Il sistema radiofonico italiano dall’Eiar alla Rai

Dopo lo sbarco in Sicilia, l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR), fu incluso nel sistema di propaganda alleato, ovviamente relativamente agli impianti tecnici e agli uffici dislocati nell’Italia meridionale.
Gli alleati intendevano utilizzare il mezzo radio per un duplice scopo: diffondere capillarmente la propaganda di guerra ma anche educare la popolazione italiana ai valori democratici, in base all’esperienza che gli USA avevano fatto proprio per mezzo della radio negli anni della presidenza Roosevelt, attraverso una informazione caratterizzata da quel pluralismo di opinioni che il fascismo aveva cancellato <45. Le necessità della guerra limitarono tuttavia l’impostazione iniziale degli alleati, finendo per fare della radio quasi esclusivamente uno strumento per la diffusione della propaganda. La stessa partecipazione di elementi italiani alla programmazione fu fortemente limitata, riducendo quindi quello slancio pedagogico- democratico inizialmente previsto dagli alleati.
Diversamente da quanto sarebbe accaduto per la carta stampata, il controllo degli alleati sulla radio fu assoluto, e provocò non poche frizioni con i diversi governi che si succedettero alla guida del paese prima della liberazione, per i ripetuti tentativi di questi ultimi di riappropriarsi di almeno un parte del controllo su questo potente mezzo di informazione e di propaganda. Oltre a Radio Londra, che rimaneva l’emittente più seguita, gli italiani delle province liberate, ascoltavano anche, seppure con frequenza minore, i programmi di Voice of America, di Radio Algeri e, infine, di Radio Palermo, le cui trasmissioni furono attivate dal PWB il 6 agosto 1943, lo stesso giorno in cui fu pubblicato il primo quotidiano dell’Italia liberata. Quest’ultima emittente disponeva soltanto di quattro ore di emissione radiofonica, dalle ore 20 alle 24, durante le quali si ritrasmettevano i programmi di Radio Londra e di Radio Algeri. Solo dopo poche settimane l’arco delle trasmissioni aumentò decisamente, pur utilizzando la sola lingua inglese, diversificando la programmazione con programmi musicali e approfondimenti culturali. Nelle direttive alleate elaborate del documento “Activities of Radio Palermo”, i servizi trasmessi da Radio Palermo dovevano coprire la realizzazione di «un dettagliato radiogiornale a livello mondiale; programmi di commento delle notizie; programmi speciali e commenti sulla guerra; programmi musicali e programmi speciali settimanali per tenere alto il morale» <46. La direzione della radio fu affidata al sergente americano Misha Kamenetzki (che avrebbe successivamente assunto il nome di Ugo Stille), il quale introdusse anche alcuni programmi diretti specificamente alle popolazioni del Nord-Italia, in questo caso realizzate utilizzando i singoli dialetti regionali.
Dopo Radio Palermo fu attivata Radio Bari, ma in questo caso l’iniziativa si deve ad un gruppo di giovani intellettuali antifascisti di formazione liberale che si riconoscevano nelle posizioni del Partito d’Azione. Per una settimana la programmazione della radio fu gestita esclusivamente da tali elementi: solo dopo il 16 settembre il PWB assunse il controllo della Radio, confermando tuttavia la redazione italiana, che fu affiancata dai giornalisti alleati. Questa scelta suscitò le reazioni di Badoglio, che intendeva sottomettere l’emittente ad un più rigido controllo governativo per meglio contrastare la propaganda della radio repubblichina, la quale poteva contare su impianti molto più potenti. Badoglio contestava inoltre l’accesso alla redazione della Radio che avevano i partiti del CLN, in quel momento ancora all’opposizione. In particolare fu Mario Fano, Sottosegretario di Stato per le Poste e i Telefoni, ad esercitare una costante pressione sul PWB al fine di ottenere, per il governo, la possibilità di gestire parzialmente l’ente radiofonico nazionale. Il PWB rifiutò qualsiasi proposta formulata dal governo italiano, almeno fino al maggio del 1944, quando fu firmato un accordo in base al quale sarebbe stata gestita la radio durante il regime di occupazione che rimetteva parzialmente in gioco il governo. Il testo accettava molte delle proposte avanzate nei mesi precedenti da Fano, ma condizionava sensibilmente la possibilità di gestione diretta dell’ente radiofonico da parte delle autorità pubbliche italiane: se, infatti, si prevedeva la creazione di una direzione generale dell’EIAR, composta da elementi italiani, che doveva sovrintendere agli aspetti amministrativi e tecnici, si specificava che essa non aveva potere relativamente all’ideazione ed alla gestione dei programmi, che restavano di esclusiva pertinenza del PWB. Soltanto il primo ottobre del 1944 furono introdotte alcune modifiche all’accordo, lasciando alle autorità italiane la scelta della programmazione musicale, che rappresentava circa il 50% del tempo di trasmissione giornaliera.
