Chiese fosse eliminata la sigla Giustizia e Libertà dal nome della Divisione

Fonte: C. Burgio, art. cit. infra
Fonte: C. Burgio, art. cit. infra

[…] E così l’Alessi di Eluet el Asel è diventato il volontario della Grande Guerra, ma anche l’ufficiale sempre in mezzo alla truppa, fino ad elaborare durante la Resistenza una strategia personale, accolta e apprezzata dal Corpo Volontari della Libertà, ma forse preoccupante per altre frange della stessa Resistenza.
Nato il 4 marzo 1897 ad Aosta, conseguita la maturità classica, con l’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, a 18 anni, Edoardo Alessi si arruolò volontario nel 25° Reggimento Artiglieria da Campagna, e fu avviato dopo 3 mesi al Corso Ufficiali di complemento. Sottotenente, venne assegnato a un reparto bombarde, armi che scagliavano proietti potenti, con tiro curvo, per distruggere reticolati e fortificazioni campali, schierate spesso in prima linea.
I serventi (ovvero i soldati addetti al funzionamento dei pezzi di artiglieria) delle bombarde non avevano dunque uno dei pochi vantaggi dell’artiglieria, quello delle retrovie.
Nel settembre 1916, sulla Vetta Chapot, Pal Piccolo, in Carnia, nel corso di attacco aereo, ferito a braccio e gamba destra, rimase al suo posto meritando la Medaglia di Bronzo al V. M..
Il 20 maggio 1917, col grado di tenente, sempre al Pal Piccolo, rimase nuovamente ferito. Questa volta, ultimata la convalescenza, fu impiegato in retrovia.
Il 15 gennaio 1920 transitò nei Carabinieri, ove fu impiegato in più sedi. Il 6 gennaio 1936 morì la moglie, Maria Adelaide Muzio, cugina di Sandro Pertini. In questa luttuosa circostanza trovò conforto nella religione cattolica e nel lavoro.
Dal 4 maggio 1936 al 18 luglio 1938 svolse servizio ad Asmara e ad Addis Abeba, rientrato in Italia col grado di maggiore, ebbe il Gruppo “interno” di Bolzano e poi il Gruppo “esterno” di Genova. Qui, nel 1939, firmò un’informativa in cui rappresentava la contrarietà della cittadinanza nei confronti di un’eventuale guerra europea.
Non fu apprezzata: erano anni in cui si chiedeva di credere, obbedire, combattere.
[…] La caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, colse a Sondrio l’Alessi, promosso tenente colonnello il 12 agosto.
La mattina del 9 settembre, in provincia di Sondrio, un manifesto redatto da antifascisti locali invitava ad “affrontare qualsiasi rischio e qualsiasi situazione”, per operare contro fascisti e tedeschi.
Il progetto degli estensori della Valtellina prevedeva di organizzarsi agli ordini dei comandi militari e dell’amministrazione civile e costituire una rete di rapporti con altre forze antifasciste, alla base del futuro nuovo ordinamento del Paese, da individuare.
L’Alessi, contattato, rifiutò di porsi alla guida del gruppo, sottolineando come, da militare, avrebbe dovuto obbedire alle disposizioni del più anziano comandante del Distretto Militare, che preferì non adottare iniziative.
Clandestinamente, comunque, egli partecipò all’elaborazione di un piano volto ad impedire la distruzione, da parte dei Tedeschi, delle infrastrutture strategiche, in particolare di quelle destinate alla produzione di energia idroelettrica. Organizzò alcuni soldati per il controllo delle centrali e dei servizi di pubblica utilità e nelle settimane successive aveva fatto occultare parte delle armi della propria caserma, agevolando la fuga di ebrei, sbandati e renitenti verso la Svizzera.
Continuò a garantire l’ordine pubblico, nel quadro di una strategia volta ad impedire scontri e vendette, ma convocato a Milano, in novembre, per prestare giuramento alla Repubblica Sociale, oppose un secco rifiuto: “Non posso impegnare il mio onore di soldato a servire secondo lo spirito di leggi che non conosco perché non formulate, né posso impegnare la mia parola d’onore, solennemente legata al mio giuramento d’ufficiale, poiché tale parola d’onore non potrà essermi restituita se non da legittima Assemblea Nazionale. Sono sinora rimasto al mio posto per non lasciare la popolazione senza guida e desidero espressamente dichiarare che mi sento in grado di continuare ad eseguire ed a far eseguire il servizio necessario alla sicurezza ed alla tutela delle popolazioni.”
Questa convocazione va posta in stretto collegamento con quanto accaduto il 1° novembre 1943, quando aveva risposto a muso duro al nuovo comandante del Distretto Militare di Sondrio che gli aveva chiesto chiarimenti in ordine alla mancata esposizione della bandiera nazionale in occasione del precedente 22 ottobre, anniversario della “Marcia su Roma”, ricorrenza solenne della Repubblica Sociale. La richiesta era protocollata “Disc.”, era quindi inquadrabile in attività di carattere disciplinare e sanzionatoria.
