La missione Lizzadri e il Congresso antifascista di Bari del gennaio 1944

Fonte: 1943. La CGL sconosciuta, cit. infra

Il sottosegretario [del governo Badoglio] all’Interno, Vito Reale, interviene [al Congresso antifascista di Bari] sulla questione istituzionale e, a proposito del re, dichiara: “Io ho fiducia nella sua saggezza, e sono sicuro che quando si manifesteranno le necessarie condizioni egli compirà il gesto che l’Italia aspetta da lui. Ma sostengo anche che tale gesto non si può compiere se non a Roma con l’aiuto di tutti i partiti nazionali, quando dal Campidoglio noi potremo parlare all’Italia” <512. Anche Badoglio ritiene che la questione vada affrontata in un secondo momento, quando, dopo aver cacciato i tedeschi, si potrà consultare il paese con elezioni generali. Di diverso avviso è l’ingegnere Giuseppe Laterza il quale, a nome dei liberali, chiede “la più radicale e pronta defascistizzazione del Paese, non fatta però da fascisti o filo-fascisti, e … quindi l’immediata abdicazione di Vittorio Emanuele III come vero preludio, a garanzia che la misura non ammette eccezioni, e sia perseguita con il rigore dovuto, cominciando doverosamente dall’alto e non dal piccolo untorello” <513. Il rappresentante del Partito d’Azione, l’avvocato De Philippis e quello del Partito Socialista, il ragioniere Giuseppe Larecchiuta, sono sulle stesse posizioni. Anche l’esponente comunista Vito Pappagallo chiede l’abdicazione poiché “dal territorio occupato dai nazisti ci giungono queste voci: noi difendiamo le nostre case, i nostri averi; ma come pretendete voi che facciamo una guerra di liberazione contro il tedesco, quando vediamo che la liberazione significherebbe tornare sotto il Re che ha sanzionato il fascismo, firmato il patto d’acciaio e attorno al quale si sono concentrate tutte le forze vecchie della reazione; i vecchi e i nuovi fascisti?” <514. Infine, la richiesta di abdicazione è sostenuta dal dottor Natale Lojacono, per la Democrazia Cristiana, anche se giunge subito la smentita delle sezioni di Brindisi, Lecce e Taranto le quali si dichiarano contrarie. Completa il quadro il messaggio ai congressisti inviato da Roma dal Comitato Centrale di Liberazione: “In questa lotta (dei partigiani) è assente il governo che, dopo la fuga del Re da Roma, non ha saputo organizzare la partecipazione effettiva della nazione alla guerra, né ha contribuito alla resistenza nell’Italia occupata. Questo governo deve sparire! La posizione da voi presa e quella assunta dal nostro Comitato Centrale per la costituzione dei un governo straordinario che assuma tutti i poteri costituzionali dello Stato, senza compromettere la concordia popolare sulla forma istituzionale, rappresentano la condizione indispensabile perché l’Italia conduca con necessario vigore la guerra fino alla vittoria ed assicuri il proprio avvenire” <515. Questi temi vengono ripresi, nel corso del dibattito, anche da Benedetto Croce, da Carlo Sforza, da Vincenzo Arangio-Ruiz. Il 29 viene approvata la mozione finale: “Il Congresso, udita ed approvata la relazione di Arangio-Ruiz sulla politica interna; ritenuto che le condizioni attuali del paese non consentono la immediata soluzione del problema istituzionale; che però, presupposto innegabile della ricostruzione morale e materiale italiana è l’abdicazione immediata del Re, responsabile delle sciagure del paese […] dichiara la necessità di pervenire alla composizione di un governo con i pieni poteri del momento di eccezione e con la partecipazione di tutti i partiti rappresentati al Congresso […]. Delibera la costituzione di una Giunta esecutiva permanente alla quale siano chiamati i rappresentanti designati dei partiti componenti i Comitati di Liberazione […]” <516. Mentre comincia a definirsi la politica dei Comitati di liberazione e, nello stesso tempo, comincia a prendere forma, almeno nelle deliberazioni, il “governo dei partiti”, il maresciallo Badoglio prosegue la sua attività governativa essendo, tra l’altro, l’unico referente istituzionale a livello internazionale.
