1943. Natale di sangue in provincia di Savona

Savona: Madonna degli Angeli. Fonte: IVG.it

La sera del 23 dicembre 1943, un ordigno venne lanciato nella Trattoria della Stazione in via XX settembre a Savona all’indirizzo dello squadrista Bonetto che rimase ferito e causò la morte di altre sette persone, fra cui un ufficiale tedesco. I fascisti avrebbero voluto disporre un’immediata rappresaglia ma i tedeschi preferirono usare metodi diversi. Il 24 e 25 dicembre infatti c’erano parecchi prigionieri politici che affollavano le carceri di Sant’Agostino, le camere di sicurezza della Questura, le celle dei Carabinieri e della Milizia.
L’avvocato Cristoforo Astengo fu ricondotto subito a Savona dalle carceri di Marassi a Genova, mentre a Finalmarina il collega avvocato Renato Wuillermin, venne arrestato durante la messa. La notte di Natale ed il mattino dopo, nella Federazione savonese i capi fascisti si riunirono per decidere i “provvedimenti da adottare”. Erano quasi le ore 5 del 27 dicembre, quando sette arrestati furono prelevati dal carcere di S. Agostino e portati con un cellulare della Questura, nella caserma della Milizia di Corso Ricci, in cui si tenne di nuovo una “seduta straordinaria” di un sedicente Tribunale militare.
La condanna disposta fu pena di morte mediante fucilazione con esecuzione immediata. Un’ora dopo i prigionieri furono condotti al forte della Madonna degli Angeli dove si trovavano ad attenderli un plotone di esecuzione formato da 40 repubblichini, comandati da Bruno Messa. I morti furono: Cristoforo Astengo, avvocato, di anni 58; Renato Wuillermin, avvocato, di anni 47; Carlo Rebagliati, falegname, di anni 47; Arturo Giacosa, operaio, di anni 38; Amelio Bolognesi, soldato, di anni 31; Francesco Calcagno, agricoltore, di anni 26; Aniello Savarese, soldato, di anni 21. Per Astengo, Calcagno e Rebagliati fu necessario il colpo di grazia.
Redazione, Savona, vittime del “Natale di sangue” del ’43: commemorazione al Forte della Madonna degli Angeli, IVG.it, 24 dicembre 2012

Savona fu la prima città della regione, in ordine di tempo, a subire una grossa rappresaglia nazifascista.
Nel periodo delle feste natalizie la lotta nel savonese aveva del resto raggiunto una fase di acutezza che forse nelle altre province liguri doveva ancora verificarsi.
Il moltiplicarsi dei minacciosi bandi germanici in materia civile e militare e delle più severe restrizioni economiche, le spedizioni punitive effettuate dagli squadristi, ma soprattutto le notizie dei duri rastrellamenti iniziati contro i gruppi partigiani di montagna e il rincrudire della repressione poliziesca contro gli scioperanti del 21 dicembre Impegnavano le G.A.P. cittadine ad accentuare l’attività in campo militare aumentando le azioni armate contro i collaborazionisti e le truppe occupanti.
La sera del ventitré dicembre una bomba di notevole potenza, lanciata nella “Trattoria della Stazione” (luogo di ritrovo, in via XX settembre, di fascisti e tedeschi) causò 5 morti e 15 feriti (tra questi ultimi uno dei più noti collaborazionisti lo squadrista Bonetto accanito persecutore degli antifascisti savonesi).
Dopo avere immediatamente disposto il coprifuoco dalle ore 18 e la chiusura di cinema teatri e locali pubblici le autorità germaniche, anziché permettere ai fascisti una incontrollata azione di rappresaglia, suggerirono l’opportunità di dare un maggior rilievo all’avvenimento con una “punizione esemplare” che consentisse di approfittare della circostanza per eliminare alcuni tra gli antifascisti di maggior prestigio politico locale.
