Temistocle Testa, denunciato dagli Alleati per i crimini commessi quando era prefetto di Fiume e del Carnaro

Una foto tessera del Prefetto Temistocle Testa conservata nell’archivio del Giornale d’Italia, presso la Biblioteca comunale G. C. Croce di San Giovanni in Persiceto – Fonte

Autunno 1945, tempo d’epurazione. Ecco un “promemoria” (in F. Gnecchi Ruscone, “Missione Nemo”, Mursia 2011, p. 239) inviato al maggiore Marchesi (dirigente di un Gruppo speciale del SIM del Regno del Sud) relativamente a Temistocle Testa, denunciato dagli Alleati per i crimini commessi quando era prefetto di Fiume e del Carnaro.
“(Testa (…) ha fatto una carriera velocissima, capo manipolo della MVSN, centurione, seniore, console, infine segretario federale, prefetto di Fiume, alto commissario per la Sicilia. Come prefetto di Fiume ordinò e diresse personalmente persecuzioni in grande stile contro gli elementi antifascisti. All’atto dell’occupazione della Jugoslavia ebbe dal governo una fortissima assegnazione (centinaia di milioni) per acquisto per conto del governo di bestiame e legname in Jugoslavia. Di dette somme non diede mai conto. Poco dopo acquistò a suo nome le tenute di Maiana della Porretta e vastissimi possedimenti in Africa e altre tenute in Italia. Caduto il governo Badoglio ritornò a galla dopo l’8 settembre come capo del commissariato per i trasporti dell’Urbe. Durante questo periodo le attività del Testa sono moltissime e tutte poco oneste. In combutta con il commissario di PS Senatore Francesco, pare vendesse per conto proprio le auto requisite per conto del governo. È segnalato alla sezione CS come collaboratore della squadra di polizia fascista comandata dal famigerato Koch (…) durante questo periodo è stato incarcerato dalle SS perché ritenuto implicato nella fuga di Edda Ciano in Svizzera. Subito dopo però rimesso in libertà. È fuggito da Roma il 3 giugno 1944 (…)”.
Del criminale di guerra Temistocle Testa si parla relativamente poco. Basti pensare che esiste una sua biografia nel sito inglese di Wikipedia e non in quello italiano. Fu prefetto di Fiume dal 1938 fino al 24/1/43, quando fu assegnato all\’Intendenza servizi di guerra del Ministero.
Il nome di Testa è noto soprattutto per l’azione di rappresaglia che ordinò contro il villaggio di Podhum il 12/7/1942. L’operazione, “motivata” dal fatto che erano stati catturati dai partigiani due insegnanti fascisti, fu condotta da reparti dell’esercito, carabinieri e camicie nere, e comportò, oltre alla distruzione del villaggio, la fucilazione di 102 abitanti e la deportazione di 200 famiglie. Giacomo Scotti (“Il Manifesto”, 4/2/05) cita altri dati dell’attività di Testa: nel solo comune di Castua furono bruciati diciassette villaggi, passate per le armi 59 persone, furono deportati 842 uomini, 904 donne e 565 bambini, e furono incendiate 503 case e 237 stalle. In precedenza, il 30 maggio 1942 il prefetto Testa rese noto con pubblici manifesti di aver fatto eseguire l’internamento nei campi di concentramento in Italia di un numero indeterminato di famiglie di Jelenje dalle cui abitazioni si erano allontanati giovani maggiorenni senza informarne le autorità: “Sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia”. Il 4/6/42 gli uomini del II Battaglione Squadristi di Fiume incendiarono le case di tre villaggi ed a Kilovce furono fucilate 24 persone.
Dopo l’armistizio Testa fu a Roma, prefetto e poi governatore fino alla liberazione della città. A questo punto, stando a quanto abbiamo trovato in alcuni testi (articolo di Franco Morini: “Nome Gladio, paternità Nemo”, “Rinascita nazionale” 10/2/09 ed il citato “Missione Nemo”), si sarebbe trasferito a Milano assieme al suo “braccio destro”, il tenente degli Alpini Giuseppe Cancarini Ghisetti, che risulterebbe avere fatto parte, su incarico dell’OSS (la futura CIA) della “rete Nemo”, definita da Peter Tompkins (“L’altra resistenza”, Saggiatore 2005) “la più efficiente ed estesa rete di spionaggio in Italia, col ruolo di informatore sulle attività politiche e militari del CLNAI”. A Milano Testa andò a ricoprire il ruolo di dirigente dell’OIL (Organizzazione Italiana del Lavoro); mentre Cancarini Ghisetti fu messo a capo dell’Ufficio Intendenza del Ministero dell’Interno con la speciale mansione di sovrintendere al controllo di tutto il traffico dei trasporti, compresi i convogli automobilistici vaticani.