La replica dimostrava un atteggiamento sprezzante e al tempo stesso sarcastico, ma soprattutto, velatamente, dava ad intendere che il rappresentante dell’Arma si ritenesse legato, prima di tutto, al giuramento al Re. L’Alessi spiegava infatti che la Bandiera del Gruppo aveva lo stemma Sabaudo – utilizzando provocatoriamente la maiuscola – e non era esponibile per una ricorrenza della “repubblica” – in minuscolo – aggiungendo ironicamente, in virgolettato “ ‘per la contraddizione che nol consente’ ”. Oltretutto egli sottolineava che la richiesta di esposizione era pervenuta alle 11 e 30, orario in cui oramai la cerimonia dell’alza bandiera non era prevista, e non era suo “intendimento aderire a richieste arretrate”.
Già queste frasi denotavano come l’ufficiale fosse consapevole della capziosità delle proprie argomentazioni e desse ad intendere di non volersi supinamente assoggettare al nuovo padrone. Per chiudere la missiva il Carabiniere Reale, evidentemente restìo a smettere questi panni per i nuovi della GNR che prevedevano la rimozione delle stellette dal bavero, dimostrava la propria insofferenza sottolineando che aveva risposto solo “per cortesia”, ma che non era suo “intendimento rispondere ad altre richieste di chiarimenti che [avesse mosso] un 1° seniore richiamato…” [inferiore di grado, sia in senso formale, in quanto l’Alessi era] “un Tenente Colonnello del S.P.E.,” [sia in senso] “morale – che è ben più importante –, poiché” [l’Alessi era] “un combattente dell’Asse, mentre chi scrive non ha conosciuto – nella guerra dell’Asse – alcun fronte di guerra.”
Fuggì pertanto in Svizzera l’8 dicembre, con la moglie Vincenzina Scorza; internato nel Campo di Chexbres, ne divenne il comandante italiano, mentre il Tribunale Straordinario di Sondrio lo condannava in contumacia a trent’anni.
Il 28 gennaio 1944 i cittadini di Campione d’Italia, circa 1.000 abitanti, obbligarono le autorità repubblichine a lasciare il paese e proclamarono, tramite la Legazione Italiana di Berna, fedeltà al re.
L’amministrazione civile fu affidata a un Comitato guidato dal Regio Commissario Plinio Bezzola, i carabinieri continuarono a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica: primo comune liberato del Nord, divenne rifugio per ebrei e perseguitati politici.
Il 2 maggio la Legazione italiana di Berna e il governo svizzero vi inviarono l’Alessi, nominato Regio Vice Commissario. Egli, per il suo rigore, pur apprezzato dalla popolazione, entrò in contrasto con alcuni maggiorenti locali che incominciarono a denigrarlo, e, per quieto vivere, il 7 novembre la carica di Regio Vice Commissario fu abolita, nonostante la grande stima che avessero per lui il Bezzola e il Servizio Segreto Svizzero, che lo descrisse: “Corretto e fine, riservato e severo aveva saputo circondarsi di stima e simpatia”.
Per coordinare l’azione dei gruppi partigiani presenti fra Tirano e Bormio e della brigata Sondrio, operante in Media Valle, nell’agosto fu costituita la 1^ Divisione Alpina Valtellina Giustizia e Libertà. Legata al Partito d’Azione, si affiancò a due divisioni già costituite: la Garibaldi operante in bassa valle e la Tito Speri delle Fiamme Verdi, in Valcamonica e nella zona del Mortirolo, di orientamento comunista la prima, autonoma e su base militare, la seconda.
La divisione, comandata dal Capitano del Regio Esercito Giuseppe Motta, comprendeva molti militari e riuniva prevalentemente elementi locali. Doveva operare nel territorio con i valichi dello Stelvio, del Gavia e dell’Aprica e imponenti impianti idroelettrici, fra Tirano, Grosio, Sondalo e Bormio con le sue tre valli, Valdisotto, Valfurva e Valdidentro.
Motta applicò l’impostazione geostrategica dei comandi militari: in un documento del novembre 1944 sottolineava l’importanza della Valtellina come zona di transito e i motivi per i quali la valle dell’Adda dovesse suscitare particolare interesse. Innanzitutto perché pilone d’angolo dello schieramento tedesco, aggredibile attraverso i passi alpini. Inoltre i Tedeschi in ritirata sarebbero necessariamente passati da Sondrio, ove avrebbero potuto danneggiare le centrali idroelettriche.
Intendeva quindi far precedere l’azione militare da un programma che ne esplicitasse i principi d’azione, al contrario del movimento garibaldino, in cui la lotta armata aveva una connotazione prevalente.
La 1^ Divisione si proponeva di costituire formazioni, senza distinzioni di partito, per impedire che i nazifascisti potessero utilizzare la Valtellina per sistemarsi, transitare, o commettere distruzioni e saccheggi. Il fine era la difesa della popolazione, evitando che nella fase di trapasso dei poteri il territorio piombasse nel caos.
Per salvaguardare l’economia della valle, privilegiava un atteggiamento difensivo e non consentiva l’espansione delle formazioni garibaldine in alta valle.
Vi fu, costante, un contrasto ideologico tra queste ultime e quelle Giustizia e Libertà. Le prime ricercavano azioni violente, continue, a costo di scatenare rappresaglie, e la 1^ Divisione Alpina, in mano a personale del Regio Esercito, fu anche accusata di attendismo e di patteggiamento col nemico.
In effetti, mentre all’indomani della liberazione i garibaldini talora sfruttarono la situazione di incertezza per fare i conti coi fascisti, la 1^ Divisione Alpina si pose l’obiettivo di difendere l’ordine pubblico e impedire attentati alla sicurezza di uomini e proprietà.
