La contestata iniziativa del commissario politico partigiano della provincia di Parma

Nello stesso periodo in cui si verificò la crisi in seno al Comando, un altro fatto aggravava la situazione: si tratta di una questione che viene riportata nei documenti sotto il nome di “caso Mauri”, un argomento di cui si dispone di molta documentazione, a cui però non corrispondono altrettanti riferimenti bibliografici. <170
Come ci informa lo stesso Primo Savani nelle sue cronache della Resistenza, Mauri (Primo Savani) nel dicembre 1944, in quanto Commissario politico della Delegazione, venne incaricato dal CLN provinciale di procedere allo scambio dei prigionieri con le autorità tedesche provinciali <171. Forte di questi contatti, riporta Leonardo Tarantini <172, nel febbraio 1945, i tedeschi avviarono delle trattative allo scopo di garantirsi la sicurezza delle vie di comunicazione durante la ritirata, per ottenere che le formazioni partigiane si astenessero dall’attaccarli. Di questi accordi fu protagonista appunto Mauri, che munito di un salvacondotto si incontrò con dei rappresentanti tedeschi. Proprio per questa condotta egli venne accusato di Alto tradimento dal Comando Nord Emilia e venne destituito dalla carica di Commissario; gli venne concesso di continuare la lotta solo come semplice partigiano. Anche il Partito Comunista, di cui Mauri era militante, prese provvedimenti a suo carico espellendolo dal Partito. Tuttavia, a guerra finita, tale provvedimento venne revocato dal Nord Emilia e Mauri fu riammesso nel Partito.
Anche la vicenda del caso Mauri, come quella del Comando unico, costituisce una peculiarità del comando parmense, rispetto a quello Reggiano o Piacentino, e dimostra come anche in questa situazione, il comando di Parma cerca di contestare le ingerenze del Comando Nord Emilia. L’analisi della vicenda getta luce non solo sui personaggi coinvolti, primo fra tutti Mauri, ma ci fornisce anche un esempio del connubio tra Commissario e Comandante, in quanto come vedremo anche Gloria interverrà nella vicenda prendendo le difese del suo collaboratore. Basandosi esclusivamente sui documenti, vediamo l’andamento del “caso Mauri”.
I fatti
In data 10 marzo 1945 il Comandante Gloria inviò una lettera di protesta al Comando Militare Nord Emilia, oggetto del documento <173: Commissario Politico Mauri. Il Comandante protestò per il provvedimento preso nei confronti del Commissario politico della zona Est, dal momento che il Nord Emilia aveva ordinato la revoca dalla carica di Commissario per “tradimento della causa della libertà e indipendenza nazionale per essere sceso a trattative con il nemico per una eventuale tregua d’armi” <174, il documento scritto da Gloria, prosegue così:
“Poiché le accuse invocate a base del provvedimento in questione risultano del tutto infondate a questo Comando che è a diretta e precisa conoscenza dei fatti e degli avvenimenti svoltisi; e poiché, d’altra parte, se il patriota Mauri, avesse commesso il reato di tradimento egli sarebbe stato senz’altro deferito al Tribunale Militare di Zona, unico organo competente a giudicare in merito, questo comando ritiene che detto provvedimento debba essere revocato d’urgenza, siccome evidente risultato di informazioni erronee o date in malafede”. <175
Ad informarci sui fatti che portarono alla destituzione del Commissario, è lo stesso Primo Savani che scrisse a distanza di una settimana due diverse relazioni. Nella prima, redatta il 26 febbraio 1945 <176, Mauri riassunse il contenuto dell’abboccamento avuto la notte del 24 febbraio, con il Colonnello Costa, Capo della polizia segreta, che aveva già conosciuto nel corse delle trattative per lo scambio dei prigionieri avvenute nel dicembre scorso. L’incontro con Costa verteva sulla proposta di accordo in vista della ritirata tedesca. Per portar portare avanti le trattative con gli ufficiali fascisti, a Mauri sarebbe stato fornito un lasciapassare.
