Il capitano Ernesto Melis e la sua Banda Partigiana

Uno scorcio di Visso (provincia di Macerata) – Fonte: Wikipedia

Il Comune di Visso, a cavallo tra l’Umbria e le Marche, durante i mesi di lotta divenne un punto di riferimento per molti gruppi partigiani. La popolazione del luogo si dimostrò generosa e comprensiva nei confronti degli ex prigionieri, scappati dal campo di internamento di Colfiorito e dei tanti giovani che dall’8 settembre si erano dati alla montagna. Le prime formazioni di patrioti che facevano capo a Visso si formarono sotto l’impulso di Pietro Capuzi e del capitano Melis, responsabile della parte operativa.
Roberto Battaglia, in un libro scritto nei mesi precedenti all’insurrezione nazionale del 25 aprile, forniva un affresco interessante del suo primo incontro con i partigiani dell’Appennino umbro-marchigiano. Il giorno che decise di raggiungere Visso, camminando a piedi tra la neve, immaginava di trovare lungo il tragitto sentinelle e numerosi posti di blocco, invece si trovò di fronte un paese tranquillo come molti altri dell’Umbria appenninica, solamente un po’ più frequentato. I partigiani giravano liberamente tra le case, distinguendosi dai paesani solo per qualche particolare negli abiti, come potevano essere i fregi tricolori o i giubbetti rossi. Battaglia scriveva: ≪M’accolse nella sua casa, aperta a tutti senza sospetto, Pietro Capuzi che animava il movimento partigiano con la stessa cura con cui un buon sindaco dei tempi passati avrebbe pensato agli interessi pacifici del suo villaggio. Sorridente, grassoccio, col cranio lustro, mi parlò con compiaciuta saggezza dei suoi ragazzi e dell’idea socialista, del Comitato di Liberazione di Roma che rappresentava e del Comando Unico umbro-marchigiano che aveva in animo di costituire≫ (Battaglia, 1945, p.35-36).
Comandante militare del movimento era invece il capitano dei bersaglieri Ernesto Melis che, dopo l’armistizio si era riparato in montagna nell’alta valle del Nera, da dove organizzò le prime azioni contro i militari tedeschi in transito. Melis divenne una figura leggendaria dopo che il capo fascista della provincia di Perugia, Armando Rocchi, gli intimò attraverso un bando affisso sui muri di molti paesi di desistere dalla sua attività e di costituirsi. Da allora la maggior parte dei paesani si interessarono in modo particolare al perseguitato, non con l’intenzione di denunciarlo, bensì di avvicinarlo in qualche modo per vedere come fosse fatto e raccontarlo poi agli altri. Nacquero così numerose leggende intorno alla sua figura. Nel frattempo cominciarono ad indirizzarsi a lui i tanti giovani intenzionati a sfuggire all’arruolamento per l’esercito di Salò o per il servizio lavoro e proprio con i suoi uomini, Melis risalì il Nera fino a Visso.
Roberto Battaglia ricordava anche di come l’atmosfera di quella “zona libera” fosse delle più particolari: ≪Tutta la vita era a Visso una specie d’innocente “doppio gioco”, retto dalla prudenza paesana e dall’orgoglio municipale per questa nuova attività e potrà oggi sembrare, dopo tanti dolori, un esperimento ingenuo e inconsapevole delle dure necessità della guerriglia. Non si può negare che sia stato questo, ma bisogna ammettere che era nel tempo stesso un primo tentativo di renderla popolare, di avvicinarla senza sforzo anche agli elementi più umili, forse il miglior risultato che si potesse ottenere …≫ (Battaglia, 1945 p.37-8).
