Zelasco ed altri partigiani bergamaschi caduti fuori provincia

Uno dei criteri fondamentali per l’analisi del partigianato è individuabile nella «composizione sociale del partigianato bergamasco» dalla quale si deriva la collocazione lavorativa, la forza lavoro o quella intellettuale <10; questo metodo sottintende uno stretto legame della lotta armata con la collocazione di classe degli individui.
Credo che questo criterio sia una delle tante costruzioni a posteriori che hanno aiutato la creazione della narrazione della Resistenza e che ha le fondamenta nel volume di Luigi Longo “Un Popolo alla macchia” e in quello di Battaglia  “Storia della Resistenza”.
Pur non entrando nel merito della questione vorrei fare due esempi per chiarire questa mia considerazione: il caso di Rodolfo Zelasco e di C. Entrambi muoiono in seguito alla loro scelta di disertare e di entrare nelle formazioni partigiane presenti nella zona della loro diserzione.
Rodolfo Zelasco nasce a Bergamo il 25 novembre del 1924, chiamato alle armi risponde, viene inviato presso il Centro di Arruolamento a Tirano, mandato a Müsingen. Rientra in Italia inquadrato nel btg. Tirano della div. Monterosa «dislocato tra i comuni di Sestri Levante e Moneglia esclusa» <11. Il 19 settembre Rodolfo assieme ad alcuni altri bergamaschi abbandona la formazione e si unisce alla brigata Coduri; quelli che lasciano una traccia nelle banche dati sono: Castelletti Pasquale nato a Torre Boldone, cl. 1922, Cristiani Tranquillo nato a Castelli Calepio cl. 1924, Finassi Riccardo nato a Chiuduno cl. 1924, Passi Giuseppe di Stezzano cl. 1924, Muleri Andrea nato a Cividate al Piano, cl. 1924 <12. Rodolfo cade in un’imboscata tesa dagli uomini della Monterosa il 5 dicembre 1944 e la sua memoria resta molto viva nella bergamasca: “Suo figlio Rodolfo […] studente universitario, fu di valido aiuto al padre nel portare in salvo prigionieri e nel recare aiuto ai partigiani. Diventato caposquadra della Divisione Garibaldina “Coduri”, operante in Liguria, si comportò così eroicamente che, dopo la sua morte in combattimento, venne dato il suo nome ad una delle tre brigate della Divisione”. <13
Il ricordo e la storia di Rodolfo vengono declinati in articoli di giornale, testimonianze e memorie: è un antifascista che risponde alla chiamata alle armi, non ne conosciamo il motivo ma sovente le storie non sono così lineari. Possibile anche la messa in pratica dell’infiltrazione e della propaganda distruttiva dall’interno: sicuramente è questa l’immagine che traspare dal racconto del suo comportamento <14.
Altra storia è quella che abbraccia Albino Ressi, classe 1925 nato a Zogno in val Brembana. Una sua biografia la si può trovare in due fogli nel fondo di Roberto Petrolini presso Isrec di Bergamo. Il suo nome lo ritroviamo nel volume di Luigi Borgomaneri sui Gap milanesi; difficile poi rintracciare altri dati <15. Anche Albino è uno studente, è iscritto alla facoltà di medicina dell’Università di Milano. Ha frequentato il collegio di Celana conseguendo la maturità classica, da questo fatto la considerazione che era figlio di una famiglia benestante. È inserito nelle liste di leva del dicembre 1943; rispondere alla chiamata alle armi della RSI ed è come salire su un treno che porta tanti a Novara o a Tirano e poi in Germania per addestramento. Da qui rientra in Italia e viene spedito nelle zone dove la presenza partigiana è più preoccupante; alla sua formazione compete la zona del Pavese, la Lomellina e l’Oltre Po. Non ci