Il governo Pella era gradito ai monarchici

Dopo la tornata elettorale del 7 giugno 1953, il Capo dello Stato, essendosi riservato sulle dimissioni presentate dal Presidente del Consiglio ed avendo effettuato le consultazioni di rito, affida a De Gasperi l’incarico “di sondare in contatti con i rappresentanti delle varie forze parlamentari gli orientamenti rispetto ad un programma di governo”. In realtà, l’intenzione di Einaudi è incaricare direttamente De Gasperi, ma quest’ultimo ritiene più opportuno consultarsi con le forze parlamentari allo scopo non di effettuare trattative, bensì di ricercare “impressioni” sul quadro politico da riferire al Capo dello Stato <44.
Sondati gli umori delle forze politiche, De Gasperi accerta che non esistono elementi tali da garantire la presenza di una maggioranza precostituita idonea a supportare un governo stabile e chiede al Presidente di designare qualcun altro. Ciononostante, Einaudi conferisce l’incarico a De Gasperi, che accetta con riserva <45.
Il 16 luglio viene costituito l’VIII ministero De Gasperi, composto da soli democristiani. Tuttavia, il 28 luglio la Camera nega la fiducia al governo, con 282 voti contro e 263 a favore <46. E’ un momento di grande cambiamento nel sistema politico italiano: si procede contemporaneamente verso il declino del centrismo, ma anche verso l’allentamento del legame tra socialisti e comunisti e l’ascesa di questi ultimi al ruolo di maggiore partito di opposizione.
Dopo un primo incarico a Piccioni, non andato in porto, viene scelto Giuseppe Pella. Da subito, si capisce che “l’incarico [viene] assegnato in circostanze inedite” <47, ossia senza passare per la consueta prassi delle consultazioni: è Einaudi ad affermare, a tal proposito, che “la Costituzione non parla di consultazioni e si affida al criterio del capo dello Stato, e il [mio] criterio mi dice che in questo momento quello che è necessario è un governo” <48.
Il governo Pella, gradito ai monarchici, nasce di fatto per far fronte a una situazione di impasse e viene accettato dalla Dc più che altro per il timore, in caso contrario, di perdere la Presidenza del Consiglio o di dover tornare a nuove elezioni. Non a caso, dunque, quello di Pella si configura come governo transitorio, di “amministrazione” e, soprattutto, come “governo del Presidente”. Tali connotazioni emergono, in particolare, in occasione del discorso programmatico di Pella al Senato, in vista del voto di fiducia: “il signor Presidente della Repubblica mi ha affidato l’incarico di costituire un governo per affrontare e risolvere i problemi fondamentali del particolare periodo di transizione e porre le premesse tecniche perché altri problemi possano essere consapevolmente affrontati dal governo, il quale avrà la responsabilità dell’Esecutivo, superato il periodo di transizione” <49. Sulla base di queste premesse, tra il 22 e il 24 agosto 1953, il governo Pella, monocolore Dc, ottiene la fiducia al Senato e alla Camera con un’ampia maggioranza.
Il governo Pella, nato come governo quasi apolitico, conquista presto i consensi degli italiani, grazie all’interesse e all’attivismo manifestato in relazione alla vicenda di Trieste <50. D’altro canto, perde ben presto il favore dei democristiani – da cui viene definito “governo amico”, a sottolinearne la non appartenenza alle idee di partito – a causa dei forti consensi di destra che la vicenda di Trieste gli porta. Quando Pella manifesta l’intenzione di nominare come ministro dell’Agricoltura Salvatore Aldisio, gradito ai latifondisti siciliani, la Dc, mediante un ordine del giorno presentato dai comitati direttivi dei gruppi parlamentari, pone il proprio veto alla nomina, sottolineando la necessità di scegliere una personalità che assicurasse la continuità della politica agraria della democrazia cristiana.
Pella, non volendo piegarsi alle indicazioni del partito circa la scelta del ministro, si dimette (5 gennaio 1954). Einaudi lamenta l’irregolarità del comportamento dei democristiani, evidenziando, in una nota verbale ai capigruppo Ceschi e Moro, che il veto posto a Pella circa la scelta del ministro da incaricare non ha ragion d’essere, essendo esclusiva prerogativa del Presidente del Consiglio scegliere i ministri, ai sensi dell’art. 92 della Costituzione: infatti, sebbene il Presidente del Consiglio acquisisca pareri dai parlamentari circa la composizione della compagine ministeriale, “tutto sarà oggetto di mediazione da parte della persona incaricata; ed ogni voce […] confluirà a determinare le proposte che egli presenterà al Presidente della Repubblica”. Al contrario, avendo la Dc posto il Presidente del Consiglio davanti a una “esclusiva”, “la proposta che il primo ministro stesso avrebbe poi presentato al Presidente della Repubblica non era più la ‘sua’ proposta ma una proposta condizionata da una esclusiva pronunciata da chi la Costituzione non delega a siffatto ufficio” <51.
Parte della Dc avrebbe voluto Amintore Fanfani alla Presidenza del Consiglio, ma Einaudi, dopo una serie di consultazioni, quasi a sottolineare la propria convinzione che la crisi di governo fosse stata determinata da ingerenze partitiche non costituzionalmente corrette e onde evitare di dare l’impressione di aver “tacitamente preso atto” <52 della creazione di un pericoloso precedente, offre nuovamente l’incarico a Pella, il quale tuttavia rifiuta.
Il Capo dello Stato incarica quindi Fanfani, il cui governo monocolore tuttavia non ottiene la fiducia. E’ quindi la volta di Mario Scelba, che nel febbraio 1954 riesce a formare un governo di coalizione tra democristiani, socialdemocratici e liberali <53.
[NOTE]
44 Cfr. Dichiarazione di De Gasperi del 3 luglio 1953, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 6.
45 Cfr. Comunicato diramato dai giornalisti presenti al Quirinale in data 7 luglio 1953, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 6.
46 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 6.
47 G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., p. 53.
48 Einaudi è citato in G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., p. 53.
49 Comunicazioni del Governo, Senato della Repubblica, IX Seduta, mercoledì 19 agosto 1953, p. 114. Per il testo completo del discorso programmatico e del resoconto tipografico della seduta, nonché per la cronologia dettagliata dei vari tentativi di incarico seguiti alle elezioni del 7 giugno, cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 7.
50 Per un approfondimento sulla presa di posizione di Pella, ma anche di Einaudi, nella vicenda di Trieste, cfr. G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., pp. 54-56.
51 Per il testo integrale della nota verbale di Einaudi, per una ricostruzione dettagliata della crisi del governo Pella e per una visione complessiva sul dibattito circa l’opportunità di procedere allo scioglimento anticipato delle camere o di inviare il governo alle camere, cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 8. Il testo è riportato anche in F. Fabrizzi, Dal governo Pella al Fanfani I. Einaudi e il fallimento della “legge truffa”, in La nascita dei governi, I Presidenti della Repubblica tra Carta costituzionale e prassi, Focus, in www.federalismi.it, n. 20/2013, pp. 5-7. Una ricostruzione della vicenda è fornita anche da A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op. cit., p. 48.
52 Espressione usata nella nota verbale di Luigi Einaudi.
53 Cfr. F. Damato, op. cit., pp. 46-50; ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 8 e 9.
Elena Pattaro, I “governi del Presidente”, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, 2015

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