Come riporta Mauri nella seconda relazione, del 10 marzo 1945 <177, nell’incontro del 24 febbraio, il Costa si disse autorizzato ad incontrarsi con Savani, direttamente dall’ambasciatore germanico presso il governo di Mussolini e dal generale Wolf, Comandante della lotta antipartigiana in Italia; inoltre il Costa accennò alla possibilità di nominare una commissione del movimento partigiano e antifascista che si sarebbe incontrata con il generale Wolf e con l’ambasciatore tedesco <178. Si trattava quindi di una questione che travalicava il contesto provinciale per coinvolgere quello nazionale. Nella relazione infatti Savani prosegue spiegando che:
“Il Costa mi accennò in via ufficiosa che l’accordo, in sede di discussione avrebbe potuto Estendersi a tutta l’Italia settentrionale, che i tedeschi avevano urgenza e si mostravano preoccupati per le possibilità di impiego delle formazioni partigiane, ed inoltre che, nell’ipotesi si fosse raggiunto un accordo, ciò avrebbe significato come conseguenza le dimissioni di Mussolini, lo scioglimento o il trasferimento in Germania delle Brigate Nere e delle formazioni cosiddette repubblicane” <179.
Si trattava senza dubbio di una questione di notevole portata e che poneva l’Avvocato Primo Savani in una posizione delicata, che lo poteva rendere responsabile o meno della salvezza della popolazione emiliana e non solo. Allo stesso tempo il Commissario era ben consapevole che tale accordo sarebbe andato contro quella che era una delle direttive generali della lotta partigiana: nessuna trattativa con i tedeschi, come testimoniano diverse ordinanze emanate dal Comando Unico parmense, e non solo, a tutte le brigate, valga d’esempio l’ordine inviato dal Comandante Arta nel novembre 1944: “sono vietate in modo tassativo trattative con i comandi nemici […] coloro che si presteranno a tali trattative saranno considerati traditori della causa e come tali giudicati” <180. Consapevole di ciò, riflettendo sulla situazione lo stesso Savani nel suo rapporto scrisse: “Potevo essere scettico o contrario a qualsiasi conversazione, ma sarebbe stato assurdo, ridicolo e delittuoso che mi fossi arbitrato di opporre illico et immediato [sic] al Costa uno sdegnoso rifiuto, per la ragione semplicissima che le conversazioni da iniziarsi non riguardavano soltanto la zona Est della Cisa della Prov. di Parma, ma tutta l’Emilia e l’Italia settentrionale e che non ero in grado di conoscere le ragioni militari e politiche che avrebbero potuto consigliare o meno di trattare. […] qualsiasi comunista italiano di buon senso, in ispecie se rivestito della funzione di Commissario Politico, non poteva comportarsi diversamente”. <181
In seguito a tale colloquio, prosegue Mauri nella relazione, Primo Savani, dopo aver informato il Maggiore Holland (capo della Missione Alleata di Parma) insieme al Vice Comandante Aceti del Nord Emilia, ed aver inviato la relazione al Comandante Gloria, decise avvicinare qualche componente del CLN di Parma, per avere la possibilità di collegarsi con il C.L.N.A.I, “quale organo supremo e competente per decidere se iniziare o meno le trattative” <182.
Proprio per poter conferire con un rappresentante del C.L.N.A.I. Savani si recò a Milano, trasportato su una macchina della S.D. [Sicherheitspolizei-SD], la polizia tedesca, senza però riuscire ad ottenere un colloquio con qualche responsabile. Di ritorno a Parma, gli fu recapitata la risposta del Capo della Missione alleata che proibiva ogni accordo con il nemico; anche il Nord Emilia, già informato dei fatti, rispose negativamente agli accordi, salvo altre direttive dai superiori, che erano già stati informati dallo stesso Mauri. <183 Alla fine di febbraio quindi la questione delle trattative si era conclusa con un netto rifiuto da parte delle forze alleate e partigiane. Si apriva invece un’altra questione, quella che vedeva Mauri messo sotto accusa da parte del Comando Militare Nord Emilia.