sono date attendibili sulla sua diserzione, entra nella brg. Crespi della div. Aliotta. Altri bergamaschi lasciano segni del passaggio alle brigate della div. Aliotta: Pietro Alessandro Algeri nato a Seriate cl. 1925, fucilato assieme ad altri 3 partigiani dalle BBNN a Pontalbera (PV) il 23 novembre 1944, Giuseppe Guarnieri nato a Vertova, cl. 1920 e Battista Lazzari nato a Grumello Del Monte cl. 1924. Il nome completo della div. Aliotta è: 3 ª Divisione Garibaldi Lombardia Aliotta, che è formalmente attiva dal 15 agosto del 1944 e che copre l’area di una zona di Genova, Tortona e Voghera. Nel gennaio del 1945 Albino è trasferito a Milano nella 3a brg. Garibaldi Gap. Il salto è notevole, da militare della RSI a militante dei Gap, che sono una struttura direttamente collegata al Partito Comunista, il suo braccio armato. Ressi partecipa alle azioni del 30 dicembre, il 7 e 13 gennaio16 che, guarda caso, oltre ad essere le uniche azioni gappiste in Milano che vengono attuate dalla metà di dicembre a fine gennaio hanno tutte le stesse caratteristiche, sono attentati dinamitardi <17, sembra esserci uno scarto di qualche giorno tra quanto afferma Petrolini e quanto riporta Borgomaneri che però non incide sulla realtà della composizione della 3a Gap: “Fra tante incertezze e perplessità è invece assodato che nel mese di gennaio la 3a Gap riceve come magro rinforzo Albino Piazzali, di cui nulla sappiamo, Luigi Arcalini («Lince») Albino Ressi e Albino Trecchi, tre ventenni provenienti dalla 87a brigata d’assalto Garibaldi “Crespi” operante nell’Oltrepo pavese. <18
Questo, accanto ai documenti che supportano l’affermazione, tutto quanto sappiamo sul periodo di Ressi che lo separa dalla sua infausta fine. Il 29 gennaio 1945 il Tribunale militare regionale di guerra condanna a morte cinque sappisti e Luigi Campegi e quattro suoi gappisti. Questa volta la risposta dei Gap è immediata ma infausta. Nel tardo pomeriggio di domenica 4 febbraio Luigi Franci, due dei gappisti da poco arrivati dall’Oltrepo, sono incaricati di deporre due ordigni ad alto potenziale all’interno della Trattoria dei vini tipici, in corso Garibaldi 17, frequentata dai mutini della vicina caserma Salinas di via Rivoli. Poco dopo le 19.00 un tremendo boato scuote il quartiere. […] Sull’asfalto ci sono i cadaveri di Albino Ressi e Albino Trecci. Franci, identificato qualche giorno dopo, è stato dilaniato insieme a Maria Silvetti. L’ordigno è deflagrato anticipatamente a pochi metri dall’ingresso del locale <19.
Albino Ressi cade a Milano in un’azione che è non difficile da rivendicare come ben dimostrano lo scritto di Petrolini e i manifesti che verranno affissi in Bergamo a fine guerra anche se delle difficoltà traspaiono.
È invece il procedere del tempo che rende difficile ricollocare le immagini dei gappisti accanto a bombe che esplodono nelle osterie e nelle trattorie; la stessa sorte coinvolge Maria (Lina) Silvetti che cade con lui, ancor oggi a Buglio in Monte (SO), suo paese di origine, la morte di Lina è da addebitare ad uno scontro a fuoco con i tedeschi. L’attentato dinamitardo, terroristico, non è facile da spiegare perché non ci sono solo i gappisti a lasciarci la pelle ma
“A parte due mutini deceduti e altri due feriti, feriti insieme a due agenti ausiliari di polizia, […] in corso Garibaldi muoiono quattro donne, un uomo di quarant’anni e un fattorino sedicenne che abitava a trecento metri dalla
trattoria. Altre dodici persone, sette delle quali donne, rimangono ferite” <20.