Come ricorda Teresio Gola, capo servizio informazioni della divisione e, dopo la morte di Alessi, comandante militare in alta valle: “… noi partigiani, che abbiamo assunto la responsabilità qui in Valtellina di creare questo movimento [dobbiamo] assolvere anche a quest’altro dovere elementare e fondamentale d’Italiani, di assicurare la continuazione della vita civile…”.
Per Alessi, che seguiva le attività dalla Svizzera, il rinnovamento del Paese poteva venire solo dal recupero dei valori etico-politici, dalla riscoperta e valorizzazione del genio italico e della specificità dell’ispirazione civile italiana. Affermava che l’identità politica italiana era stata negata da faziosità e abitudine inveterata di ricorrere all’intervento straniero per risolvere dissidi interni. Di qui i secoli di dominazione e i vent’anni di dittatura, frutto delle diatribe del primo dopoguerra.
Non si proponeva quindi intenti rivoluzionari, ma la restaurazione dello stato monarchico, cui aveva giurato fedeltà. Le unità Giustizia e Libertà muovevano dalla convinzione che i nazi-fascisti avessero i giorni contati, e non fosse il caso di scatenarne reazioni alla vigilia della fine del conflitto. Per i partigiani legati al Partito Comunista invece la Resistenza era prodromica ad un ulteriore scontro per affermare una repubblica filo-sovietica anche in Italia.
Pertanto era loro interesse screditare le formazioni di diverso colore per garantirsi, nel futuro, il massimo supporto popolare. Peraltro, come annota Cesare Marelli, comandante della brigata Stelvio, la divisione era “una struttura più imposta che nata per volontà dei partigiani del posto”. Le bande si erano costituite indipendentemente e quasi nessuno dei comandanti era stato nominato dall’alto. Per imporre disciplina e coordinamento operativo, Motta fece ricorso anche a burocratiche circolari e da più parti emerge che non godesse di particolare considerazione: non si può escludere che la designazione di Alessi quale suo sostituto avesse questa motivazione. Questi nella Confederazione Elvetica teneva i contatti con la Legazione italiana di Berna e con esponenti della Resistenza valtellinese e il 5 febbraio 1945, su richiesta del C.L.N. e del Comando delle forze partigiane dell’Alta Valle, assunse il comando della 1^ Divisione. Si voleva attribuire una più solida connotazione alla formazione, per interagire adeguatamente con quelle autonome o d’ispirazione comunista, che preoccupavano il governo Badoglio e gli Stati Uniti. Rientrato, inviò un appello a tutti i Gruppi, del quale riportiamo le frasi più significative: «E’ intendimento di questo Comando di offrire un’ultima tavola di salvezza ai traviati che militarono nelle file dell’oppressore. Sono noti al Comando di Divisione i sentimenti che ardono nel cuore dei guerriglieri tutti, così com’è noto quanto costerà loro aprire le braccia a chi militò con il tedesco. Ma è nel nome dell’Italia, è nel nome dei Caduti che vogliono pace e non sangue, è nel nome di Cristo Redentore che il Comando della Divisione si rivolge ai Partigiani e alla loro generosità. I comandanti delle Formazioni i quali, tutti, con alta saggezza, hanno già convenuto sulla necessità di questo passo, facciano presente ai loro uomini che incombe il dovere di tutto tentare perchè non si inasprisca la guerra civile, perchè il braccio dei traviati sia disarmato dalla libera persuasione anziché dalla violenza, in tutti i casi in cui ciò può essere tentato. Lotta senza quartiere ai ladri e agli assassini, redenzione per tutti coloro che caddero nelle mani dell’oppressore vittime della frode e della violenza».
Per evitare ogni connotazione politica, chiese fosse eliminata la sigla Giustizia e Libertà dal nome della Divisione: si doveva lottare solo per l’Italia. Tutte le formazioni aderirono, almeno ufficialmente.
Informò per iscritto il Comando Generale dell’Arma di quanto fatto e del programma e assunse il nome di battaglia Marcello, e iniziò a riorganizzare l’unità, provata dal terribile inverno appena trascorso, prendendo contatto con le Fiamme Verdi e le missioni alleate. Durante la notte compiva lunghi trasferimenti, il giorno si fermava, con il conseguente altissimo rischio, nei paesi di fondo valle per contattare quegli elementi che assicuravano i rifornimenti.
Il 13 aprile fu nominato dal Corpo Volontari della Libertà (il coordinamento militare del Comitato di Liberazione Nazionale) comandante unico delle forze della Valtellina e iniziò a stringere più efficaci rapporti con le altre formazioni. Mentre si recava a Castione col fedele collaboratore, il Tenente Adriano Cometti, nella notte tra 25 e 26 aprile, a Gualzi di S. Anna, vicino a Sondrio, fu sorpreso da circa 200 militi della XLI Brigata Nera Manganiello e della Guardia Nazionale Repubblicana. I due ufficiali reagirono, Cometti morì sul colpo e Alessi, ferito gravemente, fu finito a pugnalate. Era da febbraio che, appreso del rimpatrio, i fascisti lo ricercavano, convinti che stesse predisponendo le istruttorie per i processi che la Resistenza avrebbe avuto in programma di celebrare nei loro confronti.
