Tra il 1975 e il 1976 a Nicolino Selis viene l’idea di creare la Banda della Magliana

[…] Esattamente cento anni dopo da quanto documentato da Bonfadini e Franchetti nella Capitale stava nascendo la prima organizzazione criminale di stampo mafioso autoctona: la Banda della Magliana. Prima degli anni ’70 la malavita era distribuita in modo inorganico su tutto il territorio romano, non vi era coordinazione tra i gruppi, ognuno di essi gestiva il proprio quartiere e non vi era il dominio di una famiglia, o di un gruppo, sulle altre, la cui economia ruotava intorno a piccoli furti, spaccio, prostituzione, gioco d’azzardo. In questo contesto si inseriscono Albert Bergamelli, Maffeo Bellicini e Jacques Berenguer, i Marsigliesi <17, un cartello criminale francese che operava il traffico di stupefacenti ed il contrabbando di sigarette dalla Turchia; i tre avevano intravisto nella Capitale la possibilità di estendere il loro business.
Per comprendere la genesi di questa associazione bisogna tornare alla fine degli anni ’70, a Roma, quando gli elementi più rilevanti della criminalità romana si costituivano in associazione. Prima di allora la malavita romana si occupava di furti, rapine ed estorsioni. Un gruppo di giovani criminali, quasi allo sbaraglio, che desideravano inserirsi nei business, come i sequestri <18, più redditizi soprattutto in quel periodo <19.
“Franco Giuseppucci era un criminale di trent’anni, apparteneva alla vecchia guardia. Faceva il fornaio e per questo era soprannominato er Fornaretto […]. Temuto e stimato, aveva ottimi canali per la ricettazione ed era molto conosciuto nell’ambiente delle corse di cavalli: agli scommettitori clandestini prestava a strozzo i soldi accumulati con le rapine, riuscendo così a riciclare il denaro […].” <20
Nel 1976 escono di scena Bergamelli, Berenguer e Bollicini per l’azione delle forze dell’ordine coordinate dal magistrato Vittorio Occorsio, il quale stava indagando sulla relazione che intercorreva tra la Loggia P2 <21, l’estrema destra, i servizi segreti e la criminalità organizzata, che lo portò ad essere ucciso il 9 luglio 1976 per mano del neofascista Concutelli <22.
“Molti sequestri avvengono per finanziare attentati o disegni eversivi…. Sono certo che dietro i sequestri ci siano delle organizzazioni massoniche deviate e naturalmente esponenti del mondo politico. Tutto questo rientra nella strategia della tensione: seminare il terrore tra gli italiani per spingerli a chiedere un governo forte, capace di ristabilire l’ordine, dando la colpa di tutto ai rossi…Tu devi cercare i mandanti di coloro che muovono gli autori di decine e decine di sequestri. I cui soldi servono anche a finanziare azioni eversive. I sequestratori spesso non sono che esecutori di disegni che sono invisibili ma concreti. Ricordati che loro agiscono sempre per conto di altri” <23, così diceva il magistrato a Ferdinando Imposimato.
L’unione delle batterie
Tra il 1975 e il 1976 a Nicolino Selis viene l’idea di creare la Banda della Magliana, nella speranza di sfruttare le diverse batterie <24 sparse nei vari quartieri romani, come racconta Abbatino agli inquirenti. Elabora il suo piano a partire dall’idea di Raffaele Cutolo, come sostiene Antonio Mancini <25. “Mentre ero detenuto insieme a Selis a Regina Coeli si parlava del fatto che a Napoli tal Raffaele Cutolo, che allora non era noto come lo sarebbe diventato in seguito, stava mettendo in piedi un’organizzazione criminale allo scopo di escludere dal territorio infiltrazioni di altre organizzazioni di diversa estrazione territoriale. Con Selis si decise di tentare su Roma la stessa operazione che Cutolo stava tentando su Napoli” <26 e ancora “si era innamorato del pensiero di Cutolo che aveva organizzato un gruppo che si opponeva a chi veniva da fuori, ovvero i siciliani che, come la si suol dire, la comandavano a Napoli Cutolo voleva difendere il suo territorio e Selis voleva fare la stessa cosa a Roma”. <27 Selis diventerà segretamente il capozona di Cutolo.
A fare parte del primo nucleo della Banda della Magliana sono: “Franco Giuseppucci, Enrico De Pedis detto Renatino, Raffaele Pernasetti, Ettore Maragnoli e Danilo Abbruciati. […] presto si aggregarono Maurizio Abbatino, Marcello Colafigli, Enzo Mastropietro” <28, due batterie Trastevere/Testaccio e Magliana, che decidono di gestire i traffici illegali su Roma.