Naturalmente tale compito venne lasciato alle autorità italiane di polizia e ai fascisti i quali, dopo aver inutilmente offerto 100.000 lire di premio per chi avesse fornito notizie sugli autori e sui mandanti dell’attentato, precedettero (per iniziativa del capo della provincia Mirabelli) nella stessa notte dal 23 al 24 dicembre ad effettuare numerosi arresti di cittadini sospettati di avere sentimenti antifascisti.
Ma gli obiettivi sulle persone da colpire erano già abbastanza precisi: la questura savonese procedette, infatti, quasi contemporaneamente, in collaborazione con quella di Genova a far tradurre a Savona dalle carceri di Marassi (dove si trovava da 2 mesi) l’avvocato Cristoforo Astengo, esponente del movimento Giustizia e Libertà; la sera stessa del 25 si aggiunse alla lista degli arrestati un esponente del movimento cattolico, l’avvocato Renato Wuillermin, di Finale Ligure. A Quiliano si ricercava intanto all’avvocato Vittorio Pertusio che sfuggi miracolosamente alla cattura.
I fascisti tenevano intanto concitate riunioni in Federazione nel corso delle quali squadristi e militi chiedevano a gran voce che si desseo un duro esempio.
Fu durante una di queste riunioni, e precisamente il mattino del giorno di Santo Stefano che viene redatta la lista di 7 antifascisti da deferire al Tribunale Militare Straordinario quali “mandanti morali” dell’attentato di via XX settembre.
Il mattino del 27 dicembre, alle 4, vennero così prelevati dal carcere di Sant’Agostino, (incatenati tra loro in due gruppi) e condotti, su un furgone della questura, alla caserma della milizia in corso Ricci, gli antifascisti:
Cristoforo Astengo avvocato di 56 anni
Renato Willermin avvocato di 47 anni
Francesco Calcagno contadino di 26 anni
Carlo Rebagliati falegname di 47 anni
Arturo Giacosa prima operaio di 38 anni
Amelio bolognesi soldato di 31 anni
Aniello Savarese soldato di 21 anni
La sentenza di morte venne pronunciata frettolosamente nella sala del comando della milizia. Gli imputati non vennero interrogati ne fu loro contestato alcun reato. Tanto meno venne loro permesso di discolparsi; Non vennero escussi testi di accusa o a difesa.
Alle 6 il furgone poteva già ripartire con i condannati verso il forte di Madonna degli Angeli dove li attendeva un plotone di esecuzione formato da 40 militi. Anziché essere esposti al tiro dei fucili del plotone, i condannati, sempre incatenati gli uni agli altri, vennero invece obbligati (dal seniore della milizia Rosario Privitera) a voltare la schiena e furono falciati dalle raffiche di un fucile mitragliatore manovrato da 3 militi. Le sventagliate fecero cadere le vittime gli uni sugli altri. Alcuni tra cui Astengo, Calcagno, Rebagliati, soltanto feriti. Fu il brigadiere di pubblica sicurezza Cardurani che li finì a revolverate scaricando poi l’arma sui corpi già privi di vita degli altri caduti.
La gravità dell’eccidio venne subito denunciata alla cittadinanza da un volantino emesso dal C.L.N.
Venne anche effettuato un breve sciopero di protesta nelle fabbriche di Savona e di Vado Ligure.
Un grande senso di sbigottimento e di dolore pervase le forze antifasciste liguri e la cittadinanza.
fonte: Cronache Militari della Resistenza in Liguria di Giorgio Gimelli
Redazione, Forte della Madonna degli Angeli (Savona) 27 Dicembre 1943, ANPI Genova, 29 dicembre 2018

Nella tarda serata del 23 dicembre a Savona nella trattoria della stazione in via XX Settembre contro il picchiatore fascista Bonetto venne lanciata una bomba che lasciò a terra 5 morti e 15 feriti, tra cui lo squadrista.
I fascisti colsero questa tragica occasione per reagire duramente, ma anche per dare a tutti “un esempio”.
