Si deve riconoscere che quella di Hampton si caratterizza per essere certamente una voce “controcorrente” nel panorama dei gender studies

Part of the feminist challenge is to show how society has formed us in ways that are unjust, producing human beings whose development is in some way stunted or deformed because of that injustice, where that stunting or deformity itself has unjust implications – because people wind up either too inclined to want to master others or too inclined to accept mastery. <1
Jean E. Hampton (1954-1996) è stata, secondo quanto suggerisce Martha Nussbaum, “una delle più importanti pensatrici morali statunitensi”; tuttavia <2 la sua filosofia non è stata molto studiata, specialmente in Italia, sebbene rivesta particolare rilievo e interesse perché propone una teoria femminista alternativa, rispetto a quelle che, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, hanno trovato maggiore diffusione.
L’analisi e la ricostruzione del pensiero politico di Hampton rappresentano, inoltre, lo strumento che consente alla mia ricerca di provare a instaurare un dialogo fra prospettive teoriche generalmente ritenute antitetiche: la teoria femminista, per un verso, il liberalismo e il contrattualismo, per l’altro.
La principale tesi che sostengo è che il feminist contractarianism di Hampton sia una riuscita miscela di paradigmi apparentemente inconciliabili. In questo senso i “contrattualismi” alla base del discorso della filosofa vengono superati, attraverso la proposta di una terza via “oltre Rawls e Gauthier”. L’impianto di Hampton fa leva su un’idea di contrattazione strategica, ma solo al fine di difendere il valore intrinseco della persona e, di fatto, esso si serve, come cercherò di mostrare, di un modello di giustizia procedurale pura per garantire il rispetto delle minime condizioni di fairness nella sfera privata.
La prospettiva dalla quale Hampton osserva le questioni di genere è senza dubbio originale, ma l’elemento a mio avviso più significativo è dato dal fatto che la proposta da lei avanzata si configura come pienamente normativa, inusuale risultato per una teoria femminista. Senza perdere di vista la rilevanza pratica delle questioni affrontate, dunque concentrandosi attentamente, ad esempio, su una declinazione equa del concetto di cura, Hampton delinea un modello normativo valido per le relazioni intime, animato da veri e propri principi di giustizia a tutela delle parti coinvolte. Sotto questo profilo, Hampton sembra seguire le orme del suo maestro John Rawls, sebbene la filosofa cerchi apertamente di escludere tale possibilità, dichiarando, più o meno palesemente, la sua vicinanza a un modello di contrattualismo reale riconducibile a quello di David Gauthier. Senza sottovalutare le importanti differenze fra le varie proposte, e tenendo in seria considerazione i richiami al calcolo strategico e all’idea di contrattazione come negoziazione, la mia analisi tende, in ultima istanza, a mettere in luce gli evidenti punti di contatto tra il modello hamptoniano e quello rawlsiano.
La stessa idea di giustizia come fairness, pilastro portante della proposta teorica di Hampton, sembra derivare direttamente dalla lettura delle pagine di “A Theory of Justice”. Riprendendo un tema classico della teoria femminista, ovvero la necessaria ridefinizione dei confini di pubblico e privato, Hampton suggerisce che la diseguaglianza fra i sessi – e la conseguente discriminazione femminile – affonda le proprie radici nella mancanza di giustizia nella sfera privata. Senza demonizzare i sentimenti, il cui valore non è certamente messo in discussione, Hampton evidenzia i rischi di quella che penso possa essere definita “tirannia degli affetti”: le relazioni private, è un dato di fatto, si reggono spesso su un’iniqua distribuzione di oneri e benefici, dove le parti più deboli sono sovente schiacciate dal peso degli affetti e dunque indotte – a causa di una mancanza, totale o parziale, di rispetto di sé – a sacrificarsi a vantaggio degli altri. Tale scelta, oltre a essere irrazionale, è definita da Hampton immorale e perciò palesemente iniqua. Hampton suggerisce quindi di applicare un modello di giustizia distributiva anche alle relazioni intime, mirando a estendere il concetto di equità al privato, nel tentativo di scardinare una tradizione di lunga data secondo la quale nel “regno dei sentimenti” non è possibile fare appello alla giustizia. “Justice” è, però, come è noto, uno dei sostantivi più importanti del lessico politico, oltre a essere, come appunto suggerisce Rawls, la prima delle virtù sociali.
Queste semplici premesse aprono a scenari decisamente complessi: anzitutto, per comprendere fino in fondo la rilevanza delle tesi avanzate da Hampton, è importante stabilire che cosa si intende per femminismo, considerato il fatto che sotto la medesima etichetta trovano spazio posizioni eterogenee, i cui punti di contatto sembrano talvolta minori rispetto alle divergenze. È opportuno, inoltre, precisare, sebbene in parte ciò sia stato già detto, anche a quale nozione di giustizia si fa riferimento, dal momento che allo stesso termine la filosofia non ha sempre dato il medesimo significato; e infine, toccando una delle questioni più importanti del femminismo contemporaneo, si rende necessario indicare con precisione dove si situano i confini del politico, per capire quali problematiche sia lecito affrontare.
Rispondere a tali questioni consente, in primo luogo, di ricostruire il background teorico nel quale Hampton si muove. I saggi a carattere femminista composti dalla filosofa rappresentano, del resto, solo una piccola parte di una produzione vasta, ma contengono dei tratti innovativi, motivo per il quale si è ritenuto vi fossero sufficienti elementi per indagare in questa direzione.
Si deve riconoscere che quella di Hampton si caratterizza per essere certamente una voce “controcorrente” nel panorama dei gender studies, la quale merita, anche per questo, di essere approfondita, nonostante la sua ricezione sia stata abbastanza scarsa o, come in Italia, quasi completamente assente. Il primo passo, dunque, è stato definire con buona precisione la bibliografia delle opere di Hampton, in modo da avviare un’analisi quanto più completa, capace di tenere in considerazione i differenti interessi della pensatrice.
[NOTE]
1 J. E. Hampton, Feminism, Moral Objectivity and Christianity, in D. A. Hoekema, B. Fong (eds.), Christianity and Culture in the Crossfire, Eerdmans, Grand Rapids Michigan 1997, p. 120.
2 Cfr. M. Nussbaum, Women and Human Development. The Capabilities Approach, Cambridge U.P., New York 2000, p. xx.
Martina Maria Marras, Jean Hampton: femminismo e prospettive contrattualistiche oltre Rawls e Gauthier, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, 2018