Al suo rientro in Francia, Barontini, sulla falsariga di quanto gli era capitato in Unione Sovietica, viene posto in una condizione di isolamento da parte del partito

Ilio Barontini nasce a Cecina il 28 settembre 1890 da Turildo ed Emilia Marrucci, genitori entrambi provenienti da famiglie contadine maremmane. Egli è il secondo di 5 fratelli. Il primogenito, Corrado, è nato in Calabria, laddove Turildo, operaio dei Wasmut <1, era stato inviato al fine di cercare l’erica arborea, la radica che serve a produrre le pipe. Il terzo e quarto figlio, Italo e Bruno, vengono al mondo ad Anzio. Il quinto, Illico, a Livorno, dove la famiglia al completo si era trasferita nel 1905, allorquando a Turildo erano state affidate le redini della fabbrica <2. È proprio dal padre, sostenitore di ideali anarchici, che Ilio desume, e rielabora a proprio modo, la vocazione per la giustizia sociale e per i bisogni della povera gente <3. In tal senso, appena quindicenne, Ilio diviene socialista e si iscrive al sindacato dei tornitori <4. Nel 1913 si sposa con Cornelia Garzelli, da cui avrà due figlie: Nara nel 1915 ed Era nel 1923. I due coniugi vivono nella casa dei genitori di lui, in via Castelli.
Nel 1915, causa l’entrata dell’Italia in guerra <5, Ilio, che non ha fatto il servizio di leva, viene richiamato alle armi ed esonerato pochi mesi dopo, venendo destinato alla produzione bellica alle officine Breda di Sesto San Giovanni. Finita la guerra e smobilitato, viene assunto come operaio tornitore nelle Ferrovie dello Stato.
Dalla nota prefettizia al Ministero dell’Interno del 9 febbraio 1920 sappiamo che Ilio fa parte del comitato federale del Partito Socialista Italiano <6. Nello stesso anno, diviene consigliere comunale con il sindaco socialista Uberto Mandolfi ed esercita la delega alle finanze come assessore supplente <7. Successivamente al I Congresso del Partito Comunista d’Italia <8, Barontini, che aderisce alla neocostituita formazione, viene eletto segretario della sezione di Livorno e, nel II Congresso del 1922, segretario della federazione Pisa-Livorno.
Nel frattempo, la violenza delle squadre fasciste è in continuo aumento ed interessa, tra l’altro, l’amministrazione comunale livornese, con spedizioni punitive ai danni di assessori e consiglieri, tra le quali spicca l’eccidio perpetrato nell’abitazione della famiglia Gigli la notte del 2 agosto 1922. Anche in casa Barontini, «le perquisizioni divennero una violenza abituale, le visite sgradite, i controlli si infittirono» <9. A partire dal 1923, Ilio finisce più volte in galera, accusato di ordire complotti comunisti nei confronti dello Stato. Malgrado la stretta sorveglianza cui è posto, egli rimane fermo nella sua militanza politica e nella sua opposizione al fascismo. In seguito all’arresto del luglio 1927, Barontini è posto dinanzi al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato <10, ma viene assolto per insufficienza di prove. È la lettera del 20 dicembre 1932, che Ilio invierà da Parigi alla moglie Cornelia, ad esplicare il comportamento da lui tenuto nel periodo successivo a tale rilascio: “Preciso per quanto non ve ne sarebbe bisogno, dopo che uscii di prigione da Roma, è bene che vi persuadiate che io ho ingannato voi, ingannando nello stesso tempo la polizia ed il fascismo in genere, finsi di fare il dormiente ma a ragione veduta ho sempre diretto il movimento politico rivoluzionario in una vasta zona, ciò che è sorprendente è che per diversi anni sono riuscito a farla franca […]” <11.
In seguito ad un nuovo provvedimento di arresto, Barontini decide di accogliere l’invito ad emigrare, rivoltogli dal centro estero del partito, e di oltrepassare, clandestinamente, il confine. L’espatrio di Ilio, insieme ad Armando Gigli <12 e Decimo Tamberi, avviene, via mare, nella notte del 1° maggio 1931. La figlia Era rammenta così quell’avvenimento: “Quella notte la ricordo bene mi si è scolpita nella mente. Babbo mi baciò, disse a mamma di non svegliarmi. Aprii gli occhi lo stesso, pesando di continuare a sognare. […] Un lieve fruscio nell’acqua del canale interruppe la grande attesa. Babbo ci strinse brevemente, intensamente. Non disse niente. […] Sapemmo che con la barca erano andati senza luci, a motore spento, fino alla bocca del porto. Mani esperte, occhi che penetravano il fitto buio della notte e la profondità dell’orizzonte la portarono in Corsica” <13.
