Ufficiali di marina, partigiani tra Piemonte e Savonese

Cuneo: Borgo Nuovo. Fonte: Mapio.net

Il tenente delle Armi Navali Alessandro Del Mastro aderì immediatamente alla Resistenza agendo come animatore e organizzatore delle formazioni partigiane di Torino, e prendendo parte ai combattimenti con decisione e valore. Rimasto ferito in uno scontro, poiché era attivamente ricercato fu trasferito nelle valli del Cuneense. Durante un rastrellamento fu catturato; mentre veniva trasferito a Cuneo, pur disarmato, si gettava sulla scorta e cadeva colpito a morte da una scarica.
Il tenente commissario Piero Balbo era destinato presso le Scuole C.R.E.M. di Pola, e l’11 settembre 1943 fu catturato dai tedeschi, ma riuscì a fuggire raggiungendo, il 22 settembre, la sua famiglia a Cossano Belbo (40 km a levante di Savignano, in provincia di Cuneo). Assieme al cugino Adriano, che aveva provveduto a raccogliere armi automatiche e fucili, organizzò il primo gruppo di patrioti della Valle Belbo, portandolo, entro dicembre, alla consistenza di circa 200 uomini armati. Fra dicembre 1943 e febbraio 1944, il gruppo sostenne tre scontri vittoriosi contro forze tedesche, anche in provincia di Asti, provvedendo, nel contempo, al disarmo di 11 caserme di carabinieri.
Agli inizi di marzo i tedeschi occuparono con ingenti forze, anche corazzate, la valle distruggendo tutti gli immobili urbani e rurali di proprietà della famiglia Balbo; Piero Balbo si spostò, con il reparto, nelle Langhe. Il gruppo rimase autonomo fino al mese di aprile, quando passò alle dipendenze del maggiore Mauri. Balbo, con il nome di Poli, divenne comandante di brigata, poi della 2a divisione Langhe, infine comandante di gruppo di divisioni. In questo incarico dipendevano da lui:
– la 1a divisione Giovanni Balbo, (117) comandata dal guardiamarina Ercole Varese (zona della valle Belbo e Tanaro);
– la 2a divisione Fumagalli, comandata dal sottotenente di vascello Bacchetta [n.d.r.: Giuseppe Dotta] (valli Bormida, Spigno e Uzzone, fino a Savona);
– la 3a divisione Rocca d’Arazzo, comandata dal tenente dell’Aeronautica Luigi Novello (zona della Rocca d’Arazzo, Montegrosso, Grana, Casorzo nell’Astigiano). Un complesso di circa 3300 uomini. L’importanza del reparto è dimostrata dalla presenza presso di lui di tre missioni alleate (due inglesi e una polacca), che avevano il compito di coordinarne l’azione con quella delle Forze Armate regolari e di procurare i rifornimenti aerei, che giunsero con nove lanci. Balbo riuscì anche a stabilire un utile collegamento con il tenente di vascello Augusto Migliorini, che operava in Liguria. Il gruppo ebbe sempre carattere prettamente militare, senza alcuna coloritura politica. Si distinse in numerosi fatti d’arme e contribuì alla liberazione della vasta zona nella quale operava. Per tutto il periodo delle operazioni Balbo indossò sempre la divisa di ufficiale di Marina.
Fin dall’inizio partecipò alla lotta partigiana il tenente di porto Bernardo Bruno, sorpreso all’armistizio a casa, a Cuneo. Nei ventuno mesi di lotta partecipò all’organizzazione del gruppo Damiani e del gruppo Bande armate, di Val Maira, ricoprendo l’incarico di ufficiale del gruppo dall’11 settembre 1943 al 10 aprile 1944. Dall’11 aprile al 20 giugno fu comandante della 4a banda Castellar per poi diventare vice-comandante della Val Maira, fino al 20 febbraio 1945, ricoprendo, dal 3 gennaio al 27 febbraio, il comando interinale della 2a divisione alpina Giustizia e Libertà (comprendente le Brigate Val Maira, Val Varaita, Saluzzo, con una forza totale di 1300 uomini). Dal 27 febbraio al 26 giugno 1945 svolse il compito di capo di stato maggiore della stessa divisione. Nel corso della sua attività cercò di mantenersi in contatto con gli ufficiali di Marina che operavano in zona. Assistette numerosi ex prigionieri evasi dai campi di concentramento e partecipò a tredici operazioni belliche contro le formazioni nazi-fasciste.