Anche Celso Ghini, responsabile per il partito comunista della zona umbro-marchigiana, serbava ricordo della zona di Visso come di una specie di repubblica autonoma, dove però il capitano Melis aveva assunto la carica di “signore indiscusso della guerra”, che non riconosceva l’autorità del CLN. In realtà la banda di Visso era collegata attraverso Capuzi al CLN di Roma, con cui avvenivano frequenti contatti. Tuttavia è ipotizzabile che Melis, a causa delle minacce scambiate con il capo della provincia di Perugia Rocchi e in quanto geloso della propria autonomia di azione, avesse in parte ridotto le attività del gruppo, andando contro le aspettative del CLN di Roma. Quest’ultimo era intenzionato a realizzare nell’Appennino umbro-marchigiano un comando politico-militare unificato, per migliorare e ampliare la lotta e per questo vennero fatti numerosi tentativi di coordinamento. Si pensi al convegno di San Maroto del 18 gennaio 1944 o a quello di Fematre, frazione di Visso, del 10 marzo. Ciò nonostante non si arrivò mai ad una risoluzione condivisa e attuabile. La difficoltà risiedeva anche nel fatto che il territorio interessato si trovasse a cavallo tra due provincie e due regioni e che mancassero adeguati collegamenti tra i vari CLN: tra quello di Tolentino e di Foligno da un lato, e quello di Perugia e Macerata dall’altro. Solo alla fine di marzo, nel corso del convegno di Riofreddo, altra frazione di Visso, fu costituita la Brigata Spartaco, il cui comando venne affidato al tenente Giorgio Gatti. La Brigata incorporò soprattutto le bande dell’alto maceratese: Visso, Serravalle, Massa, Fiastra e Fiungo; non parteciparono e restarono fuori le bande di Monastero e Piobbico, ma anche il CLN di Macerata e la missione “Man”, che dopo l’eccidio di Montalto aveva spostato la sua attenzione nella zona del Pesarese.
Le operazioni di rastrellamento che interessarono le provincie di Ascoli e di Macerata nel mese di marzo, toccarono anche il Vissano. Il 17 marzo un nucleo di circa 500 militi si diressero verso la città, che fu in poco tempo saccheggiata e devastata. Alcuni abitanti furono feriti, altri vennero uccisi. Successivamente, dal 10 di aprile fino alla fine del mese, venne impiegata più di una divisione in successive azioni di accerchiamento. I partigiani contrattaccarono tra Ferentillo, Comunanza, Cascia, Ancarano, Biselli, Montegallo e Sarnano.
Pietro Capuzi verrà tradito da una spia e sarà fucilato ad Ussita il 26 maggio mentre il comandante Melis, anch’egli catturato in quei giorni, concordò l’uscita dalla lotta.
Bibliografia
AA.VV., Tolentino e la resistenza nel Maceratese, Accademia Filelfica, Tolentino 1964.
R. Battaglia, Un uomo un partigiano, edizioni U, Roma-Firenze-Milano 1945.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.

Visso, STORIA MARCHE NOVECENTO

Ernesto Melis, capitano dei bersaglieri, ferito in Libia e sorpreso dall’armistizio mentre era istruttore all’Accademia di Modena: Ernesto Melis, di origine sarda, militare di carriera, apparteneva ad una famiglia di servitori dello stato; probabilmente monarchico, voleva tener fede al giuramento prestato. Raggiunge, con due colleghi, suo padre a Spoleto (il direttore della prigione della Rocca) e assume senza esitazione, come per un piano preordinato, l’iniziativa del reclutamento e del reperimento delle armi. Ma i partigiani umbri non sono soli, aggregano soldati ed ufficiali italiani sbandati, raccolgono militari britannici e sudafricani fuggiti dai campi di prigionia, detenuti antifascisti slavi ed italiani. Solo dalla Rocca di Spoleto ne evadono (con il favore del direttore) circa un centinaio. Prende corpo la brigata sopra la Val Nerina e i monti Sibillini. Secondo una tattica geniale le forze, organizzate a squadre, operano su vaste aree, con grande mobilità e autonomia d’iniziativa, richiamando e disperdendo così ingenti reparti fascisti e della Gestapo.