Giunti a Bastia, i tre si imbarcano su un postale diretto a Marsiglia. Il rapporto della prefettura di Livorno del 10 giugno 1931, riguardante Barontini, enuncia che: “Scomparso da Livorno, si assicura che sia riuscito ad emigrare clandestinamente in Francia e vuolsi che attualmente si trovi a Marsiglia. È stato segnalato per il fermo alla Rubrica di Frontiera ed al Bollettino delle Ricerche con fotografia” <14.
Ilio, che in Francia si fa chiamare «Baroni» raggiunge Parigi e si mette a disposizione del partito, che gli assegna svariati compiti. Egli è incaricato di scegliere i corrieri, ossia uomini e donne disposti a rientrare in Italia per ristabilire un collegamento con le cellule ancora esistenti o per portare della stampa. Oltre ad essere il responsabile del lavoro nell’emigrazione in direzione dell’Italia, in una lettera della questura di Bologna, datata 25 giugno 1933, si afferma che Ilio: “[…] aveva, fra l’altro, incarico di ricevere tutti i “compagni” colà in arrivo, di sistemarli negli alberghi e di provvedere alla loro sussistenza. Aveva, allora, anche le mansioni di cassiere del partito. Si occupava, inoltre, della ricerca dei locali da adibirsi ai corsi accelerati, vi accompagnava i “compagni” designati a frequentare i corsi stessi, curava la raccolta delle fotografie e la distribuzione dei documenti falsi, espletando altre varie incombenze di carattere amministrativo” <15.
Barontini, nel settembre 1932, viene trasferito in Unione Sovietica. Una nota poliziesca dell’8 ottobre 1932 testimonia che anche in Italia sono a conoscenza del fatto che Ilio «sarebbe stato inviato dal partito comunista in Russia e sarebbe partito il 17 settembre a quella volta» <16. Egli giunge in URSS con una nota negativa, maturata in Francia, in cui lo si accusa di scarsa vigilanza cospirativa nei confronti di infiltrazioni spionistiche: ciò è dovuto ai numerosi arresti che, nel giugno 1932, hanno colto funzionari e corrieri da lui inviati in Italia. Lo stesso Barontini, a proposito della sua attività in Francia, sostiene che: “[…] ebbi poi moltissimi altri incarichi, ed è appunto per non averli saputi respingere che m’ingolfai in un cumulo di attività, ragione per cui il lavoro in generale fu difettoso e giustamente criticabile” <17. A causa di questa «credenziale sporca» <18, per «Fanti», pseudonimo assunto da Ilio in Unione Sovietica, viene inizialmente previsto un impiego fuori Mosca, che consiste nello svolgimento di lavoro politico tra i marinai italiani che capitano nei porti del Mar Nero. Pochi mesi dopo, Ilio viene richiamato nella capitale, lavorando alla sezione marittima del Profintern <19 ed entrando nel gruppo dirigente della sezione italiana del Club internazionale di Mosca, che si occupa dell’emigrazione dall’Italia all’URSS. In questo periodo, stringe, inoltre, una relazione affettiva con la giornalista Emma Wolf. In seguito al rifiuto di trasferirsi a Odessa nell’ottobre 1933, Barontini termina la sua carriera di funzionario al Profintern, pur continuando a lavorarvi come volontario, e viene assunto prima in una fabbrica d’aviazione e poi all’industria Kalibr <20.
Il ritorno di Ilio in Francia viene sollecitato da Palmiro Togliatti <21, dirigente della Terza Internazionale, che ordina a Paolo Robotti <22, presidente della sezione italiana del Club internazionale di Mosca, di affrettarne la partenza. Si tratta di un allontanamento quanto mai opportuno, visto il clima di sospetto e di rinnovata repressione che pervade l’URSS, e che coinvolge lo stesso Robotti, arrestato nel marzo 1938 con l’accusa di attività controrivoluzionaria <23.