(117) Dal nome del padre del tenente, che con il nome di battaglia di Pinin si era arruolato nelle formazioni del figlio. Nel novembre 1944 fu gravemente ferito in un combattimento a Canelli, presso Asti. Appena guarito tornò a combattere, e fu ucciso in combattimento, a Valdivilla, presso Santo Stefano Belbo, il 24 febbraio 1945.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX, 2015, Editore Ministero della Difesa

Non hanno servito a lui, o non a lungo. Sandro era Sandro Delmastro, il primo caduto del Comando Militare Piemontese del Partito d’Azione. Dopo pochi mesi di tensione estrema, nell’aprile del 1944 fu catturato dai fascisti, non si arrese e tentò la fuga dalla Casa Littoria di Cuneo. Fu ucciso, con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carnefice-bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva arruolato nei riformatori. Il suo corpo rimase a lungo abbandonato in mezzo al viale, perché i fascisti avevano vietato alla popolazione di dargli sepoltura.
Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie. Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.
Primo Levi, “Ferro”, da Il sistema periodico, 1975

Un contesto di guerriglia diverso dal punto di vista ambientale e operativo è quello che troviamo nella parte orientale della provincia di Cuneo, dove le bande di Piero Balbo, che aveva combattuto in Grecia, e di “Primo” Rocca, che invece aiutava in Jugoslavia i partigiani titini, <157 organizzano, fin dal loro rientro in Piemonte, due gruppi che operano tra le colline langarole e le valli Belbo e Tanaro. La loro caratteristica è il movimento. Entrambi i gruppi si spostano continuamente lungo le vallate, colpendo pattuglie o colonne nemiche, recuperando armi e causando vittime, per poi ritirarsi nelle colline poco lontane, dove è difficile essere individuati. È significativo che proprio i gruppi partigiani guidati da due ex militari del fronte orientale abbiano adottato fin da subito quel tipo di guerriglia testé descritta.
[…] Ai rastrellamenti, i nazifascisti alternano altri tipi di strategie. Approfittando dell’iniziale debolezza del movimento partigiano a livello di servizio informazioni, i comandi tedeschi tentano di infiltrare nei vari gruppi spie o doppiogiochisti, in modo tale da stroncare sul nascere lo sviluppo del movimento di resistenza. Un caso, esemplare dal punto di vista dell’operatività, è quello che coinvolge i gruppi di Piero Balbo e di “Primo” Rocca. Nell’inverno del ’43, il comando della 38ª legione della GNR e quello del presidio militare tedesco di Asti tenta di infiltrare nell’area del Belbo una spia, Enrico Ferrero “Davide” di Savona; questi, a capo di un gruppo di partigiani, prende contatto con i gruppi di “Primo” Rocca e di “Poli”. L’operazione, che aveva rischiato di decimare il gruppo di Balbo, non ottiene i risultati sperati. Una parte del gruppo di “Poli” riesce ad evitare il rastrellamento tedesco, e si rifugia sulle alture di Mombarcaro. <215
[…] Le valli del Belbo, del Tanaro e della Bormida sono infatti adatte a rapidi spostamenti e, essendo nelle vicinanze di rilievi collinari coperti da fitta vegetazione, consentono di trovare un valido rifugio, ma non sono indicate per una guerra tradizionale. Il territorio, nel caso delle brigate Garibaldi ma anche del gruppo di Piero Balbo e di “Primo” Rocca, aveva «determinato» una tipologia di guerriglia, fatta di piccoli colpi di mano, di sabotaggi e di imboscate al nemico, che risulterà essere quella vincente contro le truppe tedesche. L’obiettivo della guerriglia partigiana non è finalizzato all’eliminazione dei nemici, quanto al loro logoramento materiale e psicologico, <247 tanto è vero che l’abbandono temporaneo delle vallate da parte delle truppe tedesche nell’estate-autunno sarà determinato dalla constatazione dell’impossibilità di mantenere in sicurezza un territorio come quello langarolo, con una forte presenza partigiana che organizza frequenti e repentine imboscate.