Rapimenti, estorsioni, rapine, droga, riciclaggio di denaro sporco. “Era accaduto che Giovanni Tigani, la cui attività era quella di scippatore, si era impossessato di un’auto Vw “maggiolone” cabrio, a bordo nella quale Franco Giuseppucci custodiva un “borsone” di armi appartenenti ad Enrico De Pedis. Il Giuseppucci aveva lasciato l’auto, con le chiavi inserite, davanti al cinema “Vittoria”, mentre consumava qualcosa al bar. Il Tigani, ignaro di chi fosse il proprietario dell’auto e di cosa essa contenesse, se ne era impossessato. Accortosi però delle armi, si era recato al Trullo e, incontrato qui Emilio Castelletti che già conosceva, gliele aveva vendute, mi sembra per un paio di milioni di lire. L’epoca di questo fatto è di poco successiva ad una scarcerazione di Emilio Castelletti in precedenza detenuto. Franco Giuseppucci, non perse tempo e si mise immediatamente alla ricerca dell’auto e soprattutto delle armi che vi erano custodite e lo stesso giorno, non so se informato proprio dal Tigani, venne a reclamare le armi stesse. Fu questa l’occasione nella quale conoscemmo Franco Giuseppucci il quale si unì a noi che già conoscevamo Enrico De Pedis cui egli faceva capo, che fece sì che ci si aggregasse con lo stesso. La “batteria” si costituì tra noi quando ci unimmo, nelle circostanze ora riferite, con Franco Giuseppucci. Di qui ci imponemmo gli obblighi di esclusività e di solidarietà” <29 racconta Maurizio Abbatino, nell’interrogatorio del 13 dicembre 1992.
Un pugno di banditi di borgata riesce in poco tempo a controllare tutta Roma, con obblighi di esclusività e solidarietà, ma il desiderio di potere e comando li porta a sbranarsi tra loro. Il 13 settembre 1980 viene assassinato Giuseppucci; due anni dopo, il 13 aprile 1982 muore in uno scontro a fuoco Danilo Abbruciati.
La fine delle batterie
Con la morte di Renatino, il 2 febbraio 1990, in via del Pellegrino a Roma <30, muore definitivamente il nucleo fondatore della Banda della Magliana. <31
Scrive, poco dopo la morte di De Pedis, il sostituto procuratore Franco Ionta “La malavita romana può definirsi mafia dei colletti bianchi per il suo ruolo di riciclaggio di ingenti somme di denaro in immobili, pelliccerie e gioiellerie, ristoranti e locali notturni gestito attraverso un reticolo di società a responsabilità limitata […]. L’organizzazione è in grado di investire negli appalti di grandi opere edilizie in Sudamerica e in Africa grazie al Venerabile Licio Gelli” <32. Dice Izzo “dietro la morte di Mattarella, Concutelli mi disse che c’erano la mafia e gli ambienti imprenditoriali, ma anche esponenti romani della corrente democristiana avversa a Mattarella. Valerio aggiunse che si erano fidati di lui perché aveva garantito la Banda della Magliana” e ancora, il professor Alberto Volo “Mangiameli mi raccontò che l’uccisione del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana era stata decisa a casa di Gelli per via delle aperture al PCI che stavano maturando in Sicilia”. <33
Viene costruita una struttura capillarmente organizzata, a partire da alcune batterie, basata sul rispetto e la fiducia, che gestiva traffici illegali – droga, armi, prostituzione – e con legami forti con altre organizzazioni criminali, poteri forti, politica, terrorismo ed estremismo.
[NOTE]
17 C. Armati, Italia criminale: Personaggi, fatti e avvenimenti di un’Italia violenta, Newton Compton, 2010
18 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
19 Per un confronto sugli eventi degli anni ’70 si consigliano A. Orsini, Anatomia delle Brigate Rosse, Rubettino, 2010; G. Bocca, Gli anni del terrorismo. Storia della violenza politica in Italia dal 1970 ad oggi, Roma, Armando Curcio, 1988; http://espresso.repubblica.it/palazzo/2009/09/22/news/io-bosscercai-di-salvare-moro-1.15744.
20 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
21 Cfr. N. Di Matteo e S. Palazzolo, Collusi. Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia, BUR, 2015; A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, 1992.
22 Per un approfondimento sul terrorismo nero cfr. P. Sidoni, P. Zanetov, Cuori rossi contro cuori neri, Newton Compton Editori; A. Colombo, Storia Nera, Cairo, 2007.
23 S. Manfredi, Il Sistema. Licio Gelli, Giulio Andreotti e i rapporti tra Mafia Politica e Massoneria, Narcissus, 2014.
24 Piccoli gruppi criminali, come spiega C. Armati, Roma Criminale, cap. XVII, Newton Compton Editori 2006
25 G. Flamini, La banda della Magliana, Kaos editore 2002
26 https://www.iltempo.it/cronache/2014/08/17/gallery/rapine-droga-e-scommesse-ascesa-e-fine-diselis-il-sardo-951242/
27 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
28 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La banda della Magliana dal 1977 a Mafia Capitale, Castelvecchi, 2014
29 A. Giangrande, La mafia in Italia, Indipendently Published, 2018
30 http://www.storia.rai.it/articoli/ucciso-il-boss-della-banda-della-magliana/11973/default.aspx
31 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
32 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
33 R. di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi Editore, 2005
Pietro Tidei, La diffusione della criminalità organizzata nel Lazio. Caratteristiche del fenomeno mafioso e dinamiche evolutive, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2019-2020

Già un anno prima però il giudice di merito, questa volta il Tribunale di Roma <283, si era occupato della verifica delle fonti in relazione alla richiesta di un risarcimento del danno non patrimoniale subito per illecita lesione della reputazione avvenuta durante un servizio realizzato dal giornalista Pino Rinaldi e andato in onda l’8 settembre del 2008 nel corso della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”.