Il 26 luglio 1946 la Corte d’Assise di Sondrio condannò tale Mario Vignale a 30 anni, di cui 10 condonati, per averlo ucciso. Al funerale partecipò una moltitudine di persone e il governo USA inviò una corona […]
Era difficilmente spiegabile perchè Alessi avesse abbandonato la Val Grosina, ove godeva di maggiore sicurezza, e vi è l’ipotesi che avesse in animo qualche riunione con partigiani della bassa e media valle, dipendenti dal citato Nicola.
[…] Di lui Giuseppe Palagi Appuntato dei Carabinieri in pensione, classe 1915, al tempo residente a Capannori, Lucca, ad oltre 60 anni di distanza, alla domanda “chi era il Maggiore Alessi?”, ebbe a dire “Un uomo tutto d’un pezzo, apparentemente burbero, ma doveva far prevalere la disciplina e l’addestramento, ma fondamentalmente era buono. Era però sempre vicino a noi.”
[…]
Carmelo Burgio, Alessi, Notiziario Storico dell’Arma dei carabinieri, N. 2 Anno IV, 2019

Edoardo Alessi – Fonte: C. Burgio, art. cit.
I funerali di Edoardo Alessi – Fonte: C. Burgio, art. cit.
Uno scorcio di Val Chiavenna – Foto: Simone Perego

Il Tenente Colonnello Edoardo Alessi, partigiano “Marcello”, era diventato Comandante del Gruppo territoriale CC.RR di Sondrio dal 12 aprile 1942; monarchico, dopo l’8 settembre si attiva per dare aiuto agli sbandati, ai perseguitati politici e razziali e si rifiuta per due volte di prestare giuramento alla Repubblica Sociale Italiana.
L’8 di dicembre espatria in Svizzera con la consorte Vincenzina Scorza, lasciando ai suoi collaboratori Maresciallo Giovanni Lei e Mario Torti “Claudio”, Comandante della Brigata partigiana “Mortirolo”, precisi ordini di organizzazione e resistenza. Per questo sarà condannato in contumacia a trent’anni di reclusione dal Tribunale Straordinario provinciale di Sondrio.
Rientrò in Italia il 5 febbraio 1945, su richiesta del Comando delle forze partigiane dell’Alta Valtellina, per assumere il comando della 1/a Divisione Alpina Valtellina Volontari della Libertà, subentrando al Capitano Motta “Camillo”. Riorganizzò militarmente le forze partigiane dell’Alta Valle, sganciandole da “Giustizia e Libertà”, cercò contatti con le Fiamme Verdi della Val Camonica e pose le basi per la costituzione del Comando Unificato di Zona a Sondrio, con i rappresentanti delle formazioni Garibaldine della Media e Bassa valle. In ogni sua azione era coadiuvato da Adriano Cometti “Cesare”.
Dopo varie trattative, era stato concordato un incontro per la costituzione del Comando unificato della Resistenza in Valtellina e Valchiavenna, da attribuirsi al Tenente Colonnello Edoardo Alessi, a casa Parravicini a Castione. L’incontro non avvenne mai, in quanto Edoardo Alessi e Adriano Cometti furono intercettati dai militi della GNR di Sondrio e della BN “Manganiello”, nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1945, mentre era in corso un rastrellamento preparatorio al RAR: ridotto alpino repubblicano. L’estrema difesa fascista in Valtellina non avvenne mai, in quanto la colonna fascista in fuga da Milano assieme ai tedeschi venne fermata sul Lago di Como.
Fausta Messa, Episodio di Gualzi di Sant’Anna, Sondrio, 26.04.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Edoardo Alessi

La 1a div. Alpina Valtellina «Giustizia e Libertà» si era costituita nell’agosto del 1944 ed occupava la zona che da Sondrio sale fino al passo dello Stelvio; era interessata tutta la zona destra della val Malenco fino in alta montagna arrivando alle pendici dello Zupò, i piani di Campagneda con il pizzo Scalino e la lunga val Fontana.
[…] La distanza tra il racconto post-25 aprile e la realtà è fotografata da Fausto Sidoli nelle sue memorie:
“Eravamo verso il 20 aprile. Sono in attesa di raggiungere la Valmalenco dove al rifugio Zoja devo incontrarmi finalmente con il Colonnello Alessi. In Valmalenco verso il rifugio sono portato in motocicletta dal Sig. Isella, che aveva interessi industriali in valle e quindi poteva circolare.
Prima di Lanzada incontriamo un camion carico di truppe della Repubblica di Salò. Probabilmente si erano incontrati con un gruppo tedesco a Lanzada, gruppo che in parte era costituito da soldati e in parte da tecnici civili per l’utilizzo dei minerali della valle. Il gruppo di tedeschi alloggiava nella casermetta di Lanzada. Il reparto dei partigiani di base al rifugio Zoja era al comando di Diego Carbonera col nome di Pirro <21. Arrivo al rifugio e la sera mentre tutti gli altri vanno a dormire parlo con il Colonnello Alessi. Con lui resto vicino al camino acceso per un continuo scambio di notizie tutta la notte, finché al mattino prima dell’alba con il suo aiutante parte per Sondrio. Non lo rivedrò più” <22.
