Neanche la “mutilazione” della Zona B fu più argomento da prima pagina

Una fotografia che ritraeva un gruppo di soldati americani imbarcatisi per lasciare Trieste apriva «Il Popolo» del 26 ottobre 1954, le mani tese in gesto di saluto, i berretti alzati verso il cielo: «Nel loro addio festoso, c’è un po’ il rimpianto dei lunghi anni trascorsi nella ospitale città, che pur nell’ansia e nella speranza del ricongiungimento alla Patria, non ha mai mostrato un volto ostile a questi ragazzoni venuti d’oltre oceano per presidiare il confine fra il mondo occidentale e quello orientale. Ora questo posto di responsabilità resta affidato all’Italia, di cui Trieste è la scolta avanzata» <957. Il giorno successivo si scriveva, all’apice del coinvolgimento emotivo, «Trieste è divenuta Italia di colpo, di schianto» <958. Gli autocarri dei bersaglieri venivano presi d’assalto. Così Taviani registrava il travolgente benvenuto: “L’abbraccio della folla – poiché di vero e proprio abbraccio si è trattato – è stato così appassionato e strabocchevole, da rendere impossibile la prevista cerimonia ufficiale del passaggio dei poteri. Travolti tutti i cordoni. Scene di delirio. Le ragazze triestine impazzite. L’entusiasmo dei giovani e degli anziani ha accomunato – di là dalle differenze di generazione, di ideologia e di partito – tutta Trieste in un’unica famiglia, nel suo ricongiungimento con la grande famiglia: l’Italia” <959.
«La politica non può e non potrà mai definire ciò che provano gli italiani, quando si parla loro di San Giusto – commentava il «Corriere» – vi sono sentimenti che hanno le loro radici nella storia, nella tradizione, nella poesia, nella leggenda della Patria». L’articolo, commosso e tuttavia dimesso, affiancava alla gioia degli italiani che vedevano compensata la lunga attesa per Trieste al dolore straziante per i duecento morti e settanta dispersi in una spaventosa alluvione abbattutasi nel Salernitano nel corso della notte. «Abbiamo ripreso Trieste a quanti ce l’avevano tolta o negata; riprenderemo le nostre terre del Mezzogiorno all’ira dei fiumi, alla violenza delle forze naturali. […] Quella solidarietà nazionale che per dieci anni ha sorretto i triestini nella loro tenace lotta sosterrà i fratelli del Salernitano nelle opere del soccorso e della ricostruzione» <960. In quarta pagina campeggiava nondimeno una fotografia ritraente una giovane ragazza triestina e un bersagliere italiano, stretti in un abbraccio.
«La Stampa» operava il medesimo abbinamento di emozioni: la gioia e la tragedia, il grido di «quelli che esprimono il sollievo per la liberazione da un lungo incubo» e il «silenzio tragico» dei colpiti «dalle improvvise ingiurie delle forze della natura», suggerendo un collegamento fra la politica di guerra all’origine «della separazione, delle sofferenze, del disastro e delle morti» e le perdite umane «di un Paese – riconosciamolo – geologicamente fragile come l’Italia, […] malsicuro nelle sue strade, incerto nel regime delle sue acque, esposto alle catastrofi» <961.
Il Senato dedicava un ritaglio della propria seduta, tutta dedicata alla tragedia degli alluvionati, a celebrare l’ingresso delle truppe italiane a Trieste: “In questo momento le truppe italiane entrano in Trieste, terra italianissima, già prima di appartenere all’Italia, per tradizione, per storia, per eroismo, per comunione di martirio, di sangue e di lingua; terra italianissima mentre appartenne all’Italia; terra italianissima durante il periodo in cui fu strappata alla Madre Patria, poiché, senza iattanza ma con la volontà di resistere, sia pure con sacrificio, al distacco ingiusto e doloroso riaffermò l’invincibile proposito di riunirsi all’Italia. E oggi Trieste ritorna all’Italia” <962.