[NOTE]
[…] M. Giovana, Guerriglia, pp. 42 e s. «Piero Balbo, ufficiale di complemento nella XII Flottiglia MAS in Egeo. L’11 settembre era a Pola e, sottrattosi alla cattura, aveva raggiunto l’Astigiano, dove operava anche Davide Lajolo, comandante delle formazioni Garibaldi, ufficiale dell’esercito, con esperienze acquisite soprattutto nella guerra di Spagna», in A. Bartolini, A. Terrone, I militari nella guerra partigiana in Italia, cit., p. 200
[…] su Piero Balbo di P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, Asti, 1985 e di P. Rocca, Un esercito di straccioni al servizio della libertà, Art pro Arte, Canelli, 1984
157 “Relazione di Andreis sulla 78ª brigata”, 12.10.44 in AISRP, B 28 c
215 Anche per evitare problemi come questi, verranno creati organismi di controspionaggio. Il Co. Mi. avoca a sé le decisioni riguardanti le azioni di sabotaggio contro impianti, strade… Vengono creati a questo scopo reparti speciali, organizzati dal ten. Edgardo Sogno “Franchi”, in M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., pp. 75-76 e dello stesso autore, Guerriglia, cit., p. 47. Per l’episodio del gruppo Davide si vedano M. Renosio, Colline partigiane. Resistenza e comunità contadina nell’Astigiano, cit, pp. 84-87 e L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., pp. 325-7; P. Maioglio, A. Gamba, Il movimento partigiano nella provincia di Asti, cit., pp. 44-45 e 204-205; P. Rocca, Un esercito di straccioni al servizio della libertà, cit., pp. 31-36
247 Tra gli obiettivi primari della guerriglia, come si legge nei documenti raccolti in La guerriglia in Italia, cit., p. 63, vi è quello di «minare il morale delle forze regolari, arrecando ad esse continua molestia e infliggendo continui scacchi» . Tra i partigiani che avevano combattuto in Croazia nelle file dell’esercito regio era infatti rimasto il ricordo della «psicosi [che la guerriglia aveva] creato nei reparti italiani ivi dislocati e quali conseguenze siano molte volte derivate dallo speciale stato d’animo determinatosi fra essi in seguito alle azioni dei partigiani», in Ibidem, p. 36
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

La terza componente della Resistenza savonese, quella “autonoma”, nacque anch’essa verso la metà di settembre, quando attorno a Giuseppe Dotta “Bacchetta” e al dottor Angelo Salomone “Katia” si formò a Ravagni, presso Rocchetta di Cairo, un nucleo partigiano.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Attraverso Aldo Ronzello presi contatto con i principali esponenti liberali di Savona. Aldo Ronzello si occupava di raccogliere fondi per la brigata Savona, comandata da Giuseppe Dotta (Bacchetta). Io collaboravo in questa attività portando il denaro raccolto e spesso anche documenti falsificati ai partigiani.
So che all’interno del C.L.N. sorsero spesso contrasti tra Aldo Ronzello e il rappresentante del Partito Comunista; Aldo Ronzello infatti disapprovava gli attentati contro i nazifascisti, che potessero coinvolgere persone innocenti.