È lo stesso Diego Carbonera a dire che «la mia fama di organizzatore di lanci era cresciuta», per cui quando si cerca una zona per ricevere un lancio destinato ai partigiani della media valle ci si attesta ai piani di Campagneda e che «poiché Parravicini era ammalato» lui «diventa il comandante del 1° battaglione della divisione Sondrio <23».
[…]
In zona c’è anche la brigata Gufi.
L’impostazione e il programma dell’organizzazione resistenziale in Alta Valtellina furono i seguenti, come infatti in un documento post-liberazione firmato dal Comandante della 1a Divisione Alpina Valtellina cap. Motta [Camillo] si legge: le azioni che le formazioni intrapresero avevano essenzialmente lo scopo di procurare armi e munizioni e, fino al febbraio 1945, quando giunsero i primi rifornimenti aerei, fu quasi esclusivamente mediante ardite azioni di disarmo di fascisti e tedeschi che le Formazioni, con spiccatissimo spirito di emulazione, poterono migliorare il loro armamento.
Per l’inquadramento organico delle forze, la Divisione era così costituita:
1) Brigata Stelvio, su due battaglioni.
2) Brigata Mortirolo, su tre battaglioni.
3) Brigata Sondrio, su due battaglioni
Ma soprattutto per la dolorosa deficienza di quadri il raggruppamento in Brigate non aveva alcuna importanza pratica, ed era essenzialmente il Comando di Divisione a dover coordinare l’azione e l’organizzazione delle piccole formazioni, che tendevano naturalmente a restare autonome É da ricordare che la Formazione Gufi del Mortirolo ha saputo l’esistenza della 1a Divisione Valtellina solo in dicembre e che restò praticamente autonoma fino all’aprile 1945 <27.
Un altro documento <28 che ci aiuta a comprenderne ulteriormente la funzione delle formazioni
[…] L’impressione che si ricava non è sola quella di ritrovare in Giuseppe Motta il solito militare in Spe che gestisce una formazione autonoma attendista contrapposta alle garibaldine, piuttosto c’è l’impressione di interpretare il volere di un gruppo dirigente che si muove in modo articolato su più tavoli <29. Plinio Corti, Ulisse, gli ha garantito il contatto con le brigate del PdA, le GL «[ la divisione nda] si dichiarò sempre completamente apolitica e militare. Tuttavia la divisione fu sempre rappresentata presso il Comitato Regionale [sic!] da Ricci – Citterio – Billia, esponente del P.d.A. cui tramite vennero inviate sovvenzioni (poche) e disposizioni di carattere generale»; per altre vie si cerca il collegamento diretto con gli alleati in Svizzera, una di queste vie è il dott. Pietro Fojanini.
Che attorno a questa formazione curiosamente alla fine della guerra si muovono un po’ tutti a casaccio è testimoniato anche da una lettera al Cvl in Milano da parte del Partito Liberale Italiano
[…] Anche Nicola Colturi, Nik, afferma che «nell’autunno [1944 nda] assunsi un’iniziativa simile [i contatti con la Legazione di Berna] per conto del comando di divisione. Andai in Svizzera e da Zernez cercai di entrare in contatto con Panizza, collegatore di G.L. con la Legazione italiana di Berna [sic !]». Che Giustizia e Libertà fosse un’organizzazione un po’ leggera a differenza di quanto tentava di essere il Pci è accertato, ma che avesse contatti diretti e ufficiali con la Regia legazione italiana di Berna appare un po’ difficile da credere. Panizza, un ufficiale del Genio di Tirano che entra in Svizzera dopo l’otto settembre, a sua volta ha già stabilito i contatti con la Legazione di Berna e da quest’ultima è incaricato di tenere i contatti con le formazioni dell’alta valle <59. Le armi però possono arrivare o dagli alleati o recuperate dal mercato nero, questo è quanto si ricava da una comunicazione di Adriano Cometti, Alessandro, a Gabriele <60 e arrivata anche a Motta. Si conferma che il contatto tra Alessi e Fojanini per procurare armi non è per niente facile: «procurare anche parzialmente le armi richieste […] si incontrano difficoltà che difficilmente potranno essere superate. Per quanto concerne le seterie che potreste inviare, occorre, per potersi valere dell’offerta, conoscere qualità, quantità e valore della merce <61». Questa ridda di tentativi, di gente che va e viene dalla Svizzera (nella primavera sono in Svizzera Fojanini e Ideale Cannella) è anche il segno di una osmosi dovuta al confine, però non bisogna neppure dimenticare che la raccolta di ingenti somme di danaro è una costante che si affianca sempre al confine, consentono altre ipotesi.
[…] Illuminante e chiara, appare la relazione che Giuseppe Motta redige a fine guerra, senza data e non ha destinatario e riporta come intestazione:
Relazione sull’attività dall’ 8/9/1943 del Cap. S.P.E frontiera (A) MOTTA GIUSEPPE di Andrea-classe 1911 (Comandante della 1° Divisione Alpina Valtellina con la presentazione di Camillo)
“Alla data dell’8 settembre 1943 prestavo servizio a Lubiana con l’incarico di capo di quel centro SIM alle dirette dipendenze della sezione statistica di Trieste (Comandante Ten. Col. S.M. Antonio Scaramuzza <99. Impartite al personale di Lubiana le disposizioni per l’attuazione del piano di emergenza, raggiunsi Trieste alle ore 11. […]
Fallito il tentativo di partenza via mare [ per raggiungere il sud nda ] ritornai a Venezia dove come da disposizioni ricevute rientrai in Valtellina in attesa di ordini. In Valtellina e precisamente a Sondrio, presi contatti con i componenti locali della resistenza: Ten. Col. Alessi – Dott. Foianini [ sic ] – Dott. Torti – Piero Sertori: con questi si provvide alle prime sottrazioni di armi e di materiale . […] il 2 dicembre 1943 mi presentai al Comando provinciale e [ … ] sotto scrissi la dichiarazione di non adesione nell’esercito repubblicano. […]”
[…] Il colonnello Edoardo Alessi
Un’ombra oscura nella complicata gestione della fine della guerra è quanto accade nella notte tra il 25 e 26 aprile 1945 in val Malenco.