È importante notare che solo quando si muove la madre, Debora Ressi, ci si attiva per ricordare Albino; la biografia che Petrolini raccoglie fa riferimento ad una trasmissione di Radio Tricolore fatta l’8 giugno 1945, Visone (Giovanni Pesce) attesta la militanza di Albino nella 3 Gap Rubini, poi viene ricordato al cimitero di Bergamo il 6 luglio del 1945 e a Redona il 30 gennaio del 1946. La sua memoria, che potrebbe anche essere occasione per uno sguardo sui Gap, viene relegata negli archivi o in fondo ai volumi tra gli elenchi dei caduti <21.
Queste due piccole biografie, così lontane tra loro, indicano come il tema della diserzione scompagina la percezione cha abbiamo della Resistenza e rende obsoleti e non praticabili i collaudati sentieri della sociologia politica. Perché poi quando si diserta si finisce nella brigata più vicina, la preoccupazione di sapere se è una Garibaldi o una Autonoma è l’ultima cosa a cui si pensa. Senza contare poi che la diserzione nella fine dell’estate del 1944 non è quella della primavera del 1945, analogamente a quella della fuga dai tedeschi a fine 1943. La diserzione poi evidenzia un dato di per sé destabilizzante: l’attrazione che la Resistenza effettua non è piccola e coinvolge tutte le strutture armate della RSI. Questo avviene chiaramente in modo non omogeneo ne equamente diffuso, però gli scampoli che riusciamo a cogliere di questo problema ci consolano. «Degli oltre 90.000 partigiani piemontesi quasi 7000, il 7,7 % presenta un passaggio nelle forze della Repubblica» <22, insomma i combattenti in armi della Resistenza non sono una infima minoranza. La scelta della diserzione poi è un passaggio che non ha ritorno, chi diserta non può pensare di farla franca se lo prendono i suoi ex compagni <23. Questo, durante gli ultimi mesi del 1943 e nella primavera estate del 1944 è un passaggio duro, sia che la risposta alla chiamata alle armi fosse fatta per guadagnar tempo o sia se lo avessero fatto al rientro dall’addestramento in Germania o durante la fase di contro-guerriglia. Una volta preso il cammino della diserzione non c’è ritorno. Verissimo che ci sono casi sporadici di tentativi di riuscire a sfangarla giocando sugli arruolamenti in varie armi, dalla marina alla aeronautica alla GNR, ma sono veri e propri casi a volte conclusisi tragicamente <24.
La diserzione diventa la protagonista di questa ricerca, a cui si può aggiungere la fuga nello sfascio dell’esercito per non andare in Germania. Dentro questa situazione che si trascina per tutto il tempo della RSI; c’è certamente il peso della chiamata alle armi assieme a qualcos’altro che non è riconducibile al semplice non riconoscimento dello Stato della RSI. Credo che in certi momenti storici ci sia anche un’ansia di cambiamento, una voglia di cambiar vita di provare un modo diverso di convivere e di stare insieme.
[NOTE]
10 Indagine sulla composizione del partigianato bergamasco, in http://www.cgil.bergamo.it/SPI/index.php/ricerche-e-convegni/181-indagine-sullacomposizione-del-partigianato-bergamasco. Ricerca commissionata dallo Spi e realizzata
dall’Isrec di Bergamo, 23 aprile 1999. Questi schemi ideologici travalicano il fronte della ricerca sociologica per approdare, come nel caso dei campi di concentramento e di lavoro, ad una ferrea equazione che si traduce anche nel lessico, deportato è un politico, internato è un lavoratore coatto.
11 ELIO V. BARTOLOZZI, Memoria addomesticata. Note sulla morte di Rodolfo Zelasco, partigiano. “Studi e Ricerche di storia contemporanea”, Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, n. 76, dicembre 2011, p. 81. Rodolfo Zelasco è figlio di Giovanni, morto in seguito ad un incidente stradale ad Algua accaduto il 30 settembre 1944, cfr. ANGELO BENDOTTI, Banditen. Uomini e donne della Resistenza bergamasca, Il filo di Arianna, 2015, Bergamo, ad nomen. La mancanza o la non accessibilità ad un data-base del partigianato ligure rende difficile dare giustizia ai bergamaschi operanti in quella regione; cfr. idem, I fucilati di Calvari il 2 marzo 1945, Studi e ricerche di storia contemporanea, n. 85, Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, giugno 2016, pp. 47-59.
