Il Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo

Fonte: IT.ANED
Memoriale della deportazione presso la stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo (CN) – Fonte: Wikipedia

Il 21 novembre 1943 furono ammassate sul piazzale della stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo 329 persone, uomini, donne, bambini, che, fatti salire sui vagoni merci, furono condotti prima al campo di Drancy, presso Parigi e poi ad Auschwitz, dove 311 di loro furono uccisi. Erano ebrei stranieri, in fuga dalla Francia, rinchiusi da due mesi nel campo di concentramento allestito poco lontano. Il 15 febbraio 1944, altri 26 ebrei furono deportati da questa stazione, diretti a Fossoli di Carpi, da dove sarebbero poi stati inviati ad Auschwitz o Buchenwald. Soltanto due di loro sopravvissero.
I nomi di queste persone stanno, tutti in fila come allora, sul piazzale che li vide partire per l’ultimo viaggio dopo anni di persecuzioni, violenze, umiliazioni. Il nome di chi è tornato è in piedi, a testimoniare la forza di interpellare i passanti ed i visitatori con una testimonianza vivente. I nomi sono accostati tra loro secondo i legami familiari, perché fu così che partirono sui vagoni, stretti l’uno all’altro nel tentativo di rassicurarsi al momento di affrontare ancora una volta l’ignoto. Ogni nome è una rete di legami che è stata lacerata. Il memoriale è costituito da una piastra in cemento armato, un’ipotetica banchina di servizio ai vagoni merci acquisiti dal Comune in memoria della deportazione qui avvenuta. Circondata da massi di varia dimensione, la piastra sostiene le venti sagome in piedi rappresentanti i sopravvissuti e le trecentotrentacinque lastre fissate a terra riportanti il nome di ogni deportato che non ha fatto ritorno dai campi di sterminio. Di ogni persona vengono riportati i seguenti dati: nome, cognome, età iscritta nel registro all’entrata nel campo di concentramento di Borgo, la nazionalità di origine (indicata con una sigla).
Inoltre ogni gruppo famigliare viene separato da quello successivo mediante una lastra di metallo non incisa in modo da poter rintracciare rapidamente i rapporti di parentela. Tutte le scritte sono realizzate in acciaio corten che col tempo, in seguito alla sua ossidazione naturale, tenderanno ad assumere lo stesso colore dei vagoni. Il memoriale viene illuminato mediante faretti posizionati alla base di ognuno dei sopravvissuti mentre l’area viene sottolineata con una serie di luci nascoste che circondano l’intero basamento dando l’illusione che sia leggermente sollevato rispetto al piano del piazzale. I vagoni sono illuminati dal basso con delle luci a raso che ne enfatizzano la presenza. Tutti i vagoni sono accessibili mentre solamente uno è dotato di rampa di accesso per persone con ridotta capacità motoria. All’ingresso del memoriale è stata posizionata una palina introduttiva ed esplicativa di commento all’installazione.
Testo tratto dal sito del Comune di Borgo San Dalmazzo
Il Memoriale della Deportazione a Borgo San Dalmazzo, ANPI Cuneo

Memoriale della Deportazione a Borgo San Dalmazzo
Sorge accanto alla stazione ferroviaria e alla cappella di Sant’Anna.
Il 21 novembre 1943 furono ammassate sul piazzale della stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo 329 persone, uomini, donne, bambini, che dopo essere stati fatti salire sui vagoni merci furono condotti prima al campo di Drancy, presso Parigi e poi ad Auschwitz, dove 311 di loro furono uccisi. Erano ebrei stranieri, in fuga dalla Francia, rinchiusi da due mesi nel campo di concentramento allestito poco lontano. Il 15 febbraio 1944, altri 26 ebrei furono deportati da questa stazione, diretti a Fossoli di Carpi, da dove sarebbero poi stati inviati ad Auschwitz o Buchenwald. Soltanto due di loro sopravvissero.
Come allora, i nomi di queste persone stanno in fila sul piazzale che li vide partire per l’ultimo viaggio dopo anni di persecuzioni, violenze, umiliazioni. Il nome di chi è tornato è in piedi, a testimoniare la forza di interpellare i passanti ed i visitatori con una testimonianza vivente. I nomi sono accostati tra loro secondo i legami familiari, perché fu così che partirono sui vagoni, stretti l’uno all’altro nel tentativo di rassicurarsi.
Il memoriale è costituito da una piastra in cemento armato, un’ipotetica banchina di servizio ai vagoni merci acquisiti dal Comune in memoria della deportazione qui avvenuta. Circondata da massi di varia dimensione, la piastra sostiene le venti sagome in piedi rappresentanti i sopravvissuti e le trecentotrentacinque lastre fissate a terra riportanti il nome di ogni deportato che non ha fatto ritorno dai campi di sterminio. Di ogni persona vengono riportati nome, cognome, età iscritta nel registro all’entrata nel campo di concentramento di Borgo, la nazionalità di origine (indicata con una sigla).
VERMENAGNA ROYA