Il comandante della rete era Emilio Elia, “Nemo”, torinese classe 1899; capitano di corvetta in ausiliaria dal 1938, quando divenne dirigente del silurificio Whitehead di Fiume proprio mentre Testa era prefetto. Nei giorni che precedettero l’invasione della Jugoslavia nel 1941 Testa emanò un ordine di mobilitazione civile per trasferire a Livorno le maestranze del silurificio con le attrezzature più importanti: non sappiamo se Elia andò con esse, ma fu richiamato alle armi il 4/8/43 ed il 31/1/44 fu convocato allo Stato maggiore generale con “incarichi speciali”, che si concretizzarono nell’affidargli la dirigenza del “Gruppo speciale Nemo Op./Sand/II” dipendente direttamente dallo SMRE. Secondo Cancarini Ghisetti (nota del 1981 nel citato “Missione Nemo”) sarebbe stato Allen Dulles in persona a dare istruzioni al CIC di Caserta nell’agosto 1944 per creare questa struttura finalizzata ad “agganciare” il colonnello delle SS Dollmann: tra i membri di “Nemo” l’ex prefetto Testa, diventò “Tau” e (citiamo ancora Cancarini Ghisetti) “fu il tramite di un patto troppo ovvio per poter essere definito tacito, secondo il quale (letterale) dei criminali di guerra minori sarà tenuto conto a seconda delle prove di buona volontà che daranno dal momento fino alla fine delle operazioni”.
Morini cita anche un episodio apparso a pag. 707 della “Storia della resistenza reggiana” di Guerrino Franzini (Anpi 1982), relativo ad una trattativa di scambio fra prigionieri in cui era personalmente intervenuto Testa, che si era “presentato in modo molto conciliante a tali trattative, dichiarando la sua aperta simpatia per i partigiani reggiani”, e per dimostrare il suo ruolo esibì “un pezzo di seta recante un timbro del Clnai e la scritta il latore è elemento conosciuto e collaboratore di questo comando. Si pregano i comandi partigiani di dargli aiuto e assistenza”.
Dopo il 25 aprile (riprendiamo il testo di Cancarini Ghisetti) Elia fu nominato questore di Milano e fece custodire Testa in Questura dove “continuava a dare ordini al telefono come se nulla fosse accaduto”. Nella prima settimana di maggio arrivarono a Milano alcuni partigiani modenesi che richiesero Testa poiché “dichiarato dagli alleati criminale di guerra, per via dei fatti jugoslavi”. “Nemo” rifiutò di consegnare Testa tenendo la pistola sul tavolo e lo inviò a San Vittore per maggiore sicurezza. Due settimane dopo i modenesi tornarono con un ordine del CIC ma neppure questa volta Elia consegnò l’ex prefetto, lo inviò in carcere a Modena accompagnato da un ufficiale inglese di nome Podestà “responsabile nell’Inter Services Liaison Department nell’Alta Italia”. A Modena si stava preparando un grosso processo contro Testa, ma a quel punto intervenne nuovamente Allen Dulles che lo fece prelevare nottetempo da una pattuglia dell’OSS e portare a Roma, dove fu processato, prosciolto dalle accuse ma inviato in soggiorno obbligato in Calabria con la motivazione che “la sua presenza a Roma poteva essere una fonte di disordine”.
L’assoluzione di Testa fu dovuta probabilmente alle dichiarazioni rilasciate da Elia nel dicembre 1945, nelle quali lo descriveva come un volonteroso collaboratore della rete Nemo, alla quale, grazie ai suoi contatti con l’ambiente tedesco fornì importanti informazioni militari e politico-militari; al fatto che inserì nell’OIL “elementi della rete” che poterono così girare liberamente per Milano, e soprattutto per la “ricerca di agganciamento” coi Comandi germanici (va però detto che le trattative di Testa con Dollmann e Wolff alla fine non furono autorizzate dai comandi superiori).
Furono dunque queste le “benemerenze” di Temistocle Testa, morto nel 1949 presumibilmente suicida, che impedirono alle sue vittime del Carnaro di avere giustizia.
Claudia Cernigoi in www.resistenze.org, luglio 2011, da La Nuova Alabarda

Il Prefetto Testa in abito nero al Campo di Concentramento di Ruscio (Perugia) in occasione della visita del Nunzio Apostolico Francesco Borgoncini Duca, incaricato dal Papa di visitare i campi di internamento fascisti (quello di Pissignano fu visitato il 9/12/1942). Il Capitano di Fanteria potrebbe essere il comandante del campo Arnaldo Mutti – Fonte: Pro Ruscio

Rientrato a Roma dopo lo sbarco degli Alleati, con la nascita della Repubblica sociale italiana Temistocle Testa fu nominato governatore di Roma. Il 17 gennaio 1944, su richiesta di Benito Mussolini, venne arrestato dai tedeschi e condotto in via Tasso perché sospettato di essere stato a conoscenza delle trattative per l’armistizio e implicato nella fuga in Svizzera di Edda Ciano. Non essendo stati trovati elementi sufficienti per dimostrare la sua colpevolezza, il 23 seguente venne liberato e collocato a riposo. Verso la fine dell’aprile del 1944, su incarico delle autorità tedesche, assunse la carica di commissario per i trasporti e per l’alimentazione dell’Urbe.
