Altri autori richiedono invece interventi parziali sui codici fascisti

Il 25 luglio 1943 cade il fascismo. Sono diverse le ragioni che portano al salvataggio dei codici elaborati nel periodo fascista ed in particolare del codice civile.
In primo luogo si può notare che Gaetano Azzariti viene nominato Guardasigilli (ministro di Grazia e Giustizia) del primo governo Badoglio.
Da subito emerge il problema dell’abolizione dell’ordinamento corporativo costituito dal regime fascista; uno dei primi atti consiste proprio nella soppressione degli organi corporativi centrali effettuato con r.d.l. 5 agosto 1943 n. 721.
Numerose sono le istanze <359 presentate al guardasigilli in merito alla sussistenza dei codici fascisti in un regime divenuto ormai liberale dopo la caduta del fascismo. Se il codice era stato costruito sulla base del pensiero corporativo, diventa a questo punto difficile mantenerlo in vita. Si è detto che l’unificazione della materia civile con quella commerciale corrispondeva alla necessità di armonizzare la nuova codificazione con i principi dell’ordinamento corporativo, il quale informava di sé tutti i settori dell’economia nazionale, da quello agrario a quello bancario, da quello commerciale a quello industriale e artigiano. Di fronte all’organizzazione totalitaria dell’economia doveva dunque venir meno la tradizionale distinzione fra codice civile e codice di commercio. In realtà però, discontandoci dalle frasi “di facciata” con cui spesso gli artefici della normativa hanno accolto il codice per attribuirgli caratteri corporativi, il codice civile che ne derivò non può essere considerato un codice dell’economia corporativa ma semplicemente la riunione di vari libri in un unico testo, sebbene originariamente la materia era suddivisa in due progetti autonomi. L’unificazione diventa quindi indolore, nonostante un numero limitato di norme sia stato sottoposto ad un processo di revisione, in primo luogo per eliminare ogni riferimento all’ordinamento corporativo.
Il Regno (del sud, l’Italia è, dopo il giorno 8 settembre 1943 spaccata tra Repubblica Sociale Italiana al nord e Regno al sud) emana il r.d.l. 20 gennaio 1944 n. 25 con il quale vengono abrogate le leggi razziali nonché gli art. 1 comma 3, 91, 155 comma 2, 292, 342, 348 ultimo comma, 404 ultimo comma del codice civile. Il 7 febbraio 1944 Azzariti si dimette dalla carica di Ministro di Grazia e Giustizia a favore di Ettore Casati (fino al 22 aprile 1944). Sotto il governo Badoglio vengono inoltre emanate norme di epurazione nei confronti di magistrati o politici di stampo fascista. Nell’anno 1944 viene completata la defascistizzazione del codice civile, con l’eliminazione delle disposizioni relative ai non ariani, delle norme relative alla solidarietà corporativa o ad altri concetti di natura corporativa.
Il d.lg.lt. 14 settembre 1944 n. 287 (art. 1: “fino a quando non sarà provveduto alla riforma del Codice civile”) dispone l’abrogazione (articolo 2) della legge 30 gennaio 1941 n. 14 sul valore giuridico della carta del lavoro e degli articoli 811 (disciplina corporativa) e 1371 comma 2 del codice civile. Dispone inoltre modificazioni (articolo 3) degli articoli 147, 1175, 2060, ribadisce l’abrogazione degli articoli 1 comma 3, 91 (diversità di razza o di nazionalità), 155 comma 2, 292 (divieto di adozione per diversità di razza), 342 (nuove nozze del genitore non ariano), 348 ultimo comma, 404 ultimo comma del codice civile (come già previsto dal r.d.l. 25 gennaio 1944 n. 25) e infine cancella espressamente il riferimento alla “razza” negli articoli 2196 n. 1 (iscrizione dell’impresa), 2295 n. 1 (atto costitutivo – S.n.c.), 2328 n. 1 (atto costitutivo – S.p.A.), 2475 n. 1 e 2518 n. 1. Com’è possibile notare, nessun intervento riguarda direttamente la normativa sul bilancio, oggetto della presente trattazione, a testimonianza del fatto che non sono presenti in tali norme, riferimenti diretti o indiretti all’ordinamento corporativo.