Alle 4 del mattino del 26 aprile cadeva in un’imboscata nei pressi di Sondrio a Colombera di Sant’Anna lungo la strada per Castione, l’ufficiale dei Carabinieri Edoardo Alessi, Marcello, comandante delle formazioni partigiane dell’Alta Valle e in predicato di essere riconosciuto Comandante unico di Zona. Assieme a lui cadeva il suo attendente, Adriano Cometti, Cesare <114. Siamo nel pieno della fase che è normalmente indicata come insurrezionale e che copre le giornate
che vanno dal 25 aprile al 28-29 dello stesso mese. Alessi era stato il comandante del Gruppo dei Carabinieri Reali della provincia di Sondrio; legato al suo giuramento al Re non aveva aderito alla Rsi dopo l’8 settembre 1943 pur cercando di restare al suo posto <115.
Sulla sua morte aleggiano ancora le parole di Luigia Miotti:
“La morte del colonnello Edoardo Alessi rimane poco chiara. Al di là della versione ufficiale, non si sa in realtà né dove, (se a tradimento nel sonno e poi trasportato là dove è stato ritrovato, ucciso nel tentativo di fuga a poche centinaia di metri dalla casa che lo aveva ospitato nella notte) né chi uccise il Comandante Marcello e il suo aiutante Cesare. Manca un’assoluta documentazione in proposito ed anche il Diario storico della 1° Divisione Alpina Valtellina redatto dal Capitano Giuseppe Motta Camillo non porta alcuna notizia in merito alla sua morte” <116.
Quanto ci dicono le relazioni sui movimenti di Marcello lasciano un vago senso d’incompiutezza perché raccontano dei suoi spostamenti in alta Valmalenco che sono di difficile comprensione. Lascia perplessi l’ipotesi di usare i piani di Campagneda come zona di lancio per ricevere armi, siamo a circa 2300 m di altitudine: a fine aprile c’è ancora neve e la zona è raggiungibile solo con una dura marcia in non meno di 4/5 ore. Il trasporto deve essere fatto a spalla e non possiamo pensare a una fila di partigiani con i muli che scendono a valle…
Occorre poi considerare che siamo all’inizio della fase finale della Resistenza e la presenza del Comandante di Zona non era certo necessaria al rif. Zoja <117, nei pressi dei piani di Campagneda a 2021 m di quota in Valmalenco, anche se «secondo le disposizioni del Comando di divisione, [ Diego Carbonera nda] aveva occupato la Capanna Zoja e la soprastante alpe di Campagneda (scelta come zona di lanci) ed aveva cercato di crearsi attorno dello spazio inviando pattuglie nel territorio circostante soprattutto nelle zone di Franscia e Vetto» <118.
Anche il dott. Fojanini dalla Svizzera, dove si era recato per cercare contatti con il Soe inglese o con l’Oss americano, finirà per considerare che le «località prima designate Campagneda e Val Fontana [dove? nda] non era più possibile il lancio, constatata la presenza di un forte gruppo di fascisti, squadristi, milizia, tedeschi ecc» <119. Da Lanzada, sul fondovalle, sino ai piani di Campagneda si era creata una zona controllata dai partigiani della 1a divisione Valtellina che avevano anche respinto in combattimento i tedeschi presenti a Lanzada. C’è da domandarsi comunque se la presenza di Alessi fosse necessaria in questa zona o più utile in fondo valle. Queste considerazioni, che sono fatte a posteriori, vengono però spazzate via ancora dai ricordi del Carbonera: «Il comando di divisione aveva esaminato il progetto di far effettuare dei lanci nella zona di Sondrio per poter armare anche le formazioni della media valle […] fu scelta Campagneda, sopra Chiesa Valmalenco […] ma il lancio atteso per il 24 aprile non arrivò. Era salito alla Zoja per assistevi anche Alessi <120». Se la fase finale della guerra si presenta un poco ingarbugliata il periodo successivo all’armistizio non si era presentato scevro di contraddizioni <121. A Sondrio Alessi era arrivato dopo lo scioglimento, il 13 marzo 1942, del 1° btg. Carabinieri Paracadutisti che aveva partecipato alle operazioni in Aoi <122. Dopo l’8 settembre, all’interno di quel gruppo di personalità sondriesi che si pone il problema di cosa fare, Alessi traccheggia poi decide di togliersi di mezzo ed espatria in Svizzera con la moglie <123. Alessi viene deferito al Tribunale straordinario Provinciale.