La polizia e la milizia offrirono inutilmente un premio (100.000 lire) a chi avesse fornito notizie sugli autori dell’attentato. Il capo della Provincia F.Mirabelli ordinò numerosi arresti di persone sospette di antifascismo: le carceri del Sant’Agostino, le camere di sicurezza della Questura, le celle dei Carabinieri e della Milizia rigurgitarono di arrestati. Alla fine con presunte e artefatte motivazioni, dopo aver scelto 7 vittime tra i detenuti politici, il Tribunale Militare riunito in seduta straordinaria ne decretò la “condanna a morte mediante fucilazione con esecuzione immediata”.
Un’ora dopo la sentenza, i condannati vennero condotti al Forte Madonna degli Angeli: di fronte al plotone di 40 militi il 27 dicembre ’43 vennero assassinati Astengo Cristoforo, Wuillermin Renato, Calcagno Francesco, Rebagliati Carlo, Giacosa Arturo, Bolognesi Aurelio e Savarese Aniello e furono in tal modo sacrificati dalla crudeltà nazifascista.
Le piazze di Savona e di Vado rividero di nuovo gli operai e una folla straripante di giovani, di donne, di gente comune che con lo stesso risentimento si unirono a loro per lanciare pesanti accuse contro gli assassini. Durissimi uscirono anche i comunicati del C.L.N. nei quali figurava a grandi lettere un severo monito, quasi a prefigurazione di quanto accadrà dopo neanche due anni: “il sangue dei Caduti per la libertà ricadrà inesorabilmente sugli assassini di questo orribile gesto”.
Almerino Lunardon, La Resistenza vadese, Comune di Vado Ligure, Istituto Storico della Resistenza e dell’età Contemporanea della provincia di Savona, 2005

A Finale Ligure gli sbirri dell’UPI arrestarono l’avv. Renato Wuillermin mentre assisteva alla Messa di Natale. L’avv. Vittorio Pertusio di Quiliano, fermato, venne lasciato fuggire da un brigadiere della GNR. Tutti questi arresti testimoniano la furia investigativa delle autorità repubblicane: nemmeno il premio di 100000 lire per i delatori era servito ad aver ragione del ferreo alone di segretezza che circondava i GAP. Intanto i fascisti, riuniti presso la Federazione, invocavano una vendetta esemplare. La mattina del giorno di Santo Stefano, durante una riunione cui presero parte il Capo della Provincia Mirabelli, il Federale Bianchi, il Console della Milizia Luigi Aglietti, il Questore dott. Pinna, il capitano dei Carabinieri Mirco Sigliotti e Cattaneo e Possenti dell’UPI, si stilò una lista di 7 antifascisti da deferire ad un costituendo “Tribunale Militare Straordinario” (non quello “legale”) quali “mandanti morali” dell’attentato. Alle 5 del mattino del 27 dicembre 1943 i sette accusati furono tradotti innanzi al “Tribunale Militare”, riunito in seduta straordinaria presso la caserma della Milizia in Corso Ricci. Tale “Tribunale”, ‘ritenendo superfluo perdere tempo con interrogatori e formalità essendo a tutti noti i crimini dei detenuti, mandanti morali degli assassini’ (così si espresse il capitano dei Carabinieri Sigliotti), notificò ai sette la sentenza: “condanna a morte mediante fucilazione. Esecuzione immediata”. Tempo un’ora i condannati erano già al Forte Madonna degli Angeli, dove li attendeva il plotone di esecuzione: 40 militi comandati dal capomanipolo Bruno Messa. Prima dell’esecuzione
il Seniore della Milizia Rosario Previtera costrinse le vittime a voltare la schiena agli assassini e gridò loro: “Così devono crepare i traditori! Vi daremo tanto piombo da far capire a tutti i savonesi come devono comportarsi, se vogliono vivere!”. Detto ciò, tre militi sventagliarono raffiche di mitragliatrice sui sette. Il brigadiere di Pubblica Sicurezza Cardurani finì i feriti a revolverate. Caddero quel giorno: l’avv. Cristoforo Astengo; l’avv. Renato Wuillermin; Francesco Calcagno; Carlo Rebagliati; Arturo Giacosa; Aurelio Bolognesi; Aniello Savarese.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Fonte: IVG.it