Nalda Mura, La mia esperienza nella Resistenza nel Partito Liberale Italiano e nella vita politica savonese in Quaderni Savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, ISREC, n. 12, maggio 2009

Finale Ligure (SV). Fonte: Mapio.net

La fobia anticomunista serpeggiante nelle stesse file resistenziali è ben esemplificata da una vicenda piuttosto oscura dipanatasi in parallelo alle trattative che la Quinta Brigata “Baltera” stava conducendo con gli ufficiali della “San Marco”. Il 30 ottobre 1944 si presentarono al Comando del generale Farina l’ex ufficiale sommergibilista Augusto Migliorini (a lungo sindaco di Finale Ligure dopo la guerra), e l’ingegner Galasso. Farina aveva già avuto modo di conoscere entrambi in Grecia, durante l’occupazione. I due scongiurarono il generale di non usare i comunisti (cioè i garibaldini) come tramite nelle trattative con “Mauri”, in quanto costoro tentavano di frapporsi come interlocutori unici della “San Marco”. Di fronte alla precisa domanda di Farina se Migliorini e Galasso fossero gli intermediari di “Mauri” gli interessati tentennarono, passando quindi ad asserire di possedere armi e munizioni nascoste da utilizzare contro i comunisti, alla sola condizione di poter organizzare gruppi di partigiani anticomunisti “indipendenti”, vale a dire non inquadrati nella “San Marco”. A questo punto il generale Farina aveva le idee comprensibilmente molto confuse. Per chi volevano combattere i suoi ospiti? Per i tedeschi? Per gli inglesi? “Per l’Italia” risposero Migliorini e Galasso senza specificare altro. Poi misero al corrente Farina del fatto che il rappresentante del Regio Esercito nell’Italia occupata dai tedeschi non era il Maresciallo Giovanni Messe, bensì il generale Raffaele Cadorna, e che quest’ultimo veniva di fatto scavalcato da un comitato rappresentativo dei partiti (il CLNAI). Farina discusse subito la questione con Hildebrandt, l’ufficiale tedesco di collegamento, che suggerì di dare corda ai due. La faccenda finì presto in una bolla di sapone, in quanto i tedeschi erano stati precedentemente informati che in un discorso tenuto il 22 ottobre a Nizza Monferrato, “Mauri” aveva negato qualsivoglia spaccatura all’interno dell’antifascismo militante, attribuendo tale voce alla propaganda nazifascista. Per sbrogliare la matassa sarà utile fare luce su questo punto. Migliorini, nome di battaglia “Nereide”, era legato all’anziano Maresciallo Caviglia, che frequentava sovente; in più faceva parte dell’organizzazione “Franchi” del monarchico Edgardo Sogno, medaglia d’oro della Resistenza, coinvolto in trame golpiste vent’anni dopo (Piano Solo, Gladio, ecc.). Tramite l’organizzazione, Migliorini si rese molto utile per ottenere i lanci paracadutati di rifornimenti alleati, come vedremo. Questo quadro spiega in buona parte l’ambiguità delle sue risposte a Farina. In realtà in quei giorni, a mio parere, si assisteva ad un drammatico passarsi la patata bollente tra autonomi e garibaldini, timorosi dei rastrellamenti autunnali. I garibaldini trattavano con la “San Marco” nella speranza che questa indirizzasse le sue “attenzioni” verso la zona tenuta dai “maurini”; lo stesso facevano gli autonomi, con in più l’asso nella manica dell’anticomunismo. Il tutto aveva lo scopo di far spazzare via dal nemico lo “scomodo alleato” per poi prenderne militarmente e politicamente il posto. Ma Farina, Hildebrandt e camerati non si lasciarono allettare, e quando venne il tempo scatenarono i loro uomini contro entrambi gli schieramenti, con il risultato di mettere in grave crisi i garibaldini e costringere allo sbandamento gli autonomi. Altro che fraternità d’armi!
[…] Finalmente, il 28 e 29 gennaio 1945, il distaccamento “Astengo” ricevette rifornimenti per via aerea destinati ai garibaldini savonesi. Entrambi i lanci avvennero in località Bric Garassini (presso Castelnuovo di Ceva), un punto segnalato agli Alleati con estrema precisione fin dal lontano 11 luglio. Complessivamente i partigiani ottennero 48 sten e 4 bren con munizioni, 39 cassette di bombe a mano Sipe, 20 moschetti, 100 coperte, 93 maglie di lana, 83 camicie pesanti, 60 paia di calze, 44 paia di scarpe, e ancora pantaloni, bluse, cerate e cappotti. Una gran parte del merito di questi lanci va al già citato ufficiale sommergibilista Augusto Migliorini “Nereide”, di Finale Ligure.
Stefano d’Adamo, Op. cit.