[…] Il nostro colonnello non lascia dei buoni ricordi in Svizzera ma deve essere riuscito a mantenerne dei buoni in Valtellina tant’è che, quando si pone il problema del comando unificato delle forze partigiane, il suo è il nome che viene fatto dalle formazioni dell’alta Valle. Difficile pensare che i suoi legami con la ditta Edison non abbiano influito su questa scelta <125. Nonostante le forti perplessità del comando garibaldino <126 alla fine era stato accettato, anche se gli organigrammi a ridosso e post 25 aprile lasciano molto a desiderare in fatto di attuazione pratica. Però qui la situazione è ancora un poco più complessa, con la morte di Alessi non si ridefinisce alcun organigramma, il
comandante non viene sostituito
[…] La Valtellina resta quindi spezzata in due, e questo di là dalla volontà delle forze impiegate per giungere a un comando unificato di zona. D’altra parte i garibaldini hanno «preso contatto con la Missione Americana la quale ha per mezzo del suo capitano dichiarato che una missione è già pronta per la nostra zona <128» pur con tutte le cautele del caso, un timbro dell’Oss è apposto a fianco delle firme di Gek e Sam in un documento delle 2° div. Garibaldi Lombardia <129. Resta alquanto misteriosa una «richiesta di avio rifornimento» da parte del Cuz Valtellina-Lario e dal Comando della Divisione Falco che si firma T. Bulla, la data è quella del 16 aprile 1945. Davvero con l’approssimarsi della fine della guerra la zona della Valtellina è diventata importante? E non solo per la presenza delle truppe saloine e tedesche rinforzate dai francesi di Joseph Darnand <130 ma per la presenza degli impianti che forniscono energia alle fabbriche della cintura milanese? Questo è quanto racconta la tradizione resistenziale, ma è una realtà ancor oggi difendibile?
[note]
21 Al nome di copertura di Pirro corrisponde anche a Cesare Parravicini, Diego Carbonera aveva il nome di Giorgio; sono errori accettabili nella memorialistica.
22 Le Memorie di Fausto Sidoli sono reperibili in: http://archiviointornotirano.blogspot.it/search/label/Palio%20di%20Tirano, l’evidenziazione è nostra. Copia delle stesse è in possesso degli autori.
23 M. FINI F. GIANNANTONI, , La Resistenza piu lunga : lotta partigiana e difesa degli impianti idroelettrici in Valtellina: 1943-1945, cit., p. 360.
27 Cfr. F. CATALANO, La Resistenza nel Lecchese e nella Valtellina , cit.
28 Relazione non firmata ma riferibile al cap. Giuseppe Motta Camillo, Relazione sull’attività dall’ 8/9/1943 Cap. S.P.E. frontiera (A), Insmli, fondo Cvl, b. 68, fasc. 171, cartella carte della 1a divisione Gl alpina Valtellina. Questa realazione è la stessa già citata in: Insmli, fondo Domenico Manera, b. 3, fasc. 27.
29 Riferimenti alle formazioni autonome si trovano oltre che in AAVV, Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, La Pietra, Milano, 1968, anche in pubblicazioni specifice che riguardano la Resistenza nelle Langhe, in val di Susa, in val d’Aosta e nel bresciano per dare solo alcune indicazioni, uno studio da cui ricavare dati ulteriori: G. Perona, Formazioni autonome nella Resistenza. Documenti, Franco Angeli, 1996, Milano.
59 Panizza non afferma mai di appartenere a G.L. o di parlare a loro nome: cfr. M. FINI, F. GIANNANTONI, La Resistenza più lunga, cit., pp. 406-408.
60 Arturo Panizza.
61 Berna, 14 novembre 44, a G.: Issrec, fondo Anpi, b. 2, fsc. 10.
99 Tra i comandanti del 6° rgt. Alpini dal 1941 al 1943 troviamo Alberto Prampolini (residente a Lecco); cfr. G. FONTANA, Scampoli, la Resistenza brembana tra spontaneità e organizzazione, Il Filo di Arianna, Bergamo, 2015, ad nomen.
fondo CVL, b. 62, fasc. 153.
114 Attendente è forse fuori luogo e il suo uso la dice lunga su come dovevano sentirsi i miliari tra i civili in armi. Adriano Cometti era un ufficiale della Aereonautica che aveva combattuto in val d’Ossola con la div. Valtoce. Sconfinato poi in Svizzera aveva incontrato E. Alessi.
115 Gruppo Carabinieri Reali di Sondrio 25-sett-1943, Insmli, fondo Alessi, fasc. 3.
116 Relazione di Luigia Miotti sul Colonnello Edoardo Alessi Marcello, Insmli, Fondo Alessi, fasc. 2. Cfr. Insmli, fondo Alessi, fasc. 2, Relazione sull’attività patriottica svolta dal Ten. Col. Alessi Edoardo (Marcello) 29 luglio 1945; idem, Relazione sull’attività patriottica svolta dal Ten. Col. Alessi Edoardo (Marcello)23 luglio 1945; idem, Edoardo Alessi ossia Il Comandante Marcello” f.to don Leone del Signore.
117 Il Rifugio Zoja fu costruito nel 1929, grazie ai fondi donati al Club Alpino Italiano – Sez. di Milano, dalla signora Adriana Zoja Panizza, in ricordo dei figli Raffaello e Alfonso Zoja, morti sulle rocce del Gridone (val Cannobina in Svizzera) il 26 settembre del 1896. Il rifugio oggi raggiungibile con una comoda strada, allora era punto di sosta indispensabile per le salite al gruppo del Bernina.