[…] stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo, situata a poca distanza dalla ex caserma degli alpini, che fu campo di concentramento al servizio del disegno epurativo nazista. Qui furono rinchiusi circa 400 ebrei provenienti da Saint Martine Vesubie, un piccolo centro francese: erano ebrei polacchi, francesi, austriaci, belgi, turchi, rumeni, slovacchi, lituani, ungheresi, croati, tedeschi, greci, che fuggivano dalla Francia dopo lunghi viaggi, nella speranza di trovare asilo nelle vallate alpine del cuneese. I rastrellamenti li portarono nel campo di concentramento, dove passarono più di due mesi prima che la loro esistenza fosse spezzata definitivamente. Il 21 novembre 1943 furono ammassate sul piazzale della stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo 329 persone, uomini, donne, bambini, che, fatti salire sui vagoni merci, furono condotti prima al campo di Drancy, presso Parigi e poi ad Auschwitz, dove 311 di loro furono uccisi, mentre 18 si salvarono. Il 15 febbraio 1944 altri 26 ebrei italiani furono deportati da questa stazione, su ordine della Repubblica Sociale italiana, diretti a Fossoli di Carpi, da dove furono poi inviati a Buchenwald. Soltanto due di loro sopravvissero […]
Ennio Castelletti, Il memoriale della deportazione, Clamfer, 27 gennaio 2015

Oggi non resta più traccia materiale del Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo, presso Cuneo. Questo è un campo di transito che funziona come campo di raccolta di ebrei, italiani e non, tra il 18 settembre 1943 e il 21 novembre dello stesso anno; e poi – sotto controllo repubblichino – dal 9 dicembre al 13 febbraio 1944. Polizeihaftlager Oggi non resta più traccia materiale del Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo, presso Cuneo. Questo è un campo di transito che funziona come campo di raccolta di ebrei, italiani e non, tra il 18 settembre 1943 e il 21 novembre dello stesso anno; e poi – sotto controllo repubblichino – dal 9 dicembre al 13 febbraio 1944.

Da questo Lager passano circa quattrocento persone, delle più diverse nazionalità europee: per molte di esse il campo costituisce il punto di non ritorno di una fuga che dura ormai da cinque anni. Di lì, trecentocinquantadue hanno come meta finale Auschwitz, a cui sopravvivono, secondo le ultime ricerche, non più di dodici persone; due vengono avviati a Buchenwald.

Tra questi “nemici del Reich” e della Repubblica di Salò – 148 donne e 201 uomini gli internati nella prima fase di attività del campo, 18 donne e 8 uomini, in prevalenza italiani, per la seconda fase – non mancano i giovanissimi: 78 non arrivano ai ventuno anni; sette di loro hanno meno di un anno di età. Ventisei sono gli ultrasessantenni (di cui tre ottantenni).

Gli italiani, tra coloro che subiscono la deportazione in campo di sterminio, furono – per le ragioni che si vedranno più avanti – una stretta minoranza (23 su 354); gli altri, accomunati dalla persecuzione razzista nazifascista, pur con la prevalenza di polacchi (119) e francesi rappresentavano un po’ tutte le nazionalità europee: ungheresi, greci, tedeschi, austriaci, rumeni, russi, croati.

