Comandante Barbato

Fonte: Patria Indipendente cit. infra

Con gli occhi di Pompeo era il titolo originario, frettolosamente mutato in un altro più convenzionale e quasi accademico (Comandante Barbato-Un partigiano della Sicilia), del bel film-documentario del regista Enzo Rizzo proiettato il 16 aprile in prima nazionale a Palermo nel cinema “De Seta” dei Cantieri culturali in una sala affollatissima. Penetranti, ma non inquietanti, erano quegli occhi di Pompeo Colajanni, se ti fissavano mentre Lui, il vecchio Comandante, ti stringeva una mano portandosela al petto. Direi che ti imponevano la forza di un ideale di cui egli era il monumento vivente. Quasi una tanto perentoria quanto dolce investitura alla quale non riuscivi a sottrarti e di cui avvertivi il privilegio. Così, se avevi il sentire lungo della storia, potevi supporre che non potesse essere che quello anche lo sguardo di Garibaldi di cui favoleggiavano i contemporanei. Proprio così, in quegli occhi c’era il più evidente lascito ideal-emotivo garibaldino del mitico Comandante “Barbato” cui una voce pubblica consolidatasi negli anni riconosce il titolo di “liberatore di Torino” (condiviso con il suo conterraneo, e suo “vice”, Vincenzo Modica, il comandante “Petralia”) nelle giornate dell’insurrezione nazionale del 25-27 aprile 1945: una vita partigiana di forte timbro eroico – ricostruita con cura filologica (sulla base di documenti inediti, compresi, in primo luogo gli appunti autografi lasciati dal protagonista”) e con avvertite precauzioni per evitare il più possibile di cedere a facili tentazioni agiografiche. Il valente regista si è avvalso del soccorso informativo e creativo degli eredi diretti (i figli, Giorgio in primo luogo, e Alessandro, Emilia, Enrico e Luigi, a loro volta insigni per meriti pubblici), con il concorso finanziario della Regione e con il patrocinio dell’Istituto Gramsci Siciliano e dell’Anpi che al Comandante “Barbato” intitola la sua importante sezione di Palermo, da Lui medesimo fondata e per lungo tempo diretta.
Eccezionali i meriti acquisiti da Pompeo sul campo fin alla fase iniziale della guerra di liberazione: fondatore e guida, insieme ad altre celebri personalità quali Antonio Giolitti, Augusto Monti, Giancarlo Pajetta (il “ragazzo rosso”, il partigiano “Nullo”) e Ludovico Geymonat, del movimento resistenziale piemontese e della prima “banda” partigiana in Italia, strutturatasi nella IV Brigata Garibaldi Cuneo e poi responsabile generale delle formazioni garibaldine dell’VIII zona partigiana del Piemonte, alla testa della I Divisione Garibaldi Piemonte , quella, appunto, che liberò Torino). A tali meriti, Pompeo, nato a Caltanissetta , e già ufficiale di complemento di cavalleria a Pinerolo, poteva aggiungere il prestigio di appartenere ad una famiglia illustre per il luminoso ruolo svolto nella storia della democrazia italiana dopo l’unità dallo zio paterno Napoleone Colajanni (1847-1924), lo studioso e politologo meridionalista di Enna, di formazione mazziniano-garibaldina, che aveva acquisto fama internazionale per il rigore esemplare della sua lunga esperienza di parlamentare del Regno che ne aveva fatto per varie legislature la voce critica più autorevole contro ogni forma di strapotere e di corruzione (secondo l’icastica definizione di Cavallotti, “la suocera del parlamento”!).
Pompeo incarnava la simbiosi patriottica di una grande storia risorgimentale di famiglia con quella sua personale di un antifascista che potrebbe dirsi originario e naturale, precocissimo militante clandestino comunista qual era da giovane avvocato, educatore alla giustizia e “compagno” di operai e minatori a Caltanissetta, lì, nel cuore di granai e zolfare della profonda Sicilia che pure fu per alcuni anni, non solo luogo di solitudine e di sofferenza popolare, ma anche una specie di “piccola Atene” di provincia con le sue buone fucine scolastiche, con il lavoro culturale della sua raffinata Casa editrice e le sue riviste letterarie, con i suoi Brancati, Sciascia e Vittorini: pertanto, un intellettuale affabile e una tempra di combattente nella cui vita i valori elitari di una colta borghesia progressista si travasarono, fecondandoli, nella pratica dell’antifascismo e – a volerci concedere una certa enfasi – il primo Risorgimento della patria trascorse, senza soluzione di continuità, nel secondo Risorgimento.