118 Lettera di Diego Carbonera del 3.11.1982 in: F. GIANNANTONI, M. FINi, La Resistenza più lunga, cit., p. 317. Non si può non constatare che tra Campo Franscia e i piani di Campagneda ci sono 500 m di dislivello; Vetto, che è una località vicina al paese di Lanzada, è a un dislivello di circa 1000 m.
119 ivi, p. 494.
120 ivi, p. 360.
121 I problemi inerenti alla costruzione della Resistenza armata e politica hanno trovato, nel campo della storiografia, ormai adeguate risposte e analisi. Questo non è però vero per quanto riguarda la ricaduta sul sentire popolare, che resta ancor oggi aggrappato a stereotipi ormai obsoleti.
122 Foglio matricolare di Edoardo Alessi, copia in Insmli, fondo Alessi, fasc. 1. Il 1° btg. paracadutisti Reali Carabinieri viene considerato un reparto per operazioni speciali assieme ad altri reparti dell’ esercito regio sotto la regia del Sim o comunque ad esso collegati. Cfr. A. VENTO, In silenzio gioite e soffrite, storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla Guerra fredda, Il Saggiatore, Milano, 2010, pp. 262-263. In realtà, causa le condizioni oggettive della sua costituzione, il 1° btg. paracadutisti Reali Carabinieri entrerà in azione in Africa settentrionale accorpato alla 8a Armata e subirà una serie di perdite che lo porteranno alla sua estinzione. Nulla vieta che il
Sim abbia avuto contatti e collegamenti con uomini e comandanti del reparto. Cfr. L. E. LONGO, I Reparti Speciali” italiani nella seconda guerra mondiale, Mursia, Milano 1991, pp. 5-9 e 261-181.
123 Dei trascorsi Svizzeri di Edoardo Alessi una disamina abbastanza esaustiva in: M. FINI, F. GIANNANTONI, La Resistenza più lunga, cit., ad nomen. F. GIANNANTONI, L’ombra degli americani sulla Resistenza al confine tra Italia e Svizzera, cit., ad nomen.
125 E.ROSASCO, E. BATTAGION, L. ELMO, P. PASSONI, E. POMA, F. BOCCA, Resistenza, cit., pp.188-189.
126 Il Comando del raggruppamento divisioni lombarde alla Delegazione della Lombardia e al Triumvirato insurrezionale della Lombardia, 3 aprile 1933; C. PAVONE, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, v. 3, Feltrinelli, MIlano, 1979, pp. 574-578. Il giudizio su E. Alessi lo si legge al paragrafo I Il comandante, in cui si fa una disamina del comportamento dell’ufficiale partendo da prima dell’otto settembre.
128 Alla Delegazione Comando della Lombardia, Al Triumvirato Insurrezionale Lombardo, Insmli, fondo Istituto Gramsci, documenti Brigate Garibaldi in Copia, b.8 fasc. 3.
129 Per Riccardo, Z.O. 14.4.1945, IscComo, fondo brigate Garibaldi.
130 La Milice française (Milizia francese), fu un’organizzazione politica e militare francese creata il 30 gennaio 1943 dal Governo di Vichy con funzioni di polizia politica e per combattere la Resistenza francese. Con il prosieguo della guerra alcuni reparti seguirono i tedeschi e giunsero nell’Italia del nord.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

Sergio Caivano con questa sua nota commenta la nuova edizione del libro di Marco Fini e Franco Giannantoni, La Resistenza più lunga, libro che illustra la Resistenza in Valtellina.
Presentando, in qualità di coordinatore della conferenza indetta il 18 novembre 2008 a Sondrio presso la sala Vitali la riedizione del libro La resistenza più lunga di Marco Fini e Franco Giannantoni, ho sostenuto che si trattava del testo più completo esistente al merito, e che la sua pubblicazione, avvenuta nel 1984, fu importante, se non addirittura fondamentale, per l’assegnazione della medaglia d’argento al valor militare per la Resistenza da parte del Presidente della Repubblica, avvenuta con apposito D.P.R. in data 26.3.87.
[…]
È altrettanto chiaro come le relazioni con la Legazione italiana di Berna e, soprattutto, con i servizi segreti alleati, l’influenza fin dalle origini di movimenti partigiani apolitici, moderati o addirittura conservatori, la guida di ”Camillo” (Giuseppe Motta), decisamente tradizionalista, infine l’oggettiva e impellente necessità di difendere e salvaguardare il grande patrimonio idroelettrico, spinsero invece i partigiani dell’alta valle verso il posizionamento e l’attendismo, favoriti anche dalla natura del suolo. Ma, al momento giusto, anch’essi dimostreranno tutto il loro valore nel corso delle ultime, cruente battaglie.
Per concludere: a mio avviso, non si sono avute due resistenze, ma due strategie molto diverse. Perché, al di là delle divisioni e delle tensioni – che c’erano – prevalse il cemento unificante dell’antifascismo che condusse anche al Comando unico del colonnello Alessi per tutta la Valtellina. Soprattutto era comune a tutti l’obiettivo finale: cacciare l’invasore tedesco, eliminare la dittatura fascista.
Sergio Caivano, La Resistenza in Valtellina: una sola, con due strategie diverse, ANPI Lombardia, 9 giugno 2009