Nei primi mesi del 1945, poco prima della conclusione della guerra, si ripresenta il problema dei codici “mussoliniani”; in particolare vengono portate all’attenzione dell’opinione pubblica da parte di avvocati e giuristi <360, tutte le leggi emanate nel ventennio fascista, compresi dunque i codici, delle quali si chiede l’abrogazione e il ripristino della legislazione prefascista. La principale giustificazione deriva dal fatto che i codici sono fondati su un duplice presupposto: l’autoritarismo dello stato e la struttura corporativa della economia (organicismo). Altri autori <361 richiedono invece interventi parziali sui codici fascisti.
Accanto a questi, si posizionano i difensori dei codici: Rotondi <362 ritiene infatti che la normativa non risente eccessivamente delle influenze politiche, nonostante le frasi di carattere fascista (con il “colore del regime”). Dello stesso parere altri giuristi di notevole caratura come Calamandrei <363, Giuseppe Ferri <364 e Santoro Passarelli. Essi ritengono che non si possa indicare i codici come fascisti in quanto rappresentano il risultato di un’evoluzione che ha avuto inizio nel 1865; il fascismo non ha suggerito nuove soluzioni giuridiche, ha semplicemente accelerato i tempi della riforma; i risultati ottenuti sarebbero stati identici anche se non ci fosse stato il fascismo, semplicemente perché a quelle conclusioni portava il progresso degli studi e l’evoluzione storica della vita sociale. Sono molto limitati infatti i campi in cui il fascismo ha influito in maniera decisiva. Passarelli <365 parla di “fondamentale indipendenza politica del testo legislativo” frutto di “riforma prevalentemente tecnica” nella quale “si sono fatte sentire altresì esigenze sociali ed economiche che, nella massima parte, erano avvertite dal sentimento comune molto prima del fascismo”, “i giuristi … hanno fatto passare la loro riforma, quella maturata in settanta anni di onesto e assiduo lavoro, dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane”.
Risulta quindi sufficiente eliminare alcune disposizioni incompatibili con l’ordinamento attuale, fermo restando che tutto il resto, essendo il frutto di una lunga evoluzione ed elaborazione dell’attività giuridica italiana, rappresentano lo specchio della coscienza giuridica, indipendente dal credo politico.
Nel 1944 inoltre, viene istituita una commissione ministeriale per la revisione del codice civile i cui lavori giungono a conclusione confermando quanto detto: il codice ha recepito “tendenze progressive nel campo sociale” indipendenti dal fascismo, dalla cui influenza politica è rimasto sostanzialmente immune, di conseguenza, dopo la revisione già effettuata su alcune norme in esso contenute, residuano poche infiltrazioni politiche ancora da eliminare. La concezione corporativa non è stata infatti assorbita dal codice civile il quale rimane un codice di ordinaria amministrazione.
In più bisogna rilevare come in concreto, i componenti delle commissioni legislative era quasi tutti culturalmente di formazione liberale ed effettivamente designati con riguardo prevalentemente alle loro capacità tecniche più che alla loro ideologia politica. Gli elementi di autoritarismo nel codice risultano infatti assai minori di quanto apparirebbe dai discorsi politici di allora e dalle stesse relazioni ministeriali di accompagnamento dei singoli libri. Questo perché, come rilevato già nel capitolo precedente, i docenti universitari, nonostante l’adesione formale al fascismo, erano poco politicizzati ed in più non poteva dirsi realmente esistente una cultura corporativo-fascista. A ben vedere, il fascismo, nonostante il propagandistico tentativo di creare una terza via fra capitalismo individualistico e comunismo collettivistico, si era in concreto orientato più a favore del liberalismo economico, in quanto non era riuscito o non aveva voluto, anche per ragioni di mantenimento del consenso delle classi imprenditoriali, scalfire la libertà di iniziativa economica e il diritto di proprietà. Si potrebbe obiettare che il fascismo puntava la sua originalità sul corporativismo e sulla valorizzazione del lavoro che sono alla base della creazione del libro del lavoro, tuttavia, i riferimenti all’ordine corporativo sono stati espunti dopo la caduta del regime fascista, così che l’unica significativa influenza di questo si sarebbe concretata nell’avere eliminato la duplicazione dei codici (civile e commerciale) per la ragione politica di voler superare la divisione della società in classi, contraria ai principi del corporativismo.