Il 4 novembre 1954 la città, «ancora vibrante e infiammata della giornata di redenzione», accoglieva infine il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi a celebrare l’anniversario della vittoria nella Grande guerra <963. «Il riscatto di Trento e Trieste», ideale che «infiammò per quasi mezzo secolo i giovani, e senza distinzione di parte, che tenne vivo e operante in ogni momento il senso dell’unità, che fece amare la Patria come una creatura vivente», era finalmente compiuto <964. Diritto e sentimento dell’Italia repubblicana per Trieste, fino a poco tempo prima percepiti come offesi e anzi calpestati dall’esasperante difficoltà di addivenire ad una soluzione della vertenza, trovavano il proprio riconoscimento e, gradualmente, esaurivano la loro domanda. “Trieste: un giorno che non dimenticherò mai. Piazza dell’Unità: un mare di folla. Fiumi di folla dalle vie adiacenti. Nello sfondo l’Adriatico con le nostre navi imbandierate. […] Quante tribolazioni, angosce, amarezze, speranze, disperazioni, illusioni, delusioni! Quante esortazioni e approvazioni, ma quanto maggiori le critiche anche di amici. Einaudi stesso, Gronchi, Saragat, Pacciardi, parte dello staff dirigente democristiano e dei partiti di centro silenziosamente non approvarono o chiaramente disapprovarono la decisione del 29 agosto dell’anno scorso. […] Invece è andata bene. Solo così, con e per quella mossa rischiosa, Trieste ha potuto ricongiungersi all’Italia. Ed è terminato l’incubo dell’incombente balcanizzazione. Quel movimento di truppe, quel rischio di guerra non è risultato un errore. Comunque, si error, felix error!” <965
L’osservatorio qui privilegiato, quello della grande stampa nazionale, rappresenta solo uno dei molteplici canali attraverso cui Trieste fu proposta e raffigurata come simbolo della storia italiana recente, mediante l’adozione di interpretazioni e codici retorici che si sono analizzati nel corso di questa ricerca e che raggiunsero nel 1954 il loro punto apicale. Com’è facile intuire, tale prospettiva non è in grado da sola di esaurire tutti gli aspetti e le implicazioni della chiusura della vertenza: quasi sparirono infatti dalle cronache dei quotidiani più seguiti comunisti, sloveni, indipendentisti, missini e agitatori della destra, a favore di un messaggio unificante volontariamente ripulito dal carattere polemico che lo aveva fino a quel momento contrassegnato.
Neanche la “mutilazione” della Zona B – certo, non definita in via ufficiale al tempo, ma per la cui “salvezza” erano del resto stati innescati i tumulti del 1953 – fu più argomento da prima pagina. Alla macchina della comunicazione mediatica andrebbe inoltre affiancata l’indagine sul versante della ricezione pubblica, che in parte è già stata studiata da Massimo Baioni attraverso l’analisi delle centinaia di telegrammi giunti alla Presidenza del Consiglio dei ministri all’indomani dell’annuncio del Memorandum d’Intesa del ‘54 e dell’arrivo dei bersaglieri a Trieste. Si tratta di un angolo visuale che non determina evidentemente la effettiva presenza del mito di Trieste nell’immaginario popolare nel suo complesso, ma costituisce un buon «filtro attraverso il quale sono leggibili alcuni aspetti della ricezione pubblica e privata di una politica della memoria che si fonda su narrazioni mediate per molti decenni dalle varie agenzie educative nazionali» <966. D’altro canto la presenza reiterata di Trieste nel mondo della letteratura, della canzone, dello sport, dell’intrattenimento, dei settimanali popolari, del teatro, dei cinegiornali e finanche della filatelia, classici luoghi di sublimazione e di diffusione di passioni politiche, confermano il quadro di un esplicito sentimento popolare che unì gli italiani a Trieste e Trieste agli italiani, come evocato coralmente dalla stampa lungo tutto quel decennio.