I provvedimenti
L’intervento del Nord Emilia non si fece attendere: il 5 marzo 1945, con l’ordine del giorno n° 2, “constatando che Mauri è sceso a trattative con il nemico per un eventuale tregua d’armi nell’interesse dei nazifascisti e così agendo ha tradito la causa della libertà e dell’indipendenza nazionale”, venne revocata la carica di Commissario Politico al Prof. Mauri, “concedendo in pari tempo, l’onore di rimanere in una delle formazioni e di battersi come partigiano” <184. Il mese successivo, il 4 aprile, di fronte ad una missiva controfirmata dal Commissario Mauri, il Comando Militare Nord Emilia inviò un’altra direttiva <185 indirizzata al Comando parmense zona Est, ribadendo il provvedimento del 5 marzo, adducendo le stesse motivazioni ed esortando ad ottemperare l’ordine dato. In effetti il giorno precedentemente, Primo Savani inviò una lettera a Gloria; in questa, dopo aver precisato di aver informato tempestivamente anche il Nord Emilia del fatto, aggiunge che: “Ciò che più conta è che i fiduciari del P.C. [Partito Comunista] così della zona Ovest, come della zona Est, dopo avermi sentito mi hanno invitato a rimanere in carica, assumendo la responsabilità di fronte al Partito […] pertanto con l’autorizzazione del partito e dietro invito di tutti gli esponenti del movimento partigiano della provincia, continuo ad esercitare la funzione di Commissario Politico, in attesa che non solo il P.C. ma anche il Nord Emilia diano il loro benestare” <186.
Benestare che come abbiamo visto, il Nord Emilia non era disposto a dare, come venne ribadito in una lettera inviata al Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale, sempre del 4 aprile 1945 <187. Le ragioni del provvedimento preso dal Nord Emilia, al di là del l’accusa di alto tradimento, vengono espresse dal Commissario Politico del comando, Bruni, anche in una missiva <188 inviata al CLNAI, in data 3 aprile 1945. Nella relazione Bruni sottolinea come la destituzione di Mauri, fosse necessaria e immediata perché “il Comando, agendo tempestivamente come ha agito contro i fautori di tregua e compromessi, era convintissimo di contribuire notevolmente a rafforzare e potenziare la lotta di Liberazione Nazionale, questa è stata ed è senza dubbio, la sola sua unica preoccupazione” <189.
Il Comando Militare Nord Emilia non fu l’unico organo a stigmatizzare senza riserve la condotta di Primo Savani; anche il Partito Comunista intervenne nella questione giudicando negativamente il suo operato e provvedendo di conseguenza alla sua espulsione. Non è pervenuto un documento ufficiale del partito che ne dichiarasse la sua estromissione, tuttavia è possibile ricavare questo dato sia da alcune relazioni scritte da membri del partito, sia da alcuni scritti dello stesso Savani in cui accenna al suo allontanamento. Infatti, in uno scritto indirizzato al Comitato del P.C.I. Est della Cisa, recante la data 19 aprile, dopo l’analisi del lavoro dei nuclei di Partito svolti in quella zona, emerge la questione del “caso Mauri”, del quale si legge:
“Il comp. Primo ha commesso un errore riconosciuto da lui stesso. Sarà passato da voi recentemente con idee più chiare e quindi la vostra perplessità sarà svanita. Comunque il cittadino Mauri è espulso dal P. e revocato dal posto di Commissario. La sua ostinazione attuale ed i suoi intrighi non fanno che confermare la giustezza dei provvedimenti presi nei suoi confronti. […]” <190.
Non solo Mauri venne giudicato aspramente dal suo partito, ma venne anche ribadita e riconfermata dai compagni la sua espulsione, demolendo quindi le speranze che lo stesso Mauri aveva espresso nella lettera inviata a Gloria agli inizi del mese, dove dichiarava che avrebbe continuato il suo incarico di Commissario, “sino a che la mia posizione non sia riveduta dal lo stesso partito” <191, cosa che come abbiamo visto fino a quel momento non avvenne. Forse “l’ostinazione” di Mauri, alludeva proprio al fatto che Savani continuò l’incarico di Commissario anche dopo l’ordine del Nord Emilia. Sempre a quei giorni, il 20 aprile, risale un documento manoscritto <192 scritto forse da Bertini (Bruno Tanzi) l’Ispettore del Nord Emilia, che al punto numero tre tratta del “caso Mauri”; quest’ultimo aveva indetto una riunione con alcuni compagni per raccontare quanto accaduto, ma nonostante la sua difesa, i compagni approvarono il provvedimento del partito preso nei suoi confronti. Vengono poi esplicate le accuse a carico di Mauri:
Obbiettivamente tradimento politico. Mauri non ha capito che i fascisti han perso la guerra, che i fascisti non possono portare a termine il piano di distruzione. Se i tedeschi distruggono le loro città, distruggeranno a maggior ragione le nostre e noi possiamo impedirlo solo con l’azione. Non ha capito il Mauri la linea politica del partito 《con i tedeschi non si patteggia 》. Egli chiede consiglio a destra e a sinistra e non al partito; nell’ accettare l’invito a Milano non pensa che con l’apparato poliziesco nazifascista si poteva compromettere l’organo centrale”. <193
[…] Le ragioni espresse dal partito erano più esaustive di quelle comunicate dal Nord Emilia ma non diverse nei contenuti; in entrambi i casi si parla di tradimento della causa comune che è sempre stata diretta dal principio generale di condurre con ogni mezzo la lotta contro i nazifascisti senza scendere a nessun accordo. Si recrimina anche non solo di aver messo in pericolo il Comitato Centrale ma, nel caso del partito comunista di non aver interpellato nessun esponente per chiedere consiglio; come spiega lo stesso Mauri nella sua relazione di fine febbraio, egli riteneva informare immediatamente l’organo supremo nazionale, anziché il partito o il comitato provinciale o del Nord Emilia, data l’urgenza. Di fronte allo stato di cose e alle accuse mosse dal partito e dal Nord Emilia, vediamo quali furono le reazioni.