Dopo l’esperienza partigiana , fino al 1987 anno della sua morte, il comandante Barbato sarebbe diventato in Sicilia soprattutto il compagno Pompeo; con gli anni, meglio a dirsi, lo zio Pompeo, elegante con la sua affabilità a corredo di un’eloquenza travolgente , per tutti i militanti comunisti ma anche per una più vasta area sociale di democratici impegnati nelle più varie lotte civili a cominciare – soprattutto – dai contadini alla cui liberazione dallo sfruttamento dei latifondisti e della mafia egli aveva contribuito, da dirigente nazionale del Partito, da deputato e legislatore, fin dal primo dopoguerra (fu anche sottosegretario alla guerra del gabinetto Parri e del successivo primo governo De Gasperi), all’ombra di un’altra grande personalità, Girolamo Li Causi, che la Sicilia, in uno stretto legame Nord-Sud, aveva offerto all’indivisibile storia nazionale dell’antifascismo e della Resistenza.
[…] l’acquisizione conoscitiva di valenza storica definitiva, che è la seguente: la conquistata consapevolezza (almeno a partire dall’importante Convegno organizzato dall’Anpi a Napoli nel gennaio 2015) dell’indivisibile esperienza unitaria Nord-Sud e Sud-Nord dell’antifascismo e della Resistenza, con il pieno riconoscimento (che non è mai stato un riconoscimento facile e scontato, per via di certe irrisolte residualità “nordiste”, nonostante le cifre dei fatti) dell’imponente partecipazione meridionale e specialmente siciliana, tra le più vistose quantitativamente e qualitativamente, alla guerra di Liberazione; un riconoscimento che conferma il senso del grande raduno nazionale dei militanti dell’Anpi il 1° maggio 2010 a Portella della Ginestra, luogo estremo di testimonianza delle specificità sociali e delle capacità di sacrificio di una cultura originariamente antifascista sviluppatasi in Sicilia, dal grande movimento dei Fasci dei lavoratori di fine Ottocento al secondo dopoguerra, sul percorso ininterrotto di una tradizione che – lo ha ricordato con forza Ottavio Terranova – si è fusa organicamente al Nord con la guerra al nazifascismo, diventando azione militare e unitaria lotta civile nazional-popolare. Niente potrebbe meglio testimoniarlo del fatto stesso che il nome di battaglia prescelto da Pompeo Colajanni, “Barbato”, ovvero “Nicola Barbato”, era il nome del medico protosocialista di Piana degli Albanesi (paese nel cui territorio ricade Portella della Ginestra), leader sommo e indimenticabile di quei Fasci dei lavoratori siciliani. Un lungo filo di storia patria che, dalla Sicilia, percorre e avvolge in una sola storia Sud e Nord d’Italia. Un filo, di cui Pompeo era ben consapevole, da non spezzare, ha detto Albertina Soliani (ricordando tra gli altri siciliani il partigiano comunista Gino Cortese, anche lui nativo di Caltanissetta, che tanta parte, e una parte fondamentale, ebbe nelle vicende resistenziali della sua Parma), così concludendo il suo intervento, senza retorica, per quanto con enfasi pensosa e calibrata: “Grazie Nicola Barbato, Grazie Sicilia!”
Giuseppe Carlo Marino, “Comandante Barbato”: la prima a Palermo, Patria Indipendente, 24 aprile 2018

Pompeo Colajanni (Barbato) nasce a Caltanisetta nel 1906 da famiglia di orientamenti risorgimentali, democratici, mazziniani e garibaldini; la madre di origini nobili, è di orientamenti liberali. La sua prima formazione politica è sulle opere di Carlo Cattaneo e Carlo Pisacane. Si iscrive presto alla Gioventù repubblicana e svolge attività nella Federazione giovanile siciliana. Le vicende del dopoguerra e i conflitti sociali che ne derivano lo vedono schierato contro i latifondisti locali prima e poi contro le iniziative delle squadre fasciste. Si orienta verso le formazioni politiche che sostengono i diritti dei lavoratori e la lotta di classe; nel 1921 si iscrive all’organizzazione dei giovani comunisti di Caltanisetta, mantenendo però una notevole disponibilità al dialogo con tutte le componenti della sinistra.
