Ancilu era e non aveva ali

Salvatore Carnevale

Della sessantina di sindacalisti uccisi dalla Mafia in Sicilia (una decina di loro perì sotto i colpi della banda Giuliano nella strage di Portella della Ginestra il 1° maggio 1947) il socialista Salvatore “Turi” Carnevale (Galati Mamertino, 23 settembre 1923 – Sciara, 16 maggio 1955) è certamente il più noto e in qualche modo rappresenta quell’intreccio tra lotte bracciantili, Sicilia e Mafia di cui si è accennato. Il suo caso ha ispirato nel 1962 un film dal titolo “Un uomo da bruciare”, diretto da Valentino Orsini insieme ai fratelli Taviani, liberamente ispirato alla vita del sindacalista socialista assassinato a Sciara (PA) a colpi di lupara a 31 anni, all’alba del 16 maggio 1955, mentre si recava a lavorare in una cava di pietra gestita dall’impresa Lambertini. I killer lo uccisero mentre percorreva la mulattiera (trazzera) di contrada Cozze secche.
Carnevale aveva dato molto fastidio ai proprietari terrieri per difendere i diritti dei braccianti agricoli: era infatti molto attivo nel sindacato e nel movimento contadino. Nel 1951 aveva fondato la sezione del Partito Socialista Italiano di Sciara ed aveva organizzato la Camera del lavoro. Nel 1952 aveva rivendicato per i contadini la ripartizione dei prodotti agricoli ed era riuscito ad accordarsi con la principessa Notabartolo. Nell’ottobre 1951 aveva organizzato i contadini nell’occupazione simbolica delle terre di contrada Giardinaccio della principessa Carnevale; per questo fu arrestato. Uscito dal carcere si trasferì per due anni a Montevarchi in Toscana, dove scoprì una cultura dei diritti dei lavoratori più forte e radicata.
Nell’agosto 1954 tornò in Sicilia, dove cercò di trasferire nella lotta contadina le sue esperienze settentrionali. Fu nominato segretario della Lega dei lavoratori edili di Sciara. Tre giorni prima di essere assassinato era riuscito ad ottenere le paghe arretrate dei suoi compagni e il rispetto della giornata lavorativa di otto ore.
Del suo omicidio vennero accusati quattro mafiosi di Sciara dipendenti della principessa Notarbartolo: l’amministratore del feudo Giorgio Panzeca, il magazziniere Antonio Mangiafridda, il sorvegliante Luigi Tardibuono e il campiere Giovanni Di Bella. Dopo l’uccisione di Carnevale – raccontò un giornalista che si era recato a Sciara per seguire da vicino gli eventi – i mafiosi svaligiarono i pollai del paese per fare un festino a base di arrosto. Per spregio gettarono le penne per le strade. Un vento maligno le sollevò e le fece volare per alcune ore.
Nel processo, la parte civile costituita dalla madre Francesca Serio (morta nel 1992; di lei esiste una foto che la ritrae disperata in gramaglie, in mezzo ad altre donne, al funerale del figlio), fu rappresentata dal futuro presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, e dagli avvocati Nino Taormina e Nino Sorgi (che molte volte difese il quotidiano L’Ora da querele di politici collusi con la mafia), anche loro socialisti come Carnevale. Il processo di primo grado si svolse a Santa Maria Capua Vetere per legitima suspicione. Il 21 dicembre 1961 i quattro imputati vennero condannati all’ergastolo. Nel collegio di difesa degli imputati compariva anche un altro futuro presidente della Repubblica, l’avvocato Giovanni Leone. Si trattò insomma del “processo dei futuri presidenti”. In appello e in Cassazione il verdetto fu ribaltato e gli imputati furono assolti per insufficienza di prove.
Giuliano Cazzola, Storie di sindacalisti, I dirigenti meridionali. Salvatore Carnevale, ADAPT, 2017