Fonte: Memoranea

Il campo è collocato in una caserma degli alpini intitolata ai “Principi di Piemonte”, a poca distanza dalla stazione ferroviaria e all’imbocco delle valli Gesso e Vermenagna. Oggi solo due epigrafi, a memoria degli eventi che si svolsero in quei mesi, ricordano la detenzione e la partenza dei convogli per Auschwitz, dopo il passaggio in altri campi di transito francesi, Drancy, o italiani, Fossoli e, in due casi, Bolzano.

La storia del campo si suddivide quindi in due periodi distinti, anche se molto ravvicinati nel tempo.

Prima fase: settembre-novembre 1943.

Con l’8 settembre e il disfacimento della IV Armata è venuto meno ogni controllo italiano sui dipartimenti della Francia meridionale occupati dall’esercito nel novembre 1942. La zona italiana, specialmente quella di Nizza e le Alpi marittime, ha accolto tra il 1942 e il 1943, con un sistema chiamato di “residenze forzate” o “assegnate”, ma che assicura una complessiva anche se precaria sicurezza, diverse migliaia di ebrei non francesi rifugiati nella Francia meridionale e braccati dalla feroce persecuzione dei nazisti. Una di queste località di residenza è il paese di St.-Martin Vésubie, nella vallata omonima, che finisce per accogliere oltre mille ebrei di varie nazionalità sopravvissuti in relativa tranquillità fino alla data dell’armistizio.

La Val Vésubie è collegata al Cuneese da due valichi alpini, percorsi all’epoca da strade militari che seguono tracciati ben più antichi (vie del sale, strade di caccia reali): il colle delle Finestre e il colle Ciriegia, a oltre 2400 metri di altitudine. Per questi valichi, a partire dal 13 settembre, un migliaio di ebrei di St.-Martin cerca la salvezza, anche nella convinzione che l’armistizio avrebbe reso l’Italia un territorio sicuro. Interi gruppi familiari, per un totale stimato intorno alle mille persone, raggiungono così la valle Gesso e si riversano sui paesi (Entraque, Valdieri) circostanti Borgo San Dalmazzo. L’esodo è reso anche più drammatico dal fatto che si trovano tra i profughi anziani e bambini, e comunque persone non abituate a percorsi di montagna. D’altronde quelli rimasti a St.-Martin vengono prelevato dai nazisti al loro arrivo e immediatamente deportati.

Negli stessi giorni i nazisti occupano Cuneo (12 settembre) e piccoli gruppi di antifascisti danno vita ai primi nuclei partigiani. Il 18 settembre un bando del comando SS intima agli “stranieri…nel territorio di Borgo San Dalmazzo e dei comuni vicini” di presentarsi al “Comando Germanico in Borgo San Dalmazzo, Caserma degli Alpini”. Trecentoquarantanove persone, soprattutto ebrei polacchi, francesi e tedeschi (ma anche austriaci, romeni, ungheresi e greci) si presentano spontaneamente o vengono rastrellate e rinchiuse nei locali della caserma, mentre gli altri cercano rifugio, in modo capillare, presso la popolazione delle valli; alcuni si uniscono alle bande partigiane. Agli “stranieri” internati nel campo si aggiungono per breve tempo gli ebrei di Cuneo, arrestati il 28 settembre ma poi rilasciati (non è chiaro per quale ragione) il 9 novembre.

Per due mesi gli internati della caserma vivono in un regime di segregazione priva del livello di violenza che caratterizza altri centri analoghi. Un minimo di assistenza viene loro data grazie all’intermediazione di autorità locali e è permessa la visita del vice rabbino di Torino. Anche le poche fughe riuscite non hanno eccessive ripercussioni sulla condizione dei prigionieri. I malati ottengono l’autorizzazione al trasferimento negli ospedali di Borgo e – per i casi gravi – di Cuneo.