Il 4 giugno lasciò la capitale per dirigersi verso il Nord. Nei giorni successivi seguì il colonnello delle SS Eugen Dollmann, con il quale aveva stretto una fraterna amicizia, prima a Firenze e poi a Reggio Emilia. Nella città emiliana iniziò a ingraziarsi i partigiani e gli Alleati intervenendo per favorire il rilascio e, in alcuni casi, per evitare la fucilazione di prigionieri in mano ai nazifascisti.
Trasferitosi a Milano, continuò a svolgere l’attività di commissario per i trasporti anche nel capoluogo lombardo. Dal settembre del 1944 fu chiamato a dirigere l’Organizzazione italiana del lavoro (OIL) occupandosi di reclutare manodopera volontaria per i lavori in Italia. Con questo nuovo incarico riuscì ad assoldare nell’OIL diversi renitenti e ricercati politici, attività che gli consentì di entrare in contatto con la locale rete antifascista. Verso la fine del gennaio del 1945 venne ingaggiato direttamente dal comandante della missione spionistica Nemo-Op.Sand.II, il capitano di corvetta Emilio Elia. Con il nome in codice di Tau, l’ex prefetto compì diverse azioni per garantire la liberazione di elementi della Resistenza che erano stati arrestati e fornì preziose informazioni politico-militari alla missione.
Il 6 maggio 1945 fu arrestato a Milano in seguito all’ordine di cattura emesso dall’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti e il mese successivo fu trasferito nel carcere di Regina Coeli a Roma. Il 30 maggio 1947, nonostante le pesanti accuse a suo carico, ottenne dalla corte d’appello di Roma il proscioglimento e fu scarcerato. Per la sua assoluzione fu determinante la relazione del capitano Elia sull’attività svolta da Testa in favore della missione Nemo. Il 21 giugno seguente la Commissione provinciale di Roma per i provvedimenti di polizia lo condannò comunque a tre anni di confino. Inviato a Cava dei Tirreni, il 28 dello stesso mese fu consegnato alla questura di Salerno per essere ristretto nelle locali carceri in quanto il suo nome risultava compreso nell’elenco di cittadini italiani ritenuti dalla Iugoslavia criminali di guerra. Dopo essere stato trasferito a Soverato Marina (Catanzaro), la Commissione centrale d’appello per il confino ridusse la condanna a diciotto mesi e il 27 novembre 1948 fu rimesso in libertà. Trasferitosi a Roma gestì un ufficio commerciale per importazioni ed esportazioni, mantenendo stretti rapporti di natura commerciale con il generale Castellano.
Morì suicida a Roma il 17 luglio 1949.
Treccani

La mattina del 12 luglio 1942 il paese di Podhum (vicino a Susac) fu completamente svuotato e bruciato da reparti dell’esercito con carri e artiglieria, carabinieri e milizia fascista.
L’azione, preparata da tempo, fu condotta sul campo dal maggiore Mario Ramponi, ma di fatto organizzata e comandata dal prefetto di Fiume Temistocle Testa.
I maschi fucilati furono 118, le case bruciate 494, gli oggetti utili saccheggiati oltre 2.000.
Circa 185 famiglie (più di 800 persone) furono portate in campi di internamento.