È coinvolto in alcuni scontri con le squadre fasciste e diventa un soggetto sottoposto a sorveglianza da parte delle autorità. Frequenta l’Università a Palermo e conosce gli ambienti intellettuali della città. Si laurea in giurisprudenza nel 1928 e subito dopo è assegnato al corso allievi ufficiali della Scuola di cavalleria di Pinerolo. Coltiva amicizie e contatti sia tra i compagni d’arme a Pinerolo, sia a Firenze, dove viene trasferito. Nel 1930 torna a Caltanisetta dove inizia l’attività forense come penalista. Negli anni seguenti con alcuni compagni costruisce una prima rete di cellule di partito anche in provincia, mentre mantiene i rapporti con alcuni intellettuali di vario orientamento. Alcuni arresti colpiscono l’organizzazione.
Nel 1940 viene richiamato nel Battaglione Cavalleggeri di Palermo e inizia un’attività di proselitismo verso gli ufficiali per contrastare le scelte belliche del fascismo. Viene denunciato nel 1941, ma le prove raccolte non sono sufficienti a condannarlo per attività antifascista. Nel 1942 viene trasferito a Roma per un corso di formazione e qui prende contatto con Mario Alicata, collegato con il centro del Partito comunista. Viene di nuovo trasferito a Pinerolo e qui riesce a coordinare un numero significativo di giovani ufficiali, e a prendere contatto anche con ufficiali superiori, come il generale Raffaele Cadorna, allora in servizio a Pinerolo. Colajanni promuove una struttura clandestina, l’Alleanza militare Italia libera (AMIL), che critica la condotta della guerra e sostiene la necessità di uscire dal conflitto. Nel 1943 viene trasferito a Cavour, sede di addestramento alla guida delle autoblindo della Scuola di Cavalleria. Qui stabilisce rapporti con l’antifascismo piemontese, oltre che con militanti del partito comunista, con componenti torinesi del Partito d’Azione e con il mondo militare contattando anche ufficiali moderati ormai preoccupati per l’andamento disastroso della guerra.
Questi contatti si riveleranno preziosi nel definire rapidamente le scelte sue e dei militari che gli sono vicini di fronte allo sfascio dell’8 settembre. La sera del 10 settembre la decisione di resistere ai tedeschi con le armi è presa. A Barge si costituisce un primo nucleo di resistenti, verso cui affluiscono militari sbandati e i giovani indirizzati dalla rete degli antifascisti attiva a Torino. Colajanni assume come nome di battaglia quello di un medico socialista, Nicola Barbato, fondatore dei Fasci siciliani e perseguitato per le sue battaglie in difesa dei diritti dei lavoratori. La prima banda partigiana avrà il nome di Carlo Pisacane, il martire risorgimentale che sentiva più vicino alle sue idee di emancipazione sociale. Da questo nucleo iniziale figlieranno diverse altre bande fino a costituire la I^ Divisione Garibaldi Piemonte e poi il raggruppamento Divisioni Garibaldi Cuneese.
Barbato diventerà il comandante partigiano più prestigioso di quest’area e le formazioni partigiane al suo comando si estenderanno verso il Monferrato. Verrà nominato comandante della VII^ Zona, vice comandante del Comitato Militare
Regionale Piemontese e a lui verrà affidato il compito di guidare l’attacco da est delle formazioni partigiane per la liberazione di Torino.
Conclusa con successo l’insurrezione di Torino e sciolte le formazioni partigiane a Colajanni verrà affidato l’incarico di vice questore del capoluogo piemontese; sarà poi sottosegretario alla Guerra nel governo Parri e poi nel
primo governo De Gasperi, anche se trovava difficoltà ad adattarsi, lui uomo di azione, a ruoli istituzionali.
Ritornato in Sicilia la sua carriera politica si svilupperà nel partito comunista come segretario della Federazione del PCI a Palermo e poi a Enna; farà parte anche del Comitato centrale.
Dal 1947 farà parte del Comitato Nazionale dell’ANPI.
Sarà eletto nel Consiglio comunale di Palermo e con la costituzione della Regione Sicilia sarà per due legislature vice presidente del Consiglio Regionale.
Svolgerà per il partito anche una notevole attività di relazioni internazionali.
Verrà infine eletto nel 1975 alla Camera dei deputati nella circoscrizione di Torino.
Morirà a Palermo l’8 dicembre 1987.