Con la liberazione di Roma, fu attivato un impianto radio decisamente più potente degli altri dislocati nell’Italia meridionale, e furono introdotte alcune importanti novità che andavano nella direzione auspicata dal governo italiano. Il 13 agosto il Comando Alleato nominò Luigi Rusca amministratore dell’EIAR, mentre il 26 ottobre il governo varò un decreto che aboliva l’EIAR trasformandola nella Società Radio Audizioni Italia (RAI), alla guida della quale il governo Bonomi confermò Rusca in qualità di Commissario per la gestione straordinaria <47.
Dal dicembre 1944, per la prima volta, uno spazio di quindici minuti di programmazione non musicale di Radio Roma fu ceduto dagli alleati al governo italiano, per venire incontro alle esigenze governative di disporre di uno strumento efficace con il quale diramare le linee politiche generali a tutto il paese. Nonostante queste aperture, le frizioni con il PWB rimasero notevoli, per le reiterate proteste delle autorità italiane circa la mancanza di rispondenza fra i contenuti dei notiziari gestiti dagli alleati e le esigenze informative governative. Un ulteriore spazio giornaliero di quindici minuti fu poi ceduto ai singoli partiti politici del CLN, che dovevano utilizzarlo a rotazione.
Alla fine del ’44 gli alleati elaborarono un “Piano sulla Radio nell’Italia liberata” che prevedeva la creazione di un Consiglio di Governatori con compiti di consulenza, formato da personalità, della musica e della cultura, dell’università, del giornalismo e della stessa RAI, liberamente eletti dalle relative organizzazioni di rappresentanza. Bonomi accettò il Piano, ma introdusse evidenti modifiche che suscitarono la protesta degli alleati, essendo i componenti del Consiglio della RAI nominati direttamente dal governo e non liberamente eletti.
Un’ulteriore occasione di contrasto fra governo ed alleati si ebbe a proposito della programmazione radiofonica indirizzata alle regioni ancora occupate dai nazifascisti. In questa circostanza, il comunista Mauro Scoccimarro, ministro per l’Italia occupata, aveva preparato alcuni programmi da trasmettere nel nord Italia, senza la preventiva valutazione ed autorizzazione del PWB. Quest’ultimo pose quindi il veto su tale programmazione, temendo soprattutto la potenziale propaganda filo comunista che poteva contenere, suscitando tuttavia le proteste di Scoccimarro, il quale si appellò ai decreti che avevano istituito il suo ministero che gli conferivano la possibilità di svolgere l’attività di propaganda bellica attraverso l’Ufficio stampa e propaganda.
La controversia fu risolta con un maggiore coinvolgimento della Presidenza del Consiglio nell’attività di controllo della propaganda, anche se i problemi che si profilavano all’orizzonte per gli alleati erano ben altri, direttamente attinenti alle deliberazioni del CLNAI circa la ferma volontà di gestire autonomamente gli impianti dell’EIAR. In particolare i partiti del CLN avevano richiesto agli alleati di estendere al nord il “modello di Radio Firenze”, cioè di consentire una forte autogestione della radio e l’elezione del comitato di gestione della radio da parte del CLN, richiesta ovviamente rifiutata. Gli impianti RAI del nord furono sottoposti ad un ferreo controllo, anche se non mancarono perplessità in alcuni uffici dei comandi alleati circa l’opportunità di lasciare al governo uno strumento di tale importanza, per i timori di un uso distorto e di parte che esso avrebbe potuto farne <48.