12 Luciano Galizzi, partigiano nella Coduri con Rodolfo, non si trova negli elenchi bergamaschi perché probabilmente riconosciuto in Liguria, su di lui: ANGELO BENDOTTI, Banditen. Uomini e donne della Resistenza bergamasca, cit., p. 372.
13 Ivi, p. 270.
14 Ivi, ad nomen.
15 due manifesti relativi a solenne commemorazione del partigiano Albino Ressi in Bergamo; si trovano in: Insmli, Fondo: Cln di Bergamo, Busta 13, Fasc. 246, Titolo del fascicolo: “Fondazione solidarietà nazionale”.
16 IsrecBG, fondo Petrolini, xxxxxx.
17 Cfr. LUIGI BORGOMANERI, Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945), Edizioni Unicopli, Milano, 2015, p. 310
18 Ivi, p. 311.
19 Ivi, p. 322.
20 Ivi.
21 Insmli,
22 MARCO RIZZI, Dalla RSI alle formazioni partigiane. Analisi di un percorso. Isrec Asti. http://www.israt.it/ebooks_download/ATCO000078.pdf. Ultima verifica 16.08.2016.
23 Un caso esemplare coinvolge Alberto Balzi di Bergamo. Classe 1925, Nel dicembre ‘44 diserta dal battaglione “Bersaglieri d’Italia” (div. Italia). Nel 1945, nei pressi di Gropparello (PC), viene catturato dai suoi ex commilitoni e fucilato come disertore. Verrà inquadrato nella divisione partigiana val Nure.
24 T.A. di Arturo dell’Oca di Andalo (SO) partigiano con la 55a brg. F.lli Rosselli; le vicissitudini di Silvio Perotto di Monza finito poi fucilato a Barzio il 31.12.1944; GABRIELE FONTANA, Considerazioni sulla cattura e fucilazione dei partigiani della 55-ma Brigata Garibaldi Fratelli Rosselli: Baitone della Pianca (30 dicembre 1944), Studi e Ricerche di Storia Contemporanea, n. 77, giugno 2012, IsrecBg.
Gabriele Fontana, Partigianato Bergamasco Fuori Provincia, Associazione Culturale Banlieu

Rodolfo Zelasco. Fonte: Archivio Coduri cit. infra

04/11/2009 – Questa testimonianza e l’allegata documentazione, in gran parte inedita, che sono lietissimo di ospitare e pubblicare, mi è pervenuta direttamente dalla Sig.ra Angela, sorella di Rodolfo Zelasco, tramite il sig. Enzo Galizzi, figlio di Luciano Galizzi, partigiano “Argo”, Div. “Coduri” (del quale si parla più diffusamente nel Doc.7 di questa stessa rassegna) da sempre molto legato alla Famiglia Zelasco. E in particolar modo al compianto Rodolfo “Barba”, col quale oltre che coscritti bergamaschi sono stati insieme commilitoni, poi partigiani nella “Coduri”, e in ultimo, compagni di quello stesso gruppo di patrioti che il volontario sacrificio di Rodolfo Zelasco “Barba” riuscì a salvare da sicura morte.
E inoltre, ritenendola significativa e valida testimonianza, desidero riportare qui l’ultima e-mail pervenutami dal Sig. Enzo Galizzi in occasione dell’ultimo invio di documentazione riguardante Zelasco: “Alcune parole su questo Eroe ritengo valga la pena di spenderle. La testimonianza della sorella e del fratello, quindi la conoscenza di due persone con lo stesso suo sangue nelle vene, mi porta ad esprimere un giudizio, cosa che solitamente non faccio. La loro stupenda fierezza è pari solo alla loro estrema semplicità.