(a cura di) Claudio Dellavalle, Meridionali e Resistenza. Il contributo del Sud alla lotta di Liberazione in Piemonte. 1943-1945, Consiglio Regionale del Piemonte, 2013

[…] Pompeo Colajanni nasce a Caltanissetta il 4 gennaio 1906 e muore a Palermo l’8 dicembre 1987: è stato un partigiano, politico e antifascista italiano.
Ufficiale di cavalleria, divenne comandante delle Brigate Garibaldi della Valle del Po, distinguendosi, con il nome di battaglia di “Nicola Barbato”, per capacità e combattività durante tutto il corso della Guerra partigiana. Nella parte finale del conflitto divenne il responsabile generale delle formazioni garibaldine dell’VIII Zona partigiana del Piemonte e prese parte con un ruolo importante alla liberazione di Torino.
Attività antifascista
Avvocato, negli anni venti, antifascista convinto e militante del PCI clandestino, si adoperò per la costituzione di una organizzazione nella quale si ritrovarono i giovani repubblicani, socialisti, anarchici e comunisti, per questa attività subì perquisizioni e venne arrestato.
L’ 8 settembre 1943 Colajanni era in Piemonte inquadrato nel Reggimento “Nizza Cavalleria”, come tenente di complemento a Pinerolo, l’avanzamento a capitano essendogli stato negato per i suoi precedenti antifascisti.
Comandante partigiano
Entrato in contatto con un gruppo di politici comunisti che a Barge nella Valle Po avevano costituito un primo nucleo di resistenza da cui avrebbero preso forma le Brigate Garibaldi del Piemonte (Lodovico Geymonat, Antonio Giolitti, Gian Carlo Pajetta), Colajanni si aggregò a questo gruppo con una parte dei militari del proprio reggimento, contribuendo ad organizzare ed armare una delle prime formazione partigiana attive, denominata 1º battaglione “Carlo Pisacane”. Colajanni portò con sé in montagna una quindicina di membri del suo squadrone di cavalleria, tra cui i tenenti Carlo Cotti e Antonio Crua ed i sottotenenti Vincenzo Modica “Petralia”, Giovanni Latilla “Nanni” e Massimo Trani “Max” che divennero i suoi luogotenenti ed i capi delle formazioni garibaldine piemontesi durante la Resistenza.
Attivo e popolare tra i partigiani garibaldini, Colajanni prese il nome di battaglia di “Barbato” (in onore del medico socialista Nicola Barbato, protagonista dell’esperienza dei Fasci Siciliani) e guidò attivamente la lotta partigiana, esponendosi spesso direttamente nelle operazioni di guerriglia. “Barbato” divenne la figura centrale delle formazioni garibaldine del Piemonte e prese parte al continuo potenziamento delle forze partigiane nella zona; il 14 marzo 1944 divenne comandante della IV Brigata Garibaldi Cuneo e il 22 maggio 1944 assunse il comando militare della 1^ Divisione Garibaldi Piemonte. Dopo aver resistito ad una serie di operazioni di repressione nazifasciste in Val Varaita nel marzo e luglio 1944, le formazioni garibaldine di Colajanni mantennero la loro efficienza di combattimento e in parte vennero disperse a valle secondo la strategia ideata dallo stesso “Barbato” della “pianurizzazione”.
Liberazione di Torino
Con la crescita delle formazioni garibaldine piemontesi e la costituzione di una seconda divisione, (la 11ª Divisione Garibaldi Piemonte) Colajanni lasciò il comando della 1ª Divisione Garibaldi Piemonte a Vincenzo Modica e divenne il responsabile superiore dell’VIII Zona partigiana piemontese (Monferrato). Nell’aprile 1945 “Barbato” organizzò la marcia delle formazioni partigiane su Torino da varie direzioni; l’attacco ebbe inizio il 19 aprile 1945 con l’assalto delle formazioni di Modica contro il presidio fascista repubblicano di Chieti che venne sconfitto dopo uno scontro a cui presero parte anche reparti dell’11ª Divisione Garibaldi e del Gruppo Operativo Mobile diGiustizia e Libertà.