Il codice del 1942, quindi, a fronte della ripulitura effettuata nel 1944 risulta permeato di idee tendenzialmente liberali.
Da sottolineare risulta comunque l’altro elemento innovativo del codice civile del 1942, ovvero la partecipazione degli accademici alla realizzazione dello stesso. Accademici di stampo (quasi) esclusivamente giuridico che avrebbero quindi portato avanti le loro idee, non avallando le posizioni corporative dei politici di professione. Come sottolineato più volte nel corso della trattazione, nessun economista-aziendalista ha partecipato alla predisposizione dei codici.
In più, i contenuti del codice non solo sono sopravvissuti alla caduta del fascismo, ma sono risultati compatibili anche con la Costituzione repubblicana e con il contesto politico-istituzionale (fino ai giorni nostri) completamente diverso da quello che ha fatto da sfondo al processo di codificazione.
Il corporativismo ha sicuramente influenzato (benché in minima parte) l’unificazione dei codici, l’articolazione del libro del lavoro ed alcune norme contenute in altri libri del codice.
[…] Vi è da aggiungere poi che molti giuristi liberali, hanno adottato idee corporative solo perché ritenevano il liberalismo classico non più adeguato ai tempi. Come detto nel capitolo dedicato, il fascismo non ha intaccato la cultura popolare alle radici, ha cercato di proporre un modello alternativo e ha favorito la diffusione di nuove idee che sono diventate oggetto di ricerca da parte degli accademici.
È possibile affermare che il codice civile, pur essendo stato elaborato in periodo fascista, rappresenti la risposta giuridica ad esigenze di carattere generale, esigenze tipiche di una società avanzata che si sarebbero potute manifestare anche in assenza di regime totalitario e, conseguentemente, difficilmente identificabili come il prodotto della mentalità e del pensiero fascista. Il regime ha avuto il merito di trasformare tali esigenze in normativa di alto livello tecnico <366.
Sebbene l’intenzione primaria fosse quella di inglobare nel codice valori ideologici corporativi, i risultati sono stati quelli già evidenziati nel corso della trattazione.
Con una vena di critica, Ferri <367 osserva che i codici e le leggi fondamentali trovano condizioni favorevoli per la loro emanazione solo sotto i regimi assolutistici in quanto nelle democrazie parlamentari, si incontrano notevoli ostacoli.
È possibile dunque inquadrare una sorta di metodo legislativo fascista, caratterizzato, a dispetto di quanto ci si potrebbe attendere, dal pluralismo di idee. Infatti, nel processo di codificazione, tutte le parti sociali hanno avuto libertà di parola: le organizzazioni sindacali (fasciste), i singoli politici (giuristi), gli accademici (giuristi). Questi soggetti potevano esprimere il loro parere, proporre revisioni, quindi, partecipare al processo di codificazione. Le commissioni sono state definite in funzione di criteri meritocratici, a prescindere dall’affiliazione politica, a differenza di quanto avviene ai giorni nostri in cui le commissioni sono formate da appartenenti al gruppo di maggioranza.
Come più volte evidenziato, in relazione al libro V del lavoro (principalmente per la parte relativa al bilancio) del codice civile, un ruolo di primo piano è stato occupato dai giuristi, nonostante l’argomento da trattare fosse maggiormente connesso all’ambito aziendalistico e, dunque, di pertinenza e competenza degli studiosi di economia aziendale.
L’economia aziendale, nel periodo considerato, è già in pieno periodo di sviluppo. Come visto nel capitolo precedente, sono molti gli studiosi che, sulla base delle lezioni di Gino Zappa, focalizzano i loro studi sull’azienda, contribuendo in tal modo alla diffusione e al successivo consolidamento della scienza.