La sorella di Barba (Sig.ra Angela) è stata insegnante del Liceo Classico Sarpi (Liceo ritenuto il più severo e selettivo della città e della provincia di Bergamo), eppure conoscendola, è persona molto semplice, simpatica e particolarmente espansiva. Tanto per dire, pur essendo in pensione da molti anni la settimana scorsa s’è recata ai funerali di un suo ex alunno. Infatti ha sempre tenuto vivi i contatti con i suoi ex allievi che, a loro volta, l’hanno sempre portata in palmo di mano. Il fratello Paolo, sicuramente con un grado d’istruzione molto elevato, si è ritirato quasi in un eremo: vive infatti in una località sperduta, ma molto bella, all’estrema periferia di Castelli Calepio, comune molto vicino al lago d’Iseo. Parlando, da loro traspare una grande e amorevole voglia di ricordare il fratello Nani, e quando lo nominano usano sempre questo vezzeggiativo. E con sdegno rifiutano l’accostamento tra “Barba” e l’alpino della Monterosa facente parte della squadra che provocò la morte, in combattimento, del fratello, e che morì pure lui nello stesso giorno: ma in circostanze confuse e ancora non chiarite fino in fondo. L’amarezza e la delusione che ne hanno tratto li ha posti in uno stato d’animo tale da mettere persino in discussione il fraterno rapporto intercorso fino allora con l’A.N.P.I. di Sestri Levante. (Per altro con esclusivo riferimento ai soli dirigenti, come viene detto in altre parti di questa rassegna. E in futuro riportando anche una serie di lettere contenute nel Fasc. 15 dell’Archivio originale della Coduri, già altre volte citate, parzialmente, in questo sito – (n.d.a.).
Continua il Sig. Enzo: – I racconti di mio padre, m’avevano fatto pensare a Zelasco come a un personaggio eroico, quasi da romanzo mitologico. Effettivamente, mio padre, da “Barba” ha ricevuto il dono di aver salva la vita. Per quello, e forse per i racconti divenuti sempre più labili nella mia memoria, di Rodolfo Zelasco conservavo un’immagine quasi da protagonista di un film, mentre parlando con i suoi famigliari, e leggendo le varie testimonianze su di lui, ho preso coscienza dell’Uomo Zelasco: Rodolfo, Nani, “Barba”: ed anche Vittorio, perché anche quest’ultimo era un suo secondo nome di battesimo. Tra l’altro, voglio citare qui un altro fatto, che pensavo non rilevante, nei racconti che mio padre spesso mi faceva: nell’imminenza del viaggio di ritorno dalla Foresta Nera, era proprio Zelasco che cercava di convincere quanti più commilitoni gli era possibile, dato il loro stato di quasi coercizione, di tentare una fuga in massa giunti che fossero nelle vicinanze di Verona, . Era riuscito a coinvolgere così tanti suoi compagni, che i tedeschi a guardia del convoglio ferroviario su cui viaggiavano avevano raddoppiato le guardie e avevano più che triplicato le razioni di vino e di cordiale da distribuire agli alpini per tenerseli buoni. Si potrebbe disquisire ancora molto su questa stupenda Persona: potremo farlo sicuramente in futuro”.
Rodolfo Zelasco “Barba”. (Preambolo dell’autore). – Nel pormi di fronte al problema di come esporre le vicende che riguardano Rodolfo Zelasco “Barba” nel modo più acconcio a quanto lui, nella sua breve vita riuscì a realizzare, non mi sono mai sorte delle grosse titubanze. In presenza di una così cospicua raccolta di documenti ufficiali, riconoscimenti vari, attestazioni di amicizia e di stima messami gentilmente a disposizione dalla famiglia, m’è parso quanto mai naturale, a mia volta, esporla alla libera consultazione di tutti coloro ai quali potesse interessare. Senza altre aggiunte: perché da queste stesse carte emerge pienamente quanto mai fosse matura, coerente, forte e limpida la personalità di questo giovane combattente per la Libertà. Libertà con la L maiuscola, s’intende.