[NOTE]
512 Citato in Agostino Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Editori Riuniti, Roma 1973 [1ª edizione 1946], p. 307.
513 Idem, p. 308.
514 Ibidem
515 Idem, p. 317
516 Idem, pp. 326-327. La Giunta Esecutiva risulta così composta: Francesco Cerabona per la Democrazia del Lavoro, Vincenzo Arangio-Ruiz per il Partito Liberale, Paolo Tedeschi per il Partito Comunista, Vincenzo Calace per il Partito d’Azione, Angelo Raffaele Jervolino per la Democrazia Cristiana, Oreste Longobardi per il Partito Socialista.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011

[…] 31 gennaio
Le cose vanno male, cresce il malcontento, la gente si lamenta. E i giovani – dice un dirigente socialista in clandestinità – cominciano a prendere coscienza e a capire di essere stati ingannati dal fascismo.
L’anno è cominciato male e tutti si lamentano. È nata un’espressione popolare: “pissipissi baobao”; è la lagnanza che si fa a bassa voce, perché non sia sentita da orecchie indiscrete e pericolose. Oreste Lizzadri, un socialista che dirige in clandestinità l’attività del suo partito nel Lazio e nell’Italia meridionale <1, scrive oggi sul suo diario <2: “Aumenta il malcontento e, con esso, l’attività contro il regime. C’è però parecchia confusione in giro; sorgono nuovi gruppi antifascisti, anche fra gli stessi fascisti e da parte dei giovani si verifica una evasione, se non una vera fuga di cui forse non sappiamo valutare bene il significato e l’importanza. “Nel Nord, a quanto ci riferiscono, le simpatie dei giovani, oltre che verso il Partito comunista si indirizzano verso il Partito d’Azione, un partito giovane e perciò senza le remore di un lungo passato. Questa fuga dei giovani è, a mio parere, il vero fatto nuovo della situazione e il più duro colpo inferto al fascismo. Proprio i giovani? E perché ora e non, per esempio, nel 1940 allo scoppio della guerra? Sollecitazioni o esempi da parte degli antifascisti essi ne hanno ricevuti ben pochi sia allora che oggi. La cosiddetta alta intellettualità o collabora o tace. I dirigenti più noti dei partiti, i simboli, direi, di essi, o sono morti o risiedono all’estero o tacciono. E allora? Il fatto è che nel 1940 i giovani riponevano ancora molta fiducia in Mussolini, ingannati e affascinati dalla sua demagogia di un’Italia giovane e proletaria che doveva farsi largo in un mondo dominato dalle plutocrazie colonialiste ed imperialiste. I fatti degli ultimi due anni non possono non aver lasciato la bocca amara a quanti di essi queste cose avevano preso sul serio. L’Albania, la Grecia, la Jugoslavia, la brutalità dei nazisti verso i popoli soggiogati, le affermazioni esplicite dello stesso Mussolini che ci si batte per il grano dell’Ucraina e i petroli del Caucaso, la guerra contro l’Urss, le avvisaglie contro gli ebrei, le lotte all’interno del regime, prima della coscienza politica devono aver colpito la loro coscienza civile inducendoli alla ribellione. Comunque, una cosa è certa. Tranne pochi casi come quelli dei figli di vecchi antifascisti, questi giovani hanno fatto tutto da sé. Il loro travaglio merita perciò tutto il nostro rispetto e, in certi casi, anche la nostra ammirazione”.
1 Oreste Lizzadri, Napoli 1896-1976, Segretario generale della Cgil 1945-1948, deputato del Psi dal 1948 al 1962 e poi ancora nel 1967.