A questo punto la situazione divenne confusa per il tentativo del colonnello britannico John Stevens, capo della locale missione alleata, di arrestare la marcia dei partigiani e favorire l’arrivo per prime a Torino delle truppe anglo-americane. Un falso messaggio del CMRP (Comitato Militare Regione Piemonte) venne inviato ai partigiani di Colajanni ordinando di sospendere l’irruzione nel capoluogo piemontese. Subodorando un inganno, “Barbato” invece il 26 aprile diede ordine di continuare la marcia ed entrare a Torino; il 28 aprile 1945 i partigiani garibaldini delle formazioni di Modica e Latilla entrarono in città dove, con la collaborazione degli autonomi di “Mauri” e dei giellisti, superarono la resistenza delle Brigate Nere e liberarono l’abitato. Colajanni, vicecomandante del CMRP, dopo la liberazione venne designato vicequestore di Torino.
Incarichi nelle istituzioni
Pochi mesi dopo divenne sottosegretario alla Difesa nel Governo di Ferruccio Parri, e successivamente nel primo governo di Alcide De Gasperi. Inviato subito dopo in Sicilia, divenne consigliere comunale di Palermo. Nel 1947 fu eletto Deputato regionale in Sicilia per il Bocco del Popolo. Rimase per sei legislature fino a quando si dimise nel marzo 1969, ricoprendo anche la carica di Vice presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana. Fu eletto poi nel 1975 (subentrando a Vito D’Amico) alla Camera dei Deputati a Torino, dove rimase fino al 1976.
Il suo impegno politico durò fino alla morte, infatti ricoprì diversi altri incarichi: Consultore nazionale, Membro del comitato centrale del PCI, Segretario delle federazioni comuniste di Enna e Palermo, Consigliere nazionale dell’ANPI di cui fu fondatore e presidente per l’ANPI Sicilia e nel Consiglio nazionale della pace.
Riconoscimenti
Nel Giardino Inglese di Palermo accanto ai caduti a Cefalonia è stato eretto un cippo in sua memoria in cui è inciso:
«Pompeo Colajanni, comandante “Nicola Barbato” 1906-1987, partigiano, contribuì alla liberazione dell’Italia dai nazifascisti e al riscatto della Sicilia».
Il Comune di Grugliasco gli ha dedicato un Largo nel quartiere San Giacomo-Fabbrichetta. Anche Torino gli ha dedicato una via nel quartiere Madonna di Campagna.
Mirko Crocoli, Pompeo Colajanni, USEF, 25 aprile 2017

IL COMANDANTE partigiano che il 28 aprile 1845 entra a Torino da liberatore aveva scelto di chiamarsi “Nicola Barbato”, come l’apostolo dei Fasci. Il suo nome era Pompeo Colajanni, arrivato a Torino dalla lontana Caltanissetta colmo di eroici furori: «Mi pareva di fare sventolare sulle Alpi la bandiera rossa dei Fasci siciliani per tant’ anni custodita nel segreto dai fedeli compagni di Piana degli Albanesi». Partito comunista e instancabile animatore di organizzazioni antifasciste, Colajanni fu anche deputato regionale dal 1947 al 1969: una conclusione in tono minore, come volere addomesticare un ruscello montano con argini di cemento. Il povero comandante Barbato si ritrova in una compagnia ben poco esaltante, alle prese anche con un certo Ignazio Marinese che da presidente dell’ Ars rifiuta di associarsi alla commemorazione di Matteotti e «il rifiuto… fu accompagnato dalla minaccia di esaltare la marcia su Roma, di osannare cioè le scellerate imprese degli assassini». Colajanni liquida sprezzantemente i suoi interlocutori come «pavidi relitti del fascismo», li accusa di essere nemici dell’ autonomiae invoca una nuova Resistenza per il «popolo meridionale»: è il 26 giugno del 1954, Colajanni parla al Convegno meridionale dell’Associazione partigiana. È un uomo d’ azione poco portato per le analisi storiche, s’è ritrovato in qualcosa che rischia di non comprendere e ogni tanto fra le sue parole affiora lo sgomento. Perché le lotte di liberazione sono belle e coinvolgenti per loro natura, e tornato in Sicilia generosamente lui ha accolto anche il separatismo fra le lotte di liberazione. Si richiama a Canepa, ricorda che lo Stato accentratore è stato fascista e il popolo siciliano ha conquistato l’ autonomia «nella dialettica delle varie correnti dell’ antifascismo»: è un po’ come far quadrare il cerchio, ma il comandante partigiano invoca la «discordia concorde» di tante diverse tradizioni patriottiche. È la Sicilia sempre idealmente garibaldina che vive la sua Resistenza, i nuovi martiri sono i sindacalisti trucidati e Portella della Ginestra: Colajanni ricorda la notte dopo la strage, le donne di Piana che nella loro lingua antica mescolano il dolore alla volontà di lotta e «chiamavano i partigiani, invocavano la giustizia partigiana». La sua vita da deputato regionale però non dev’ essere facile. In un intervento del 1959 Colajanni si dice un partigiano italiano, «combattente impegnato nella Resistenza che continua al Nord e al Sud» e mette in guardia. Il primo Risorgimento ha prodotto l’ Unità d’ Italia ma è stato tradito, il secondo Risorgimento coincide con una frase contenuta in uno scritto autobiografico adesso pubblicato dalle edizioni La Zisa, Le cospirazioni parallele, a cura di Maurizio Rizza (175 pagine, 9,90 euro): dieci interventi di Colajanni e in appendice una lettera di Giuseppe Alessi, che avrebbero meritato una più attenta curatela per meglio contestualizzare le posizioni di Colajanni e il suo stesso personaggio ma, poiché si tratta di materiali non facilmente reperibili, si finisce comunque col leggere con interesse. “Cospirazioni parallele” sono le due opposizioni praticate da Colajanni contro il fascismo, quella politica e quella militare. Fra i fondatori del Resistenza e «non può essere tradito, non sarà tradito». Con molta buona volontà, ancora una volta prova a difendere l’ autonomia regionale e addirittura la promuove a «conquista di tutta la Resistenza italiana» che ha i suoi nemici nella «potente coalizione di forze sacre e profane (dal cardinale Ruffini alla mafia)». Pompeo Colajanni aveva cominciato a fare politica a soli 14 anni, antifascista da sempre. Era nato a Caltanissetta, aveva studiato a Palermo e poi a Bologna. Tornato in Sicilia fa proselitismo antifascista anche da ufficiale dell’ esercito, crea cellule comuniste clandestine nei paesi. Trasferito a Pinerolo lavora alla diffusione di una rete cospirativa che rapidamente si estende, la dittatura ha fatto il suo tempo. Arriva l’ 8 settembre 1943, viene firmato l’ armistizio con gli Alleati: per il tenente comunista Pompeo Colajanni comincia una nuova vita. Il 10 settembre assieme a una quindicina di meridionali si avvia verso le montagne e fonda la prima banda garibaldina, la “Carlo Pisacane”. Con sicuro intuito politico il Colajanni partigiano vuole ampliare la partecipazione popolare alla Resistenza, i suoi interlocutori naturali sono gli operai della periferia industriale di Torino. Le formazioni partigiane crescono a vista d’ occhio, gli alleati sembrano preoccuparsi per tanto successo. Tanto che il 13 novembre del ‘ 44 radio “Italia combatte” trasmette un proclama del generale Alexander che invita a smobilitare sino a primavera. Il comandante Barbato risponde ordinando di rinserrare le fila, ha l’ obiettivo di liberare le città senza attendere gli angloamericani che dal canto loro non gradiscono i rapporti fra partigiani e popolazione. Saranno le formazioni guidate da Colajanni a liberare Torino il 28 aprile 1945. Poi i meridionali che in montagna erano diventati partigiani tornano nelle campagne, molti saranno in prima fila nella lotta per la terra. Cominciava     un’ altra Resistenza. Più lunga e più difficile.
Amelia Crisantino, Dieci lezioni di Colajanni, la Repubblica, 25 aprile 2009

Francesco Biga sottolineava che “il colonnello Pompeo Colaianni (Barbato) dispose per l’invio di 200.000 lire e di numerose paia di scarpe… giungono lire 500.000 dal CLN imperiese per pagare i debiti contratti… il 31 ottobre, su ordine del comando divisionale, il vice comandante della V^ Brigata si porta a Mondovì per trattare con il cavaliere Battaglia, ricco industriale, il versamento di 5 milioni” [Caro Curto. La tua richiesta mi è giunta attraverso Antonio. I Tedeschi  non riusciranno mai a piegare la tua valorosa Divisione. Auguro che quando questa lettera ti raggiungerà, avrete già avuto notizie dei compagni feriti e della tua famiglia. Scrivo al battaglione di Boves, appoggiatevi ad esso. Cercheremo di darvi aiuto per le scarpe attraverso questa via. Non posso disporre che di L.100.000, perché i nostri bisogni sono preoccupanti e tu ben sai che gli amici <gli Inglesi> non sono generosi con noi, né di armi né di denaro. Altre 100.000 spero vi possano essere date, dietro mio ordine, dal battaglione Boves. Ricevi questo poco denaro con l’augurio dei nostri animi fraterni. Salutiamo i tuoi uomini e ti abbracciamo fraternamente. Barbato].