admin, Testa per dente, 10 febbraio 1947, 5 febbraio 2012

Temistocle Testa è nato a Grana Monferrato (AT) l’11 novembre 1897; suo padre è un notaio molto conosciuto in tutta la zona. Combatte nella guerra mondiale con il grado di sottotenente. Agli inizi degli anni Venti si trasferisce a Modena per seguire il fratello Ulisse, libero docente presso la clinica di Neuropatologia dell’Università di Modena, e si laurea in Giurisprudenza all’Università di Modena. Squadrista della primissima ora, s’iscrive al Partito fascista il 10 febbraio 1921; un anno dopo, nel gennaio del ’22, nel corso dell’assemblea che designa i componenti del nuovo direttorio del Fascio cittadino, viene eletto vicesegretario. In questo periodo non si contano le aggressioni e i pestaggi a dirigenti e militanti socialisti e comunisti. A giudizio del Questore, Ercole Schiavetti, queste aggressioni non sono frutto di scelte individuali, ma la conseguenza di disposizioni impartite dai dirigenti del Fascio. “Per questo, con una lettera al Procuratore del Re, Schiavetti denuncia per istigazione a delinquere i componenti del direttorio del fascio cittadino, il federale Zanni e il vicefederale Testa”. Per tutta la primavera e l’estate del ’22 si susseguono episodi di violenza squadristica contro persone e cose; alcuni assumono l’aspetto di veri e propri atti di barbarie, come a Quartirolo di Carpi, dove gli squadristi irrompono in una casa colonica, dove si svolgeva una festa danzante di giovani minorenni, uccidendone uno e ferendone gravemente un altro. A San Venanzio di Maranello i fascisti uccidono nell’osteria del paese due inermi cittadini. Comandante delle Legioni modenesi nella marcia su Roma, due mesi dopo l’istituzione della MVSN (Milizia volontaria per la sicurezza nazionale – gennaio ’23) assume il comando della 73a legione “Boiardo” di Mirandola. Passa indenne da una tempesta che scuote la legione in seguito alla barbara uccisione, ad opera di alcuni militi da lui dipendenti, di un inerme barrocciaio di Medolla. Nel 1928 diventa segretario federale del Fascio di Modena: “Vanta una lunga esperienza politica militare e grazie al suo carattere deciso ed autoritario è ritenuto capace di fare rispettare la disciplina di partito anche agli iscritti più irrequieti e litigiosi», scrive di lui Pietro Alberghi in Modena nel periodo Fascista [….]. Anche i fascisti della prima ora, che hanno salutato con sollievo la sua nomina, non tardano a rendersi conto che la situazione è rimasta praticamente immutata, che, anzi, i suoi metodi autoritari e il suo protagonismo hanno finito per soffocare ogni residua forma di dibattito all’interno del partito. All’Archivio di Stato di Modena risulta che Testa è stato denunciato, nel 1929, per truffa da Angelo Gozzi e Francesco Malavasi.
Il Federale diventa Prefetto
Il 16 febbraio 1931 il Testa è nominato prefetto a Perugia, dove rimane fino al 16 ottobre del ’32; in questa data viene trasferito ad Udine e, fino al 20 febbraio del ’38, riveste la carica in questa città. Viene a questo punto trasferito a Fiume, dove rimarrà fino al fino al 1 febbraio del ’43. A Fiume si dimostra particolarmente ligio nell’applicare il Regio Decreto del 5 settembre 1938, quello delle leggi razziali. La comunità ebraica di questa città conta millecinquecento persone e si ingrossa man mano che passano i giorni per l’arrivo in città di profughi ebrei dalla Croazia e dalla Galizia, ove per loro la vita è ancora più difficile. Pochi giorni dopo l’entrata i guerra dell’Italia al fianco dei tedeschi, nella notte tra il 17 e 18 giugno 1940, Testa ordina una retata di tutti i residenti ebrei, di sesso maschile e di età superiore ai 18 anni di Fiume ed Abbazia, che vengono trasportati nella scuola elementare di Torretta. Questa retata sarà criticata dalla stesso Ministero dell’Interno. Secondo diverse testimonianze di imprigionati i fermati sono circa cinquecento, metà sono rilasciati dopo due o tre settimane senza alcuna formalità, l’altra metà è inviata nei campi di concentramento in varie località d’ltalia. Per disposizione di Testa, che funge pure da Commissario di Stato per i territori jugoslavi aggregati alla provincia di Fiume, anche gli ebrei che fuggono dalla Croazia devono essere arrestati, se presi in territorio italiano. Temistocle Testa, un funzionario che dell’antisemitismo ha fatto una bandiera, scrive al gabinetto del ministero dell’Interno il 21 ottobre 1940: “Fiume è forse l’unica provincia che non permette la chiusura al sabato e alle altre feste, oltre ad aver chiuso definitivamente tutti i negozi ebraici di Abbazia, ma ha anche il primato di 200 ebrei internati. Proprio con questo prefetto di Fiume deve fare i conti il vice-commissario di polizia Giovanni Palatucci, che pagherà con la morte a Dachau il suo impegno per salvare gli ebrei di tutta la zona. Palatucci, per il quale è stata avviata la causa di beatificazione, riesce ad inviare a Campagna, sotto la protezione dello zio Vescovo, un consistente numero di ebrei istriani, che avrebbe dovuto invece arrestare e deportare. I suoi interventi, indiretti e nascosti, sono volti a rendere inoperanti le disposizioni che vengono dalla Questura e in modo particolare dal prefetto Testa.
La guerra volge al peggio, la Repubblica di Salò
Il 10 febbraio 1943 Testa è sostituito come prefetto di Fiume e collocato a disposizione; in seguito viene nominato Alto commissario in Sicilia: lo sarà fino all’arrivo degli Alleati. Scrive di lui Alfio Caruso: «Nonostante la presenza di un energico Alto Commissario, il prefetto Testa, fino al 9 luglio si registrarono gelosie e ripicche tra autorità fasciste e autorità militari. Che Testa sia un alto gerarca del regime ormai in crisi è testimoniato da un altro importate personaggio della seconda guerra mondiale: il Colonnello delle SS Eugen Dollmann, interprete degli incontri tra Hitler e Mussolini e uomo di fiducia in Italia di Himmler. Scrive, infatti, Dollmann:
Ai primi di aprile del ’43 alla stazione Tiburtina di Roma, il Duce che sta per partire per un famoso incontro con Hitler, è avvicinato dall’inatteso e nervoso ex prefetto di Fiume Temistocle Testa armato di una borsa gonfia di documenti, che volle parlargli d’urgenza.