Alla RAI, intanto, il decreto governativo del 20 gennaio 1945 confermava Rusca per ulteriori sei mesi come commissario per la gestione straordinaria della RAI – in realtà rimase al suo posto fino all’aprile, quando fu eletto dagli azionisti della società il primo Consiglio d’amministrazione, che avrebbe nominato direttore generale Armando Rossini – il medesimo decreto affidava la gestione tecnica al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, mentre la gestione politica era affidata al sottosegretariato per la stampa e l’informazione. Durante l’amministrazione di Rusca ebbe inizio una trasformazione in senso moderato dell’organizzazione dell’azienda: i tentativi di defascistizzare gli organici furono progressivamente sopiti, mentre il controllo sulle informazioni diramate dal servizio vengono in più occasioni censurate, tanto che Corrado Alvaro, primo direttore del giornale radio dell’Italia libera, fu costretto a rassegnare le proprie dimissioni <49. In altre parole, la radio rifletteva pienamente le incertezze e le contraddizioni che in quel momento attanagliavano il paese, ancora idealmente diviso fra sud e nord – per alcuni mesi dopo la liberazione molte delle stazioni radio rimasero sotto il controllo del CLNAI – e dilaniato da una guerra civile strisciante che lasciava presagire una svolta reazionaria. La radio aveva inoltre una natura molto particolare, rivolgendosi, a differenza dei giornali, a tutte le famiglie italiane, e dovendo di conseguenza cercare un difficile equilibrio nell’informazione, in modo da non sembrare un organo di una specifica parte politica. Per queste ed altre ragioni, grazie al sempre più invasivo controllo democristiano, lo sviluppo della radio, per quanto concerne le forme di gestione ed il ruolo attribuito al mezzo, si svolse lungo una linea di sostanziale continuità con il passato.
Intanto, alla fine del ’45 vene ricostituita l’unità dell’azienda RAI: il 20 dicembre fu eletto un nuovo consiglio d’amministrazione, presieduto dalle storico cattolico liberale Carlo Arturo Jemolo. Il compito del nuovo consiglio fu tutt’altro che agevole, non soltanto per le difficoltà connesse con la difficile situazione post-bellica – le perdite di esercizio del ’44 ammontarono a oltre 24 milioni, lievitate ad oltre 300 milioni nel ’46, anche per colpa dell’inflazione galoppante – ma anche per le crescenti pressioni esercitate sull’azienda dalla Democrazia Cristiana. Superato il periodo del governo Parri, il primo governo di De Gasperi operò in modo da normalizzare la RAI, eliminando le ultime vestigia di quella condizione di coabitazione fra vecchio e nuovo che si era realizzata nell’anno precedente. Tale operazione fu resa possibile anche dal fatto che la RAI, società concessionaria del servizio pubblico, era titolare del medesimo rapporto giuridico che aveva precedentemente legato l’EIAR allo Stato, e doveva ottemperare agli obblighi previsti dalla convenzione del 1927, la cui scadenza era prevista per il 1952, e che non era stata abolita. Il personale tecnico e amministrativo della vecchia struttura fu confermato, così come, al di là di una blanda epurazione, gli elementi di vertice. Un momento decisivo nel riorientamento in senso conservatore della RAI si ebbe nell’agosto del ’46, in seguito alle elezioni del 2 giugno, quando venne nominato presidente della RAI Giuseppe Spataro, esponente di spicco della DC, al posto di Carlo Arturo Jemolo, che aveva cercato di garantire un maggiore pluralismo nell’azienda, e venne insediato un nuovo consiglio d’amministrazione nel quale vennero reintegrati i rappresentanti della SIP, la società che deteneva la maggioranza delle azioni della vecchia società che controllava l’EIAR ed ora la RAI. La riorganizzazione dell’azienda avvenne quindi all’insegna del recupero dei quadri della vecchia burocrazia, necessari per garantire una continuità nella linea politica conservatrice impressa all’azienda ed una sicura fedeltà al governo democristiano. Un ulteriore passo in questa direzione avvenne nell’ottobre del ’46, quando venne nominato alla vice presidenza della RAI Marcello Bernardi, ex segretario generale dell’EIAR, nomina che confermava la saldatura ormai avvenuta fra i quadri dirigenziali del periodo fascista e la nuova dirigenza politica democristiana.