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I – Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia – Anno Accademico 1998 – 1999

Fra i documenti garibaldini che maggiormente ci hanno coinvolti, troviamo i comunicati relativi alle ore di tensione precedenti l’insurrezione di Torino.
Superando pregiudizi e rancori, dopo vari ‘approcci’, viene costituito il Comando Unificato tra i Garibaldini ed i Giellisti: è un atto importante che segna la creazione del Corpo Volontari della Libertà e reca in calce le firme di ‘Barbato’ (Pompeo Colajanni) e di Roberto Malan.
La Liberazione si sta avvicinando e le formazioni partigiane di partito vengono sciolte: non ci saranno più Garibaldini, G.L., Matteotti, Autonomi… tutti saranno incorporati in un esercito volontario.
Iniziano ad arrivare messaggi contraddittori circa l’insurrezione; si alternano speranze e disillusioni; si inseguono, di ora in ora, dispacci….
Ore 24 del 24 Aprile 1945, ‘Barbato’ e ‘Marelli’ comunicano il testo del telegramma del C.M.R.P. (Comando Militare Regionale Piemontese) tanto atteso: ‘Aldo dice 26×1 stop Nemico in crisi finale stop Applicate piano E 27 stop’;
invitano ad una stretta sorveglianza su automezzi sospetti e a garantire la viabilità per le truppe alleate.
Ore 21.00 del 25 Aprile 1945, arriva al Comando dell’VIII^ Zona di ‘Barbato’ il contrordine di fermare ogni cosa.
Vero? Falso?
Ore 12 del 26 Aprile 1945, il Comando dell’VIII^ Zona, pur con notevoli perplessità, informa il C.M.R.P. di aver sospeso l’esecuzione dell’ordine, ma di aver operato con pattuglie in azioni di alleggerimento.
Ore 14.30 del 26 Aprile 1945, dal Comando di Divisione S.A.P. del IV Settore, viene inviato ai partigiani di San Mauro l’ordine di marciare su Torino per portare rinforzi ai Grandi Motori di Corso Vercelli, la cui situazione è critica.
Ore 14.45 del 26 Aprile 1945, il Comando Militare Regionale Piemontese invia al Comando della VIII^ Zona un messaggio urgentissimo per l’applicazione immediata del Piano E 27, confermando la falsità del messaggio precedente e informando che Milano era stata liberata alle 14.00 e che qualsiasi ordine contrario deve considerarsi di ‘fonte nemica’.
Ore 15.00 del 26 Aprile 1945, ‘Barbato’ e ‘Marelli’ firmano un ordine di intervento per la Divisione ‘Lanfranco’, che dovrà aiutare il Comando S.A.P. della IV^ Zona con azioni di alleggerimento.
La situazione precipita: alle ore 16.15, al Comando dell’VIII^ Zona di ‘Barbato’ e ‘Marelli’, ‘Nello’ riceve l’ordine perentorio del C.M.R.P. che tutte le formazioni partigiane alle porte di Torino entrino immediatamente in città, sopraffacendo qualsiasi resistenza nemica.
Ore 16.30 del 26 Aprile 1945, ‘Barbato’ e ‘Marelli’ ordinano a tutti i comandanti di marciare su Torino, perché la città è insorta, le fabbriche sono state occupate dagli operai e reparti di varie divisioni partigiane sono già in città. ‘Resistere, fratelli, la libertà è vicina!’: sono le parole che ‘Marelli’ scrive su un dispaccio del 26 Aprile 1945 alle ore 17,30, per segnalare che tutte le forze dell’VIII^ Zona si sono mobilitate e che il loro ingresso in Torino è
previsto per le 20.00-22.00.
Atto finale: ore 22.30 del 26 Aprile 1945.
Il Capo di Stato maggiore per il Piemonte, maggiore Dodson, invia a ‘Barbato’ l’ordine di insurrezione emanato dal Comando del XV Gruppo d’Armata Alleato, nel quale si chiede ai partigiani di compiere uno ‘sforzo supremo’.
Il Messaggio arriva alle ore 23.00 e chi lo riceve annota in calce: Viva l’Italia libera!, perché Torino era già stata liberata.
E senza alleati.

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