Quando il treno fu in moto, trapelarono dettagli, più tardi integrati dallo stesso Testa, secondo i quali la conversazione aveva avuto lo scopo di esortare il duce a non tornare ancora una volta a mani vuote dall’incontro con Hitler, e ad insistere affinché si concludesse con la Russia l’armistizio o la pace, altrimenti rientrando in Italia non avrebbe più lasciato da uomo libero, come lo zar Nicola, il treno speciale, non potendosi assumere garanzie. Con la caduta del fascismo del 25 luglio il “dinamico e intraprendente Testa” non si perde d’animo: «non è passata mezz’ora dall’annuncio del capovolgimento – scrive Silvio Bertoldi – e già telegrafano Ricci, Bottai, … Temistocle Testa, pregando di poter restare ai loro posti. Solo quattro giorni dopo lo storico giorno, Testa avvicina Dollmann e gli chiede di incontrarsi con il generale Giuseppe Castellano, uomo di fiducia del Capo di stato maggiore, generale Vittorio Ambrosio. L’incontro si svolge lo stesso pomeriggio all’albergo Ambasciatori: Castellano assicura Dollmann che la caduta del fascismo è una faccenda interna italiana e esorta i tedeschi a non trarre da questo avvenimento deduzioni allarmanti. E’ sempre Testa a combinare un altro incontro tra i due: questa volta Castellano prende l’iniziativa del colloquio e chiede conto degli scopi e della ragione dei movimenti delle truppe tedesche in Italia. Il tedesco propone che si incontrino Keitel e Ambrosio, e conclude chiedendo se l’affermazione di Badoglio che «la guerra continua» ha subito modifiche; l’italiano nega. Testa entra nelle grazie dei tedeschi; «Dopo l’incontro – è Dollmann a raccontarlo – chiesi a Testa una garanzia esplicita dell’attendibilità delle parole del generale e siccome il prefetto si disse pronto a garantire con la propria vita, si rafforzò in me la convinzione che quanto aveva detto Castellano fosse vero. Sarà poi lo stesso Castellano, per conto del Governo Badoglio, a firmare a Cassibile, il 3 settembre 1943, l’armistizio dell’Italia con gli Alleati. Dopo poche settimane ritornano i fascisti e, nella neonata Repubblica di Salò, Testa diventa Capo dell’ufficio intendenza del ministero dell’Interno; per dirla ancora con le parole di Dollmann: “dittatore dei trasporti, con alle sue dipendenze i convogli automobilistici vaticani”. Nell’ambiente romano si muove benissimo, ha ottimi rapporti con i tedeschi, in modo particolare con il colonnello Dollmann, è in contatto con il Vaticano ed è l’uomo di fiducia del ministro dell’Interno, Guido Buffarini Guidi.
Con la Liberazione di Roma Testa segue Dollmann a Firenze; qui il tedesco chiede a Buffarini Guidi, tornato in auge, di avere come “fiduciario”, l’ex prefetto di Fiume. Dollmann lo vuole al suo fianco affinché lo metta in contatto con il cardinale di Bologna, Nasalli Rocca, e con il clero dell’Emilia Romagna. La sua nuova attività a Reggio Emilia Testa arriva a Reggio il 21 luglio 1944, sempre con Dollmann; i due si insediano nella villa Brazzà di Roncina. Le cose si stanno mettendo male per i nazi-fascisti e Dollmann e il suo “fiduciario” cominciano a pensare al loro futuro; il 14 ottobre 1944 è Testa in persona a recapitare al colonnello delle SS il documento del cardinale di Milano Ildebrando Schuster, considerato inizio delle trattative di resa dei tedeschi agli alleati. A consegnarlo a Testa è stato il “suo” capitano Ghisetti, agente OSS, che ha seguito i due in Alta Italia per ordine dei servizi segreti; Ghisetti lo ha a sua volta ricevuto da monsignor Bicchierai, segretario di Schuster. In questo documento si chiede ai tedeschi di salvare le industrie del Nord, in cambio di una tregua da parte dei partigiani; questo accordo non va in porto, ma è la premessa per l’avvio dei rapporti che porteranno Dollmann e il Generale Wolff a Zurigo a trattare direttamente a Lugano, con Allen Dulles, la resa dell’esercito tedesco in Italia. Anche a Reggio Dollmann, sempre servendosi di Testa, cerca di acquisire dei meriti nei confronti dei partigiani e degli alleati; evita la fucilazione dei partigiani del Comando di Piazza di Reggio, catturati dai fascisti e condannati a morte. Convoca, infatti, una riunione a Parma dove impone ai fascisti la sospensione della pena