All’esterno del campo sorge un’organizzazione sia per l’assistenza agli internati, sia per aiutare le centinaia di fuggiaschi dispersi nel territorio. Questi ultimi sono accolti da singole famiglie di valligiani o vengono messi in contatto con una rete di soccorso che va da Genova fino a Milano e alla frontiera svizzera, e che si avvale principalmente della collaborazione del clero locale. Parroci e viceparroci dei Comuni montani svolgono un capillare lavoro di assistenza e di collegamento coi gruppi partigiani e con la “resistenza civile” (ricorderemo, oltre a don Raimondo Viale, il “prete giusto” reso noto dal libro omonimo di Nuto Revelli, il viceparroco di Valdieri, don Francesco Brondello, riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” con una cerimonia svoltasi il 2 settembre 2004 nella sinagoga di Cuneo). Molti ebrei possono così espatriare o spostarsi, grazie a documenti falsi, verso l’Italia Centrale: alcuni vengono nuovamente arrestati e deportati. Altri restano in clandestinità nel territorio, per lunghi mesi spostandosi di valle in valle, spesso incontrando l’arresto o la morte; altri si uniscono alle bande partigiane.

Per gli internati “stranieri” della caserma la sorte è comunque segnata. Il 21 novembre 1943, su ordine dell’Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza, vengono condotti alla stazione; di qui, caricati su carri merci, avviati verso Drancy, via Savona-Nizza. Il loro numero (328 sui 349 ingressi) è diminuito da alcuni casi di fuga, da morti per malattia e dal fatto che i ricoverati all’ospedale di Cuneo vengono risparmiati (riescono a nascondersi con la complicità del personale). Diversa sorte tocca ai quarantuno malati ricoverati all’ospedale di Borgo, caricati sui vagoni insieme agli altri.

La maggior parte del gruppo parte poi da Drancy per Auschwitz meno di un mese dopo, il 7 dicembre; gli altri seguono lo stesso destino nei trasporti del 17 dicembre e del 27 gennaio. La ricerca di Liliana Picciotto ha identificato 328 nominativi; rimangono alcuni casi incerti, gli altri non deportati (rispetto ai 349 internati registrati in ingresso al campo) sono riusciti a salvarsi, con la fuga o in altre circostanze. Non più di dieci persone arrivano a vedere la liberazione.

Dopo la deportazione del 21 novembre il Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo, rimasto vuoto, cessa temporaneamente la sua attività.

Seconda fase: dicembre 1943-febbraio 1944.

Nel giro di pochi giorni dalla chiusura del campo a gestione tedesca, la Questura di Cuneo, in applicazione dell’ordinanza di polizia n. 5 della RSI (a firma Buffarini Guidi), destina la caserma al concentramento degli ebrei della provincia; le prime due internate, provenienti da Saluzzo, risultano rinchiuse il 4 dicembre 1943. Mentre gli ebrei di Cuneo e Mondovì riescono a mettersi in salvo, la comunità di Saluzzo (a cui si sono aggiunti alcuni rifugiati da Torino) viene pesantemente colpita; singole persone, che vivono in clandestinità, vengono via via arrestate. Ventisei persone, in maggioranza donne, sono così internate nella caserma, sorvegliata e diretta da italiani. Anche questo gruppo, di cui si possiede l’elenco, non è omogeneo: tre “stranieri” vengono probabilmente dal gruppo di St.-Martin Vésubie; due di loro sono padre e figlia (nata nel 1930). La più giovane ha 17 anni; i sessantenni sono tre. Il 13 gennaio 1944 la Questura di Cuneo dispone che i ventisei internati, 18 donne e 8 uomini, siano “tradotti straordinariamente al campo di concentramento di Carpi (Modena)”, ossia a Fossoli. Le autorità italiane rispondono così alle direttive dei nazisti, che, volendo raggiungere in tempi stretti un numero di prigionieri sufficiente a organizzare un trasporto ad Auschwitz, hanno sollecitato l’invio di internati. Il convoglio che parte da Fossoli il 22 febbraio trasportaa così, oltre a Primo Levi, anche 23 dei 26 internati di Borgo (5 uomini e 18 donne). Di essi risultano immatricolate solo sei persone (quattro uomini e due donne).

