la Magistratura e gli altri nuclei vitali dello Stato, la risposta finale sia una risposta d’ordine vista come “il solo strumento di salvezza per la Nazione” <860. Questo documento è strettamente connesso all’operazione Chaos, che nasceva con lo scopo di portare a compimento l’infiltrazione in gruppi dell’estrema sinistra extraparlamentare in diversi paesi europei e che, dal punto di vista temporale, era perfettamente coincidente con il Field Manual la cui stesura definitiva è del marzo 1970 ma che riflette elaborazioni certamente anteriori <861. A questo proposito emerge la possibilità di un collegamento tra i diversi documenti e i diversi piani di azione che ha avuto nell’Aginter Press l’organizzazione con il ruolo operativo e di collegamento in Europa. Su questo punto il GI di Milano ha precisato:
“In sostanza è molto probabile che l’Aginter Press abbia funzionato come una sorta di sub-agenzia, sia in Africa e in Sud-America sia in Europa, incaricata delle azioni meno confessabili che dovevano essere eseguite senza una compromissione diretta di organismi ufficiali per non creare problemi nè nei rapporti fra Stati nè, eventualmente, nell’opinione pubblica […] In conclusione l’Aginter Press, lungi dall’essere una struttura lontana ed estranea, sembra essere stata uno dei “segmenti” che hanno fattivamente contribuito, in modo complementare (non potendosi contrapporre quella che è stata chiamata la “pista internazionale” alla “pista interna”), con l’intervento sia di strutture ufficiali sia di strutture apertamente illegali, a quella che nel nostro Paese è stata chiamata la “strategia della tensione” <862.
d) Un punto riscontrabile all’interno del FM 30-31, assume poi un significato tutto peculiare se contestualizzato all’interno della situazione italiana. “La mancanza di ordine pubblico è molto importante ai fini del diffondersi della rivoluzione. Crea infatti dubbi sulla capacità del governo di svolgere le sue funzioni, genera timori nella mente delle persone che vogliono sostenere il governo e incoraggiano un appoggio attivo o passivo all’insurrezione da parte di coloro che temono per la sua sicurezza e desiderano essere dalla parte di chi vincerà la lotta […] se con i metodi non violenti non raggiungono gli scopi desiderati ricorrono a misure più drastiche per incitare ad atteggiamenti di sottomissione o cooperazione nei confronti delle loro richieste. Le attività terroristiche si sono dimostrate particolarmente utili ai fini di un controllo sulla popolazione”. Queste affermazioni sembrano rispecchiare appieno quello che, nello stesso periodo, accade in Italia ad opera delle organizzazioni di destra estrema. In sostanza, il paragrafo dimostra fino in fondo la conoscenza da parte degli ambienti dell’esercito americano non soltanto della strategia di fondo del terrore, ma anche della sua efficacia.
Alla luce di queste considerazioni, si delinea in Italia “il quadro di uno Stato parallelo in cui civili, Carabinieri e militari italiani e militari americani risultano comunemente impegnati nella prima metà degli anni ’70 nel progetto di creazione di uno Stato “forte”, deciso ad impedire in qualsiasi modo una possibile vittoria elettorale della sinistra. Ne esce quindi il quadro del nostro Paese come uno Stato a sovranità limitata in cui le decisioni vengono concordate d’intesa con gli Alti Comandi di un altro Stato” <863. Ne sono una dimostrazione i numerosi attentati a tralicci e le rapine di autofinanziamento che il gruppo Mar di Carlo Fumagalli mise in atto a partire dagli anni Settanta <864. Il Mar è stato oggetto di un’istruttoria che si è conclusa con le condanne dei suoi militanti, ma nonostante ciò erano rimaste in ombra le coperture di cui aveva goduto e l’effettivo ruolo che il gruppo doveva ricoprire nel favorire un mutamento istituzionale di tipo militare e presidenzialista attraverso azioni di provocazione e di disturbo. Sappiamo tuttavia che durante la guerra di Liberazione, Carlo Fumagalli aveva comandato un’organizzazione di partigiani bianchi, I Gufi, e sin da allora era stato in stretto contatto con i servizi segreti americani dell’Oss tanto da ricevere la medaglia Bronze Star, decorazione che di solito gli americani riservavano ai loro amici. In seguito aveva dato il suo contributo, alla fine degli anni ’60 nello Yemen del Sud, per combattere, con tutta probabilità al servizio della Cia, il governo di sinistra. Sappiamo anche dalle dichiarazioni di Gaetano Orlando, che all’inizio del 1970 si erano svolte a Padova alcune riunioni, una delle quali in una saletta riservata del Caffè Pedrocchi, a cui avevano partecipato esponenti del Mar, alti Ufficiali dell’Esercito ed ufficiali della Nato, allo scopo di discutere il comune piano operativo, e al termine