La situazione in città [Savona] è estremamente tesa. L’insofferenza per l’esito incompiuto degli scioperi, la fame, la paura dei bombardamenti e delle improvvise retate fasciste moltiplicano gli episodi di violenza. Prima dell’aprile 1944, quando il rientro in Italia di Togliatti formalizzerà la scelta decisiva del PCI di condurre la guerra al fascismo e al nazismo in accordo con tutte le forze democratiche, sul finire del ’43 nel Partito emerge la volontà di rivendicare la superiorità d’azione rispetto ad altre più tiepide componenti antifasciste, anche al prezzo di introdurre modalità di lotta più cruente. Si delineano due strategie complementari: da un lato, colpire al cuore i gerarchi fascisti e le truppe tedesche con uccisioni o attentati dinamitardi mirati; dall’altro, sostenere le agitazioni operaie ricorrendo alla lotta armata. Questi nuovi obiettivi “segnano anche per Savona l’avvio della guerriglia urbana”.[24] Ne sono protagonisti i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), organizzazioni alle dipendenze del Partito comunista, con rarissime componenti azioniste e socialiste e, per lo più, invise ai democristiani e ai liberali.[25]
Il Partito comunista, originariamente contrario all’ideologia e alla pratica terroristica ma spinto ora dall’urgenza di fronteggiare l’occupazione e dalla necessità di spezzare il fronte nazifascista, cerca a fatica di convincere i militanti di base e i quadri delle fabbriche ad accettare il ricorso alla lotta armata e al terrore. Affida questa modalità d’azione ai gappisti, nuclei urbani composti da 4 o 5 individui selezionati e disposti a morire per la causa. Sono uomini che vivono in clandestinità, separati dalla classe operaia da cui solitamente provengono. Definiti “soldati senza uniforme” e senza volto, colpiscono a sangue freddo i loro bersagli, studiano minutamente le abitudini del nemico per coglierlo di sorpresa nella quotidianità, quando si trova nelle vicinanze di casa, al cinema o al ristorante.[26] Alla loro violenza selettiva corrispondono le feroci reazioni dei fascisti e dei nazisti che agiscono con violenza indifferenziata tanto su prigionieri politici e partigiani quanto sulla popolazione civile inerme, in un crescendo di ritorsioni.
E’ quanto avviene a Savona, la sera del 23 dicembre, quando una bomba di grande potenza viene lanciata contro la “Trattoria della Stazione”, in via XX Settembre, luogo abituale di ritrovo di tedeschi e fascisti. Nell’immediato, l’ordigno provoca 6 morti (di cui uno iscritto al Partito fascista repubblicano) e 13 feriti, tra i quali 3 iscritti al PFR, un militare tedesco e il famigerato picchiatore squadrista Pietro Bonetto, persecutore accanito degli antifascisti savonesi.[27]
Nella notte fra il 23 e il 24 dicembre le autorità fasciste, sopraffatte dai tedeschi nella gestione degli scioperi, colgono l’occasione offerta dall’attentato per scatenare la prima gravissima rappresaglia urbana in città, assumendone interamente la guida. Per questo, da subito, effettuano arresti di cittadini semplicemente sospettati di simpatie antifasciste. Ma, contro il progetto di una “notte di San Bartolomeo” avanzata dai fascisti, gli occupanti scelgono la strada della “punizione esemplare” consistente nell’eliminazione fisica di alcuni tra gli antifascisti più noti e di maggiore autorevolezza ritenuti, in assenza di reali colpevoli, i “mandanti morali” dell’attentato. Il mattino del giorno di Santo Stefano viene così redatta una lista di 7 antifascisti da deferire al tribunale Militare Straordinario. Tra i prigionieri c’è chi è stato tradotto dalle carceri genovesi di Marassi (l’azionista Cristoforo Astengo) o savonesi di Sant’Agostino (i comunisti Francesco Calcagno, Carlo Rebagliati e Arturo Giacosa e i partigiani della “Stella Rossa” Aurelio Bolognesi e Aniello Savaresi) e chi è stato prelevato direttamente dalla sua abitazione (il cattolico Renato Vuillermin).