A fronte dell’analisi eseguita, diventa semplice dare una risposta alla questione circa il ruolo dei giuristi in contrapposizione a quello degli economisti/aziendalisti nella redazione del codice civile. Tutte le commissioni che sono state via via istituite per la redazione del codice di commercio e del codice civile hanno visto l’integrale partecipazione di esponenti politici, della magistratura e del mondo accademico di stampo giuridico. Nessun aziendalista ha avuto un ruolo attivo nel processo di codificazione. Qualcuno potrebbe asserire che nei primi tempi del regime fascista, quando è ripreso con vigore il processo di redazione dei codici, le cattedre di ragioneria prima e di economia aziendale poi non erano ancora diffuse e, conseguentemente, gli studiosi ed esperti di bilancio fossero solo i giuristi. Come visto, però, nel capitolo precedente, la disciplina aziendalistica era oggetto di molta attenzione, tant’è che si è arrivati a parlare di economia aziendale corporativa. Alle medesime conclusioni è giunto uno studio condotto da Alexander e Servalli <368 in merito al rapporto tra economia aziendale e valutazioni finanziarie in Italia. Obiettivo dello studio è stato quello di comprendere se la forte tradizione teorica dell’economia aziendale sia coerente con la prevalente adozione del principio del costo storico nell’ambito dei criteri di valutazione da adottare nella redazione del bilancio nel ventesimo secolo e successivamente capire come tale principio abbia raggiunto questa posizione di predominio.
Partendo da un’analisi sulla storia e sugli sviluppi della teoria dell’economia aziendale in cui si è giunti alla conclusione che il punto chiave è l’azienda, indipendentemente dalle diverse scuole di pensiero (azienda corporativa quale argomento centrale anche nell’ambito dell’economia aziendale corporativa, come enunciato nel capitolo precedente), gli studiosi affermano che lo sviluppo del pensiero dell’economia aziendale del ventesimo secolo dimostri come gli argomenti teorici e le conclusioni sulla valutazione finanziaria basata sul costo storico, non siano coerenti con la pratica e gli atteggiamenti legali prevalenti. Gli aziendalisti, infatti, a partire da Zappa, non impongono l’utilizzo del costo storico e prevedono il principio della prudenza nella valutazione. Di conseguenza, la prevalenza del principio del costo storico può essere spiegato solo in termini di ruolo preponderante dei giuristi che hanno nel tempo conquistato un ruolo di prevalenza rispetto agli economisti/aziendalisti e ragionieri. Nel contesto italiano, infatti, un ruolo di primo piano è sempre stato occupato dalle regole e dalla loro interpretazione operata dai giuristi. Questa attività di interpretazione e di emissione di giudizi (giudici e avvocati) ha accresciuto la loro influenza anche in ambito di valutazione finanziaria a discapito degli aziendalisti, nonostante la maggior specializzazione di questi ultimi. Nel contesto che si è creato in quegli anni, l’emergere della dimensione collettiva (corporativismo) ha indotto i giuristi ad adottare un approccio prudente nella prospettiva della tutela degli interessi dei terzi. Emerge in questo quadro la prevalenza dell’approccio legale, prudente e conservativo rispetto alla flessibilità che caratterizza il mondo accademico […]
[NOTE]
359 Tra cui emergono quelle di Giancarlo Fré e di Santoro Passarelli.
361 Betti e Funaioli.
362 Rotondi, M. (1944), “La riforma della legislazione privatistica e del codice civile”, Lo Stato moderno.
363 Calamandrei, P. (1945), “Sulla riforma dei codici”, La nuova Europa, II, n. 9, 4 marzo 1945.
364 Ferri, G. (1945), “La riforma dei codici”, L’Epoca, 25 febbraio 1945.
365 Santoro Passarelli, F. (1945), La riforma dei codici, Diritto e giurisprudenza, pp. 34 e ss.
366 Ghisalberti, C. (1993), “Tradizione e innovazione nel codice del 1942”, in AA.VV., I cinquant’anni del codice civile, Milano, 1993, I.
367 Ferri, G. (1990), “Del codice civile, della codificazione e di altre cose meno commendevoli”, Scritti giuridici, Napoli, 1990, I, pp. 29 e ss.
368 Alexander, D., & Servalli, S. (2011), “Economia Aziendale and financial valuations in Italy: Some contradictions and insights”, Accounting History, Vol. 16, No. 3, pp. 291-312.
Stefano Amelio, Le influenze del fascismo sull’economia aziendale e sulla regolamentazione contabile, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Bergamo, 2016