Il partigiano Zelasco: indole schietta e generosa, intelligenza aperta e fantasiosa, condivise fin da bambino i sentimenti di sdegno, di umiliazione e di rivolta contro il fascismo che il padre non sapeva né nascondere né attenuare neanche di fronte a persone estranee, che gli potevano anche nuocere facendogli la spia.
Dopo il 25 luglio 1943, Rodolfo si mise subito a disposizione dell’antifascismo rivelando decisione, sangue freddo e una tacita abnegazione. Sapeva mantenere il segreto come un vecchio cospiratore. Soltanto dagli amici si seppe che una volta era stato preso a fucilate dai fascisti mentre stava distribuendo manifesti e giornali della cospirazione bergamasca; e soltanto dai testimoni e da qualche beneficato conosciamo adesso quanto sia stata luminosa l’opera portata a avanti da suo padre, e da lui, per salvare, dopo il 8 settembre ’43, centinaia di prigionieri e di perseguitati politici.
Sotto il nome di “Barba” fu caposquadra nella Divisione Garibaldina “Coduri” operante in Liguria: nel Tigullio e il suo entroterra. Sempre primo nei combattimenti, sempre volontariamente pronto alle imprese più rischiose, egli non pensava mai a se stesso; e sostituiva i compagni stanchi nelle lunghe ore di guardia senza dire una parola, e cedeva loro le cose che gli erano destinate, e di cui anche lui aveva estremo bisogno, sempre sorridente e sempre sereno; e, umile come sanno essere solo le persone d’animo nobile, lasciò che i compagni lo credessero un operaio politicamente molto avanti e interessato; e per non creare disparità o imbarazzi tra i compagni, senza mai rivelare d’essere studente universitario.
Il suo comportamento meravigliosamente calmo nelle azioni più temerarie, la sua abnegazione pronta ad ogni sacrificio per la causa e per i compagni, la sua parola pacata e pur vibrante di passione purissima, sono ricordate con fierezza e con amore da tutti i garibaldini della Divisione “Coduri”.
Morì per salvare i suoi compagni. Ferito alle gambe, ordinò loro di ritirarsi senza perdere altro tempo nell’ormai vano tentativo di portarlo, insieme a loro, in salvo. E dopo averli allontanati, continuò a sparare contro il nemico fino all’ultima cartuccia.
Alla sua memoria è stata proposta la medaglia al valor militare (poi concessa dal Presidente della Repubblica con Decreto del 29 aprile 1950, n.d.a.). E il suo nome divenne un vessillo e uno stimolo per i partigiani della Coduri che vollero ricordarlo dando il suo nome a un Distaccamento, divenuto poi Brigata: La Brigata “Zelasco”, a lui intitolata, che fu tra le più gloriose formazioni partigiane appartenenti alla Div. “Coduri”. La canzone dei garibaldini della “Coduri” ricorda tuttora, ad ogni suo ritornello, la memoria di lui declinando alla fine di ogni strofa il suo nome.
E a fine guerra, il suo Comandante, “Virgola”, ne volle accompagnare di persona il suo feretro a Bergamo, e ne volle trasportare per un tratto, assieme ad altri partigiani della “Brigata Zelasco” provenienti insieme a lui da Sestri Levante, la bara sulle spalle. Una corona d’alloro o un mazzo di fiori di bosco e una piccola lastra di marmo segna ancora oggi il posto dov’egli è caduto; e una lampada votiva illumina sempre la sua immagine sulla lapide che la pietà, l’amore e la riconoscenza dell’umile popolazione di Montedomenico, chiese fosse posta sulla facciata della chiesa del paesello dov’egli si era così nobilmente immolato.
Rodolfo Zelasco, il leggendario “Barba”, Nani il moretto dagli occhi azzurri troppo melanconici, volle emulare il padre e ne seguì la sorte” […]
Redazione, Doc. 8: Ricordo di Rodolfo Zelasco, “Barba”, partigiano della Coduri, Archivio Coduri Fonti per la Storia