La difesa
A differenza del caso della sostituzione di Arta, che levò una scia di proteste da parte di esponenti del movimento partigiano, per il caso Mauri, non sono state rinvenute lettere o cenni ad una protesta collettiva, ma si dispone di una interessante corrispondenza intrapresa dal Comandante Gloria con il Comando Nord Emilia, nella quale il Comandante democristiano si dimostra il principale difensore di Mauri; si tratta quindi di un Comandante che prende senza riserve le difese del suo Commissario politico, con il quale, per quanto diversi politicamente, aveva stretto un legame di cooperazione e reciproca stima e fiducia, come si evince dalla documentazione. Gli strascichi di questa vicenda ci forniscono dunque una stima di quanto forte e stretto poteva essere il legame tra un Comandante e Commissario.
All’inizio del paragrafo abbiamo analizzato la prima lettera inviata dal Colonnello Gloria al CMNE in data 10 marzo 1945 <195,nella quale il Comandante riteneva infondata e di malafede l’accusa mossa, inoltre riteneva che il Tribunale Militare di Zona fosse l’unico organo competente per muovere accuse di tradimento. La seconda lettera inviata da Gloria al Generale Bertola, Comandante del Nord Emilia, risale al aprile 1945. Circa il provvedimento preso, il Comandante si fece portavoce di altri esponenti del movimento parmense (Aceti, Arta, Poe e membri del CLN locale) nel dichiararlo privo di fondamento nella sostanza, “perché Mauri non ha commesso nessuna azione riprovevole verso la causa” <196. Secondo Gloria e gli altri, trattandosi di una causa di ampiezza e risonanza addirittura europea (le dimissioni di Mussolini e lo scioglimento delle forze armate repubblicane) e di carattere economico nazionale (la distruzione del patrimonio economico emiliano) “Mauri nella sua veste non poteva assumersi alcuna responsabilità di rigettare a priori dette offerte di colloqui” <197. Data la difficoltà ad aver rapidi collegamenti, Savani ritenne doveroso raggiungere Milano con i mezzi più rapidi (la macchina della S.D) per poter conferire con gli organi centrali. A detta di Gloria quindi il comportamento di Mauri era improntato da buona fede a amor di patria. L’ordinanza emanata venne dichiarata illegale nella procedura, innanzitutto perché
“un provvedimento di tale gravità, e al quale è stata data tanta pubblicità macchiando l’onore di un patriota e cittadino integerrimo, è stato preso non per diretta conoscenza dei fatti ma per sentito dire poiché nessun rapporto è stato chiesto al Comando da cui Mauri dipendeva né fu dato allo stesso modo di giustificare a priori il suo operato, cosa questa che viene consentita in fase istruttoria anche a un comune delinquente”. <198
In secondo luogo l’irregolarità è data dal fatto che il provvedimento figurava preso da tutti i membri del Comando Nord Emilia, non esclusivamente dal Comandante e Commissario, mentre il Vice Comandante Aceti, invece si era dichiarato, di fronte allo stesso Gloria, all’oscuro e contrario alla decisione presa.