per Calvi di Coenzo, Prandi e Ferrari; solo il comunista Zanti sarà fucilato. Questi saranno trasferiti prima a Parma, poi, grazie sempre a Ghisetti, a Verona dove saranno rilasciati con tante scuse pochi giorni prima della fine della guerra. In questi giorni anche Testa cerca “benemerenze” ed evita la fucilazione per un altro partigiano, Sergio Ghinolfi, che diventerà l’autista di Dollmann. Salva dalla brigata nera anche il capitano inglese Tuckler e don Giovanni Barbareschi, che avevano in animo di coinvolgere il Maresciallo Graziani nella resa degli italiani. Li fa ricevere da Wolff che farà passare in Svizzera l’emissario alleato. Ugo Pellini in Ricerche Storiche, rivista di Istoreco, n° 101, Aprile 2006

I Servizi segreti americani lo giudicavano un «cervello da bambino», uno con poco sale in zucca e grande potere. Giuseppe Castellano fu in realtà un personaggio tutt’altro che carente sul piano della intelligenza. Ebbe semmai il limite di rappresentare l’immagine di un’Italia ancora inesistente. Perché non poteva essere considerata esistente l’Italia di quel regime agonizzante, già in disfacimento irreparabile nel 1942. Perciò sia lui che molti suoi amici si erano dati da fare, immaginando magari una sorta di fascismo senza Mussolini o una nuova patria legata a nuove fedi tutte da inventare. Così Castellano, uomo di fiducia del generale Vittorio Ambrosio, cominciò a tessere la tela. All’inizio del ’43, tramando con Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, fece sostituire Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore dell’Esercito, con Ambrosio e puntò dritto alla caduta del regime. Poi mise mano alle congiure. Non ebbe difficoltà a trovare gli uomini giusti. Nel Partito fascista, Dino Grandi e Ciano calzavano a pennello: anglofilo e forse massone il primo, aveva cominciato la sua fronda contro il duce già alla fine del ‘ 42; aristocratico antitedesco il secondo. Ciano aveva rotto con Mussolini dimettendosi da ministro degli Esteri ed era diventato ambasciatore italiano in Vaticano. Poteva contare poi su Casa Savoia, dal re in persona alla principessa Maria Josè e Badoglio, numero 33 della Massoneria italiana. Cosa lega tutti questi signori? Per dare una risposta e capire il senso del breve percorso che conduce dal 25 luglio all’ armistizio di Cassibile, sottoscritto da Castellano, è necessario considerare certi antecedenti. L’ Italia nel ’42 era un paese allo sbando e qualcuno responsabilmente si sentì in dovere di pensare al presente guardando al futuro. Iniziò allora la storia ipogea del 25 luglio: non un fatto interno al fascismo morto, ma un processo vivo che da questo cadavere doveva far nascere una nuova Italia, inedita nelle sue forme politiche. L’alleanza sotterranea collegava Papa Pacelli e il cardinale Giovanni Battista Montini a Myron Taylor (ambasciatore Usa presso il Vaticano fin dal ‘ 39). I loro referenti naturali in America erano don Luigi Sturzo da un lato e William Donovan ed Earl Brennan dall’altro, cioè i capi dell’ Office of Strategic Services a livello mondiale. Fu il cattolicesimo, in quello sfascio, a interpretare i destini della nuova Italia. Non nel senso che non ci fossero le altre forze, ma in quello più preciso che solo quelle legate a quel mondo e ai suoi intrecci con l’occidentalismo, furono capaci di fondare l’Italia dei decenni successivi. E Castellano fu uno strumento determinante di questa dinamica. Tanto che le sue trattative con gli angloamericani cominciarono prima a Madrid con l’ ambasciatore inglese Hoare e poi a Lisbona con i generali Smith e Strong, rispettivamente dell’Esercito americano e inglese. In un documento del 10 dicembre ’43, Vincent Scamporino, giovane capo dei servizi segreti americani in Sicilia scriveva a Brennan (Washington) che Castellano era «preoccupato per l’influenza britannica sul movimento separatista» e che i capimafia «sapevano quello che facevano a proposito dei britannici». Il giovanotto, dal suo osservatorio segreto, riferiva, inoltre, per evitare malintesi, che il generale aveva «buoni contatti» con quei signori col cappello dall’aria tranquilla. Erano quasi la personificazione della pax sociale che ci voleva nel gran tumulto di allora.