di una di esse, “il Colonnello Dogliotti di Padova aveva anche fornito agli uomini del Mar pistole e fucili” <865. Orlando Inoltre ha riferito: “Il Mar si è mosso in un contesto ben preciso e con compiti ben precisi […]. In questa faccenda c’erano di mezzo i servizi segreti e ufficiali americani della base Nato di Vicenza. La storia che una struttura di tal genere dovesse servire contro un’invasione straniera è una barzelletta […]. La struttura faceva capo agli americani, mentre i carabinieri provvedevano per il coordinamento[…]. I tralicci dovevano servire per verificare la copertura che avremmo ricevuto e far conoscere l’esistenza del Mar […]. Avevamo garanzie di impunità” <866. Fumagalli, invece, ha dichiarato: “stavo lavorando attorno a un progetto di colpo di stato. Era mio intendimento creare una situazione insurrezionale nella Valtellina che avrebbe successivamente determinato l’intervento normalizzatore di qualche corpo dello Stato, in particolare dei Carabinieri […] contavo che vi sarebbe stato un intervento di ufficiali italiani della Nato” <867. In conclusione, la storia del Mar “è forse l’esempio più indicativo dell’organicità dei legami che negli anni ’70 sono stati stretti fra organizzazioni eversive, alti esponenti dell’Esercito e dei Carabinieri e addirittura ufficiali della Nato, del loro ruolo di controllo della politica italiana e dello stretto mantenimento del nostro Paese nel campo Atlantico e anticomunista” <868.
Parte della medesima strategia volta a “destabilizzare per stabilizzare” fu la strage di Gioia Tauro, il 22 luglio del 1970, quando il treno Freccia del Sud Palermo-Torino deragliò nei pressi della stazione della città calabra. Si contarono 6 morti e oltre 130 feriti. L’accaduto, che fu inizialmente spiegato come un errore del personale ferroviario, negli anni Novanta verrà attribuito all’esplosione di un ordigno collocato sui binari da alcuni esponenti di estrema destra <869. La “strage dimenticata” di Gioia Tauro può essere all’origine di un altro episodio tutt’oggi misterioso che ha fatto il suo ingresso nel procedimento e che in qualche modo presenta dei collegamenti con gli Stati Uniti. Nella notte fra il 26 ed il 27 settembre 1970, a circa 60 chilometri da Roma, in uno strano incidente stradale morirono cinque giovani anarchici di Reggio Calabria diretti nella capitale per partecipare ad una manifestazione contro la visita del Presidente Nixon in Italia. La loro autovettura si schiantò contro un camion che aveva frenato bruscamente. Alcuni di questi giovani erano da tempo impegnati in una attività di controinformazione che riguardava principalmente l’attentato di Gioia Tauro e per questo sembra possibile ipotizzare l’incidente stradale sia stato in realtà causato dai gruppi di destra. Sembra infatti che i giovani avrebbero voluto portare a Roma la documentazione raccolta nei mesi precedenti sull’attentato di Gioia Tauro, che non giunse mai a destinazione e che non venne neppure ritrovata all’interno dell’autovettura. Inoltre uno dei giovani decedutio nello scontro, Casile, conosceva Giuseppe Schirinzi, un elemento di An di Reggio Calabria, accusato da Casile di essere uno degli autori dell’attentato all’Altare della Patria, il 12 dicembre 1969. Sappiamo inoltre che Schirinzi, nell’autunno del 1969, aveva tentato di infiltrarsi negli ambienti di sinistra e in tale veste partecipò ad una manifestazione di protesta di vari gruppi di sinistra contro un’aggressione fascista che vi era stata in danno di alcuni anarchici. Inoltre Schirinzi aveva tentato di infiltrarsi anche nel circolo 22 Marzo di Reggio Calabria senza tuttavia riuscirci e ne era stato cacciato. Secondo le stesse dinamiche, Mario Merlino aveva tentato di infiltrarsi nel medesimo circolo anarchico di Roma. Giuseppe Schirinzi era certamente un elemento di punta di An, avendo partecipato al viaggio nella Grecia dei colonnelli ed essendo stato condannato con sentenza definitiva, insieme ad Aldo Pardo, per il gravissimo attentato alla Questura di Reggio Calabria non rivendicato e avvenuto il 7 dicembre 1970 poche ore prima dell’inizio dei concentramenti per il tentativo di golpe del principe Borghese. Si tratta di spunti investigativi, ma da quanto emerge dai documenti sembra che a Reggio Calabria fosse in atto “la medesima strategia che veniva da lontano e cioè l’infiltrazione nei gruppi di estrema sinistra o, in alternativa, l’esecuzione di azioni coperte e mascherate che, secondo le tecniche della guerra non convenzionale, potevano servire all’eliminazione di avversari politici divenuti improvvisamente troppo scomodi” e in cui gli Stati Uniti dovevano avere una qualche responsabilità per lo meno nel ruolo di controllo dall’alto e di dettare le linee da seguire <870.