Con la riunione effettiva di Trieste all’Italia trovava la sua conclusione anche una stagione di appelli alla memoria pubblica che nel volgere di poco tempo si sarebbe dimostrata sempre meno rappresentativa delle generazioni della nuova Italia. Negli anni del boom economico, a cavallo del decennio, le istanze culturali e i paradigmi identitari di una società italiana proiettata nella modernità e in repentino mutamento, sempre più si sarebbero discostati dalla tradizione patriottica cui fino a quel momento si era fatto solido riferimento. E Trieste, in particolare, sarebbe uscita progressivamente dalla «mappa mentale degli italiani» <967.
Jan Morris, una giornalista e scrittrice inglese, che a Trieste soggiornò in veste di militare del Governo Militare Alleato, apre con questa riflessione il racconto autobiografico del suo rapporto con la città. Un rapporto profondo, intenso, che le appare però ormai slegato dagli echi delle passioni che pure aveva avuto modo di osservare da “straniero” negli anni in questione: “Non sempre riesco a vedere Trieste con gli occhi della mente. Chi può? Non è una di quelle città-icona immediatamente visibili nel ricordo o nell’immaginazione. Non offre vedute indimenticabili, né melodie note, né una cucina inconfondibile, né cognomi tipici che tutti conoscano. È un porto italiano di media grandezza e ormai in là con gli anni, etnicamente ambivalente, storicamente confuso, prospero solo a fasi alterne, appartato nell’ultimo angolo superiore del mare Adriatico e a tal punto carente delle consuete caratteristiche dell’Italia che ancora nel 1999, secondo un sondaggio, circa il settanta per cento degli italiani ignorava che appartenesse al loro paese” <968.
[NOTE]
957 I soldati d’Italia entrano a Trieste, «Il Popolo», 26 ottobre 1954. Cfr. anche Le truppe italiane ritornano dopo undici anni a Trieste, «La Stampa», 26 ottobre 1954. Ben più disadorna la cronaca del quotidiano comunista, cfr. Le truppe italiane sono entrate a Trieste salutate con gioia da tutta la popolazione, «L’Unità», 26 ottobre 1954.
958 Trieste esultante accoglie i soldati d’Italia, «Il Corriere della Sera», 27 ottobre 1954. Cfr. anche Il trionfale ritorno dell’Italia nel travolgente amore di Trieste, «Il Popolo», 27 ottobre 1954 e Trieste mia!, «Il Secolo d’Italia», 27 ottobre 1954.
959 P. E. Taviani, I giorni di Trieste, cit., p. 154, 26 ottobre 1954.
960 Trieste e Salerno, «Il Corriere della Sera», 27 ottobre 1954. Cfr. anche Ore di gloria e di dolore, «Il Popolo», 27 ottobre 1954; L’esultanza nazionale turbata da una tragica notizia. Mentre le truppe italiane tornano a Trieste una spaventosa catastrofe s’abbatte sul Salernitano, «La Stampa», 27 ottobre 1954.
961 Dure esigenze, «La Stampa», 27 ottobre 1954. Cfr. anche Lo Stato forte, «L’Unità», 27 ottobre 1954.
962 Senato della Repubblica, intervento di Enrico Molè (Gruppo Democratico Indipendenti di Sinistra, vicepresidente del Senato), seduta del 26 ottobre 1954, p. 7919.
963 Trieste celebra il suo ritorno alla Patria accogliendo con entusiasmo il Capo dello Stato, «Il Corriere della Sera», 4 novembre 1954.
964 Una data e una fede, «Il Corriere della Sera», 4 novembre 1954.
965 P. E. Taviani, I giorni di Trieste, cit., p. 156, 4 novembre 1954.
966 M. Baioni, Trieste 1954, cit., p. 125. A proposito dell’analisi dei telegrammi cfr. pp. 128-135.
967 Ivi, p. 136. Cfr. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, cit., p. 378.
968 J. Morris, Trieste. O del nessun luogo, Il Saggiatore, Milano, 2014, p. 11. Si noterà la non concordanza del genere nei riferimenti all’autrice, che si spiega a fronte del suo cambio di sesso nel 1972.
Vanessa Maggi, La città italianissima. Usi e immagini di Trieste nel dibattito politico del dopoguerra (1945-1954), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno Accademico 2018-2019



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