Alla fine del 1935, dunque, Ilio è di nuovo a Parigi. Il rapporto di polizia del 27 dicembre 1935 segnala che Barontini: “[…] nei primi di Novembre decorso trovavasi a Mosca, da dove recentemente sembra abbia fatto ritorno a Parigi. Si dice, altresì, che lo stesso quanto prima dovrebbe nuovamente allontanarsi da Parigi” <24.
Si tratta di un’informazione esatta, poiché la prossima meta di Barontini diventa la Spagna, vittima di una guerra civile che sta assumendo una portata di carattere internazionale. Tra le fila del battaglione italiano, di cui assume il comando Randolfo Pacciardi <25, figura anche Barontini, «inviato in Spagna dal partito comunista, quale elemento tecnico delle milizie rosse» <26. Durante la battaglia del fiume Jarama, svoltasi dal 6 al 27 febbraio 1937, Ilio è già commissario politico del battaglione Garibaldi, per via del ricovero in ospedale di Antonio Roasio, ed assume anche il comando militare dell’operazione, volta a impedire la penetrazione del nemico, a causa del ferimento di Pacciardi.
Parimenti, Barontini è comandante bellico del battaglione nella battaglia di Guadalajara. Nei mesi seguenti, il battaglione diventa brigata, con ancora Pacciardi capo militare e Barontini commissario politico <27. In un clima divenuto teso all’interno della coalizione antifascista, a causa della sollevazione degli anarchici catalani, Ilio paga, con la destituzione dal suo incarico, una decisione in cui «emerge la figura di un militante che è certamente soldato, ma non mero portatore ed esecutore di ordini» <28: il 24 settembre egli dà ordine di rientrare alla brigata, schierata in attesa della rivista del comandante del corpo d’armata, per via della forte pioggia e dell’ingente ritardo del superiore, che arriva poco dopo <29.
Barontini, dunque, lascia la brigata e la Spagna a fine settembre 1937. Tornato in Francia, «dirige l’ufficio reclutamento volontari per la Spagna rossa sito in Parigi» <30.
Nel dicembre 1938, Ilio parte per l’Africa orientale. Il partito, in seguito ai contatti avuti con i dignitari del negus <31 Hailé Selassié e con le autorità francesi, gli affida l’incarico di alimentare ed organizzare i focolai di guerriglia antifascista presenti in Etiopia <32. Barontini, che in territorio abissino si fa chiamare «Paulus», viene, in un secondo momento, raggiunto in Africa e coadiuvato dal comunista spezzino Bruno Rolla <33 e da Anton Ukmar <34, da lui conosciuto in Spagna. Ilio, convinto fautore del fatto che «solo con la guerriglia si possono sconfiggere i grandi eserciti moderni organizzati su basi tradizionali» <35, trasforma le grosse bande abissine in piccole formazioni mobili, adatte ad attaccare di sorpresa e a scomparire rapidamente: “Per quanto si tratti di un episodio così diverso, non v’è dubbio che Barontini si avvalse ampiamente in Africa dell’esperienza internazionalista compiuta in Spagna […] Barontini sapeva che per combattere contro eserciti di formazione tradizionale era necessaria, oltre a una salda coscienza politica, anche una conoscenza adeguata all’uso delle armi e persino della conservazione e della riparazione delle stesse. Egli dedicò gran parte del suo tempo all’addestramento militare di uomini, molti dei quali, per la prima volta, venivano a trovarsi con un fucile in mano, e alla formazione di quadri dirigenti militari di base” <36. Inoltre, al fine di svolgere un’azione propagandistica atta ad isolare le truppe fasciste di occupazione dalla popolazione italiana, emigrata lì per lavoro, diffonde «La Voce degli Abissini», giornale bilingue denso di contenuti politici.
La missione in Etiopia dura fino ai primi mesi del 1940. Al suo rientro in Francia, Barontini, sulla falsariga di quanto gli era capitato in Unione Sovietica, viene posto in una condizione di isolamento da parte del partito, sospettoso del fatto che egli «avesse saputo muoversi fra i servizi segreti di molte nazioni occidentali, fra i nobili abissini e fra i patrioti della guerriglia popolare, fra intrighi internazionali e lotte tribali, conquistandosi le simpatie dei ras e la stima delle popolazioni, superando difficoltà naturali ed ostacoli dell’Intelligence Service [agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito, N.d.A.] che cercò di governare l’impresa da principio alla fine» <37.