[NOTE]
846 Il documento è in: Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, Doc. XXIII, n. 2 quater, vol. 7, t. 1, p. 287 e ss.; Relazione di Perizia De Lutiis, n. 219/A/86 rggi, n. 1329/A/84 rggi, Gladio ed eventuali collegamenti con la destra extraparlamentare, in Atti BS/fasc. H-2, pp. 885 e ss.
847 Ha scritto il magistrato Pietro Calogero: “È verosimile che il rinvenimento sia stato «pilotato» dallo stesso Gelli, latitante, allo scopo di inviare un «ammonimento e una richiesta di aiuto», a poco più di tre mesi dalla scoperta della sua loggia segreta, la P2, da parte della magistratura milanese. In altre parole, Gelli “scelse di inviarlo in Italia in un momento in cui la sua organizzazione era nell’occhio del ciclone e necessitava dell’appoggio degli amici più influenti. Non si capisce se Gelli volesse deliberatamente consegnare alla polizia il documento o intendesse inviarne copie a pochi e selezionati destinatari. A quel tempo Federico D’Amato, membro della P2, era capo della polizia di frontiera e forse Gelli pensava che la figlia potesse agire indisturbata”. P. Willan, I Burattinai. Stragi e complotti in Italia, Napoli, Tullio Pironti, 1993, p. 232.
848 Traduzione dalla lingua inglese del documento “Field Manual”, in Atti Bo/Italicus Bis/fasc. 0156B, vol. IT2GI, pp. 153 e ss.
849 Ibid., p. 173.
850 Relazione di Perizia De Lutiis, cit. pp. 887-888.
851 Ibidem.
852 Ibid., pp. 889 e ss.
853 Relazione di Perizia De Lutiis, cit. p. 887.
854 Consulenza del dott. A, Giannuli, Lega Anticomunista Mondiale, Nuclei di Difesa dello Stato, Aginter Presse, Ordine Nuovo, Fronte Nazionale, 12 marzo 1997, in Atti BS/fasc. H-a-1, p. 86.
855 S. Flamigni, Trame atlantiche, cit., p. 36. Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 1998, cit., p. 348.
856 C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. pp. 95 e ss.
857 Nara, Nixon Presidential Materials, Nsc Files, Kissinger Office Files, Box 65, Country Files—Europe, Italy Talenti File, Memorandum From Helmut Sonnenfeldt of the National Security Council Staff to the President’s Assistant for National Security Affairs (Kissinger), Washington, 14 ottobre, 1971; C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. p, 80; L. Guarna, Richard Nixon e i partiti politici italiani, cit. p. 70.
858 Procura militare della Repubblica, Lettera di trasmissione dei Sostituti Procuratori Militari di Padova, dr. Sergio Dini e dr. Benedetto Roberti, al G. I. di Venezia, dr. Felice Casson, e al Presidente della Commissione Parlamentare sulle Stragi, sen. Libero Gualtieri, 24 febbraio 1992, in “Verbale di Consegna di documentazione della cessata Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (X-XIII)”, pp. 379 e ss., disponibile al link: http://www.gerograssi.it/cms2/file/casomoro/DVD31/liberi/0534_001.pdf.