Analoga piega presero le vicende relative all’informazione radiofonica. All’indomani della liberazione era stato varato il programma La voce dei partiti, che andava in onda tutti i giorni e ospitava esclusivamente i commentatori dei partiti politici del CLN. L’esperienza si era dimostrata però fallimentare, per l’incapacità dei commentatori di utilizzare il mezzo radiofonico – ogni esponente di partito si rivolgeva esclusivamente ai propri sostenitori e non alla generalità del pubblico – e per l’impossibilità di garantire a tutte le forze politiche un’equa partecipazione alla trasmissione. La trasmissione fu quindi sospesa due mesi prima della campagna referendaria del giugno ’46, e successivamente fu sostituita con il programma Opinioni, in cui sei ospiti fissi, ma di diverso orientamento politico, si alternavano nel commento dei principali fatti politici. L’accesso all’informazione politica era tuttavia determinato dalle percentuali elettorali, cosicché rimasero esclusi molti partiti o formazioni politiche che, pur presenti del dibattito politico, non avevano ottenuto successo alle elezioni. Da qui il montare della protesta da parte di numerose formazioni minori, che fu possibile disinnescare solo grazie ad un accordo fra la direzione generale della RAI e la Presidenza del Consiglio. Anche questo caso aveva dimostrato il crescente ruolo giocato dal governo, e più ancora dal suo partito di maggioranza.
Un ulteriore passo nella direzione di un rafforzamento dell’ingerenza governativa fu compiuto nella primavera del ’47, quando la Costituente istituì, con D.L. 3 aprile 1947, n. 428, una Commissione parlamentare di vigilanza e un Comitato per le direttive di massima culturali, artistiche ed educative, quest’ultimo organismo presieduto da Silvio D’Amico: ma mentre il primo di tali organi aveva compiti meramente consultivi, e comunque non pienamente definiti <50, il secondo aveva compiti deliberativi sui piani radiofonici trimestrali approntati dalla RAI circa la programmazione, ed era posto alle dipendenze del ministero delle Poste, in quel momento retto da Mario Scelba <51. Il decreto del ’47, inoltre, prevedeva esplicitamente che il governo potesse intervenire sulla RAI nel caso in cui fossero trasmesse programmi e notiziari considerati “pregiudizievoli”, scavalcando quindi i poteri della Commissione parlamentare di vigilanza. In questo modo veniva reintrodotto il controllo politico dell’esecutivo sulla maggiore azienda culturale del paese, così come era accaduto in periodo fascista. La DC, attraverso la RAI e la gestione dei mezzi di comunicazione di massa, poté mettere in essere un progetto egemonico per la realizzazione di un vasto consenso sociale alle proprie politiche, ed è da sottolineare che, almeno nei primi dieci anni, furono piuttosto i gruppi cattolici legati alle direttive del Vaticano, e non genericamente democristiani, a portare avanti tale strategia.
La vittoria alle elezioni del 18 aprile del ’48, consolidò il controllo sulla RAI da parte della DC, che utilizzò tale azienda per porre le basi di quel regime conservatore di massa la cui realizzazione era iniziata fin dai primi mesi del ’46 e che avrebbe portato a compimento nei decenni successivi.
[NOTE]
45 F. MONTELEONE, La radio in Italia, dal controllo anglo-americano al potere DC, in «Problemi dell’informazione», 2, 1977, pp. 197-199.
46 A. PIZARROSO QUINTERO, Stampa, radio e propaganda. Gli alleati in Italia 1943-1946, Angeli, Milano 1989, p. 120.
47 F. MONTELEONE, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia 1992, pp. 198-199.
48 A. PIZARROSO QUINTERO, Stampa, radio e propaganda. Gli alleati in Italia 1943-1946, cit., p. 130.
49 F. MONTELEONE, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., p. 199.
50 R. ZACCARIA, Radiotelevisione e Costituzione, Milano 1977, p. 35.
51 F. MONTELEONE, Storia della radio e della televisione in Italia, cit., pp. 213-216.
Guido Ferrini, La stampa italiana dal dopoguerra alla seconda Repubblica. Dalle concentrazioni editoriali alla finanziarizzazione dell’editoria, Tesi di laurea, Università di Pisa, Anno accademico 2014-2015