Alla vigilia della Liberazione di Torino

7.0.1 Il Comitato d’Agitazione
Torino era stata una delle poche città d’Europa ad aver scioperato durante la guerra. L’arma dello sciopero, e del sabotaggio dentro le fabbriche, era stata una scelta cosciente degli antifascisti torinesi. Prima ancora dei motivi politici, che comunque costituirono la base di ogni manifestazione, agli operai importava migliorare il loro livello di vita. Torino era stata martoriata dai bombardamenti alleati e a quei tempi si lottava “contro la fame e il terrore”.
L’organismo che organizzava lo sciopero torinese era il Comitato d’Agitazione Provinciale (CAP), il quale coordinava l’attività di tutti i comitati d’agitazione sorti nelle fabbriche di Torino. L’obiettivo era quello di organizzare la lotta contro il nazifascismo; i punti rivendicativi principali erano i seguenti: aumento delle dotazioni giornaliere dei generi alimentari tesserati, adeguamento delle paghe al costo della vita, libera circolazione delle biciclette, cessazione delle perquisizioni nelle case, cessazione dei metodi di torture, abolizione della guardia repubblicana fascista negli stabilimenti <40.
7.02 Il piano per l’insurrezione <41
Nell’agosto del 1944 nasceva il comando cittadino per Torino, il Comando Piazza, con la consapevolezza che bisognava organizzare nei minimi particolari il momento dell’insurrezione.
Il comando aveva il compito di censire le forze organizzate, di suddividere la città in settori e di creare per ogni settore un comando a cui attribuire un compito operativo specifico.
Il primo piano insurrezionale risale allo stesso mese della formazione del comando ma viene approvato il 20 febbraio 1945 dopo diverse modifiche e in seguito ad alcune discussioni nate tentando di applicarlo nei vari settori cittadini.
Il piano E 27, siglato dal CMRP, venne infine ciclostilato e distribuito alle varie formazioni cittadine.
Il documento analizzava i seguenti punti:

  1. Situazione: analisi delle future mosse fasciste
  2. Compiti: attuare l’ambiente cittadino idoneo; difendere gli impianti industriali, le opere ferroviarie e i servizi pubblici; disturbare il ripiegamento delle forze tedesche e disarmare i nemici
  3. Suddivisione della città in settori
  4. Forze a disposizione: analisi delle forze cittadine e partigiane a disposizione
  5. Modalità dell’azione
  6. Collegamenti tra le formazioni
  7. Tribunali di guerra: verrà costituito un tribunale di guerra per ogni settore in modo da rendere celere lo svolgimento della giustizia
  8. Organizzazione dei servizi
  9. Organizzazione del servizio d’ordine
  10. Custodia dei prigionieri: suddivisione dei prigionieri in quattro reparti (militari italiani, militari germanici, volontari fascisti e prigionieri politici)
  11. Segni distintivi e tesserini di riconoscimento: per le truppe armate un bracciale tricolore e un tesserino del comando di appartenenza, per gli stabilimenti occupati una bandiera con il doppio tricolore a fasce orizzontali
    Veniva anche deciso che lo stabilimento Lancia, in borgo San Paolo, sarebbe stata la sede durante l’insurrezione.
    Il piano era pronto e gli uomini pure: si potevano contare 1855 uomini armati di primo impiego e 7130 di secondo impiego.
    Intanto, sulle colline intorno a Torino, nelle valli di montagna e nel Monferrato, i partigiani aspettavano, pronti a dirigersi verso Torino. Ogni formazione che aveva l’ordine di puntare su Torino conosceva esattamente i luoghi, le strade e gli acquartieramenti della loro discesa verso la città. Dalle valli di Lanzo, dalla Val di Susa, dalla Val Sangone, dalla Val Germanasca e dalla Val Pellice, il piano prevedeva tappe forzate degli uomini verso la pianura, mentre l’intero Monferrato doveva accalcarsi sulle rive del Po.
    Nel primo settore, Borgo San Paolo, dovevano scendere la III e la XIII divisione garibaldina, provenienti dalla Val di Susa. Dopo una tappa in corso Regina Margherita dovevano dirigersi verso la caserma San Paolo e le carceri giudiziarie.
    Per il secondo settore, Barriera di Milano, erano indicate le brigate autonome e matteottine e i gielle della IV sezione provenienti dalla Val Susa e dalla Val Dora, le quali dovevano recarsi in piazza Bernini.