Nella terza e ultima missiva, inviata in via privata sempre a generale Bertola, Paolo Ceschi (Gloria) motivava, ancora una volta, la sua difesa nei confronti di Savani, adducendo un’interessante riflessione di carattere politico sulla natura della decisione presa dal CMNE e dal Partito Comunista; nella lettera egli denunciava un certo settarismo, da parte dei patrioti comunisti, che impediva quel clima di equilibrio e moderazione tanto ricercato nel Corpo Volontari della libertà. “Evidentemente vi sono nel suo partito delle correnti estremiste che non vedono bene la serena e fattiva opera svolta dal Commissario della Delegazione, opera che mai è stata improntata a spirito settario <199”, così scrisse il Comandante della zona Est, che giudicava essere il provvedimento di estromissione, una manovra politica. Infatti, prosegue Gloria, “ho notato che gli Ispettori, gli ufficiali di collegamento [Bertini ad esempio] e Commissario politico [Bruni, di cui abbiamo la missiva inviata al CLNAI] sono tutti comunisti e che la loro attività che io ho sorvegliato attentamente non è purtroppo improntata a quella serenità ed obiettività che si deve pretendere da elementi di tale responsabilità del Corpo Volontari della libertà”. <200 Da qui il suggerimento, da parte del colonnello, di inserire nella cerchia del Comando, dei collaboratori elementi più moderatori e “sereni politicamente” per garantire una politica di collaborazione disinteressata. <201 Gloria conclude la lettera con una lamentela nei confronti di Bruni, il Commissario del Nord Emilia, per l’estremismo espresso nelle sue direttive.
[NOTE]
170 Cfr. F. Cipriani, Guerra Partigiana e L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense
171 Cfr. P. Savani, Antifascismo e guerra di liberazione, p.197.
172 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, p. 224.
173 AISRECP, Fondo Lotta di Liberazione, busta RI, fasc. QM, f.24.
174 Ibidem
175 Ibidem
176 Ivi, f. 10.
177 Ivi, busta RI, fasc. QC, f. 25.
178 Ibidem
179 Ibidem
180 Ivi, busta 1 CU, fasc. OV a, f.3.
181 Ivi, busta RI, fasc. QM, f. 25.
182 Ibidem.
183 Ibidem
184 Ivi, f 36.
185 Ivi, f. 34.
186 Ivi, f.32.
187 Ivi, f. 35.
188 Ivi, busta 1 OD, fasc. OC d1, f 111.
189 Ibidem
190 Ivi, busta RI, fasc. QM, f. 46.
191 Ivi, f. 32.
192 Ivi, busta 2 OD, fasc. OP b3, f. 59.
193 Ibidem
195 Ivi, busta RI, fasc. QM, f 24.
196 Ivi, f 33.
197 Ibidem
198 Ibidem
199 Ivi, f. 29.
200 Ibidem
201 Ibidem
Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018

I primi tentativi di condurre un razionale coordinamento delle formazioni partigiane operanti nella provincia di Parma risalgono all’estate del 1944: dopo i pesanti rastrellamenti che avevano colpito il territorio montano tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1944, le varie brigate si accordarono difatti per costituire un comando superiore di tutte le componenti armate del movimento di liberazione.
Il primato in ordine di tempo spetta tuttavia al Comando piazza di Parma, nominato il 1° agosto 1944 col compito di coordinare l’attività resistenziale della pianura e della città, quindi dei gruppi di azione patriottica (GAP) e delle squadre di azione patriottica (SAP). Ne fu affidata la guida al comunista Gino Menconi (alias Renzi), coadiuvato da due vicecomandanti, il socialista Domenico Tomasicchio (alias Nullo) e il repubblicano Giorgio Gazza (alias Bixio), con commissario politico Alvise Jacazio (alias Mauro).
Il Comando unico operativo della provincia di Parma fu istituito invece nella seconda metà del mese di agosto 1944 a seguito di un incontro tra i comandanti delle brigate partigiane svolto a Pian del Monte, una località nei pressi di Tiedoli nel comune di Borgo Val di Taro. In quella circostanza furono eletti all’unanimità il comandante Giacomo di Crollalanza (alias Pablo), il vicecomandante Primo Brindani (alias Libero), il commissario politico Primo Savani (alias Mauri), il vicecommissario Achille Pellizzari (alias Poe) e il capo di stato maggiore Fernando Cipriani (alias Ottavio). Il Comando unico emanò le sue prime direttive rivolte ai comandi di brigata il successivo 3 settembre e pochi giorni dopo fissò la sua sede a Castello di Mariano, una frazione del comune di Valmozzola.
Redazione, Comando unico operativo della provincia di Parma, Siusa