Castellano sapeva soprattutto che se l’Italia doveva essere salvata dal comunismo, era necessario che i grandi proprietari terrieri si organizzassero «dietro le quinte per influenzare i contadini». «I proprietari – scriveva – devono finanziare la nascita di un partito in Sicilia e poi portarlo al resto d’ Italia. Tale formazione dovrà mantenere la monarchia e allearsi alla Chiesa. L’ organizzazione del partito verrà affidata al clero. L’ obiettivo principale di questo partito sarà quello di opporre la classe contadina del Sud al Nord industrializzato, dove il comunismo italiano è nato». Sono i presupposti della nascita, nel 1944, del Fronte Democratico dell’Ordine in Sicilia (Fdos), il cui rappresentante politico in Sicilia fu don Calò Vizzini, capomafia di Villalba. A buon motivo, quindi, un rapporto dell’ Oss del 5 settembre 1945, traccerà un rapido quadro del nostro generale: «Castellano è un uomo di scarsa cultura e dalla dubbia morale. I suoi negoziati per l’armistizio hanno ritardato l’ esito positivo della guerra, causando la rovina dell’ Italia e provocando un danno di incalcolabili proporzioni agli Alleati». E ancora: «Castellano era fortemente legato al prefetto fascista di Roma, Temistocle Testa. Nel condurre i negoziati per l’armistizio, una cosa sola aveva in mente il generale: diventare il plenipotenziario italiano per essere libero di mettere in opera importanti operazioni finanziarie con Testa».
Giuseppe Casarrubea, Tutte le trame di Castellano l’uomo che voleva rifare l’Italia, in la Repubblica, 7 Settembre 2003

Autunno 1945, tempo d’epurazione. Ecco un “promemoria” (in F. Gnecchi Ruscone, “Missione Nemo”, Mursia 2011, p. 239) inviato al maggiore Marchesi (dirigente di un Gruppo speciale del SIM del Regno del Sud) relativamente a Temistocle Testa, denunciato dagli Alleati per i crimini commessi quando era prefetto di Fiume e del Carnaro.
“(Testa (…) ha fatto una carriera velocissima, capo manipolo della MVSN, centurione, seniore, console, infine segretario federale, prefetto di Fiume alto commissario per la Sicilia. Come prefetto di Fiume ordinò e diresse personalmente persecuzioni in grande stile contro gli elementi antifascisti. All’atto dell’occupazione della Jugoslavia ebbe dal governo una fortissima assegnazione (centinaia di milioni) per acquisto per conto del governo di bestiame e legname in Jugoslavia. Di dette somme non diede mai conto. Poco dopo acquistò a suo nome le tenute di Maiana della Porretta e vastissimi possedimenti in Africa e altre tenute in Italia. Caduto il governo Badoglio ritornò a galla dopo l’8 settembre come capo del commissariato per i trasporti dell’Urbe. Durante questo periodo le attività del Testa sono moltissime e tutte poco oneste. In combutta con il commissario di PS Senatore Francesco, pare vendesse per conto proprio le auto requisite per conto del governo. È segnalato alla sezione CS come collaboratore della squadra di polizia fascista comandata dal famigerato Koch (…) durante questo periodo è stato incarcerato dalle SS perché ritenuto implicato nella fuga di Edda Ciano in Svizzera. Subito dopo però rimesso in libertà. È fuggito da Roma il 3 giugno 1944 (…)”.
Del criminale di guerra Temistocle Testa si parla relativamente poco. Basti pensare che esiste una sua biografia nel sito inglese di Wikipedia e non in quello italiano. Fu prefetto di Fiume dal 1938 fino al 24/1/43, quando fu assegnato all\’Intendenza servizi di guerra del Ministero.
Il nome di Testa è noto soprattutto per l’azione di rappresaglia che ordinò contro il villaggio di Podhum il 12/7/1942. L’operazione, “motivata” dal fatto che erano stati catturati dai partigiani due insegnanti fascisti, fu condotta da reparti dell’esercito, carabinieri e camicie nere, e comportò, oltre alla distruzione del villaggio, la fucilazione di 102 abitanti e la deportazione di 200 famiglie. Giacomo Scotti (“Il Manifesto”, 4/2/05) cita altri dati dell’attività di Testa: nel solo comune di Castua furono bruciati diciassette villaggi, passate per le armi 59 persone, furono deportati 842 uomini, 904 donne e 565 bambini, e furono incendiate 503 case e 237 stalle. In precedenza, il 30 maggio 1942 il prefetto Testa rese noto con pubblici manifesti di aver fatto eseguire l’internamento nei campi di concentramento in Italia di un numero indeterminato di famiglie di Jelenje dalle cui abitazioni si erano allontanati giovani maggiorenni senza informarne le autorità: “Sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia”. Il 4/6/42 gli uomini del II Battaglione Squadristi di Fiume incendiarono le case di tre villaggi ed a Kilovce furono fucilate 24 persone.