Redazione, Memorie di un ribelle. Il diario di Adelio e Fausta Fiore, lacorsainfinita

[…] SPOLETO, 13 OTTOBRE 1943: Il Cap. Ernesto Melis ed il padre Guido Melis organizzano l’evasione dei detenuti politici dal carcere di Spoleto. G. Melis è direttore del carcere “la Rocca” e con la moglie ed i figli viene arrestato dai nazi-fascisti. Il figlio intanto, E. Melis, si trasferisce con altri partigiani a Gavelli, sulla Nera. E. Melis subisce in questo periodo i ricatti dei fascisti, che , con bandi affissi nei paesi della montagna, avvertono il Melis della rappresaglia contro i familiari, se continuerà nelle sue imprese partigiane. Fra gli evasi c’è il tenente slavo Dobrich Milan, che dapprima si unisce alla formazione del capitano Melis per poi staccarsi per andare a fondare, con l’aiuto della famiglia Del Sero, alcuni gruppi partigiani denominati “Banda dei Monti Martani”
COLFIORITO, OTTOBRE/NOVEMBRE 1943: decine di slavi detenuti nei campi di concentramento di Colfiorito e Campello sul Clitunno evadono a piccoli gruppi e si uniscono ai partigiani italiani. […]
ANPI Bevagna

[…] Nella zona dello spoletino, della Valnerina e del folignate operarono varie formazioni la “Melis” e la “Garibaldi”. A Spoleto e Norcia la banda Melis costituita dal capitano del regio Esercito Ernesto Melis (all’indomani dell’8 settembre ritornato a Spoleto dall’Accademia di fanteria a Modena) e da un gruppo di giovani spoletini, molti dei quali, come i fratelli Alessandro e Antonio Fiorani, erano anch’essi ufficiali. Già dai primi giorni dell’ottobre 1943 poteva contare su oltre cento uomini schierati nella zona di Gavelli in Valnerina. Fu protagonista di azioni contro i tedeschi e i fascisti locali, attività che continuò sino ai primi di novembre, quando a seguito dell’arresto di alcuni familiari dei partigiani da parte delle autorità fasciste, la formazione si sciolse. Molti degli uomini che ne facevano parte, tra essi i prigionieri slavi, si aggregarono alla Brigata garibaldina “Gramsci”, mentre gli altri diedero vita a piccoli gruppi che sarebbero entrati in azione nei giorni immediatamente precedenti all’arrivo degli alleati a Spoleto. […]
Alberto Stramaccioni, LA RINASCITA DELLA PATRIA. Dopo l’8 settembre 1943 la Resistenza armata in Umbria, 3 Settembre 2010

[…] Esistono anche accezioni più estese per questa misconosciuta vicenda resistenziale: già il 27 dicembre 1943 Cascia è infatti posta sotto il controllo delle formazioni partigiane che confluiranno nella Bgt. Gramsci; addirittura, Celso Ghini “Luigi”, che da incaricato dal CLN di Roma si reca in quell’area e presiede alla costituzione formale della Brigata, intenderà la zona libera come quel movimento sviluppatosi sin dal settembre-ottobre 1943 nei vasti territori a cavallo tra Umbria e Marche meridionali in cui i tedeschi non si sentivano al sicuro, perciò delimitati con i noti cartelli “Achtung Bandengefahren”: un’area vasta da Tolentino al confine abruzzese e da Amandola a Narni! In questa accezione così estesa, la Bgt. Gramsci non è l’unica formazione partigiana protagonista degli eventi, bensì assieme ad essa svolgono un ruolo anche le altre formazioni umbro-marchigiane monitorate da Ghini in qualità di ispettore, a partire (per lo specifico della Valnerina) dalla banda di Ernesto Melis, nata a Spoleto ma che nella fase successiva si stanzierà nella zona di Visso ed avrà un ruolo-chiave nella Liberazione finale di Norcia, benché oramai in assenza di colui che ad essa aveva dato il nome. Anche nella zona di Leonessa (provincia di Rieti, Lazio) i primi cartelli “Achtung Bandengefahren” appaiono nell’ottobre ’43: uno, collocato sulla strada che da Leonessa conduce a Monteleone di Spoleto, viene rimosso quasi subito dall’antifascista Giulio Gizzi… Di fatto, il comprensorio di Monteleone – tra Leonessa e Cascia – è in mano ai partigiani già nell’autunno. Dopo la fuga dei prigionieri montenegrini dal campo di Ruscio, questi si sono aggregati alla banda di Guglielmo Vannozzi, originario di Monteleone, e la zona è già allora sotto