Il tenente di vascello Augusto Migliorini, capo ufficio operazioni del Comando Marina Genova, all’atto dell’armistizio, lasciato libero, aveva raggiunto la propria abitazione a Finale Ligure (Savona). Si mise in contatto con elementi della Resistenza ligure e cominciò subito a organizzare bande armate da impiegare nei sabotaggi. Per aver maggiore libertà di movimento finse di aderire alla Marina repubblicana senza ottemperare agli obblighi derivanti dalla promessa di giuramento in caso di richiamo. Nel marzo 1944 l’ammiraglio Maugeri inviò in Liguria il tenente di vascello Luigi Tomasuolo e il capitano del Genio Navale Dario Paglia a prendere contatto con Migliorini, perché assumesse la direzione del S.I.C. per la Liguria. Nonostante l’assoluta segretezza degli incontri, dopo qualche settimana dall’assunzione del nuovo incarico il contro spionaggio tedesco-repubblichino fece arrestare Migliorini dalle SS italiane che, non potendo trovare prove a suo carico, dopo un trattamento minaccioso, lo rilasciarono. Egli procedette all’organizzazione di una rete informativa le cui sezioni erano comandate da ufficiali o sottufficiali che vivevano in clandestinità in Liguria (capitano di vascello Giovanni Marabotto, capitano di corvetta Silvio Cavo, tenente di vascello Iginio Fetta, capitano del Genio Navale, direttore macchine, Natale Bossolino, sottotenente di porto Francesco Cartia, secondo capo segnalatore Briano, sergente carpentiere Percivalli). Non disponendo di una propria radio, le notizie raccolte erano portate dagli stessi informatori a Milano, al C.L.N.A.I.; Migliorini vi si recò di persona cinque o sei volte. Per cercare di migliorare il sistema di trasmissione delle informazioni, troppo lento, che faceva perdere di valore alle notizie reperite, nell’agosto 1944 entrò in contatto con il maggiore Mauri, che lo nominò proprio rappresentante in Liguria. Nel corso della conseguente attività fu arrestato tre volte, in varie località delle Alpi Liguri: la prima volta dalle Brigate Nere e riuscì a fuggire; la seconda volta dai tedeschi e, presentando documenti falsi, fu rilasciato; la terza volta ancora dai tedeschi, che avevano deciso di fucilarlo, e fu liberato grazie al provvidenziale fortuito intervento di un reparto partigiano. Con l’autorizzazione di Mauri, nel mese di agosto, prese contatto con il generale Farina, comandante la divisione di fanteria di Marina San Marco della RSI, cercando di convincerlo a disertare con tutta l’unità al suo comando. I contatti con Farina, in fondo contrario al fascismo, si mantennero su un piano di amicizia e consentirono al generale di salvare Migliorini quando questi fu arrestato dalla banda della contro guerriglia San Marco di Calice Ligure (Savona) per essere eliminato. Alla fine del 1944 Migliorini si mise in contatto con la Missione Alleata del capitano Bell, che operava nella Liguria occidentale. Tale missione era costituita da due ufficiali, uno inglese e uno americano, un sottufficiale americano, due radiotelegrafisti inglesi, e tre ufficiali italiani. Organizzò anche un incontro fra il generale Farina e Bell, ma questo fu malauguratamente arrestato durante un rastrellamento. Dopo l’arresto di Bell diventò capo della missione il maggiore Johnston, che affidò a Migliorini il compito di coordinare l’attività con il C.L.N. di Savona, coordinare e intensificare i compiti informativi, eseguire i sabotaggi. Agli inizi del 1945, Migliorini comunicò al generale Farina le condizioni che gli Alleati gli imponevano e questi le accettò fornendogli i piani delle fortificazioni, dei campi minati e dello schieramento delle truppe da lui dipendenti, ciò che consentì di catturare quasi intatte le opere esistenti nella zona occupata dalla divisione. Inoltre il generale provvide a sciogliere le sue unità anti guerriglia, fece sospendere le fucilazioni di partigiani catturati anche armati e fece liberare molti di quelli già imprigionati. Il 12 marzo 1945 Migliorini fu catturato un’altra volta dai tedeschi, riuscendo ancora a fuggire. Nell’imminenza della liberazione, la Missione Alleata si portò a Savona per meglio controllare la situazione politica nella II Zona Ligure della Resistenza. Migliorini ebbe cinque dei propri collaboratori fucilati e una ragazza condannata a 24 anni di carcere; la Missione Alleata ebbe un prigioniero e tre feriti.
Giuliano Manzari, Op. cit.