Lo scenario internazionale, dalla partenza di Ilio per l’Africa al suo ritorno, è profondamente cambiato. Con l’attacco della Germania alla Polonia il 1° settembre 1939 e la conseguente dichiarazione di guerra, due giorni dopo, di Regno Unito e Francia alla nazione tedesca, è iniziata la Seconda guerra mondiale. Mussolini dichiara guerra alla Francia il 10 giugno 1940, quando essa sta ormai per crollare. Il 14 giugno 1940, infatti, le truppe naziste occupano Parigi. La Francia viene divisa in due aree territoriali distinte: la zona settentrionale è sotto la diretta amministrazione nazista, quella meridionale, con capitale Vichy, viene affidata al governo collaborazionista del generale Philippe Pétain.
[NOTE]
1 Imprenditori di origine tedesca che impiantarono a Livorno una fabbrica di pipe.
2 Era Barontini e Vittorio Marchi, Dario. Ilio Barontini, Nuova Fortezza, Livorno 1988, p. 8.
3 Ibid., p. 106.
4 L’autobiografia di Ilio Barontini, in Collotti Enzo, L’antifascismo in Italia e in Europa 1922-1939, Loescher, Torino 1975, p. 115.
5 L’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale avvenne il 24 maggio 1915.
6 Biblioteca labronica del comune di Livorno (d’ora in poi Bll), Fondo Ilio Barontini, Copia della documentazione della Direzione della Polizia Politica del Ministero dell’Interno del Governo fascista su Ilio Barontini di Turildo, b. 3, Nota prefettura di Livorno del 09-02-1920.
7 Fabio Baldassarri, Ilio Barontini. Fuoriuscito, internazionalista e partigiano, Robin, Roma 2013, p. 20.
8 Il PCd’I nacque a Livorno il 21 gennaio 1921, in seguito alla scissione con il PSI.
9 Barontini e Marchi, Dario, cit., p. 23.
10 Organo speciale del regime fascista cui vennero affidati, con la legge del 26 novembre 1926, i processi relativi a imputazioni di carattere politico.
11 Bll, Fondo Barontini, Lettere di Ilio alla famiglia, b. 2, Lettera a Cornelia
del 20-12-1932.
12 Armando Gigli, nato nel 1903, fu primo segretario della federazione giovanile comunista di Livorno. Il padre Pietro e il fratello Pilade furono uccisi dai fascisti sulla soglia di casa nell’agosto 1922. Emigrato in Francia nel 1931, svolse per molti anni la funzione di corriere per portare direttive e messaggi ai compagni che si trovavano in clandestinità in Italia, in Barontini e Marchi, Dario, cit., pp. 24-26.
13 Ibid., p. 29.
14 Bll, Fondo Barontini, b. 3, Rapporto prefettura Livorno del 10-06-1931.
15 Bll, Fondo Barontini, b. 3, Lettera questura Bologna del 25-06-1933.
16 Bll, Fondo Barontini, b. 3, Nota poliziesca del 08-10-1932.
17 L’autobiografia di Ilio Barontini, in Collotti, L’antifascismo in Italia e in Europa 1922-1939, cit., p. 116.
18 Barontini e Marchi, Dario, cit., p. 162.
19 Il Profintern, o Internazionale sindacale rossa, fu un’organizzazione istituita per coordinare l’azione dei comunisti all’interno dei sindacati.
20 Mario Tredici, Gli altri e Ilio Barontini. Comunisti livornesi in Unione Sovietica, ETS, Pisa 2017, pp. 300-306.
21 Palmiro Togliatti (1893-1964). Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d’Italia. Arrestato nel 1925, e amnistiato pochi mesi dopo, espatriò prima in Francia e poi in Unione Sovietica, dove divenne uno dei dirigenti dell’Internazionale Comunista. Nel 1937 si trasferì in Spagna, con il ruolo di rappresentante del Comintern presso il partito comunista spagnolo. Tornò in Italia nel marzo 1944 e fu protagonista della cosiddetta «svolta di Salerno», finalizzata a trovare un compromesso tra partiti antifascisti, monarchia e Badoglio, che consentisse la formazione di un governo di unità nazionale e rinviasse la questione istituzionale al termine della guerra. Fu deputato alla Costituente, ministro di Grazia e Giustizia, segretario del PCI fino alla morte, in AA. VV., Ear, vol. VI, La Pietra, Milano 1989, pp. 71-83.