2 In “Il regno di Badoglio”, Milano, 1963

Sergio Lepri, 1943. Cronache di un anno

[…] Lizzadri
Tra i delegati intervenuti al congresso, io ero l’unico proveniente da Roma, da una città dove i militanti dei partiti attivi erano sotto l’incubo della fucilazione o della deportazione, i nostri eroi si chiamavano Terracini, si chiamavano Pertini, si chiamavano Scoccimarro, si chiamavano Morandi, si chiamavano Pesenti, cioè tutta gente che era stata condannata a decine di anni di carcere, di confino, e che era stata antifascista da sempre, senza avere avuto mai rimorsi o riserve mentali. A Bari, scendendo a Bari, due giorni dopo, dappertutto soltanto manifesti inneggianti a Benedetto Croce. In più, io sapevo che attorno a Croce giravano altri santoni del liberalismo meridionale, Enrico De Nicola, Giovanni Porzio, i quali tutti armeggiavano per la monarchia, con l’abdicazione, con la reggenza e con altri simili impicci, tendevano tutti a mantenere in piedi la monarchia. […]
Interviste
Franco Catalano, La forza dei partiti antifascisti e la dialettica all’interno del CLN in Mino Argentieri e Ansano Giannarelli, Resistenza. Una nazione che risorge, Città del Sole Edizioni, 2010

Il congresso di Bari e l’unità sindacale
di Oreste Lizzadri
Quali furono i risultati del congresso di Bari nel suo giudizio come rappresentante dei socialisti?
Il congresso di Bari si concluse con un compromesso che, come ogni compromesso, lasciò tutti scontenti, in modo particolare i socialisti. Fra i delegati intervenuti ero l’unico proveniente da Roma, cioè da una città occupata dai nazisti e dai fascisti e perciò con una carica di combattività che a Bari
era naturalmente sconosciuta, e non per colpa loro. Arrivando a Napoli, però, mi resi subito conto della differente atmosfera che esisteva tra Roma e Napoli. Io ero latore di una lettera di presentazione da parte di Nenni per il conte Sforza il quale, come se io avessi fatto una gita di piacere passando le linee e arrivando a Napoli, mi fece fare prima un’anticamera di circa un’ora
e poi mi disse: “Ma lei cosa è venuto a fare? Perché, come socialista, qui la sinistra è monopolizzata dai comunisti e dal Partito d’Azione, come inviato dal Comitato centrale di Liberazione – perché io andavo a Bari a portare il messaggio – le personalità che sono presenti a Napoli in questo momento
sanno bene che cosa fare, anche senza i consigli che provengono da Roma”.
Due giorni dopo a Bari la cosa non andò meglio: dappertutto soltanto manifesti inneggianti a Benedetto Croce – non che io avessi qualche cosa contro il grande filosofo, anzi ero uno dei pochi abbonati alla sua Critica durante i venti anni del fascismo. Ci rimasi male, io provenivo da Roma, da una città dove i militanti dei partiti attivi erano sotto l’incubo della fucilazione o della deportazione; i nostri eroi si chiamavano Terracini, Pertini, Scoccimarro, Morandi, Pesenti. Tutta gente che era stata condannata a decine di anni di carcere, di confino, ero antifascista da sempre, senza aver avuto mai rimorsi o riserve mentali. In più sapevo che attorno a Croce giravano altri santoni del
liberalismo meridionale come Enrico De Nicola e Giovanni Porzio, i quali armeggiavano per la monarchia con l’abdicazione, con la reggenza e altri simili impicci: tendenti tutti a mantenere in piedi la monarchia. In queste condizioni, l’unico risultato positivo per noi socialisti fu che tutti questi santoniCroce, De Nicola, Porzio – si convinsero che per la monarchia in Italia non c’era più niente da fare.
[…] Però, a cos’è servito questo? Ecco, io voglio leggere qualche riga della mia modesta pubblicazione, Taccuino degli appunti:
16 settembre – Breve colloquio all’aperto con Roveda e Buozzi a piazza Mazzini.
21 settembre – Riunione con Di Vittorio e Buozzi nel rifugio di Di Vittorio a Pontelungo.
29 settembre – A via Padova, Buozzi, Roveda e Di Vittorio.
Il 30 in casa di Spataro, democristiano, primo scambio d’idee tra Buozzi e Grandi.
30 ottobre – Riunione larga dei sindacalisti con Nenni, Gronchi e Amendola.
15 ottobre – I partiti di massa designano ufficialmente i propri delegati per una riunione più impegnativa, avente per oggetto l’unità sindacale. Grandi e Gronchi per la Democrazia cristiana, Di Vittorio e Roveda per i comunisti, Buozzi e Lizzadri per i socialisti (…).