controllo partigiano, ben prima della “ufficializzazione” di febbraio-marzo. La formazione di Vannozzi, alla quale inizialmente era aggregato il tenente Marchi, contribuirà tra le prime a dare vita alla Brigata Gramsci […] La Brigata Gramsci arriverà a contare 1155 effettivi, di cui 230 jugoslavi e 30 russi, più circa 400 “patrioti”, in base ai dati della Commissione Regionale per il riconoscimento dei Partigiani dell’Umbria che fu coordinata nel dopoguerra proprio da Alfredo Filipponi. Più ancora che al numero, il peso rilevante della componente straniera fu dovuto alla elevata preparazione politica e militare degli antifascisti jugoslavi, che si trovavano in zona in quanto fuggiaschi dai numerosissimi luoghi di detenzione, lavoro coatto e internamento presenti in Umbria e regioni limitrofe: quel “sistema concentrazionario” dell’Italia fascista che timidamente si è iniziato a ricostruire in anni recenti. Gli jugoslavi erano in maggioranza già esperti nella guerriglia perché l’avevano condotta nel loro paese, contro gli eserciti di occupazione tedesco e italiano nonché contro i collaborazionisti locali, fino alla cattura e alla deportazione in Italia. Inoltre, la gran parte di loro erano giovanissimi militanti della SKOJ, la struttura giovanile del Partito Comunista jugoslavo, con una formazione ideologica solida ed una piena coscienza del nemico da affrontare. Con la loro esperienza e con la loro determinazione antifascista, essi dettero, fin dall’inizio, un valido contributo alla formazione del movimento partigiano in Italia e al consolidamento della capacità combattiva delle giovani reclute. Nello specifico, il gruppo degli jugoslavi della “Gramsci” si radunò attorno ad alcuni detenuti politici nel carcere di Spoleto, tra i quali lo stesso Toso, che erano stati protagonisti della rocambolesca evasione avvenuta il 13 ottobre 1943 (altre evasioni si ebbero in quelle settimane, spec. il 25-26 novembre). Questi evasi presero dapprima contatti con Ernesto Melis a Gavelli, una piccola frazione sita sul percorso che dalla valle del fiume Nera conduce a Monteleone di Spoleto; ben presto però si manifestarono forti dissidi tra la componente di Melis, in cui prevalevano militari italiani di fede monarchica e badogliana, e quella di Toso, a egemonia comunista, formata da stranieri perseguitati che in quanto tali non avevano nulla da perdere e tutto da guadagnare in una lotta armata attiva. Dopo la rottura, gli jugoslavi di Toso assieme ad alcuni italiani più determinati si spostarono a Mucciafora, paesino vicino alla cima del Monte Coscerno, il più alto della zona. Proprio Mucciafora fu il teatro della prima grande strage nazifascista in zona, avvenuta il 28 novembre 1943, di cui furono vittime soprattutto i capifamiglia del posto, che avevano offerto generosa protezione ai partigiani, oltre ad alcuni combattenti di entrambe le nazionalità. Dopo un iniziale sbandamento, le attività del gruppo di Toso proseguirono con l’intensificazione dei rapporti con l’altro nucleo ad egemonia comunista sorto nell’Umbria meridionale: quello degli operai (molti di loro lavoratori delle Acciaierie), contadini e montanari italiani organizzatisi attorno a Filipponi, provenienti soprattutto dal Ternano. La “Gramsci” poté dunque disporre di un nucleo di grande esperienza e potenza militare, costituito dagli jugoslavi, e di un ampio bacino di militanza costituito da elementi popolari, i cui principali esponenti erano perseguitati politici antifascisti della primissima ora quale lo stesso Filipponi. E’ nella fortunata combinazione di queste diverse componenti che si spiega la straordinaria riuscita delle operazioni partigiane che si susseguirono nei mesi successivi e che portarono la zona libera a raggiungere quella massima estensione precisata nel Proclama del Comando della Brigata Gramsci […]
Andrea Martocchia, articolo pubblicato sul numero speciale di Micromega (n.3/2015: Ora e sempre Resistenza) dedicato al 70.mo della Liberazione, ripreso da Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