22 Paolo Robotti (1901-1982). Si iscrisse a 16 anni al PSI, poi aderì al PCd’I. Espatriato in Francia nel 1923, tornò in Italia nel 1925 venendo arrestato e condannato a due anni di carcere per attività sovversiva. Dopo esser passato per la Svizzera, la Francia e il Belgio, emigrò in Unione Sovietica. Nominato presidente della sezione italiana del Club internazionale di Mosca, nel 1938 fu arrestato e incarcerato. Assolto nel settembre 1939, riprese il lavoro in fabbrica. Il ritorno definitivo in Italia avvenne nel 1947, dove ricevette una serie di incarichi dal PCI, in Wikipedia, ad nomen, consultato il 28-06-2019.
23 Barontini e Marchi, Dario, cit., pp. 166-167.
24 Bll, Fondo Barontini, b. 3, Rapporto poliziesco del 27-12-1935.
25 Randolfo Pacciardi (1899-1991). Fu avvocato, repubblicano e perseguitato dal fascismo. In Spagna divenne comandante militare del battaglione Garibaldi, poi brigata Garibaldi. Rifugiatosi in Algeria, Marocco e Stati Uniti, proseguì nel suo impegno politico contro il nazifascismo, in AA. VV., Ear, vol. IV, La Pietra, Milano 1984, pp. 343-344.
26 Bll, Fondo Barontini, b. 3, Informativa prefettizia del 15-05-1937.
27 Barontini e Marchi, Dario, cit., pp. 64-72.
28 Baldassarri, Ilio Barontini, cit., p. 87.
29 Ivi.
30 Bll, Fondo Barontini, b. 3, Telespresso del Ministero degli Affari esteri del 09-07-1938.
31 Titolo nobiliare etiope corrispondente a quello di re.
32 L’Etiopia era divenuta, nel maggio 1936, parte della colonia dell’Africa Orientale Italiana, insieme a Eritrea e Somalia italiana.
33 Domenico Bruno Rolla (1908-1954). Antifascista di matrice comunista, combatté in Spagna, in Etiopia e fu membro della Resistenza abruzzese, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 28-06-2019.
34 Anton Ukmar (1900-1978) Comunista triestino. Espatriò in Francia, poi si batté in Spagna, in Etiopia e nella Resistenza ligure, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 28-06-2019.
35 Orazione ufficiale del partigiano combattente prof. Luciano Bergonzini, in AA.VV., Guadalajara e Ilio Barontini, cit., pp. 17-18.
36 Orazione ufficiale del partigiano combattente prof. Luciano Bergonzini, in Ibid., p. 19.
37 Barontini e Marchi, Dario, cit., p. 46.
Gabriele Aggradevole, Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione e sulla legittimazione della violenza resistenziale, Tesi di laurea magistrale, Università di Pisa, 2019

L. GOGLIA, Introduzione, in ID., F. GRASSI, Il colonialismo italiano da Adua all’Impero, Roma – Bari, Laterza, 1993, pp. 223 – 224. Goglia ricorda i problemi di strategia e di organizzazione politica che dovette affrontare il movimento antifascista “nazionale”, segnalando come fosse per il movimento impossibile “agire nei territori coloniali”. Richiamando il fatto che tra le fila dell’antifascismo la questione coloniale fosse alquanto minoritaria e pressoché sconosciuta, l’autore ricorda tuttavia che in taluni frangenti il fronte antifascista riservò una certa attenzione al tema, come ad esempio in occasione della morte di Omar el Mukthar, allorché sull’“Avanti” di Parigi comparve un articolo sulla vicenda. Al contempo Goglia rammenta l’azione di propaganda svolta dai comunisti italiani tra la comunità di connazionali in Egitto e la missione in Etiopia di Ilio Barontini, “l’azione più concreta mai tentata dagli anticolonialisti italiani”, per prendere contatto con la resistenza abissina.
Nicholas Lucchetti, Gli italiani nell’Eritrea del secondo dopoguerra. 1941-1952, Tesi di Dottorato, Università di Pisa, Anno accademico 2010-2011