Così continua il Taccuino, fino al 24 gennaio, quando fui incaricato dal Comitato di Liberazione di passare le linee per andare a Bari. Naturalmente, in tutto questo tempo, continuarono, per merito di Buozzi, di Di Vittorio e di Grandi, le conversazioni e si arrivò a quell’unità sindacale che si realizzò in
seguito a Roma. Però, questa unità sindacale, come ho detto, è stata in parte criticata e anche per un certo tempo contestata perché veniva dall’alto. In verità non era che la rappresentazione pratica di quello che era avvenuto nel Nord nei famosi scioperi del 1943. Come dico ad un certo punto in questa pubblicazione, in fondo l’atto non fu che il rogito notarile che segnava sulla carta quello che gli operai e i lavoratori avevano fatto per loro conto.
Mino Argentieri e Ansano Giannarelli, Op.cit.

Il voto del Congresso di Bari aveva avuto un effetto notevole. Aveva collocato Badoglio in un cul di sacco. Egli non poteva fare un vero e proprio Gabinetto politico per il rifiuto dei partiti antifascisti a parteciparvi. Non poteva né avanzare, né ritirarsi. In tale situazione è giunto miracolosamente da plaghe lontane un cavaliere portentoso, un Lohengrin redivivo, che si è accostato a Badoglio e lo ha tratto in salvo. Il cavaliere è venuto dalla Russia ed è Palmiro Togliatti (alias Ercoli) […] Il pensiero di Togliatti è semplice, rettilineo, convincente […] La mossa di Togliatti ha avuto effetti risolutivi. Se i comunisti vanno con Badoglio, come possono restare in disparte i liberali di Croce, i democristiani di Rodinò e così, via via, tutti gli altri?”. Il giorno successivo annota le “doglianze e le critiche” che la posizione di Togliatti ha provocato nel mondo politico e le compara a quelle “che hanno formato la sostanza dei nostri dibattiti e che mi hanno costretto, due settimane fa, a dare le dimissioni dalla presidenza del Comitato di Liberazione. Se durante quei dibattiti io avessi proposto ciò che Togliatti ha fatto accettare […] io sarei stato cacciato dal mio posto. Proprio vero che in politica i fatti sono quelli che si incaricano di far giustizia delle passioni del momento.
Ivanoe Bonomi, 7 aprile 1944 in Diario di un anno (2 giugno 1943-10 giugno 1940), Garzanti, Milano, 1947

II Comitato Centrale di Liberazione Nazionale tornava a riunirsi il 19 gennaio 1944 <22 per deliberare, fra l’altro, sull’invio di un messaggio al Congresso dei CLN dell’Italia Liberata, che si sarebbe tenuto a Bari il 29 di quello stesso mese. Il primo progetto di messaggio era stato stilato da Nenni e recava al centro il problema della «lotta energica contro i nemici interni e la partecipazione del popolo alla guerra di Liberazione» <23, la monarchia e il governo del Badoglio venivano indicati come responsabili «del crollo della resistenza del settembre contro i tedeschi». Ma il progetto di Nenni – osservavano i rappresentanti comunisti Amendola e Scoccimarro <24 – «mostrava che esso non aveva capito lo spirito delle cose dette» dai comunisti nella riunione precedente (9 gennaio); si rimproverava a Nenni di non aver posto al centro del messaggio il problema della guerra.
… il popolo italiano – diceva infatti il messaggio – ha dimostrato la sua volontà di lotta con la guerriglia dei patrioti, con gli scioperi delle maestranze operaie al Nord, con la resistenza dei giovani alle leve del lavoro e a quelle militari fasciste, l’ininterrotta attività cospirativa dei Comitati di Liberazione, affrontando, come all’epoca del Risorgimento, il carcere e la morte. Per unire tutti gli italiani contro l’invasore di fuori e il nemico di dentro, il CC insiste fermamente perché la crisi politica del paese sia definita ponendo alla testa della nazione un governo che sia l’espressione di quanti hanno lottato contro la dittatura fascista… <25.