A seguito della ricezione di numerose e-mail anonime, alcune delle quali firmate con lo pseudonimo Filarete, il reporter aveva infatti montato un servizio in cui ci si interrogava circa la vicinanza dell’attore alla Banda della Magliana e sulla sua implicazione nelle vicende di tale associazione e nel sequestro di Emanuela Orlandi avvenuto il 22 giugno 1983.
Il Tribunale di Roma afferma che non può ritenersi che nel caso di specie sia stata da parte del giornalista la diligenza dovuta nell’effettuare un serio e doveroso riscontro della fonte della notizia, soprattutto se anonima, al fine di verificarne l’attendibilità: il giornalista ha infatti proceduto ad incrociare, filtrandoli, i dati di cui disponeva, provenienti dalle segnalazioni anonime e da altri elementi acquisiti (in particolare dichiarazioni di ex appartenenti alla Banda della Magliana rese nel corso di indagini giudiziarie o in altre occasioni), giungendo alla conclusione della non assurdità della notizia e della pista suggerita dall’anonimo e quindi della sua divulgabilità nella trasmissione televisiva, sia pur con tutte le cautele imposte dalle incerte origini della fonte ed il ragionato utilizzo di formule dubitative tali da non presentare alcun carattere ambiguo, insinuante, suggestionante od allusivo, bensì espresse in modo da non poter far sorgere nello spettatore medio un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l’effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati <284.
[NOTE]
283 Trib. Roma, sez. I, 16 giugno 2013.
284 L’autore del servizio conclude infatti con alcuni interrogativi: ‘M. A. sarebbe dunque M.? Oppure il nostro anonimo interlocutore per ragioni che non sappiamo ce l’ha con A. e vuole tirarlo in ballo in questa vicenda? Non conosciamo l’identità della persona che da me, celandosi dietro la firma Filarete, ci scrive attraverso un computer e non sappiamo nemmeno se la voce che 25 anni fa chiamò casa Orlandi apparteneva veramente a quel M. A. verso cui il misterioso interlocutore sembra indirizzarci. A Filarete abbiamo chiesto di mettersi direttamente in contatto con noi. E aspettiamo la sua risposta. Anche a M. A. rivolgiamo lo stesso appello, che ci contatti e ci racconti la sua verità’.
Nicolò Maria Salvi, Il requisito della verità della notizia nel giornalismo d’inchiesta, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2015-2016

A proposito, invece, di Mino Pecorelli, quest’ultimo venne assassinato la sera del 20 marzo 1979, con tre colpi di pistola calibro 7,65 munita di silenziatore. Diversi furono gli imputati, dagli appartenenti alla loggia P2 e alla Banda della Magliana fino a Giulio Andreotti. Massimo Carminati fu accusato di aver sparato e causato la morte del giornalista da Antonio Mancini, pentito della Banda della Magliana. Il nome del Cecato tornò alla ribalta in occasione del furto più importante degli ultimi decenni, quello del caveau della Banca di Roma. La notte tra il 16 e il 17 luglio del 1999, in piazzale Clodio, un furgone con gli stessi colori delle vetture dei carabinieri oltrepassò il varco su via Casale Strozzi, aperto da uno dei cinque militari dell’Arma complici della banda. Gli uomini riuscirono ad entrare all’interno della filiale della Banca, sita nel tribunale di Roma e, accompagnati da un altro militare, scesero fino ai sotterranei dove era custodito il caveau. Al suo interno erano contenute 990 cassette di sicurezza, di cui i tre indagati ne aprirono 147 e ne forzarono altre 23, per un bottino pari a 18 miliardi di lire comprendente contanti, oro e gioielli. Vennero individuati tutti i titolari delle cassette e risultò che la maggior parte di esse appartenevano a magistrati e avvocati impegnati in delicate indagini, quali l’omicidio di Pasolini, la strage di Bologna e il rapimento di Emanuela Orlandi. Si comprese, quindi, che il furto avesse un preciso obiettivo: indebolire e ricattare chi stava indagando su misteri ancora irrisolti e nei quali erano coinvolti diversi personaggi criminali, tra cui lo stesso Carminati. Dopo cinque anni di processo, l’ex Nar venne condannato a quattro anni e mezzo di reclusione per furto e corruzione, ma venne dichiarato estraneo all’accusa di associazione per delinquere. Ciò che emerse chiaramente dal susseguirsi di questi eventi, fu la paura dell’opinione pubblica nei confronti di Carminati, rendendolo una figura intoccabile.
Elisa Ercoli, La corruzione politica: da Tangentopoli a Mafia Capitale, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2020-2021