Partigiani del comandante della Brigata Antonio Gramsci Svetozar Lakovic “Toso” schierati (Fonte: fototeca ISUC) – immagine qui ripresa da Patria Indipendente

Un esperimento di zona libera si ebbe nella zona meridionale dell’Umbria, in un vasto territorio appenninico che comprendeva i comuni di Cascia, Norcia, Monteleone, Leonessa, San Pancrazio e Poggio Bustone, fra le province di Rieti, Terni e Perugia. Qui, subito dopo l’8 settembre 1943 cominciano ad affluire centinaia di soldati sbandati, cui si aggiungono molti prigionieri di guerra, soprattutto jugoslavi, fuggiti dai campi di concentramento fascisti. A Poggio Mirteto si forma una banda di militari guidata da Patrizio D’Ercole, mentre nella valle del fiume Nera si costituisce una formazione liberale guidata dal capitano Ernesto Melis. Queste bande hanno tuttavia uno scarso ruolo, visto l’attendismo tipico delle formazioni autonome. Sull’altopiano della Leonessa alcuni operai comunisti provenienti dalle fabbriche di Terni, cui si uniscono prigionieri sovietici e jugoslavi evasi, costituiscono la formazione garibaldina “Spartaco Lavagnini”, che inizia immediatamente gli scontri armati: il primo si svolge il 19 settembre. Sempre in settembre si costituisce a Terni il CLN formato dai soli partiti di sinistra, il PCI, il PSIUP e il PRI. Intanto le bande partigiane aumentano rapidamente gli effettivi per l’afflusso di giovani delle classi dal 1922 al 1925, renitenti alla leva fascista. Il 1° febbraio 1944 i vari distaccamenti partigiani, riuniti a Colforcella presso Cascia, costituiscono la brigata garibaldina “Antonio Gramsci”. Comandante militare è lo slavo Svetozar Lakovic, “Toso”, e commissario politico è Alfredo Filipponi, “Pasquale”, comunista di Terni.
L’azione partigiana investe le aree montuose con una serie di attacchi che tra il febbraio e il marzo 1944 portano alla liberazione dell’alta Valnerina e del Nursino dove il 16 marzo si costituisce una vasta zona libera. Ne è capitale Cascia, dove si installa il Comando della brigata Antonio Gramsci.
Viene rapidamente costituito il CLN locale, che prende subito i primi provvedimenti. Viene distribuito alla popolazione un grosso quantitativo di riso e di olio, sottratti ai tedeschi. Nella sede del municipio si distruggono immediatamente gli elenchi dei giovani di leva. Viene installato un tribunale per giudicare e punire collaborazionisti, spie e gli stessi partigiani eventualmente responsabili di crimini. L’ospedale della città viene in parte riservato alla cura di partigiani feriti, mentre per i prigionieri alleati evasi dai campi fascisti si prepara un posto di ristoro. Si allestisce un campo di addestramento per i partigiani. In particolare nella regione Marche il Partito comunista si preoccupa di curare la preparazione dei commissari politici, impartendo corsi di storia e di tattica militare, secondo il modello descritto da Ruggero Giacomini.
Ma non c’è tempo per dispiegare pienamente l’azione civile, amministrativa ed educativa: la brevità dell’esperienza impedisce di creare un legame solido fra i partigiani e la popolazione, e non risulta quindi possibile creare strutture di autogoverno paragonabili a quelle di altre analoghe esperienze nel Nord Italia. Infatti dopo sole due settimane, il 29 marzo, reparti di Alpenjäger, unità SS carriste, squadre della divisione Göring e formazioni fasciste (“Battaglioni M” e paracadutisti) in tutto circa 15.000 uomini forniti di armi pesanti, iniziano un furioso rastrellamento che investe tutta la zona occupata dalla Brigata Gramsci. Più di cinquanta partigiani vengono uccisi, ma la furia si scatena anche sulla popolazione civile: a Leonessa i tedeschi, guidati da una spia italiana, uccidono 52 persone fra cui il sacerdote don Concezio Chiaretti, di 28 anni, presidente del CLN locale e cappellano della Brigata Gramsci. Il paese di Poggio Bustone viene incendiato e completamente saccheggiato e distrutto. Fra marzo e aprile, dopo una settimana di rastrellamento, le vittime tra i civili ammontano a un totale di 650.