Il 16 maggio 1955, la mafia uccide Salvatore Carnevale, socialista, sindacalista della Cgil, fondatore e segretario della Camera del lavoro di Sciara (Palermo). A poco meno di due mesi dall’omicidio, il 7 luglio 1955, Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil, scrive a Francesca Serio in Carnevale, mamma di Salvatore.
“Cara compagna, scusami innanzi tutto se non ti ho scritto prima d’ora. La Segreteria confederale ha esaminato la particolare situazione economica della tua famiglia causata dalla morte del caro ed eroico compagno Salvatore Carnevale, assassinato dalla mafia perché difensore accanito e fedele della causa dell’emancipazione del lavoro. Mentre ti rinnovo le condoglianze più fraterne per la insostituibile perdita del tuo caro figlio, la cui morte sarà di fulgido esempio per tutti i lavoratori siciliani e di tutta Italia, ti invio la somma di lire 100.000 come aiuto della CGIL, per portare un po’ di sollievo alle tue necessità. Fatti forte cara compagna Francesca e sii certa che il sacrificio di tuo figlio non resterà senza frutto. La marcia dei lavoratori verso un avvenire di pace, di benessere, di maggiore tranquillità per tutti, è continua. Verrà il giorno in cui gli ideali di tuo figlio, che sono gli ideali di tutti i lavoratori del mondo, saranno realizzati.
Il segretario generale Giuseppe Di Vittorio”
La vicenda relativa all’omicidio di Salvatore Carnevale è particolarmente interessante perché, tra l’altro, vede protagonisti due futuri presidenti della Repubblica (tre, se si considera anche la visita a Francesca Serio di Giorgio Napolitano arrivato tra i primi sul luogo del delitto): Sandro Pertini sarà a fianco di Francesca per tutta la durata del processo; mentre nel collegio di difesa degli imputati (Giorgio Panzeca, Antonio Mangiafridda, Luigi Tardibuono e Giovanni di Bella, condannati all’ergastolo in primo grado ed assolti in appello e in Cassazione per insufficienza di prove) compare (in Cassazione) un altro futuro presidente della Repubblica, l’avvocato Giovanni Leone.
La rappresentanza degli interessi di mamma Carnevale è fatta propria dal Comitato di solidarietà democratica, movimento attivo nello scenario politico italiano nato a seguito dell’attentato a Togliatti, fondato da Umberto Terracini con l’intento di difendere le libertà democratiche e di fornire assistenza legale e sostegno materiale agli arrestati per motivi politici e alle loro famiglie, con particolare riferimento agli ex – partigiani attivi durante la Resistenza accusati nell’immediato dopoguerra di atti di violenza sommaria nei confronti di fascisti e avversari politici e tra gli avvocati protagonisti del procedimento Carnevale compare Lelio Basso.
In occasione del III Congresso nazionale della cultura popolare (Livorno, 6-8 gennaio 1956), Ignazio Buttitta dedicherà alla memoria di Salvatore il Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali.
“Ancilu era – scriveva – e non aveva ali / non era santu e miracule facia / ncielu acchianava senza corde e scali / e senza appidamenti nni scinnia: / era l’amuri lu so capitali / e sta ricchhizza a tutti la spartia/ Turiddu Carnivali annuminatu / ca comu Cristu nni muriu ammazzatu”.
È il trionfo per una delle creazioni più alte della poesia popolare in Italia, a pochi mesi dalla uccisione del protagonista. Tra il pubblico che lo ascolta spiccano i nomi di Luchino Visconti, Cesare Zavattini, Carlo Levi. Quello stesso Carlo Levi che a Francesca Serio dedicherà alcune delle pagine più belle dei suoi scritti. “Una donna di cinquant’anni, ancora giovanile nel corpo snello e nell’aspetto, ancora bella nei neri occhi acuti, nel bianco-bruno colore della pelle, nei neri capelli, nelle bianche labbra sottili, nei denti minuti e taglienti, nelle lunghe mani espressive e parlanti; di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana”. Una donna che, dopo la morte del figlio, ne raccoglie l’eredità ed accusa i mafiosi.
“Niente altro esiste di lei e per lei – scrive Carlo Levi – se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto: il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Essa stessa si identifica totalmente con il suo processo e ha le sue qualità: acuta, attenta, diffidente, astuta, abile, imperiosa, implacabile. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre. Parla con la durezza e la precisione di un processo verbale, con una profonda assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d’improvviso un punto fermo su cui può poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata, è la Giustizia. La giustizia vera, la giustizia come realtà della propria azione, come decisione presa una volta per tutte e a cui non si torna indietro: non la giustizia dei giudici, la giustizia ufficiale. Di questa Francesca diffida, e la disprezza: questa fa parte dell’ingiustizia che è nelle cose”.
Ilaria Romeo, Salvatore Carnevale: le parole sono pietre, Collettiva, 15 maggio 2021