Sembrava ai comunisti che nel messaggio steso da Nenni i richiami alla guerriglia partigiana, alla lotta operaia, all’attivìtà cospirativa dei CLN con la richiesta di un governo antifascista, ponessero l’accento sul carattere classista della lotta partigiana, turbando l’equilibrio raggiunto nel Comitato Centrale di Liberazione Nazionale sul carattere patriottico della lotta. Pietro Nenni, di fronte alle rimostranze dei comunisti, malgrado la pressione esercitata dalla sinistra del suo partito, accettava di ritirare il suo progetto e di collaborare con i liberali, i democristiani, i comunisti e gli azionisti, alla stesura di un messaggio definitivo, nel quale «il problema centrale apparisse chiaramente essere quello della partecipazione dell’Italia alla guerra» <26.
Il 22 gennaio – secondo Oreste Lizzadri (Il regno di Badoglio) – Pietro Nenni informava il CLN che il Partito socialista si assumeva la responsabilità di far pervenire al Congresso di Bari, portato da un suo esponente, il messaggio approvato il giorno 19. Il messaggero era Oreste Lizzadri. Su questo argomento le notizie, oltre a quelle pervenute dal personaggio particolarmente interessato, parlano della missione Lizzadri solo per riferire l’impressione che suscitò nei congressisti di Bari la lettura del messaggio inviato dal CLN centrale; a noi interessano, però, per le loro evidenti implicazioni con il problema della riorganizzazione sindacale, gli avvenimenti dei giorni precedenti la partenza di Lizzadri da Roma.
Lo stesso Lizzadri racconta questi avvenimenti in quattro o cinque modi tutti contrastanti. Ciò è tanto più inesplicabile visto che Lizzadri non cita a memoria fatti, personaggi, propositi e date, ma ricorre alle note scritte in quel tempo sul suo taccuino.
La prima versione è quella data al Primo Congresso delle Organizzazioni sindacali della CGIL dell’Italia Liberata (Napoli, 28 gennaio 1945). Dice infatti Lizzadri: «Quando io partii da Roma per venire a Napoli, il 20 gennaio ’44, Bruno Buozzi, accompagnandomi all’automobile che mi portava al luogo d’imbarco, a me, che gli raccomandavo che cercasse di abbreviare i tempi per raggiungere l’unità, per formulare il patto di unità, disse, e furono le sue ultime parole: “Ritornando a Roma troverai l’unità sindacale fatta”» <27. Dimenticandosi che soltanto il giorno 22 gennaio Pietro Nenni avrebbe comunicato al CLN che il Partito socialista si assumeva il compito di inviare il messaggero, Lizzadri, in questo primo racconto, dice di essere partito da Roma il giorno 20.
Successivamente, tornando sull’argomento (Il regno di Badoglio, pag. 138) Lizzadri afferma che il 21 gennaio Buozzi, Vassalli, Nenni e lui stesso, avevano ancora da decidere chi inviare a Bari: «La scelta – scrive Lizzadri – cade, per ovvie ragioni sulla mia persona». Ancora, in una lettera pubblicata da «Critica Marxista» (maggio 1965, pag. 167) Lizzadri scrive: «Partii da Roma il 22 gennaio ’44 incaricato dal CLN centrale con un messaggio firmato da tutti i suoi componenti, compreso il rappresentante del PCI…». Infine: « … il 23 gennaio – è sempre Lizzadri che scrive – alle 10 saluto Buozzi e Nenni, Giuliano Vassalli mi accompagna a Piazza San Pietro dove mi aspetta Maurizio Giglio in divisa di tenente della PAI. A pomeriggio inoltrato giungiamo a destinazione. Un bellissimo casolare nella tenuta di un principe romano a pochi chilometri da Orbetello… l’imbarco è fissato per la mezzanotte in punto» <28.
Secondo quest’ultima versione Lizzadri si recava dunque al luogo dell’imbarco verso la mezzanotte del giorno 23 (due giorni dopo quanto asserito nella sua relazione al Congresso della CGIL). Buozzi non l’accompagnava alla automobile e quindi non pronunciava quelle parole sull’unità sindacale in risposta alle sue raccomandazioni. D’altronde l’ultimo giudizio, in ordine di tempo, espresso da Oreste Lizzadri su Bruno Buozzi e la sua azione politica e sindacale, è questo: «Bruno avrebbe voluto rimandare la discussione sul problema dell’unità sindacale a un Congresso Nazionale da tenersi a guerra finita. Frattanto vagheggiava i vecchi progetti della banca del lavoro, delle cooperative, ecc…» <29.