Cascia, 1944 – Le Repubbliche Partigiane

Partigiani jugoslavi della “Gramsci” a Norcia nel giugno 1944 – Fonte: ISUC

Durante la Seconda Guerra mondiale l’Umbria, una delle più piccole regioni d’Italia, fu occupata per un periodo abbastanza breve. C’era comunque qualche banda partigiana coraggiosissima che operò per tutto il suo territorio ed inflisse danni importanti ai militari tedeschi – specialmente quelli in transito attraverso la regione. Una di queste bande era quella di Ernesto Melis, un ufficiale di carriera nell’esercito italiano, nella cui vicenda resistenziale è possibile vedere luci ed ombre, soprattutto negli ultimi mesi della sua vita resistenziale quando, secondo varie fonti, Melis si sarebbe comportato in una maniera autoritaria e ambigua rispetto al suo carattere. Ernesto Melis, nato a Napoli il 19 marzo 1914, di famiglia d’origine sarda, era ufficiale di carriera nei Bersaglieri. Al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943, in seguito a ferite riportate durante la campagna in Libia, lavorava come istruttore all’Accademia di Modena. Nella mattina del 9 settembre l’Accademia e la città di Modena furono occupate dalle truppe tedesche. Come scrisse Melis nel suo diario: “La mattina del 9, truppe corazzate tedesche occupavano il palazzo dell’Accademia e la città. Sfuggito alle loro mani, nel pomeriggio stesso tenevo in casa mia una riunione di tutti gli ufficiali ed i sottoufficiali che come me non erano stati presi prigionieri, per iniziare immediatamente una organizzazione anti tedesca.”
Per Melis come per molti ufficiali di carriera, che erano per istinto monarchici e che avevano giurato di servire il re, l’occupazione tedesca e la scelta di servire o per i tedeschi o per la Repubblica di Salò generava una grave crisi di coscienza. Per la maggioranza, questa crisi portò, come per Melis, alla decisione di fuggire dalle caserme e di tornare a casa a sviluppare la resistenza in una zona a loro familiare. Melis stesso tornò con qualche collega della sua compagnia nella valle del Nera vicino a Spoleto dove il padre, Guido, era direttore della prigione di Spoleto, e dopo qualche giorno organizzò, con l’aiuto del capitano dei Bersaglieri Enrico Vecchi, una brigata partigiana. Questa brigata operava nei monti sopra la Val Nerina e adottò il nome di “banda Melis”. La brigata consisteva di squadre che operavano in modo molto efficace su vaste aree, con grande mobilità. Qualche settimana dopo che la banda aveva cominciato ad operare nella zona, il 13 ottobre 1943, il padre Guido Melis aveva lasciato evadere dalla prigione molti condannati dai tribunali fascisti locali, prigionieri anglo-americani ed anche di altre nazionalità, la maggioranza dei quali andò in montagna a combattere con le bande partigiane. Uno di questi fuggiaschi era un montenegrino che si chiamava Lakovic Svetozar (nome di battaglia Toso) che “nega pertanto, in contrasto con altre testimonianze, la collaborazione di Guido Melis” malgrado che “si aggrega alla banda Melis”. Purtroppo Melis e Toso si trovano sempre in dissenso a causa del loro orientamento politico-ideologico estremamente diverso – Melis era monarchico ed anticomunista mentre Toso era fortemente comunista. In più Melis preferì un modo di resistenza più o meno attendista, mentre Toso voleva resistere in un modo feroce e spietato. Questo brutto rapporto fra Melis e Toso e i suoi seguaci è una delle difficoltà che si incontra ricercando la verità sulla vicenda Melis, perché durante e dopo la guerra entrambi coglievano ogni opportunità per parlare male l’uno dell’altro. Comunque, dopo questa evasione, si sa che la banda Melis aumentò ed a un certo punto raggiunse circa 200 partigiani. Anche in seguito all’atto di resistenza di Guido Melis, il figlio subì ricatti da parte dei fascisti. Per esempio, uno dei bandi affissi in molti paesi di zona l’8 dicembre 1943, ad opera del capo fascista di Perugia, Armando Rocchi, diceva: “Il capitano del disciolto esercito Melis Ernesto di Guido, comandante di una banda di ribelli operante in località Mucciafora, in territorio del Comune di Sant’Anatolia di Narco, è invitato a presentarsi entro 48 ore al Comando Carabinieri, con avvertenza che ove non si presentasse sarebbero adottati gravi provvedimenti a carico della intera famiglia, e che come rappresaglia per gli attentati eventualmente commessi da parte della banda a danno