Francesca Serio e Sandro Pertini – Fonte: AGI cit. infra

Una madre, due preti, tre futuri presidenti della Repubblica. La vicenda umana di Francesca Serio apre lo spartiacque tra due Italie, quella riconosce la presenza della mafia ma le nega cittadinanza e l’altra, che ne nega l’esistenza riconoscendole, di fatto, il diritto al controllo del territorio e il potere assoluto sulla vita di uomini e donne.
Francesca Serio era la madre di Turiddu (Salvatore) Carnevale, del quale oggi si ricorda il 65mo della morte. Carnevale, bracciante e sindacalista socialista, difendeva i diritti dei contadini nelle Madonie, con una passione tale da farsi odiare dai proprietari terrieri. Era nato a Galati Mamertino, nei Nebrodi
Francesca, dopo il battesimo del bambino, lasciò il paesino alla volta di Sciara. “Arrivarono su un carretto”, racconta Franco Blandi, autore di una biografia della donna (“Francesca Serio, la madre”, Navarra editore). “Negli anni Venti del Novecento – continua – ci fu ondata migratoria intensa dai Nebrodi verso il palermitano, dove i feudi dei Notarbartolo avevano bisogno di manodopera tutto l’anno e stentavano a trovarla.
È a Sciara che Carnevale diventò “l’angelo senz’ali” messo in versi da Ignazio Buttitta e raccontato dai cantastorie siciliani (“Ancilu era e non avia ali, non era Santu e miraculi facia”), e in grado di fare miracoli nel deserto di diritti in cui si muovevano i braccianti. Uno di questi miracoli lo aveva compiuto tre giorni prima di essere assassinato sulla strada che lo conduceva da casa alla cava dove lavorava: era riuscito ad ottenere le paghe arretrate per i suoi compagni e il rispetto della giornata lavorativa di 8 ore.
Nel 1951 aveva fondato la sezione del partito socialista di Sciara e aveva organizzato la Camera del Lavoro. In seguito all’occupazione delle terre della principessa Notarbartolo era stato arrestato. Uscito dal carcere si trasferi’ per due anni in Toscana, dove scopri’ una forte e radicata cultura dei diritti dei lavoratori, cercando poi di trasferire questa esperienza, una volta tornato in Sicilia, nella lotta contadina.
Mentre era fuori, un prete aveva issato la sua bandiera. “Rientrato Salvatore Carnevale, padre Nuccio – racconta Blandi all’AGI – cominciò a partecipare alle riunioni per la riforma agraria, teneva omelie appassionate per i diritti dei contadini. Una mattina Salvatore si accorse della confusione dietro la canonica, e gli dissero che padre Nuccio nella notte era morto. Indagando, Salvatore e i suoi compagni scoprirono che il prete era stato messo alle strette da un gruppo di banditi che lo avevano minacciato in modo pesante, tanto pesante da fargli venire un infarto, a lui cardiopatico”.
Francesca vedeva il figlio crescere, e vedeva crescere in sè la paura che potessero ucciderlo. “Anche il sindacato non comprese subito il pericolo a cui Salvatore si era esposto, e fu grande il senso di colpa” che spinse dirigenti come Giuseppe Di Vittorio a ricordarlo in modo solenne. La lupara uccise Turiddu Carnevale il 16 maggio del 1955.
“Quella sera giunsero a Sciara – spiega Blandi – due futuri presidenti della Repubblica: Giorgio Napolitano e Sandro Pertini, allora impegnati in Sicilia nella campagna elettorale. Con quest’ultimo, in particolare, Francesca Serio strinse una vera e propria amicizia. “Entrando in quella casa, Pertini rimase colpito dalla grandissima miseria e dalla altrettanto grande dignità di quella donna, a cui il figlio aveva letto articoli dell’Avanti. Pertini entrò in quella casa e, si può dire metaforicamente, non ne uscì più. Nel corso degli anni si videro spesso”.
Il dirigente socialista tenne un discorso indimenticabile in una piazza gremita a Sciara, in cui parlò a “coloro che stavano dietro le finestre” additandoli come i responsabili della morte del sindacalista. Fu Pertini ad accompagnarla negli uffici giudiziari di Palermo, dove la donna presentò la denuncia di un omicidio mafioso, indicando nomi e cognomi. “Era la prima volta che accadeva”, nella storia della mafia.
Furono arrestati quattro uomini, uno di questi era il soprastante della principessa Notarbartolo. Condannati all’ergastolo, la sentenza fu ribaltata in appello e in Cassazione e gli imputati assolti per insufficienza di prove. Nel collegio di difesa c’era un altro futuro presidente, Giovanni Leone, che “tacque quando il procuratore in Cassazione affermò che la mafia era un argomento da conferenzieri” [..]
Fabio Greco, Una madre, due preti, tre presidenti: storia di Francesca Serio, AGI, 17 maggio 2020