859 Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 1998, cit. p. 371.
860 Il testo del documento, tradotto anche in italiano, allegato alla nota del R.O.S. in data 14.2.1994, vol.43, fasc.6, ff.17 e ss.
861 Il Piano Chaos ebbe inizio nel 1967 e terminò nel 1973.
862 I punti di contatto tra Aginter Press e strutture americane sono numerosissimi: “E’ poi estremamente probabile che l’Aginter Press disponesse di canali stabili di collegamento e di forme di reciproco aiuto con la Cia e altre strutture americane. Americano e reduce dal fallito sbarco a Cuba, alla Baia dei Porci, era Jay Simon Salby, detto Castor, uomo di fiducia di Guerin Serac sul piano operativo. Di stretta pertinenza delle strutture militari americane era l’esplosivo “C4” utilizzato per l’attentato all’Ambasciata d’Algeria a Bonn dell’estate del 1975. In uno degli appunti a firma Aristo, acquisiti ed esaminati nella perizia, questi scrive che, per esplicita affermazione di Guerin Serac, la struttura di Lisbona ha rapporti con la destra del Partito Repubblicano statunitense guidata dal senatore Goldwater e che i mezzi finanziari per le iniziative dell’Aginter Press in Africa provengono a Lisbona direttamente dagli Stati Uniti. Inoltre, in un documento del Sdci (servizi segreti portoghesi del periodo successivo alla Rivoluzione dei Garofani) acquisito da personale del Ros e steso nel 1975 sulla base di materiale appartenente all’Aginter Press e alla Pide, si annota che Robert Leroy, braccio destro di Guerin Serac con la sigla in codice T-BIS, dopo la sua scarcerazione a seguito dell’amnistia per i reati di collaborazionismo, si era specializzato nel contro-spionaggio e aveva raccolto, dal 1958 al 1966, informazioni per la Nato […] La diretta provenienza di gran parte del gruppo dirigente dell’Aginter Press dall’esperienza dell’Oas (uno dei cui punti fermi era, fra l’altro, la cooperazione tra civile e militari, come avrebbero tentato di fare in Italia On e i Nds) garantiva di per sè la massima affidabilità nel lavoro di infiltrazione e nelle “azioni coperte” e cioè le forme di lotta che, secondo la teoria della guerra non ortodossa, risultavano particolarmente idonee, sino alla metà degli anni ‘70, a fronteggiare l’insidia rivoluzionaria”. Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 1998, cit. pp. 420-421.
863 Tribunale civile e penale di Milano, Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini nel proc. pen. nei confronti di Azzi Nico ed altri, n.2643/84A R.G.P.M., N.721/88F R.G.G.I., 18 marzo 1995, p. 144.
864 Dalle dichiarazioni dei militanti Mar emerge un quadro molto inquietante in cui si preparava un golpe finalizzato al raggiungimento di una repubblica presidenziale in grado di far “rispettare la legge, l’ordine, la disciplina democratica” sulla base di una scaletta operativa che prevedeva anzitutto “buttar giù tralicci” e poi, in secondo ordine, “combattere gli uomini politici della zona” e “non subire l’attacco della forza pubblica e addirittura provocarla per procurarsi le armi”. La strategia dei Mar è descritta in: G. Flamini, L’amico americano, cit. p. 71.
865 Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 18 marzo 1995, cit. p. 138.
866 Tribunale di Bologna, Esame del Teste Gaetano Orlando di fronte ai G.I. Vito Zincani e Sergio Castaldo, 7 marzo 1984, in Atti Italicus bis, vol. 57, pp. 258 e ss.
867 Tribunale di Bologna, Ufficio Istruzione, Interrogatorio di Carlo Fumagalli dinanzi al G.I. Leonardo Grassi, 17 aprile 1986, in Atti Italicus Bis, vol. 36, pp. 124 e ss.
868 Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 18 marzo 1995, cit. p. 145.
869 Ibid. p. 247; P. Cucciarelli, A. Giannuli, Lo stato parallelo, cit. p. 167.
870 Sentenza-ordinanza del G.I. Salvini, 18 maggio 1995, p. 249.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020