Con questo trasporto viene a chiudersi definitivamente il campo di Borgo San Dalmazzo.

Un epilogo

Tragico ma emblematico epilogo, che si può scegliere per concludere l’intera vicenda, è la sorte di sei ebrei arrestati fra il marzo e l’aprile 1945 tra Cervasca e Demonte e rinchiusi nel carcere di Cuneo: due austriaci, due polacchi, un francese e un lussemburghese, giunti da St.-Martin quindici mesi prima. “Consegnati ai militi della B[rigata] N[era] il 25.4.1945”, come riporta il registro delle carceri, vengono fucilati dai repubblichini presso il viadotto Soleri lo stesso giorno, quando ormai le forze partigiane sono in procinto di liberare la città: “L’ultimo eccidio di ebrei sul territorio liberato d’Europa, perpetrato da fascisti italiani”.

Fonte: Memoranea

Bibliografia essenziale

Per la vicenda nel suo insieme:
A. Cavaglion, Nella notte straniera. Gli ebrei di St.-Martin Vésubie, Cuneo, L’Arciere, 1981, 1991.
Giuseppe Mayda, Ebrei sotto Salò.La persecuzione antisemita 1943-1945, Milano, Feltrinelli, 1978.

Per l’organizzazione del campo e dei trasporti e le schede sui singoli nominativi:
Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 2002

Molte vicende biografiche sono intensamente ricostruite in:
Adriana Muncinelli, Even. Pietruzza della memoria. Ebrei 1938-1945, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1994.

Voci enciclopediche:
E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi (curr.), Dizionario della Resistenza, II. Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino, Einaudi, 2001, s.v.”Ebrei nella Resistenza”.
W. Laqueur, A. Cavaglion (curr.), Dizionario dell’Olocausto, Tortino, Einaudi, 2004, s.v. “Borgo San Dalmazzo”.