Dopo l’armistizio Testa fu a Roma, prefetto e poi governatore fino alla liberazione della città. A questo punto, stando a quanto abbiamo trovato in alcuni testi (articolo di Franco Morini: “Nome Gladio, paternità Nemo”, “Rinascita nazionale” 10/2/09 ed il citato “Missione Nemo”), si sarebbe trasferito a Milano assieme al suo “braccio destro”, il tenente degli Alpini Giuseppe Cancarini Ghisetti, che risulterebbe avere fatto parte, su incarico dell’OSS (la futura CIA) della “rete Nemo”, definita da Peter Tompkins (“L’altra resistenza”, Saggiatore 2005) “la più efficiente ed estesa rete di spionaggio in Italia, col ruolo di informatore sulle attività politiche e militari del CLNAI”. A Milano Testa andò a ricoprire il ruolo di dirigente dell’OIL (Organizzazione Italiana del Lavoro); mentre Cancarini Ghisetti fu messo a capo dell’Ufficio Intendenza del Ministero dell’Interno con la speciale mansione di sovrintendere al controllo di tutto il traffico dei trasporti, compresi i convogli automobilistici vaticani.
Il comandante della rete era Emilio Elia, “Nemo”, torinese classe 1899; capitano di corvetta in ausiliaria dal 1938, quando divenne dirigente del silurificio Whitehead di Fiume proprio mentre Testa era prefetto. Nei giorni che precedettero l’invasione della Jugoslavia nel 1941 Testa emanò un ordine di mobilitazione civile per trasferire a Livorno le maestranze del silurificio con le attrezzature più importanti: non sappiamo se Elia andò con esse, ma fu richiamato alle armi il 4/8/43 ed il 31/1/44 fu convocato allo Stato maggiore generale con “incarichi speciali”, che si concretizzarono nell’affidargli la dirigenza del “Gruppo speciale Nemo Op./Sand/II” dipendente direttamente dallo SMRE. Secondo Cancarini Ghisetti (nota del 1981 nel citato “Missione Nemo”) sarebbe stato Allen Dulles in persona a dare istruzioni al CIC di Caserta nell’agosto 1944 per creare questa struttura finalizzata ad “agganciare” il colonnello delle SS Dollmann: tra i membri di “Nemo” l’ex prefetto Testa, diventò “Tau” e (citiamo ancora Cancarini Ghisetti) “fu il tramite di un patto troppo ovvio per poter essere definito tacito, secondo il quale (letterale) dei criminali di guerra minori sarà tenuto conto a seconda delle prove di buona volontà che daranno dal momento fino alla fine delle operazioni”.
Morini cita anche un episodio apparso a pag. 707 della “Storia della resistenza reggiana” di Guerrino Franzini (Anpi 1982), relativo ad una trattativa di scambio fra prigionieri in cui era personalmente intervenuto Testa, che si era “presentato in modo molto conciliante a tali trattative, dichiarando la sua aperta simpatia per i partigiani reggiani”, e per dimostrare il suo ruolo esibì “un pezzo di seta recante un timbro del Clnai e la scritta il latore è elemento conosciuto e collaboratore di questo comando. Si pregano i comandi partigiani di dargli aiuto e assistenza”.
Dopo il 25 aprile (riprendiamo il testo di Cancarini Ghisetti) Elia fu nominato questore di Milano e fece custodire Testa in Questura dove “continuava a dare ordini al telefono come se nulla fosse accaduto”. Nella prima settimana di maggio arrivarono a Milano alcuni partigiani modenesi che richiesero Testa poiché “dichiarato dagli alleati criminale di guerra, per via dei fatti jugoslavi”. “Nemo” rifiutò di consegnare Testa tenendo la pistola sul tavolo e lo inviò a San Vittore per maggiore sicurezza. Due settimane dopo i modenesi tornarono con un ordine del CIC ma neppure questa volta Elia consegnò l’ex prefetto, lo inviò in carcere a Modena accompagnato da un ufficiale inglese di nome Podestà “responsabile nell’Inter Services Liaison Department nell’Alta Italia”. A Modena si stava preparando un grosso processo contro Testa, ma a quel punto intervenne nuovamente Allen Dulles che lo fece prelevare nottetempo da una pattuglia dell’OSS e portare a Roma, dove fu processato, prosciolto dalle accuse ma inviato in soggiorno obbligato in Calabria con la motivazione che “la sua presenza a Roma poteva essere una fonte di disordine”.
L’assoluzione di Testa fu dovuta probabilmente alle dichiarazioni rilasciate da Elia nel dicembre 1945, nelle quali lo descriveva come un volonteroso collaboratore della rete Nemo, alla quale, grazie ai suoi contatti con l’ambiente tedesco fornì importanti informazioni militari e politico-militari; al fatto che inserì nell’OIL “elementi della rete” che poterono così girare liberamente per Milano, e soprattutto per la “ricerca di agganciamento” coi Comandi germanici (va però detto che le trattative di Testa con Dollmann e Wolff alla fine non furono autorizzate dai comandi superiori).
Furono dunque queste le “benemerenze” di Temistocle Testa, morto nel 1949 presumibilmente suicida, che impedirono alle sue vittime del Carnaro di avere giustizia.
Criminali di Guerra Italiani: Temistocle Testa, La Nuova Alabarda, luglio 2011