di militari germanici verranno prese misure punitive contro i suoi familiari, tenuti in ostaggio”. Così cominciava il mito Melis. Il partigiano diventa una figura leggendaria per tutta la regione per il suo coraggioso disprezzo dei tedeschi e dei fascisti […] Melis rispose a Rocchi, capo fascista di Perugia il 20 gennaio 1944, in modo provocatorio: “Tengo a precisare… che se un solo capello venisse torto ai miei compagni od ai componenti la mia famiglia, procederemmo a gravi rappresaglie contro tutti i fascisti e le loro famiglie siano o no responsabili delle azioni suddette. Noi lottiamo per la giustizia e la libertà d’Italia, noi lotteremo da soldati e da soldati pretenderemo di essere trattati”. La conseguenza di questa replica fu che i tedeschi organizzarono una spedizione a Mucciafiora per catturare Melis. Tuttavia non riuscirono a catturarlo perché il capitano e la sua banda erano risaliti lungo il Nera, fino a Visso nelle Marche. Secondo la testimonianza di Celso Ghini che “viene inviato in Umbria e nelle Marche dal comando militare del CLN di Roma”, ed era un dirigente accreditato della Resistenza nell’Umbria e nelle Marche, dove “svolge un ruolo decisivo nel rafforzamento del movimento partigiano umbro,” la zona di Visso operava effettivamente come una zona libera dove la gente e le bande partigiane potevano muoversi senza minacce dei tedeschi o dei repubblichini. In più “tale territorio è divenuto per un breve periodo ‘centro di attrazione e di stimolo… per la lotta antinazista’ ed ha conferito un notevole prestigio al movimento partigiano sabino-umbro-marchigiano. Era in questo periodo che il carattere di Ernesto Melis, sempre un po’ autoritario, diventò ancora più marcato. Nella sua testimonianza Ghini osserva che il capitano Melis si comportava come una specie di signore della guerra che non riconosceva l’autorità del CLN di Roma malgrado ci fossero frequenti collegamenti fra Roma e Melis. Nel gennaio 1944 ci fu un convegno a san Maroto, al quale parteciparono rappresentanti del CLN della provincia di Macerata e diversi partigiani comandanti locali. Il CLN intendeva raggruppare le bande umbro-marchigiane e affidarne il comando allo stesso Melis, ma lui si atteggiava sempre più a signore assoluto. I comandanti di varie altre bande si trovarono in disaccordo con Melis durante la raccolta di contributi alimentari nella zona di Preci, che Melis considerava di propria “esclusiva sovranità”. In più Melis contestava la direzione politica della zona, e fu in aperto contrasto con il socialista Piero Capuzzi, membro del CLN di Roma e commissario politico della sua Brigata. Capuzzi era nato a Visso nel 1890, e di lui venne detto che “la sua attività politica è ispirata a ideali di giustizia e di libertà”; il suo impegno nella Resistenza si tradusse in una “veemente e insospettabile azione patriottica.” del suddetto e dei suoi uomini. Tale voce successivamente venne definita falsa e si precisò che il Melis si era appartato”. Inoltre, in quel periodo varie fonti riportavano che Melis aveva giurato fedeltà alla Repubblica di Salò, era diventato informatore per i fascisti e che vari membri della sua banda si erano presentati all’Organizzazione Todt. Esiste un colloquio dattiloscritto all’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea (ISUC) (1975), nel quale il capitano parla di che cosa è successo in quel periodo. Ma senz’altro ci sono domande e lacune sulla vicenda Melis immediatamente prima e dopo la sua cattura che presentano interrogativi e meritano maggiori approfondimenti. Dopo la liberazione di Spoleto il capitano Melis fu designato presidente onorario del CLN locale, ma poi scoppiò una polemica violenta e aspra fra lui e il partigiano Otello Loreti, che aveva combattuto con la banda comunista di Filipponi e Toso negli ultimi giorni della Resistenza, e che rappresentava il PCI nel CLN spoletino. La disputa continuò per qualche mese e le ripercussioni durarono per molti anni; infatti Ernesto Melis non tornò a Spoleto per il convegno del trentennale della “Zona libera”. Ernesto Melis, ricoprendo alla fine la posizione di maggiore, diede le dimissioni dall’esercito nel 1946. Andò a vivere a Roma dove lavorò alla Fiat, ultimamente come direttore. Morì l’8 agosto 1976, e la controversia della sua condotta come capo partigiano resta irrisolta.
Jennifer Leaver, Il capitano Ernesto Melis e la sua Banda in