Sulla questione della sua «missione» nell’Italia liberata, Lizzadri ci ha fornito l’ennesima versione arricchita, questa volta, da particolari inediti <30. La mattina del 22 gennaio 1944 il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale accettava la designazione di un messaggero socialista per la missione al Congresso di Bari. Quella stessa mattina Lizzadri si incontrava con Nenni, Buozzi e Vassalli per metter a punto un appello del Partito socialista ai compagni meridionali: si trattava di una lettera firmata da Nenni, elaborata dall’esecutivo del partito con la collaborazione di Buozzi, che recava precise direttive politiche e sindacali <31. In quella riunione si decideva anche a chi sarebbe stata affidata la missione, e questa volta Lizzadri fornisce le ragioni ovvie e convincenti che determinarono la scelta della sua persona.
Nelle condizioni del momento – scrive Lizzadri – e per un complesso di ragioni insite nella situazione di clandestinità, tre sono le candidature possibili dei socialisti: Buozzi, Nenni e Lizzadri. Quella di Buozzi cade subito perché la sua cattura, in caso di insuccesso, sarebbe un danno irreparabile per il PSI. Per Nenni si prospettano le stesse ragioni rafforzate dal fatto di ricoprire la carica di segretario del partito. Non resta che Lizzadri. La sua origine è meridionale, le sue prime battaglie a Castellamare di Stabia e a Napoli e i collegamenti che intrattiene con gli alleati attraverso la radio clandestina, lo indicano come l’unico che possa condurre a buon fine la missione. In verità, nella decisione non è stato del tutto estraneo il giudizio che la sua cattura rappresenterebbe, fra i tre, la perdita meno grave per il partito! <32
Oreste Lizzadri partiva dunque da Roma la mattina del 23 gennaio e alla mezzanotte di quello stesso giorno si imbarcava, in una località isolata fra Pescia Romana e Ansedonia, su un grosso motoscafo americano.

  1. «Critica marxista», n. cit., pag. 105.
  2. Idem, pag. 106 nota.
  3. Idem.
  4. Idem.
  5. Idem.
  6. La CGIL dal Patto di Roma al Congresso di Genova, stampato a cura dell’uff. stampa e prop. della CGIL, Roma, 1949, vol. I, pag. 98; relazione di Oreste Lizzadri.
  7. Lizzadri, Il regno di Badoglio, cit., pag. 141.
  8. Abbiamo raccolto la testimonianza di O. Lizzadri il 1° settembre 1970.
  9. Ora in «Lettera ai compagni», mensile della FIAP gen. 70.
  10. Il documento espone le direttive politiche e sindacali del partito socialista (PSIUP), riassunte nei seguenti punti; a) lotta di liberazione nazionale; b) lotta implacabile contro il fascismo comunque mascherato; c) lotta contro la monarchia; d) lotta per la repubblica socialista dei lavoratori che è l’obiettivo della rivoluzione popolare in corso. Inoltre il Partito socialista si impegnava per suo conto a porre davanti all’assemblea costituente quattro problemi fondamentali: 1) decadenza della monarchia e proclamazione della repubblica; 2) processo davanti alla costituente al re e a Mussolini per abuso di potere dal 28 ottobre ’22 al 24 luglio ’43; 3) socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio e abolizione della proprietà capitalistica, cioè della proprietà che non è frutto del lavoro individuale, ma dello sfruttamento del lavoro altrui; 4) piano quinquennale della ricostruzione socialista dell’Italia da deferirsi a una Camera dei Consigli degli operai, dei contadini, dei tecnici, dei mestieri, delle professioni liberali, della scuola e del commercio… «Il compagno Oreste – concludeva la lettera di Nenni – vi porta questo messaggio e il nostro saluto. Roma 22 gennaio 44». Il documento è citato da Lizzadri (Il regno di Badoglio, pag. 140). La sottolineatura è nostra (al punto 3 e 4) e riguarda, secondo quanto attesta Lizzadri, la collaborazione di Buozzi.
  11. O. Lizzadri, «Lettera ai compagni», cit.

Pietro Banconi, 1943. La CGL sconosciuta, Centro Studi Libertari Camillo di Sciullo, Chieti, pp. 19,20,21,22