Lucio Monaco in IT.ANED

La storia e l’evoluzione del campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo (18 settembre 1943 – 15 febbraio 1944), sorto nell’ex caserma degli alpini di una piccola cittadina ad otto chilometri da Cuneo, può essere suddivisa in due momenti. I due campi di Borgo non furono di sterminio, l’obiettivo principale era la raccolta di stranieri, ma anche di cuneesi ed ebrei della provincia.
Ai tedeschi, che avevano occupato il cuneese il 12 settembre 1943, quella caserma, costruita a due passi dalla stazione ferroviaria e a lato della strada principale che giungeva a Cuneo, parve subito il luogo ottimo dove attuare in provincia il progetto annientatore che, durante la comune occupazione della Francia meridionale, l’alleato italiano aveva a lungo dilazionato e ostacolato.
IL PRIMO CAMPO (18 SETTEMBRE – 21 NOVEMBRE 1943) Con un bando il Comando germanico delle SS stabiliva che entro le ore 18 del 18 settembre, tutti gli stranieri (nella fattispecie ebrei) presenti sul territorio si dovevano presentare presso la caserma degli Alpini di Borgo San Dalmazzo.
Questi stranieri provenivano, per la maggior parte, da una località di villeggiatura delle Alpi Marittime: St. Martin Vésubie, una residenza coatta creata dalle forze di occupazione italiane nella Francia del Sud.
Dalla zona del nizzardo, ormai caduta in mani naziste, più di un migliaio d’individui, ritenendo opportuno seguire la sorte dell’esercito italiano, aveva intrapreso il lungo e impervio cammino che dalla valle del Vésubie portava alla valle Gesso. La traversata, che vedeva insieme gruppi familiari, ufficiali e soldati si concluse, però, nella morsa creata dalle camionette delle SS.
L’elenco degli internati del campo è uno dei documenti più interessanti di tutta la vicenda, poiché permette di studiare la composizione anagrafica e sociale dei prigionieri: dei 349 registrati, la stragrande maggioranza delle persone era di nazionalità polacca (119 persone), cui seguivano francesi (56), tedeschi (42), ungheresi (34), austriaci (25), belgi (22). Furono registrati anche alcuni rumeni, russi, greci, slovacchi, croati, lituani e turchi.
Non è possibile conoscere precisamente la vita quotidiana durante i due mesi di permanenza nel campo di Borgo San Dalmazzo: gli ebrei venivano utilizzati per lavori vari, pulizie, sgombero delle caserme, ecc.
La mattina del 21 novembre le SS deportarono i prigionieri di Borgo dalla stazione ferroviaria. I profughi di St. Martin Vésubie furono mandati di nuovo a Nizza, da dove furono trasferiti a Drancy. Il 7 dicembre partirono con destinazione Auschwitz.
IL SECONDO CAMPO (4 DICEMBRE 1943 – 15 FEBBRAIO 1944) Passate due settimane la caserma di Borgo riaprì il suo portone di legno. L’ordine di utilizzo porta la data del 9 dicembre ’43 e risponde ad una disposizione del 2 dicembre. Poche possibilità rimanevano agli ebrei provenienti dalla provincia cuneese, dopo che la carta di Verona aveva formalizzato, nell’Italia della Repubblica di Salò, la caccia all’ebreo. Si può affermare che fino a tutto dicembre e all’inizio dell’anno nuovo, la popolazione del secondo campo di Borgo raggiungeva a stento le dieci unità. Gli ultimi arresti avvennero alla fine di gennaio e quindi per molti la permanenza a Borgo si limitò ad una quindicina di giorni.
Alla sorveglianza dei prigionieri provvedevano i carabinieri di Cuneo, il Comune si occupava del vitto e all’assistenza con regolamentari sussidi.
Il 15 febbraio venne ordinata la deportazione e i ventisei ebrei del cuneese raggiunsero il campo di concentramento di Fossoli, da cui sarebbero stati poi trasferiti a Mauthausen.
Oggi, della costruzione di allora, non rimane quasi nulla: una scuola media statale ha occupato la parte più ampia dell’intera area.
INFORMAZIONI:
Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia
Palazzo della Provincia – Via D’Azeglio, 2 – 12100 CUNEO
tel. 0171-60.36.36 – fax 0171-69.86.20
e-mail: isrcnp@cuneo.net
I campi italiani: Borgo San Dalmazzo, Storia XXI Secolo

[…] “Testimonianza di Rita Barale”; “comando militare di Cuneo [..] foglio di licenziamento rilasciato dal campo di Borgo San Dalmazzo a Laura Lattes con l’obbligo di visita per tre giorni settimanali”; “relazioni sui campi di concentramento di ebrei”; “diario della contessa Rosi Scotti Douglas dal carcere di Borgo San Dalmazzo”; “particolare del muro interno della caserma”; “elenco degli ebrei maschi superiori ai 18 anni che nell’ottobre 1944 risultavano presenti nel campo di concentramento tedesco a Borgo San Dalmazzo”; “deposizione dell’avvocato Luciano Elmo rilasciata da Giuliana Donati per il CDEC il 17 maggio 1974; fotografia dell’ingresso dell’ex caserma degli alpini trasformata in campo di concentramento”; “le vicende degli ebrei di Cuneo” pubblicato sulla rivista “Israel” del 6 settembre 1945; certificati rilasciati dal comune di Borgo San Dalmazzo relative a persone internate nel campo di concentramento sotto il comando tedesco; testimonianze, informazioni e raccolte di documenti; “deportazione dal campo di Borgo San Dalmazzo, relazione raccontata dal signor Giordano” e corrispondenza. (1)
1) “[..] Il 9 dicembre la Questura aprì il campo nella [Caserma degli alpini di Borgo San Dalmazzo] che nel settembre 1943 aveva visto concentrati gli ebrei fuggiti dalla Francia. Il campo non ospitò mai più di una trentina di persone. La mattina del 13 febbraio 1944, la Questura di Cuneo inviò un telegramma al Commissario prefettizio di Borgo San Dalmazzo: <>”. Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943 – 1945), Milano, Mursia, 2002, cit. p. 900.
CDEC