    Più complessa la situazione per il terzo settore, Barriera Nizza. 700 autonomi, proveniente dalla Val Sangone e dalla Val Chisone, dovevano insediarsi nella caserma di piazza d’Armi; la V divisione GL, dalla Val Germanasca, doveva raggiungere la zona fortificata tra corso Re Umberto e corso Vinzaglio. Infine i garibaldini della I divisione si dovevano dirigere a Porta Nuova e verso gli impianti ferroviari passando per Moncalieri e Nichelino.
    Molte erano anche le forze destinate al IV settore, Borgo Dora. 200 uomini dal Canavese, passando per corso Venezia, via Cigna e via Garibaldi erano diretti alla caserma Valdocco. Altri, attraverso la borgata Sassi, dovevano arrivare fino alle caserme di Corso Vittorio, mentre la XIX brigata Garibaldi, proveniente dalle colline torinesi doveva conquistare la casa littoria.
    La VI divisione GL, proveniente dal Canavese, si doveva attestare a Regio Parco per poi arrivare nelle vie tra il Po e via Roma; infine i Matteotti del Canavese con la IV divisione GL, erano indirizzati alla zona fortificata di piazza San Carlo e agli Alti Comandi.
    Le formazioni Matteotti del settore collinare e del Monferrato avevano l’ordine di assicurare la guardia sul Po, dopo aver distrutto la guarnigione di via Asti.
    7.0.3 La direttiva n.16
    Il 10 aprile 1945 la Direzione del PCI aveva fatto pervenire a tutte le città del nord la direttiva insurrezionale n. 16 nella quale si richiamavano tutte le organizzazioni a estendere l’azione insurrezionale, considerata come una progressione continua di lotte, di scioperi delle masse lavoratrici e di attacchi delle formazioni armate. L’obiettivo doveva essere quello di facilitare il successo dell’insurrezione riducendo al minimo le perdite di vite umane; andava quindi intensificata l’azione di disgregazione nelle file nemiche, offrendo salva la vita a coloro che erano disposti ad arrendersi ai patrioti. Nel documento si leggeva: «Si tratta di offrire una via di scampo e di colpire duramente chi intende resistere. Nell’agitazione e nell’azione devono risultare sempre ben evidenti i due termini del dilemma: arrendersi o perire.» <42 “Arrendersi o perire” diventerà poi la parola d’ordine, presente su tutti i muri della città con volantini e scritte, per indicare ai fascisti che la loro unica via di scampo era la resa. La direttiva n. 16 aveva un carattere operativo e invitava a respingere con decisione tutte le manovre tendenti ad evitare o a fare fallire l’insurrezione nazionale e, sebbene desse importanza all’azione unitaria, suggeriva di agire da soli nel caso l’unica alternativa fosse l’unità nell’attesismo. La direttiva del 10 aprile terminava con il seguente appello: “L’insurrezione nazionale, ripetiamo, dev’essere insurrezione di tutto il popolo. L’ampiezza di questa insurrezione non dev’essere condizionata dalla disponibilità di armi. Si organizzino in unità partigiane, in GAP e in SAP, tutti quei patrioti che vogliono battersi contro il nazi-fascismo. Se non hanno armi, se le procurino alla partigiana, cioè strappandole al nemico”. <43
    Alla vigilia dell’azione si moltiplicarono i tentativi e le proposte di fare a meno dell’insurrezione e aumentò il contrasto tra i membri del CNL. Una delle questioni principali di contrasto riguardava chi avrebbe dovuto, subito dopo la vittoria insurrezionale, essere incaricato di mantenere l’ordine pubblico. L’insurrezione inoltre non corrispondeva né ai piani degli alleati né ai piani di ritirata dei tedeschi; i primi non volevano che l’Italia potesse dire di essersi liberata da sé, gli ultimi temevano che l’insurrezione avrebbe aggravato la loro sconfitta e reso catastrofica la loro ritirata.
    [NOTE]
    40 R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, Torino, 1964.
    41 P. Secchia, Aldo dice 26 x 1 – cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, 1963
    42 P. Secchia, op. cit.
    43 G. Padovani, La Liberazione di Torino, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1979.
    Claudio Tosatto, Il passato nell’epoca della sua (ri)producibilità digitale. Torino 1943-45. Metodologia della ricerca con tecnologie informatiche. Sistema storico-territoriale di informazione multimediale, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2008