Il 27 dicembre, alle ore 4.00, i sette prigionieri vengono tratti dal carcere di Sant’Agostino e, in catene, trasportati nella caserma della Milizia in Corso Ricci, dov’è allestito “in seduta straordinaria” il Tribunale Militare. La sentenza è pronunciata frettolosamente nella Sala del comando della Milizia. I prigionieri non sono né interrogati né imputati di alcun reato. Viene loro comminata la “condanna a morte mediante fucilazione” con “esecuzione immediata”, in quanto, appunto, “mandanti morali” dell’attentato.
Alle 6.00 il furgone che ha prelevato i 7 antifascisti dal carcere riparte ora dalla Caserma della Milizia e si dirige verso il Forte della Madonna degli Angeli. Qui, i condannati sono attesi da un plotone di esecuzione di 40 militi, tra cui figurano 5 allievi ufficiali sotto il comando di Bruno Messa, Capo manipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Il Seniore della milizia, Rosario Previdera, ingiuria i condannati e, in segno di disprezzo, li obbliga a voltare la schiena. Ordina quindi il fuoco con la mitragliatrice. Tre militi sparano sui sette condannati. Astengo, Calcagno e Rebagliati sono soltanto feriti. Allora il Brigadiere di P. S. Cardunati li finisce a revolverate e scarica poi l’arma anche sugli altri quattro, già privi di vita.
Nel “Natale di sangue”, a Savona, muoiono: due avvocati, Cristoforo Astengo e Renato Vuillermin, di 56 e 47 anni; Francesco Calcagno, contadino, di 26 anni; Carlo Rebagliati, falegname, 47 anni; Arturo Giacosa, operaio, 38 anni. Con loro vengono fucilati due soldati: Aurelio Bolognesi e Aniello Savaresi, di 31 e 21 anni.
La sciagurata scelta di individuare tra i presunti colpevoli della bomba alla “Trattoria della stazione” una nutrita rappresentanza delle categorie socio-economiche presenti nel territorio, dai professionisti agli ex-soldati attraverso artigiani, operai e contadini, conferma una precisa realtà: la consistenza dell’antifascimo savonese, ben radicato, alla fine del ’43, presso tutti gli strati sociali. Un fenomeno di cui le autorità naziste e fasciste hanno piena consapevolezza.
[24] Cfr. AMICO, op. cit. [Giorgio AMICO, Operai e comunisti. La resistenza a Savona (1943-1945), GiovaneTalpa, Gorgonzola (MI), 2004, pp. 6-11], p. 34.
[25] Marcello FLORES, Mimmo FRANZINELLI, Storia della Resistenza, Laterza, Roma-Bari 2019, p. 315-317.
[26] Santo PELI, Storie di Gap, Einaudi, Torino 2017, pp. 6-7. Sulla complessa e delicata questione dei Gap, a titolo indicativo, cfr. il Comando generale del CVL che le definisce “formazioni di pochi uomini aventi per compito l’azione terroristica contro i nemici e i traditori, azioni di sabotaggio contro le vie di comunicazione, i depositi del nemico, ecc.” Sulla storiografia dei Gap, che per decenni ha alternato alla mitizzazione lunghi silenzi, cfr. Santo PELI, I Gap nella Resistenza, https://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2015/08/Zap32-12_In-cantiere-1.pdf
[27] Cfr. il massacro del “Natale di sangue” nell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia all’url http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=1359

Giosiana Carrara (Direttore scientifico e didattico ISREC “U. Scardaoni” di Savona), Il “Natale di sangue” al Forte della Madonna degli Angeli in Savona. Dall’antifascismo alla nascita della Resistenza, 16 aprile 2020, Ilsrec